
I MONASTERI

by nicole ferrante
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A partire dal V sec. d.C. si diffuse il Cristianesimo, sia nell’Impero Romano d’Oriente che nei Territori Occidentali. In pochi decenni si diffuse in tutta Europa: il Monachesimo.Quest’ultimo deriva dalla parola Monaco che in greco significa “solo”. Le prime esperienze di vita ritirata, vissuta lontana dal caos della civiltà, erano già state sperimentate a partire dal III sec. d.C., quando diversi cristiani avevano iniziato a condurre, specie in Oriente, una vita severa e in povertà, ritirandosi in luoghi sperduti e solitari e dedicandosi unicamente alla preghiera, alla meditazione e all’osservanza letterale degli insegnamenti evangelici.Questo fenomeno venne anche chiamato Monachesimo Anacoretico, essi consacravano la loro intera esistenza al distacco da tutto ciò che era materiale, dalle comodità e i lussi , per ricercare l’essenza interiore in un rapporto diretto con Dio. Tra gli anacoreti più noti si ricorda Sant’Antonio Abate.

Successivamente nella prima metà del IV secolo si sviluppò in Egitto un’altra forma di monachesimo: il Monachesimo Cenobitico.
Cenobitico in greco significa “vita in comune”. La diffusione di questo fenomeno è avvenuta grazie agli eremiti che iniziarono a costituire delle vere e proprie piccole comunità composti da diversi cristiani desiderosi di preghiera e di meditazione che, volendo allontanarsi dalla civiltà, iniziarono a vivere e a condividere le loro esperienze mistiche. I cenobiti si differenziano dagli eremiti in quanto praticavano una vita comunitaria anziché solitaria. Fondatore del cenobitismo è considerato San Pacomio, monaco egiziano, vissuto a cavallo fra III e IV secolo.
Questi luoghi dove si riunivano a pregare vennero chiamati conventi.

A partire dal V sec., i conventi assunsero caratteristiche ben distinte in base all’area geografica di fondazione. I monasteri orientali (fondati a partire da San Basilio nel IV sec.) seguivano la regola dettata da San Basilio indipendentemente dallo specifico ordine di appartenenza, dovevano pregare tutti assieme sette volte al giorno: da mezzanotte all’alba, poi alle ore 9.00, alle 12.00 e alle 15.00.
L’altra occupazione rilevante del monaco basiliano è il lavoro manuale artigianale spesso consisteva in tessitura, calzoleria, muratura, falegnameria e agricoltura.
Quello dei basiliani è uno stile di vita basato sulla semplicità nell’abbigliamento, costituito spesso da una semplice tunica.
In occidente invece, i monasteri venivano visti proprio come vere e proprie città. I monaci avevano uno spirito concreto e attivo nella vivace Europa. I più rilevanti fondatori di comunità monastiche in Occidente, e nella fattispecie in Italia, nel corso del VI sec. d.C furono Benedetto da Norcia (480-547) e Cassiodoro (485-580). Il primo, dopo aver trascorso diversi anni in ritiro eremitico nel territorio laziale, divenendo guida di alcuni monaci fondò nel 529 un convento presso Montecassino. Diventata in pochi anni la celebre Abbazia conosciuta in tutto il mondo come centro spirituale e fondamentale per la diffusione del Monachesimo in tutta Europa.

Benedetto lì dettò la sua chiarissima regola, disciplinando la vita e le attività manuali e spirituali dei monaci secondo il precetto “Ora et Labora” (prega e lavora). Questa espressione riassume i due momenti che, scandivano le giornate nelle comunità religiosa. I monaci erano considerati tutti al pari livello indipendentemente dalla loro origine etnica o dall’estrazione economico-sociale della famiglia di provenienza. Si dedicavano a numerose attività di natura pratica, come la coltivazione dei campi, la bonifica di paludi, la cura dei malati e degli indigenti, la costruzione di mulini, di ospizi e foresterie per accogliere i pellegrini e tutte le anime cristiane che bussavano alle porte del convento in cerca di riparo e ospitalità.

La giornata di un monaco benedettino cominciava alle due di notte, quando la campana del convento annunciava il mattutino. I monaci uscivano dai dormitori e si recavano nel coro, la parte della chiesa riservata alla preghiera che avveniva sotto forma di canto. La preghiera era l’attività primaria di ciascun monaco benedettino, quella che Benedetto chiamava in latino “Opus Dei” (letteralmente “Opera di Dio”).
Alle quattro, dopo un’ora di riposo, il monaco benedettino ritornava in chiesa per cantare di nuovo.
Al canto del gallo, dopo un’altra ora di riposo, i monaci si dividevano secondo le loro mansioni: alcuni si recavano nei campi a lavorare la terra, altri nelle stalle, altri si occupavano di falegnameria, altri ancora a cucinare o a fare riparazioni. I monaci amanuensi invece erano coloro che ricopiavano,splendide miniature, codici della Bibbia e testi sacri, nonché gli antichi testi greci e latini, molti dei quali sono giunti fino a noi grazie a questo paziente lavoro di trascrizione.

Verso le ore 13, il lavoro era stato già interrotto due volte per cantare in chiesa, ma a quell’ora la campanella annunciava il pranzo, a base di verdura, pane, frutta, a volte pesce; la carne era proibita. Si mangiava nel refettorio, in perfetto silenzio, mentre uno dei monaci leggeva testi sacri.
Dopo il pranzo, i monaci riposavano passeggiando nel chiostro, il cortile costruito intorno al pozzo e circondato da un porticato coperto. Quindi passavano altre ore al lavoro fino al vespro, la preghiera serale.
Seguivano una cena frugale e la compieta, la preghiera che chiudeva la giornata.
Ciascun monaco benedettino si ritirava allora a riposare su giacigli di paglia, ma alle dieci di sera si svegliava per recitare il notturno. Quindi dormiva fino alle due e tutto ricominciava.

ll Monastero è stato per molti secoli una piccola città, con la tendenza ad essere autosufficiente dal punto di vista economico. Nei grandi monasteri vi erano case divise da strade ed edifici, divisi in gruppi. L’edificio della chiesa forma il nucleo e rappresenta il centro religioso della comunità. Perseguendo l’indipendenza dal mondo esterno, inoltre, i monaci si dotarono di mulini, forni, stalle, cantine e dei laboratori artigiani necessari per eseguire riparazioni e quant’altro fosse richiesto per soddisfare le esigenze della loro comunità. Nei monasteri furono aperti anche scuole monastiche dove i novizi potevano imparare a leggere e a scrivere (essere istruiti era una condizione indispensabile per potere leggere e comprendere le Sacre Scritture).
L’ampiezza delle comunità monastiche, variava enormemente in funzione della ricchezza e del prestigio: alcune erano piccolissime, altre (poche) potevano accogliere anche 900 monaci. In media, però, ne riunivano da 10 a 50, perché l’Abate doveva conoscere e seguire i suoi monaci e guidarli come un padre spirituale. Solitamente costruito vicino ad un corso d’acqua, l’intero complesso monastico era orientato in modo che l’acqua potesse essere convogliata verso le fontane e la cucina, prima di raggiungere la lavanderia ed i bagni.
La struttura dei monasteri
I monasteri benedettini comprendevano: la chiesa, il chiostro dove i monaci potevano camminare e pregare, gli uffici dove si amministravano le proprietà terriere donate o lasciate in eredità al monastero, il dormitorio dove dormivano i monaci, il lavatori dove i monaci si lavavano, lo scriptorium dove i monaci trascrivevano le Sacre Scritture e il refettorio dove i monaci mangiavano in silenzio. Il monastero veniva costruito in posizioni elevate, facili da difendere in caso di scorrerie o di guerre. Costituivano un valido riparo per i contadini in fuga davanti agli aggressori ed erano in cerca di un aiuto materiale e morale.

All’interno del monastero era molto importante il pasto infatti la dieta alimentare era regolamentata, era vietata la cucina di lusso (compresa la “carne dei quadrupedi”), ma non si faceva certo troppa economia sulla quantità e qualità del cibo: Benedetto infatti, aveva disposto la preparazione, per ogni mensa, di due pietanze tra cui scegliere, a cui poteva aggiungersene una terza (frutta o legumi), accompagnate da “una buona libbra di pane” al giorno. E se il lavoro della giornata si era rivelato particolarmente pesante, l’abate (ossia il superiore che amministrava il convento) poteva anche decidere di aggiungere qualche vivanda in più, evitando sempre gli eccessi.

IL MONASTERO DI SAN MICHELE IN BOSCO
Antico monastero olivetano edificato nel XV secolo sulla prima collina a Sud della città di Bologna. Fin dal 1217 è stata abitata da eremiti. Nel 1400 il colle (alto m 132) vide a più riprese lotte, saccheggi e manovre militari; il bosco fu in gran parte abbattuto per consentire la visuale.
Successivamente Papa Urbano V la concesse ai monaci dell’ordine degli Olivetani(congregazione monastica dell’Ordine di San Benedetto) giunti in città alcuni anni prima, provenienti dal monastero senese di S. Benedetto di riedificare la chiesa e di costruire il monastero, lavori effettuati tra il 1437 ed il 1447. il Monastero, venne poi più volte arricchito e ampliato nel corso dei secoli. Verso la metà del 1500 il Monastero raggiunse il suo massimo splendore con la realizzazione del chiostro dei Carracci e il rifacimento della chiesa. Una delle caratteristiche più peculiari del complesso è il chiostro ottagonale.




Published: Jan 19, 2018
Latest Revision: Jan 19, 2018
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