L’inno di Mameli by francesco - Illustrated by I.T.E Severi San.Giovanni Valdarno - Ourboox.com
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L’inno di Mameli

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Artwork: I.T.E Severi San.Giovanni Valdarno

  • Joined Apr 2020
  • Published Books 2

Un po’ di storia

Il Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d’Italia, Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d’Italia, è un canto risorgimentale scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847, inno nazionale della Repubblica Italiana.

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Goffredo Mameli e Michele Navarro

Il canto fu molto popolare durante il Risorgimento e nei decenni seguenti, sebbene dopo l’unità d’Italia (1861) come inno del Regno d’Italia fosse stata scelta la Marcia Reale, che era il brano ufficiale di Casa Savoia. Il Canto degli Italiani era infatti considerato troppo poco conservatore rispetto alla situazione politica dell’epoca: Fratelli d’Italia, di chiara connotazione repubblicana e giacobina, mal si conciliava con l’esito del Risorgimento, che fu di stampo monarchico.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia diventò una repubblica e il Canto degli Italiani fu scelto, il 12 ottobre 1946, come inno nazionale provvisorio, ruolo che ha conservato anche in seguito rimanendo inno de facto della Repubblica Italiana. Nei decenni si sono susseguite varie iniziative parlamentari per renderlo inno nazionale ufficiale, fino a giungere alla legge nº 181 del 4 dicembre 2017, che ha dato al Canto degli Italiani lo status di inno nazionale de iure.

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immagine

Analisi

Il ritornello

«Stringiamci a coorte,siam pronti alla morte.Siam pronti alla morte,l’Italia chiamò»

Nel Canto degli Italiani è presente un forte richiamo alla storia dell’antica Roma poiché nelle scuole dell’epoca questo periodo storico era studiato con attenzione; in particolare, la preparazione culturale di Mameli aveva forti connotati classici.

Nel ritornello è citata la coorte, un’unità militare dell’esercito romano. Con «Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò» si allude alla chiamata alle armi del popolo italiano con l’obiettivo di cacciare il dominatore straniero dal suolo nazionale e di unificare il Paese, all’epoca ancora diviso in sette Stati preunitari. “Stringersi a coorte” significa infatti serrare metaforicamente le file tenendosi pronti a combattere. Il reboante «Sì!» aggiunto da Novaro al ritornello cantato dopo l’ultima strofa allude invece al giuramento, da parte del popolo italiano, di battersi fino alla morte pur di ottenere la liberazione del suolo nazionale dallo straniero e l’unificazione del Paese.

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La prima strofa

«Fratelli d’Italia

L’Italia s’è desta

Dell’elmo di Scipio

S’è cinta la testa

Dov’è la Vittoria?!

Le porga la chioma

Ché schiava di Roma

Iddio la creò.»

Nel primo verso della prima strofa è contenuto un richiamo al fatto che gli italiani appartengono a un unico popolo e che sono, quindi, «Fratelli d’Italia».

L’esortazione agli italiani, intesi come “fratelli”, a combattere per il proprio Paese si ritrova nel primo verso di molte poesie patriottiche risorgimentali: «Su, figli d’Italia! su, in armi! coraggio!» è infatti l’inizio di All’armi! all’armi! di Giovanni Berchet.

Nella prima strofa viene anche citato il politico e militare romano Publio Cornelio Scipione (chiamato, nell’inno, col nome latino di Scipio) il quale, sconfiggendo il generale cartaginese Annibale nella battaglia di Zama (18 ottobre 202 a.C.), concluse la seconda guerra punica liberando la penisola italiana dall’esercito cartaginese. Dopo questa battaglia Scipione fu soprannominato “Scipione l’Africano”. Secondo Mameli, l’elmo di Scipione è ora indossato metaforicamente dall’Italia pronta a combattere per liberarsi dal giogo straniero ed essere di nuovo unita.  L’affermazione «l’Italia s’è desta» era già inserita nell’inno nazionale della Repubblica Partenopea del 1799.

Sempre nella prima strofa, si fa accenno anche alla dea Vittoria (con la domanda retorica «Dov’è la Vittoria?»), che per lungo tempo è stata strettamente legata all’antica Roma («Ché schiava di Roma») per disegno di Dio («Iddio la creò»), ma che ora si consacra alla nuova Italia porgendole i capelli per farseli tagliare («Le porga la chioma») diventandone così “schiava”.

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La seconda strofa

«Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo,
Perché siam divisi
Raccolgaci un’Unica
Bandiera, una Speme
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò»

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italia prima del 1861

La terza strofa

«Uniamoci, amiamoci

L’unione e l’amore

Rivelano ai Popoli

Le vie del Signore

Giuriamo far Libero

Il suolo natio

Uniti, per Dio,

Chi vincer ci può!?»

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La quarta strofa

«Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò»

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La quinta strofa

«Son giunchi che piegano

Le spade vendute

Già l’Aquila d’Austria

Le penne ha perdute

Il sangue d’Italia

Il sangue Polacco

Bevé, col cosacco

Ma il cor le bruciò»

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La sesta strofa

«Evviva l’Italia

Dal sonno s’è desta

Dell’elmo di Scipio

S’è cinta la testa

Dov’è la vittoria?!

Le porga la chioma

Ché schiava di Roma

Iddio la creò»

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La sesta ed ultima strofa, che non viene quasi mai eseguita, comparve nelle edizioni stampate dopo il 1859 in aggiunta alle cinque definite da Mameli nella scrittura originaria del canto (Mameli morì il 6 luglio 1849 durante la difesa della Repubblica Romana) e preannuncia, con gioia, l’unità d’Italia. La strofa prosegue chiudendo il canto con gli stessi tre versi che concludono la quartina della strofa iniziale.

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