Canto notturno di un pastore errante dell’Asia by Giulia Della Vittoria - Illustrated by Beja, Cardia, Della Vittoria,Giorgi, Aquila - Ourboox.com
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

by

Artwork: Beja, Cardia, Della Vittoria,Giorgi, Aquila

  • Joined Dec 2020
  • Published Books 1

Prima strofa:

Che fai tu, luna (apostrofe), in ciel? dimmi, che fai, 

silenziosa luna (apostrofe)?

Sorgi la sera, e vai,

contemplando i deserti; indi ti posi.

Ancor non sei tu paga

di riandare i sempiterni calli?

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga

di mirar queste valli?

Somiglia alla tua vita

la vita del pastore.

Sorge in sul primo albore

move la greggia oltre pel campo, e vede

greggi, fontane ed erbe;

poi stanco si riposa in su la sera:

altro mai non ispera.

Dimmi, o luna (apostrofe): a che vale

al pastor la sua vita,

la vostra vita a voi? dimmi: ove tende

questo vagar mio breve,

il tuo corso immortale?

Analisi

Nella prima strofa il poeta si rivolge alla luna, ponendole una serie di domande che riguardano la sua esistenza. Successivamente paragona la propria vita a quella della luna chiedendosi a cosa tendono i propri destini. È presente un pessimismo cosmico. Nei versi 9-10 c’è il paragone tra la vita del pastore e della luna. Il pastore si rivolge alla luna per capire l’analogia che c’è tra la monotonia del corso lunare e quella della vita quotidiana del conduttore di greggi. La luna vive senza turbamenti, senza sofferenze e secondo il pastore ignora il senso della vita. L’uomo sulla terra, invece, ha una vita breve, piena di dolore e segnata dalla noia. l pastore si rivolge alla luna dicendole che è SILENZIOSA, riservata e le chiede se non è PAGA ovvero stanca di fare sempre la stessa vita monotona, chiedendole se non è SCHIVA cioè annoiata e se è VAGA cioè che ha ancora desiderio di osservare la terra. Le dice anche che lei è ancora INTATTA, cioè pura, non contaminata dall’uomo forse perché MORTAL NON SEI perché non è umana e quindi non può morire. Si rivolge a lei sostenendo che è SOLINGA in quanto solitaria, ETERNA perché immortale e PEREGRINA perché viaggia e PENSOSA perché nei suoi viaggi da sola può pensare all’esistenza dell’uomo sulla terra.

In questa poesia l’infinito non è più creato dall’immaginazione ma dalla ragione. Quindi non c’è più il concetto del dolce “naufragar” della coscienza perché quest’ultima si rende conto della presenza della sofferenza e della mancanza di senso dell’universo. Questo concetto di infinito viene espresso attraverso immagini come “i sempiterni  calli”, “gli eterni giri”, “il tacito, infinito andar del tempo”.

 

2

Seconda strofa:

 

Vecchierel bianco, infermo,

mezzo vestito e scalzo,

con gravissimo fascio in su le spalle,

per montagna e per valle,

per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,

al vento, alla tempesta, e quando avvampa

l’ora, e quando poi gela,

corre via, corre, anela,

varca torrenti e stagni,

cade, risorge, e piú e piú s’affretta,

senza posa o ristoro,

lacero, sanguinoso; infin ch’arriva

colá dove la via

e dove il tanto affaticar fu vòlto:

abisso orrido, immenso,

ov’ei precipitando, il tutto obblia.

Vergine luna (apostrofe), tale

è la vita mortale.

 

Analisi

Nella seconda strofa non vi è una nessuna risposta riguardo alle domande poste in precedenza e inoltre è presente una descrizione allegorica della vita umana. Essa è paragonata al viaggio faticoso di un “vecchierello” malato, esposto agli ostacoli della natura che rappresenta il primitivo o il pastore. Questo fa riferimento al sonetto di Petrarca. Questa strofa parla della fatica umana. I tre aggettivi presenti al verso 38 danno un senso molto rapido alla strofa. È presente la paratassi connessa con l’asidento. Gli ultimi due versi parlano della condizione in riferimento alla luna. 

3

Terza strofa

 

Nasce l’uomo a fatica,

ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

per prima cosa; e in sul principio stesso

la madre e il genitore

il prende a consolar dell’esser nato.

Poi che crescendo viene,

l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre

con atti e con parole

studiasi fargli core,

e consolarlo dell’umano stato:

altro ufficio piú grato

non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perché dare al sole,

perché reggere in vita

chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

perché da noi si dura?

Intatta luna (apostrofe), tale

è lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei,

e forse del mio dir poco ti cale. 

 

Analisi

Nella terza strofa il pastore riprende il tema della morte in cui si chiede perché la vita continui nonostante sia faticosa .La strofa si conclude con la domanda del pastore:“se la vita è sventura perché da noi si dura?”. A causa della natura l’uomo nasce per soffrire. Al verso 57 la luna rappresenta la natura matrigna ed è una visione epicurea e materialista.

4

Quarta strofa

 

Pur tu, solinga, eterna peregrina(apostrofe, personificazione),

che sí pensosa sei, tu forse intendi

questo viver terreno,

il patir nostro, il sospirar, che sia;

che sia questo morir, questo supremo

scolorar del sembiante,

e perir della terra, e venir meno

ad ogni usata, amante compagnia.

E tu certo comprendi

il perché delle cose, e vedi il frutto

del mattin, della sera,

del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

rida la primavera,

a chi giovi l’ardore, e che procacci

il verno co’ suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,

che son celate al semplice pastore.

Spesso quand’io ti miro

star cosí muta(personificazione) in sul deserto piano,

che, in suo giro lontano, al ciel confina;

ovver con la mia greggia

seguirmi viaggiando a mano a mano;

e quando miro in cielo arder le stelle;

dico fra me pensando:

A che tante facelle?

che fa l’aria infinita, e quel profondo

infinito seren? che vuol dir questa

solitudine immensa? ed io che sono?

Cosí meco ragiono: e della stanza

smisurata e superba,

e dell’innumerabile famiglia;

poi di tanto adoprar, di tanti moti

d’ogni celeste, ogni terrena cosa,

girando senza posa,

per tornar sempre lá donde son mosse;

uso alcuno, alcun frutto

indovinar non so. Ma tu per certo,

giovinetta immortal(apostrofe, personificazione) conosci il tutto.

Questo io conosco e sento,

che degli eterni giri,

che dell’esser mio frale,

qualche bene o contento

avrá fors’altri; a me la vita è male.

 

Analisi

Nella quarta strofa l’autore ipotizza sull’esistenza che può comprendere lo scopo della mattina, della sera, del silenzio ,del tempo e delle stagioni. La luna sa molte cose che il pastore non conosce. Nel verso 72 “infinito andar del tempo” fa riferimento alla fugacità del tempo che la luna percepisce ma l’uomo no. Nei versi 75-76 c’è una similitudine per far capire la contrapposizione tra gioventù e vecchiaia. Al verso 77 la parola “pastore” è una metafora per l’uomo. Al verso 89 “ed io che sono?” è una domanda esistenziale che Leopardi fa attraverso la voce del pastore. Alla fine di questa strofa risponde alla domanda del verso 89. 

5

Quinta strofa

 

O greggia mia(apostrofe)che posi, oh te beata,

che la miseria tua, credo, non sai!

Quanta invidia ti porto!

Non sol perché d’affanno

quasi libera vai;

ch’ogni stento, ogni danno,

ogni estremo timor subito scordi;

ma piú perché giammai tedio non provi.

Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,

tu se’ queta e contenta;

e gran parte dell’anno

senza noia consumi in quello stato.

Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,

e un fastidio m’ingombra

la mente; ed uno spron quasi mi punge

sí che, sedendo, piú che mai son lunge

da trovar pace o loco.

E pur nulla non bramo,

e non ho fino a qui cagion di pianto.

Quel che tu goda o quanto,

non so giá dir; ma fortunata sei.

Ed io godo ancor poco,

o greggia mia(apostrofe), né di ciò sol mi lagno.

Se tu parlar sapessi, io chiederei:

Dimmi: perché giacendo

a bell’agio, ozioso,

s’appaga ogni animale;

me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

 

Analisi

Nella quinta strofa il pastore, dopo aver cercato risposte dalla luna, si rivolge alle pecore. Esse sono felici ma a differenza della luna, questo sentimento non è dato dal fatto che conoscono il perchè di ogni cosa ma dall’ignorare la proprio condizione. L’uomo quindi si pone delle domande ma non ricevendo delle risposte può solamente ipotizzare, ma questo lo porta alla noia. Leopardi dice che la vita degli animali è molto semplice rispetto a quella dell’uomo. La parola “tedio” del verso 112 tratta del tema centrale della noia. Infatti il 

pastore rivolgendosi al suo gregge introduce il tema del tedio, perchè vorrebbe affrontare la vita proprio come se le sue pecore, ovvero vivere momento per momento senza pensare al passato o al futuro, e dimenticandosi, se necessario, di tutto senza dover provare uno stato di noia, proprio come accade all’uomo. Al verso 118 dove dice “un fastidio m’ingombra” dice che anche se fa la stessa azione del gregge ovvero sedersi sull’erba all’ombra, l’uomo ha sempre qualcosa in mente che lo turba.

6

Sesta strofa

 

Forse s’avess’io l’ale

da volar su le nubi,

e noverar le stelle ad una ad una,

o come il tuono errar di giogo in giogo,

piú felice sarei, dolce mia greggia(apostrofe),

piú felice sarei, candida luna(apostrofe)

O forse erra dal vero,

mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:

forse in qual forma, in quale

stato che sia, dentro covile o cuna,

è funesto a chi nasce il dí natale.

 

Analisi

Nell’ultima strofa il pastore smonta ogni ipotesi fatta fino ad ora per quanto riguarda la possibilità che le forme di vita (anche diverse dall’uomo) possano essere felici, infatti è più probabile che la vita sia, una sventura, in ogni condizione. 

7

Commento

 

L’opera di Leopardi: “Canto notturno di un pastore errante dell’ Asia” è stata composta a Recanati nel 1830. L’idea del canto fu suggerita al poeta dalla lettura di un passo di un articolo riportato su una rivista (Journal des Savants). Nell’ articolo si legge che “alcuni pastori nomadi dell’Asia Centrale sono soliti trascorrere le notti all’aperto e seduti su una pietra rivolgono delle parole malinconiche alla Luna”. 

In tal modo, la lirica si apre con un lungo monologo, nel quale l’autore non parla in prima persona ma affida le sue riflessioni a un pastore, un uomo semplice e ingenuo proveniente da una terra lontana. L’uomo si rivolge direttamente alla luna,così bella e vicina da invitare al dialogo,infatti il pastore, le pone diversi quesiti sulla vita e sull’ esistenza dell’ essere umano, questa però è anche distante, gelida e muta poiché non risponde mai alle domande del pastore.

Leopardi, sceglie di servirsi della voce di un pastore poiché essendo una persona semplice e pura riesce a rappresentare meglio l’intera umanità, che si pone costantemente domande. 

Inoltre, dal canto, emerge che la vita sia come un cammino faticoso dove l’uomo è per sua stessa natura portato all’infelicità: dunque, si manifesta un pessimismo “cosmico”: al termine del componimento emerge che non solo per l’uomo la vita è fonte di sofferenza, ma per qualunque creatura vivente venga al mondo.

8

Lavoro svolto da:

 

Alice Cardia

Giulia Della Vittoria

Ressy Beja 

Syria Giorgi

Rosanna Aquila 

5ASU

9
This free e-book was created with
Ourboox.com

Create your own amazing e-book!
It's simple and free.

Start now

Ad Remove Ads [X]
Skip to content