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LA TRAPPOLA DELL’INNOCENZA

  • Joined Jun 2023
  • Published Books 1

LICEO VASCO BECCARIA GOVONE MONDOVÌ

STAFFETTA NARRATIVA 2023/2024

 

CLASSI 

2^ A

1^ C

1^ R

2^ F

 

2

CAPITOLO 1

 

Il telefono continuava a squillare senza che Mara rispondesse, di tanto in tanto risultava online su Whatsapp, riceveva i messaggi, ma non reagiva. Non era da lei.

Ines era sempre più preoccupata, conosceva da poco quella ragazza venuta dall’Italia e stabilitasi a Londra per frequentare il Master in Biotecnologie, non aveva idea di chi fosse la sua famiglia, perché dai profili social – che adesso la ragazza controllava ossessivamente – non si evinceva nulla di particolarmente personale: solo foto di paesaggi naturalistici, qualche notizia di cronaca condivisa dalle pagine dei giornali italiani e nulla più.

Laura, di Mara, conosceva solo Mara, adesso che ci pensava bene: conosceva la sua risata, quando immancabilmente, in quell’autunno londinese la pioggia cominciava a cadere lenta e lei puntualmente si trovava senza ombrello; conosceva le sue piantine di aromi che, diceva, le ricordavano l’Italia; conosceva la sua determinazione, quando le parlava dei suoi progetti. Conosceva anche la sua stizza, quando era sempre e perennemente in ritardo, perché sempre e perennemente attaccata al cellulare.

Anche Ines era da sola a Londra o meglio era in compagnia, in compagnia dei colleghi di Master, dei camerieri dei locali, dei ragazzi che incontrava in giro e in discoteca, la sola persona della quale si fidava e che considerava in qualche modo amica, era Mara: in quei due mesi era stata troppo impegnata a cercar casa, a capirci qualcosa del Tube e dei quartieri e anche del meteo. Mara era come lei. Eppure da circa due giorni non dava più notizie e a questo punto non restava che una cosa da fare: dormirci su. Cosa poteva scoprire Ines alle due di notte? In fondo non aveva tanta confidenza con Mara da dover essere aggiornata su ogni minimo avvenimento della sua vita, né poteva informare la polizia della sua scomparsa dopo così poco tempo. Forse Mara voleva prendersi dei giorni per pensare a sé e staccare dai ritmi frenetici di Londra.

“Ci penserò domani”, disse Ines tra sé e sé, prima di andare a dormire.

 

Drin, drin!!

Il suono della fastidiosissima sveglia inondò la stanza, destando Ines dai suoi sogni. Con gli occhi ancora assonnati lesse distrattamente l’ora: le 8,20. Era in grandissimo ritardo!

In meno di dieci minuti fu fuori casa tutta imbacuccata per proteggersi dal freddo e con abiti che non si abbinavano minimamente tra loro, ma per lei questo non era mai stato un problema. Indossava come al solito le sue grandi cuffie azzurre, mentre si faceva goffamente spazio tra la gente. Scendendo le scale, Ines s’inabissava nella metropolitana, e correva veloce giù per le scale mobili. Il cambio di pressione tra i piani le schiaffava in faccia folate di un vento artificiale e fastidioso. La luce timida della mattina londinese aveva già lasciato il posto all’illuminazione bluastra dei claustrofobici corridoi, e poi giù, ancora per altre scale, fino alla galleria B, nella quale stava già frenando il siluro. Come una litania avveniristica la voce, registrata e riprodotta in bassa qualità, che le faceva sobbalzare i nervi al ritmo dello sferragliare cadenzato delle rotaie, annunciava l’apertura delle porte: “mind the gap”. I varchi si spalancarono, la fiumana di corpi si riversò nella pancia della bestia metallica, quasi come all’aprirsi delle cataratte del cielo.

Ines, fattasi strada nella fitta turba, si era catapultata verso il suo obiettivo: un sedile vuoto.  Mentre le genti si disponevano ai lati del vagone, nel centro della carrozza cominciavano a delinearsi i contorni di un figuro dall’aspetto alquanto singolare. Ines era stata colpita, innanzitutto, dalla vista delle sue scarpe, delle vecchie francesine nere lucide; e per un attimo rivide quelle del padre il giorno della sua prima comunione. Spostando in alto lo sguardo, posò l’occhio sugli abbondanti pantaloni a coste in velluto marrone, dai quali sporgevano degli enormi tasconi rigonfi. Il bacino dell’uomo era tenuto in ostaggio da una lasca cintura di pelle, la pancia prominente era stretta in un pile blu zaffiro da cui spuntava un colletto scuro. L’uomo aveva un pasciuto faccione imberbe di forma ovale dal colorito roseo, labbra carnose, un naso importante, occhi castani, stretti come due fessure. I capelli grigiastri erano radi e ispidi ai lati del cranio. Si stagliava al centro della scena, come se fosse sempre stato lì, parte del paesaggio limitrofo, e allo stesso tempo distaccato, guardiano della Piccadilly line.

Uscendo dalla metropolitana gli occhi di Ines incrociarono i volti familiari dei compagni di Master dell’ Imperial College. Tutti notarono la strana assenza di Mara, sempre insieme a Ines, a cui chiesero spiegazioni senza risultato.

 

“Sono giorni che non la vedo”, pensava intanto Laura mettendosi il grembiule a fantasie napoletane; “speriamo che torni, aveva promesso di spiegarmi il suo progetto del Master”.

 

Dopo interminabili ore di lezione Ines si diresse come consuetudine alla metro, che ovviamente straripava di londinesi e non solo. Come un flash le ricomparvero le riflessioni su Mara della notte precedente e ricominciò a spulciare un’ennesima volta il suo profilo. Si soffermò in particolare sulle foto che raffiguravano sempre lo stesso paesino, Acerra (come citava la didascalia di Instagram), e si rese conto di numerosi articoli di cronaca inerenti alla provincia, condivisi da “Il Gazzettino Vesuviano”.

“Che strano… perché le interessa tanto questa cittadella?”, pensò. L’ultimo post in particolare attirò la sua attenzione…

 

La sera prima della scomparsa, Mara, sfogliando “Il Gazzettino Vesuviano”, si era imbattuta nell’articolo che ricordava quel 17 ottobre del 2012 e come consuetudine lo aveva ripostato. Si era ritrovata improvvisamente catapultata nel passato tra le strette strade di Acerra, con i persistenti odori di fritto nell’aria che si mescolavano tra di loro: il profumo del “cuopp’” che giungeva dalle cucine e delle altre tipiche pietanze napoletane. I ricordi della sua infanzia erano riemersi come ombre sfocate: le giornate trascorse nella villa comunale, le partitelle di calcio a cui si poteva assistere sotto il sole cocente e gli abbondanti pasti in famiglia e con gli amici durante le festività. Un pomeriggio, di ritorno dalla scuola, l’attenzione della piccola, sorridente come sempre, era stata improvvisamente richiamata da dei fortissimi rumori che come trapani le avevano bucato i timpani; erano colpi di pistola. Mara aveva trovato riparo dietro il primo muretto che aveva visto, per poi rendersi conto che era appena avvenuta una tragica sparatoria nel mezzo della villa comunale. Le urla disperate, i colpi di pistola e le sirene le risuonavano nella mente. Era ancora tangibile la paura della morte. Quel corpo disteso a terra con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca aveva sconvolto il suo innocente animo. Le era parso di riconoscere quegli occhi ormai sbarrati. Da quel giorno la sua vita non fu più la stessa.

 

Un dubbio balenò in mente a Ines: “Cosa mai c’entrava Mara con tutto ciò?”.

Mentre continuava a rimuginare, si accorse di essere finita nella pagina dei taggati. Qui le saltò all’occhio un post di una serata al The Rockingham Arms.

Al centro della foto c’erano due persone: una era Mara, riconoscibile dai lunghi capelli rossi che le ricadevano leggeri sulle spalle e dal sorriso che le illuminava il volto. Lo sguardo era imbarazzato, contrariamente alla donna al suo fianco, che le cingeva le spalle con il braccio. Era di poco più bassa di Mara, ma dalla foto sembrava avere il doppio dei suoi anni. I capelli biondi erano raccolti da un mollettone perlato, al centro del viso tondeggiante spiccavano il naso a patata, gli occhi scuri e le labbra carnose, piegate in un sorriso caloroso che le dava un’aria materna; l’espressione teatrale accentuava le fossette sulle guance paffute. Il suo grembiule con su scritto “Cucina di LAURA” era macchiato dalla birra. Era uno di quei pub tipici di Londra, come quelli in cui Mara adorava andare: luci calde, cuscini di velluto sulle sedie e un bel drink; erano queste le sue serate preferite.

Sul bancone, tra tazzine da caffè e stuzzichini, Ines vide un piccolo vaso con delle piantine aromatiche esattamente come quelle che aveva Mara a casa sua. Si intuiva che le due si conoscevano.

Spulciando sul profilo del locale, ne trovò la posizione: era proprio vicino alla stazione della metro. Scese e poco dopo si trovò di fronte all’insegna del pub; entrandoci notò la stessa persona raffigurata nelle foto.

3

CAPITOLO 2

 

Ines entrò nel pub. Era esattamente come nella foto di Mara: un locale che collegava l’ingresso ad altre due stanze secondarie, un posto dal tetto basso e le luci soffuse. I colori prevalenti erano il grigio e il bordeaux.

Dietro al bancone c’era la donna della foto, stavolta non indossava il grembiule con la scritta “Cucina di LAURA”, ma una semplice gonna nera.

“Hi, what do you take?”.

“A beer, thank you”, rispose Ines.

La donna si allontanò con l’ordine mentre rispondeva al telefono: “Pronto? Sì, sono al lavoro. Magari poss…”

Ad Ines non piaceva origliare, perciò distolse l’attenzione da Laura e dalla chiamata. Ma non poteva ignorare il fatto che la sua principale risorsa di informazioni parlasse italiano come la sua amica, ancora irraggiungibile.

Si mise invece ad osservare l’ambiente intorno a sé.

Non c’erano tracce delle piantine aromatiche della foto, ad eccezione di due vasi di anice verde e menta, le preferite di Mara.

Coincidenze? Ines non credeva alle coincidenze.

Poco dopo Laura tornò con il suo ordine. Ora o mai più. Se voleva chiedere a Laura informazioni su Mara doveva farlo ora. L’articolo della sparatoria del 2012 continuava a lasciarla un po’ perplessa.

Perché a Mara stava tanto a cuore quell’evento? E Laura poteva saperne qualcosa?

Ines prese coraggio e fece vedere alla donna la foto di qualche giorno prima di Mara in quel pub.

“La conosci?”.

Laura lì per lì rimase spiazzata. Questa ragazzina come fa a conoscere Mara? E perché parla un italiano perfetto, senza la minima traccia del tipico accento londinese?

A Laura erano sorte tante domande.

“Come?”.

“Scusa, è che ti ho sentita parlare italiano al telefono”.

Laura perse per un istante la sua solita espressione cordiale. Ma fu solo un secondo.

“Come conosci Mara?”.

Ines non sembrò accorgersi del sottile cambiamento nella voce di Laura. “Frequentiamo lo stesso corso. Per caso l’hai vista negli ultimi giorni?”.

“Come mai ti interessa così tanto?”, le rispose malamente la donna dai capelli biondi.

“No, è solo che non la sento da un po’…”

Laura si guardò attorno: il locale cominciava a riempirsi.

“E come fai a sapere che la conosco?”.

Ines cominciò ad insospettirsi sempre di più. Non era più la stessa Laura sorridente.

“Ti ho vista menzionata in un post di Mara e nella descrizione c’era l’indirizzo del pub”.

Questa risposta sembrò tranquillizzare Laura.

“Comunque, io sono Ines”, l’altra donna si sedette vicino a lei e le porse la mano ancora diffidente. “Io sono Laura”.

Ines ricambiò la stretta.

“In che senso non la senti da un po’?”.

Ines si ritrovò a spiegarle tutto senza accorgersene. Quella donna le trasmetteva uno strano senso di sicurezza.

“Sei anche tu di Napoli, giusto?”.

La cameriera la guardò e annuì.

“Perché a Mara sta tanto a cuore la sparatoria ad Acerra del 2012?”

Ciò che Ines non si aspettava era di vedere la donna saltare su dalla sedia al sentire nominare quell’anno.

“Non lo so, non me ne ha mai voluto parlare…” Ma Laura non la stava più guardando negli occhi.

Il locale era pieno di gente che usciva dal lavoro.

“Forse dovrei lasciarti lavorare…”, disse la ragazza vedendola infastidita.

Poco dopo alla cassa, Ines fece un’altra domanda, non aveva intenzione di arrendersi: “Quella piantina aromatica te l’ha regalata Mara?”.

Quasi obbligata, Laura rispose: “Si, esatto… comunque sono 8£, grazie”.

Ines pagò e si avviò alla porta senza aggiungere più nulla.

Una voce da dietro le giunse all’orecchio, era Laura: “Avvisami se hai notizie, +442275817923”.

Laura si assicurò che Ines uscisse dalla porta, subito dopo digitò un numero al cellulare: “Al pub è venuta un’amica di Mara e ha capito qualcosa del 2012. Dobbiamo stare più accorti”.

Dall’altra parte del telefono, rispose una voce maschile: “Non ti preoccupare, ci penso io…”

 

In quel momento i mormorii della gente nel locale passarono in secondo piano lasciando spazio ai brutti ricordi di un buio pomeriggio.

Era proprio il 17 ottobre 2012. La giornata era nuvolosa, il tempo cupo e malinconico e Acerra era particolarmente silenziosa. Laura stava preparando l’ultimo caffè della giornata e il pensiero di ciò che sarebbe accaduto quello stesso pomeriggio la indusse ad alzare gli occhi verso la parete e guardare l’ora: era giunto il momento. Il suo turno era finito, si tolse il grembiule e uscì dal bar. Si diresse verso Via Cristoforo Colombo, dove, poco dopo, incrociò gli occhi di un uomo: il suo complice. Era l’uomo che le avrebbe cambiato la vita per sempre, ma lei ancora non era pienamente consapevole.

O forse sì? Bastò un solo cenno del capo, uno scambio di sguardi fugace per far capire a Laura che quel momento era ormai arrivato e che tirarsi indietro non era più una strada percorribile. Attraversò la via ed arrivò in villa comunale, si mise al posto prefissato in attesa. Dopo pochi secondi  BAAAM..!, un boato, il primo colpo era partito, ma la sua attenzione cadde subito su una ragazza, anzi, una ragazzina, che avrà avuto sì e no tredici anni e che aveva provato a nascondersi dietro un muretto, spaventata dal rumore. Avrebbe scombussolato tutti i piani. Non doveva essere lì. Il piano era stato calcolato in ogni minimo dettaglio, ovviamente non era escluso che potesse esserci altra gente, ma lei, lei era troppo vicina. Il suo complice non poteva vederla, era nascosto. Nel momento in cui Laura rivolse nuovamente gli occhi verso quel muretto, vide la ragazzina avvicinarsi al corpo ormai sommerso da un lago di sangue.

La ragazzina si guardò intorno e vide Laura che da lontano la fissava con occhi attoniti, abbassò lo sguardo e rivide il corpo ai suoi piedi, era immobile, non sapeva cosa fare, prima che potesse muovere qualsiasi muscolo venne nuovamente colpita da quegli occhi scuri, fitti e terrorizzati del ferito, ormai sempre più prossimo alla morte.

La vittima sapeva che per lui non c’era più niente da fare e prima di esalare il suo ultimo respiro le disse: “Non ti fid…”.

Non poteva finire così, non poteva morire così. Come finiva quella frase? Prima di rendersi conto di cosa stesse succedendo, alzò nuovamente il volto e notò Laura che le correva incontro, le chiese come si chiamava e come stesse. La ragazzina disse: “Mara”, ma prima di poter rispondere alla seconda domanda scoppiò a piangere. Laura le disse di andarsene, di correre via, tornare a casa, ma senza raccontare niente a nessuno perché le sirene della polizia si avvicinavano sempre di più e se l’avessero trovata lì l’avrebbero sottoposta a un interrogatorio.

Laura non era pentita, al contrario, si sentiva quasi sollevata. Il buonsenso l’aveva completamente abbandonata lasciando che il dolce sapore della vendetta invadesse la sua bocca.

Tempo, le serviva tempo per decidere cosa avrebbe fatto dopo quella giornata, ma intanto, preferiva godersi quegli attimi di selvaggia felicità, lasciando ogni decisione al domani.

 

I  pensieri di Laura furono bruscamente interrotti da un cliente al bancone che le chiedeva con insistenza una birra.

 

Nel momento in cui Ines varcò l’uscio del pub, venne improvvisamente avvolta da innumerevoli dubbi. Il suo intento prima di parlare con Laura era quello di dare una risposta ai suoi interrogativi, ma uscendo da quel locale ebbe più domande di prima. Ormai si era fatto buio, la nebbia, il clima freddo e umido non aiutavano Ines ad avere pensieri positivi. In quel momento la sua mente era focalizzata sul come tornare a casa il più velocemente possibile, e non a pensare al messaggio che aveva appena ricevuto… aspetta, le era arrivato un messaggio? Immediatamente prese il telefono per controllare da chi provenisse ma il mittente era sconosciuto e il messaggio conteneva una sola parola: “Laura”.

4

CAPITOLO 3

 

Camminava con passo nervoso sul marciapiede. Cercava di avvistare un taxi disponibile, ma pareva che tutti intorno a lui avessero la stessa urgenza di spostarsi. Allora con una mano frugò nella tasca destra della giacca e tirò fuori il cellulare. Aprì Free Now e la mappa gli mostrò un black cab a soli due isolati di distanza.

“Perfetto!”, pensò e inviò la richiesta.

“Supermarket Italy in Queen Victoria Street” disse appena si sedette sul sedile posteriore destro.

Ccu salute, eh!?” disse l’autista, convinto di non essere capito.

Nun teng tiemp per i saluti!”

“Ah… Pure voi di Napoli? Che ci fate in Gran Bretagna?” chiese il taxista all’uomo, che nel frattempo porgeva £7.50.

“Ma che te ne frega!” stava per dirgli, ma poi si trattenne e stette in silenzio per tutta la durata della corsa, fino a quando posò i soldi vicino al freno a mano e disse, molto freddo e disinteressato: “Arrivederci.”

Sette passi e la porta automatica di Supermarket Italy si aprì. Andò nella sezione frutta e verdura per comprare delle carote e dell’insalata, poi si diresse verso lo scaffale della pasta…

“Non mangia glutine, quindi mi ha detto che le devo obbligatoriamente prendere ques…” il suo pensiero fu interrotto da un vecchio signore che gli andò addosso con il carrello.

“Ma che cazzz!” disse infuriato.

“Sorry, I didn’t see you.”

“L’ho capito che non mi ha visto.”

“What??”

“Nothing. It doesn’t matter.”

Si allontanò arrabbiato e andò a cercare i prodotti che mangiava di solito, ma allo stesso tempo dovevano anche essere adeguati all’ospite indesiderata. Mentre attraversava i vari reparti, arrivò al bancone dei surgelati e trovò una pizza con sopra scritto “Best Italian pizza World”.

“’Sti inglesi mangiano solo fish and chips. Neanche sanno che cos’è la buona cucina!” pensò.

Era combattuto: da un lato la parlata del taxista e i prodotti napoletani lo facevano sentire a casa, ma allo stesso tempo lo riportavano con la mente a una precedente vita che voleva e doveva dimenticare. Aveva abbandonato tutto: gli amici, le lezioni all’università, il sogno di laurearsi. Si era barcamenato come poteva con lavoretti umilianti, per racimolare qualche soldo e pagare l’affitto del monolocale. Con il tempo, avendo imparato la lingua, era riuscito a trovare un posto come responsabile di una caffetteria. Guadagnava bene, ma la sua vocazione di diventare avvocato era sfumata con la fuga a Londra e, ancor prima, a causa dell’omicidio di quello là.

Con due buste della spesa piene di viveri era pronto per tornare a casa sua. Aveva appena detto a Laura che di quest’altra amica impicciona spuntata dal nulla se ne sarebbe occupato lui, ma come avrebbe potuto inseguirla da solo!? E poi, com’era fisicamente? Non si può stalkerare una persona di cui si conosce solo il nome.

 

Ma ora il pensiero si era nuovamente spostato a quel giorno, il giorno dell’omicidio. Per quale motivo si era fatto manipolare in quel modo? Da dove aveva trovato il coraggio (ma era coraggio?) di premere il grilletto? Lui, uno studente di legge! Chissà perché, di fronte all’evidenza, un povero innocente venne accusato a suo carico. Avrebbe preferito scontare la sua pena, ma per qualche ragione venne graziato. Almeno il suo passato non era solo macchiato di sangue, ma era anche costellato di splendidi momenti passati insieme a Laura. Forse era proprio per sigillare la sua unione con lei che aveva ceduto alle sue istigazioni.

Tornò in sé: non c’era bisogno di rimuginare sul passato. Ormai non si poteva più tornare indietro: aveva fatto una promessa a Laura e doveva pensare a una soluzione per quella faccenda…

Dunque, dopo aver acquistato per ultimo un tristissimo cuoppo surgelato marca “Ruspo”, decise di dirigersi alla cassa. Davanti a sé incrociò una ragazza con un paio di cuffie azzurre, una pizza surgelata e una lattina di Monster in mano. Lo colpirono lo sguardo inquieto e i movimenti nervosi.

“La tipica studentessa fuori sede che mangia soltanto cibo già pronto e che studia all’ult…”

“Tutto bene, mamma… sì… no… tranquilla… ero in un pub e non c’era campo.  Ti devo lasciare perché ho un sacco di cose da sbrigare. Ciao ciao ciao ciao”.

“Allora è italiana anche lei…” si disse l’uomo tra sé e sé.

La vide ancora trafficare al telefono, che non abbandonò nemmeno quando si trattò di pagare ed uscire.

Una volta fuori da quel tempio di prodotti che, per un italiano, sanno sempre di promessa infranta, l’uomo ricevette un altro messaggio. Ancora Laura: gli aveva mandato uno screenshot dell’account Instagram di quella fastidiosa amica ficcanaso: si leggeva “IneSistente99”. Nell’immagine del profilo una ragazza biondina, con i capelli raccolti in uno chignon basso, grandi occhi azzurri cerchiati da occhiaie vistose, un paio di grandi cuffie azzurre come i suoi occhi sorrideva con un’aria di forzatura.

E in quel momento realizzò di essersi fatto sfuggire da sotto il naso la sua preda.

“Mamma mia, ch’ fess!” esclamò facendo riaffiorare per un momento le sue origini. Ma chi poteva immaginare che in una megalopoli come Londra si potesse imbattere proprio nella ragazza che doveva stalkerare!

Il paio di cuffie azzurre, nel frattempo, si muoveva convulsamente ad una distanza indefinita, giocando a nascondino tra la folla che scorreva uniforme sui marciapiedi della Queen Victory Street.

L’uomo a quel punto accelera il passo, si scontra con un campionario di gente mai vista prima, gente proveniente da tutte le parti del mondo: la popolazione cosmopolita della metropoli diventa un’infinita coltre di ostacoli che lo separano da Ines.

“Ehi, biondina, ti è caduto il caricatore del cellulare dalla borsa”, comincia ad urlare l’uomo, per attirare la sua attenzione. Ines si gira, ha ancora la lucidità per pensare che non porta mai con sè il caricabatterie. Non ci casca. In mezzo alla folla la ragazza si sente innaturalmente osservata, come se in un attimo fosse diventata la protagonista di un inseguimento hollywoodiano. Un muro di sconosciuti la separa da un inseguitore di cui ha sentito distintamente la voce italiana, ma del quale ha visto solo due occhi minacciosi. Quello nel frattempo cerca di farsi spazio sbattendo a destra e a manca le borse arancioni strabordanti di cibo partenopeo.

Ines, in preda al panico, cerca di depistare quel qualcuno, che lei sente possa rappresentare un pericolo. Ad un certo punto il segnale al neon che indica l’entrata della metropolitana le fa balzare in mente un’idea: con fare indifferente sguscia giù per le scale mobili, prende al volo un biglietto per la fermata di Grant Street e s’infila nel Tubo poco prima che la gracchiante voce dell’altoparlante annunciasse la partenza imminente.

Le porte scorrevoli dell’underground si chiusero di fronte al naso aquilino di un uomo con due borse arancioni sventrate in procinto di vomitare per terra il loro contenuto.

Ines ebbe una sensazione di sollievo, subito oscurata dal presentimento che tra lo sguardo tristemente rabbioso di quell’uomo e quel messaggio con scritto “Laura” ci fosse un intimo legame.

 

***

 

Un fragore metallico la svegliò improvvisamente dal torpore malinconico, in cui era assopita da un tempo ormai inquantificabile. I suoi sensi erano offuscati dalla stanchezza, ma il persistente odore di umidità e il ticchettio infernale delle gocce di pioggia nella grondaia sembravano amplificarsi con lo scorrere piatto e informe del tempo. Eppure aveva fiducia. Tremava ancora all’idea di essere riuscita, non sapeva neanche come, a mandare un segnale di aiuto: un messaggio in una bottiglia, certo, un solo nome, d’accordo, ma pur sempre una notifica che sarebbe arrivata prima o poi alla sua destinataria. Bisognava aspettare, e ancora e sempre non dire niente a nessuno.

5

CAPITOLO 4

 

La luce filtrava debole attraverso una piccola finestra posta in alto nello stanzino, che toccava quasi il soffitto; le turbine del condotto di areazione erano state in movimento per tutta la sua permanenza lì, fino a diventare un consueto sottofondo per i suoi pensieri. Troppe domande affollavano la testa di Mara. Prima fra tutte, il dubbio se il suo breve messaggio fosse arrivato alla destinataria e, se sì, se lei avesse capito di cosa si trattasse e quindi si fosse messa sulle sue tracce, e poi, soprattutto: “Perché proprio me? Perché dopo tutti questi anni mi hanno contattata, quando pensavo che quella storia ormai fosse acqua passata?”.

Continuava a rigirarsi nella piccola brandina, che utilizzava come letto e tavolo per mangiare dato il ridotto spazio della stanza in cui era rinchiusa, e pensava a come fosse finita in quella situazione …

 

Era un venerdì e le lezioni all’università erano terminate. Lei stava raggiungendo la stazione della metro per tornare a casa, quando il suo sguardo si era soffermato su una figura che le era sembrata familiare, ma che subito era sparita tra la folla, inghiottita dall’ Underground straripante di persone – come al solito – nell’ora di punta. Era tornata fissa con gli occhi sul telefonino come se nulla fosse accaduto, fino alla fermata in cui sarebbe dovuta scendere. Mentre risaliva le scale, per uscire dalla stazione, eccolo lì, l’uomo che poco prima aveva attirato la sua attenzione. Osservandolo meglio lo aveva riconosciuto: lo aveva visto più volte al pub dietro al bancone di Laura, per aiutare l’amica, e in un’occasione avevano persino fatto conoscenza. Proprio in quel momento lui si era girato, con un sorrisetto si era fermato e aveva aspettato che lei lo raggiungesse. Quando furono uno davanti all’altra, l’uomo, di cui non riusciva a ricordare il nome, le aveva posto la fatidica domanda che avrebbe cambiato il corso di quella serata e dei giorni successivi: “Ti va di andare insieme a bere qualcosa da Laura?”. Mara aveva accettato volentieri l’invito e i due si erano diretti al pub; le sembrava che l’uomo avesse fretta, ma non ci aveva dato molto peso. Entrati nel locale, subito Laura era corsa a salutarli. Mara si ricordava ancora di aver bevuto qualcosa al bancone, ma da quel momento in poi tutto era confuso: immagini di volti sfocati si sovrapponevano nella mente ad altri flash della serata al pub; tra i suoni e i rumori indistinti una frase le ronzava in testa, colta al suo risveglio, pronunciata da un uomo in perfetto italiano: “La ragazza è sveglia, sembra non si ricordi nulla e deve rimanere così, nessuno deve sapere niente”.

Sdraiata sul letto, Mara aspettava, non doveva far altro che attendere. Quel criptico messaggio che aveva inviato avrebbe sortito i suoi effetti; ancora non lo sapeva, ma là fuori qualcosa stava già succedendo.

 

“Che sollievo”, pensò Ines mentre cercava disperatamente un posto a sedere in quel tumulto. Tentando invano di recuperare fiato dalla fuga, analizzò attentamente quel sinistro uomo rimasto al di fuori della soglia delle portiere. Portava un paio di scarpe da ginnastica con un paio di calzini giallo canarino. A coprirli, una tuta grigia accompagnata da una giacca a vento azzurra che stonava vistosamente con gli altri abiti. Il viso era dominato da un ingombrante naso con un accenno di barba che risaliva quasi fino alle tempie; un cappello da pescatore intonato con il coprispalle gli nascondeva i capelli.

Ancora colpita e a corto di fiato, Ines cercava la lucidità di figurarsi un motivo per cui avesse seguito proprio lei. Che si fosse sbagliata e l’uomo fosse solamente in ritardo per la rapida metro? Tuttavia l’immagine di quello sguardo acuto, misto di delusione, rammarico e soprattutto rancore, che ancora le balenava in testa, la smosse verso un’unica direzione: la vittima non poteva che essere lei. Uscita dalla metro, l’aria fresca la risvegliò dai suoi pensieri e la sua mente tornò a ragionare razionalmente: prima lo strano messaggio, poi quell’individuo; tutto all’uscita dal pub. Ines non credeva alle coincidenze: ogni cosa riconduceva a Laura.

L’uomo era rimasto lì, imbambolato, e non aveva approfittato di quell’opportunità, come sempre. Quando aveva avuto le sue grandi occasioni della vita, non era mai riuscito a compiere un passo in più. Diviso e tormentato da due forze contrapposte – l’amore per la propria terra, e il giovanil desiderio di evadere dalla sua quotidianità -, ogni volta si rendeva conto tardi di perdere il treno delle carte da giocare. Amareggiato e confuso, e consapevole tuttavia di non poter raggiungere la ragazza, con quei fardelli ripieni di cibarie italiche, decise di raggiungere il proprio appartamento. A passo stanco e con gli occhi bassi, dopo un’abbondante mezz’ora di cammino, deprimente come di consueto, ancora intorpidito dall’aria chiusa e dal puzzo della metro, giunse alla sua remota dimora. I piedi gli dolevano terribilmente.

Tolte le scarpe strette, a piedi scalzi, col freddo delle piastrelle grigie che gli si insinuava tra le dita, varcò la soglia della cucina, e iniziò ad assaporare il momento della cena. Nell’unica parentesi lieta della giornata, illuminato dalla luce bluastra della TV, se ne stava seduto su una sedia da cortile bianco-giallognola, screpolata e traballante, con un piatto di plastica straboccante di lasagne insipide e gommose, rinsecchite dal calore artificiale del fornetto a microonde.  Londra era già al buio, e dietro l’orizzonte non c’era più neanche una pennellata di rosso, neanche più un alone sbiadito, confuso con la nebbiolina umida della City.

Guardava la TV, ma non riusciva a seguire il programma perché la sua mente era altrove. Pensava a Laura, che in quel momento era nella cucina ormai vuota del pub, quando il telefono lo distolse dai suoi pensieri.

All’orario di chiusura la donna aveva spento le luci e, seduta sul bancone, aveva preso il suo smartphone; stizzita, aveva digitato il numero dell’ultima persona che avrebbe voluto chiamare.

L’uomo si mosse in maniera scomposta, con un rapido movimento del busto, accompagnato da un leggero dolore alla schiena. Prima ancora di rispondere, sapeva già cosa aspettarsi. Riconobbe all’istante quella voce. Laura.

“Pronto”. Disse con voce titubante.

“Ci sono novità?”, domandò Laura.

“L’ho vista, l’ho inseguita per un po’, ma in metro l’ho persa.”

La donna imprecò sottovoce e poi disse: “Domenico, lo sai che con quella ragazza un giro siamo tutti e due in pericolo! Se dovesse venire a sapere di Mara cercherebbe di tirarla fuori e lui la troverebbe…”

“Lo so, lo so… che vuoi fare?”.

“Sai cosa ci aspetta se Mara dovesse parlare…”

6

CAPITOLO 5

 

Si trattava di Antonio Pirozzo, un poliziotto che lavorava da anni come agente nella città Partenopea. Era un uomo di alta statura con una corporatura robusta, i suoi capelli erano corti e di un castano scuro, mentre i suoi occhi erano di un intenso colore verde. Da giorni cercava di ricontattare inutilmente Mara ed era molto preoccupato per l’improvviso silenzio della ragazza, disposta quanto lui ad arrivare alla verità sull’assassinio avvenuto quasi dieci anni fa e che aveva cambiato la vita del fratello maggiore, Giuseppe, a suo parere ingiustamente accusato di omicidio.

Quel maledetto 17 ottobre Giuseppe stava ristrutturando una casa ad Acerra. Poco prima che finisse il turno di lavoro sentì un grande boato, che attirò la sua attenzione. Scese immediatamente le scale a chiocciola della casa per andare a controllare cosa avesse provocato ciò. Intravide un corpo a terra, e riconobbe subito un suo compagno di lavoro, Raffaele, con il quale nei giorni precedenti aveva avuto un’accesa discussione per futili motivi.

Corse subito a verificare le sue condizioni di salute, ma scoprì che non c’era più niente da fare. Ad un tratto la polizia arrivò e con un fare minaccioso vedendolo sporco di sangue lo accusò di essere responsabile della sua morte e in un attimo si ritrovò in questura e poi tra le sbarre.

Antonio sapeva bene che il fratello non avrebbe mai potuto uccidere qualcuno, tantomeno un compagno di lavoro per una banale discussione, seppur avvenuta con toni accesi.

Da mesi cercava informazioni facendo domande agli abitanti di Acerra sulle dinamiche dell’omicidio. Nella sua testa frullavano troppe domande e poche risposte, fino a quando, una settimana prima, aveva scoperto da alcuni testimoni che sul luogo del delitto era stata vista anche una ragazzina. Da allora aveva iniziato a indagare per risalire alla sua identità. Fin da piccoli Giuseppe lo aveva sempre protetto ed era rimasto al suo fianco nei momenti difficili, ora toccava ad Antonio salvarlo da un destino infelice e, soprattutto, profondamente ingiusto. In un paio di giorni era riuscito a individuare il nome della ragazzina e si era recato a casa sua per parlare con quella che al momento doveva essere una giovane donna. Quando aveva bussato, le aveva aperto la porta Carmela, la madre di Mara, che gli aveva lasciato il contatto telefonico della figlia. Antonio le aveva scritto immediatamente un messaggio e la ragazza si era mostrata disponibile a incontrarlo. L’agente aveva preso il primo volo per Londra e nel giorno concordato si era diretto verso uno dei pub londinesi più caratteristici della città, The Rockingham Arms, per incontrare lì Mara.

Erano ormai le ventuno e trenta e, dopo essersi riconosciuti e salutati, Antonio e Mara si sedettero al tavolo dieci ed ordinarono due Guinness. In seguito, tra un sorso e l’altro, cominciarono la loro conversazione.

“Come ti dicevo, non sono convinto che mio fratello sia il colpevole dell’omicidio avvenuto il 17 ottobre 2012 e di cui tu sei stata in parte testimone. Ho iniziato un’indagine e penso che la persona dalla quale posso trarre più informazioni sia tu. Saresti disposta a darmi una mano?”

“Certamente. Assistere alla morte di quell’uomo mi ha turbato molto in questi anni ed ho cercato di cancellarla dalla mia memoria, ma adesso che tu mi hai dato l’opportunità di parlarne, sento di avere la giusta motivazione per affrontare ciò di cui sono stata testimone”.

Nel frattempo Laura, da dietro il bancone, fece notare a Domenico, a cui stava servendo una birra, che Mara stava parlando con il fratello dell’uomo che loro due, non confessando il loro coinvolgimento nell’omicidio di Raffaele, avevano mandato in carcere al posto loro. Ai due era arrivata voce che Antonio stava continuando ad indagare sugli eventi del 17 ottobre, ma non avrebbero mai immaginato che sarebbe arrivato addirittura fino a Londra. Iniziarono a temere che il loro segreto fosse scoperto.

Osservarono con timore i due per tutta la serata, fino al momento in cui li videro salutarsi con la promessa di rivedersi presto e approfondire la loro conversazione. Di certo Antonio non immaginava che di lì a poco Mara sarebbe scomparsa.

 

Nel frattempo, dirigendosi verso l’uscita della metro, Ines riprese in mano il cellulare, cercando disperatamente degli indizi che potessero ricondurla a Laura. Non appena accese lo schermo del dispositivo e controllò meglio il messaggio che ipotizzava le fosse stato inviato da Mara, si accorse che quest’ultimo era indirizzato ad un altro destinatario oltre che a lei: [email protected]. Ines pensó di contattare lo sconosciuto, ma prima di fare ciò decise di rispondere al mittente, provando a chiedere informazioni sul messaggio ricevuto, senza però ricevere un riscontro.

Guardando attentamente la foto profilo di Antonio, notò alle spalle della sua sagoma un paesaggio, un paesaggio che Ines conosceva bene: Cornelia Street.

Si trovava a Londra e decise di contattarlo. Inviò il primo messaggio alle 18:35, con il quale, dopo essersi presentata, chiedeva il suo aiuto per cercare di rintracciare Mara. Ines pensava che Antonio doveva per forza sapere qualcosa. Antonio non appena vide il messaggio, rispose prontamente. Anche lui aveva provato a contattare Mara, ma inutilmente. Credeva che la ragazza si fosse tirata indietro, adesso invece iniziava a pensare di essere molto vicino alla verità che da tempo cercava. Bisognava ritrovare Mara a tutti i costi. Nel corso della loro conversazione entrambi si ritrovarono concordi nel pensare che la sparizione di Mara poteva spiegarsi soltanto con un rapimento. La ricerca della ragazza doveva partire dal pub di Laura, molto probabilmente Mara era segregata lì. Stabilirono perciò di incontrarsi davanti al locale e con il favore della notte, provare a cercare la ragazza al suo interno. Non c’era tempo da perdere.

I due cercarono un modo per entrare all’interno dell’edificio, provando a scassinare la serratura di una porticina sul retro. Scattò il sistema di allarme che fece sobbalzare dal letto Domenico, che viveva in un appartamento sopra il pub. Intanto Ines e Antonio riuscirono ad entrare nel locale e iniziarono a cercare Mara, ma si ritrovarono davanti Domenico, che nel frattempo era sceso per fermarli armato di pistola. Antonio, con uno scatto fulmineo si lanciò a terra, ma non prima di aver sparato in direzione di Domenico con l’intento di ferirlo e disarmarlo. Quest’ultimo infatti cadde e Ines afferrando una bottiglia di whisky lo colpì alla testa, tramortendolo. Gli spari allarmarono Mara, rinchiusa in cantina. Quest’ultima provocò un forte rumore, che attirò l’attenzione di Antonio e Ines. Subito si precipitarono in cantina, sfondando la porta e liberando così la reclusa, che finalmente era libera. Insieme si diressero verso l’uscita, dove li attendevano le forze dell’ordine, accorse per via degli spari.

Quella notte Domenico e Laura furono arrestati e, dopo un lungo processo, condannati. Mara e Giuseppe ottennero giustizia e ripresero in mano le loro vite.

 

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