RACCOLTA DI STORIE E RACCONTI DELLA CLASSE 1D NEI TEMPI DELLA QUARANTENA
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DECAMERON

by

Artwork: Prof.ssa Monica Giunchi

  • Joined Mar 2019
  • Published Books 26
RACCOLTA DI STORIE E RACCONTI DELLA CLASSE 1D NEI TEMPI DELLA QUARANTENA

Sogno o realtà ?

 

Parole scelte: finestra, casa e verità

 

 

Era un mercoledì mattina, un giorno come tutti gli altri. Fuori soffiava un vento gelido e una ragazza di nome Angelica, sopra la felpa grigia dell’uniforme scolastica, decise di indossare un cappotto pesante, prima di uscire per andare a scuola.

Si incamminò per la solita strada, da sola e infreddolita, con lo zaino in spalla. Non c’era nessuno per la strada. Tutto era silenzioso, si sentiva solo il fruscio delle foglie mosse dal vento tra gli alberi del parco alla sua sinistra. Ad un tratto, osservandolo, notò un’ombra nera che la fissava da dietro un albero, sbattè le palpebre per un secondo e l’ombra era già scomparsa. Non si preoccupò più di tanto, pensando che fosse stato uno scherzo della sua immaginazione. Nonostante la paura nel camminare senza nessuno al suo fianco, tutto filò liscio fin dentro la classe.

Le prime tre ore passarono velocemente, mentre ogni professore spiegava la sua lezione.

3

Prima che la campanella della ricreazione suonasse, Angelica chiese di andare in bagno, uscì dall’aula e percorse il lungo corridoio, entrò e richiuse la porta. Nel più assoluto silenzio, si accorse del rumore di passi pesanti che stavano venendo verso di lei. Il cuore cominciò a batterle forte e accelerò ulteriormente quando vide, riflessa nella finestra, un’ombra nera e indistinta, forse era la stessa che aveva visto per strada. La ragazza cercò di trattenere il respiro per non far notare la propria presenza, sperando con tutta sé stessa che non si accorgesse di lei. Ricominciò a respirare quando si accorse che l’ombra era svanita. Facendosi coraggio, aprì lentamente la porta e notò che qualcos’altro non andava: la stanza era cambiata, non era la stessa, pezzi di mattonelle sparsi ovunque, pavimento sporco e rubinetti arrugginiti; sembrava che quel posto fosse stato abbandonato da tempo. Chissà che cosa frullava nella sua testa in quel momento! Lentamente, con passi esitanti e timorosi, si avviò lungo il corridoio per raggiungere l’aula ,e guardandosi attorno, vide che anche il corridoio era nelle stesse condizioni del bagno. Si affacciò con sospetto in ogni aula: i banchi erano accatastati uno sull’altro, ma non c’era anima viva! Dov’erano finiti tutti? Chiamò i suoi compagni ad uno ad uno: “Aurora, Alessia, Matteo…”

4

Solo l’eco della sua voce le rispose. Le lacrime cominciarono a scendere sulle guance…Era come se stesse vivendo un incubo terribile. Un attimo prima era uscita in bagno, era una mattina di scuole come tutte le altre…

Così tanti pensieri le girarono nella mente che non si accorse della presenza di qualcuno alle sue spalle. Quando sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla si sentì mancare il respiro: non avrebbe mai voluto girarsi, d’altronde chi lo avrebbe voluto fare? Intuiva che le sarebbe successo qualcosa di terribile. Non fece in tempo a urlare che, sopraffatta dal terrore, cadde per terra svenuta. Quando si risvegliò era in mezzo ai corpi inanimati dei suoi compagni e chiuse gli occhi aspettando il suo destino.

Qualcosa di inaspettato accadde: sentì il rumore di una sveglia provenire dalla stanza accanto, quindi aprì gli occhi e corse in quella stanza dove trovò un vecchio orologio rosso da cui proveniva il suono. Allungò la mano per toccarlo e di colpo si ritrovò nel suo letto, in casa sua. Era stato solo un brutto sogno, anche se sembrava tutto così vero… Oppure l’uniforme scolastica insanguinata che indossava al posto del solito pigiama era solo una coincidenza? Quale terribile verità si celava?

ANGELICA VELAZQUEZ

 

5

IN VIAGGIO CON ERIK IL ROSSO

Parole scelte: arcobaleno, isola, sentiero.

 

 

Era una noiosissima giornata di studio, ripassavo storia per la mia prima interrogazione online, quando in lontananza sentii il rumore delle onde infrangersi contro gli alti fiordi scandinavi. Aprii gli occhi e mi ritrovai su una nave, dove alcuni signori si stavano organizzando, forse per partire. Riconobbi subito quella nave, dal drago che si trovava sulla prua, era una drakkar vichinga, ma qualcosa, o meglio qualcuno ostacolò la mia vista sul grande mare aperto; non capii subito chi fosse, ma aveva qualcosa di familiare. Era un uomo alto, un poco sovrappeso, ma soprattutto aveva dei capelli rossi ricci come la barba poco più scura, aveva grandi occhi azzurri che si confondevano con il mare, con i quali mi fissò prima di chiedermi: “ Chi sei straniera? Giovane donna di quale conte sei figlia?”. Con voce tremante gli risposi.” Sal….ve! Sono figlia di un conte che vive molto lontano da qui, non sono qui per farvi del male, ma mi sono persa, uno strano vortice mi ha portato fin qui; posso rimanere con voi, vi aiuterò?”. Erik, sorridente e con voce forte, rispose: “ Certamente, non preoccupatevi, abbiamo abbastanza cibo per tutti.”, poi fece come un inchino e disse: “ Posso presentarmi? Sono Erik il Rosso.” Ecco chi era, nella mia mente si aprì un mondo, tutto quello che avevo letto e studiato di lui. Gli domandai allora dove eravamo diretti e lui con modi gentili, anche se la descrizione sul mio libro lo ritraeva come un violento, mi rispose: “ Non lo so esattamente, forse alla scoperta del mondo!” Iniziò a raccontarmi le sue avventure e la sua storia, io rimasi incantata, capii che era stato esiliato; mi piaceva, era un uomo interessante e anche simpatico; ero un pò dispiaciuta di avergli mentito, ma non ebbi il tempo di dirgli la verità, perchè iniziò ad alzarsi un fortissimo vento e fummo costretti ad approdare su un’isola sconosciuta. A prima vista l’isola era bellissima, piena di alberi e lì era tutto calmo, non c’era il vento forte che ci eravamo lasciati alle spalle, anzi c’era un bel sole e un grande arcobaleno. Dopo essere scesi dalla nave, incuriositi ci inoltrammo in quello strano bosco, di un verde intenso che non avevo mai visto. Dopo poco trovammo un minuscolo cartello con scritto “ Villaggio gnomi di Nord-Ovest”; a parte gli gnomi mi ricordai, dalle descrizioni del mio libro, dove ci trovavamo e gridai: “ Ho capito, siamo in Groenlandia!” Erik mi rispose: “ Groenlandia!? Bho…per me va bene, se vuoi chiamarla così! Vorrà dire che quest’isola d’ora in avanti si chiamerà Groenlandia in tuo onore, mia giovane compagna di viaggio.” Ragionai un attimo, in Groenlandia non c’erano gli gnomi, almeno da quello che ne sapevo, dovevo approfondire questa cosa; la mia curiosità mi portò a bussare in una delle tante minuscuole casette e chiedere se in quel villaggio esisteva un re; la piccola gnoma che mi aprì mi rispose che certo il re esisteva e senza esitare un attimo accompagnò me e Erik al suo palazzo. Il re ci accolse con gioia e cominciò a parlare, ma io fui distratta da una voce che mi chiamava: “Aurora, Aurora! Stai dormendo?” , io risposi di no,  ma non riuscivo a tenere gli occhi aperti , mi lasciai allora cullare da quel meraviglioso sonno. Al mio risveglio, non trovai più Erik il Rosso, ma suo figlio Leift Eriksson, il quale mi raccontò che suo padre gli aveva parlato di me, del nostro viaggio insieme e del nome che avevo dato all’isola; gli aveva detto inoltre che eravamo diventati amici e che mi aveva perso di vista poco dopo il nostro arrivo al castello e non mi aveva più trovato. Leift, mi chiese se volevo partire con lui verso una terra sconosciuta, visto che suo padre gli aveva raccontato che ero un’ottima compagna di viaggio. Rimasi stupefatta da quella richiesta, ma la mia curiosità era maggiore di qualsiasi paura e accettai di partire con lui. La nave di Leift era più nuova e sicuramente più potente di quella di suo padre, la testa del drago a prua era molto più grande e aveva un aspetto spaventoso, ma non so perchè mi sentivo al sicuro. Durante il viaggio non successe molto, perchè era una bellissima giornata di sole, non si prevedevano burrasche, non chiacchierai molto con Leift perchè era impegnato a gridare ai rematori, ma piuttosto mi soffermai a guardare il mare. Era un universo che al posto delle stelle aveva una miriade di pesci, era talmente chiaro che ci si poteva specchiare. Intenta ad ammirare tanta meraviglia non mi accorsi subito delle strane creature che volavano sopra alla nostra testa, fino a quando non sentii il verso di un gallo, cosa che mi sembrò un pò strana, ma ormai mi ero talmente abituata alle cose strane, che non ci feci molto caso; fino a quando non alzai lo sguardo e vidi delle creature particolari.  Avevano il corpo da cavalluccio marino, le ali da farfalla e la coda da gallo. Chiesi a Leift se aveva già visto quegli esseri così particolari e lui mi rispose di sì che li aveva già visti in un precedente viaggio, in un’altra isola, e che si chiamavano Alcalli. Non avevo mai sentito questo nome e mi meravigliai comunque per la bellezza di questi piccoli esseri strani. Intanto che continuavo incredula ad ammirare gli Alcalli, sentii l’equipaggio urlare;” Terrraferma, terraferma!”. Approdammo in un posto meraviglioso, pieno di fiori e di Alcalli, anche loro di mille colori; un sentiero davanti a noi ci condusse a un palazzo dorato, dove ci attendeva il re degli Alcalli, tutto color oro con una corona di diamanti rossi. Il re Alcallo ci raccontò che l’isola dove ci trovavamo non aveva un nome e che gli unici esseri che l’abitavano erano loro, gli Alcalli. Qualcosa sfiorò la mia mente e chiesi in che anno eravamo, tutti in coro mi risposero: “ Nell’anno 1000!”. Ora era tutto più chiaro sapevo dove mi trovavo, ero a Terranova. A tutti piacque il nome che decisi di dare all’isola, passai una giornata meravigliosa, c’era qualcosa di magico su quell’isola  che mi rendeva particolarmente felice. A un certo punto non vidi più nulla, la cosa strana è che non cercavo le persone, gli Alcalli, ma  cercavo le parole, dopo poco mi fu tutto chiaro….ero arrivata in fondo al capitolo del mio libro di storia!!!!

 

 

Golinucci Aurora

 

 

 

 

6

La casa abbandonata

Parole scelte: casa, paura, rumore

Era un caldo pomeriggio d’estate. Per le strade non si vedeva anima viva; chi non era in vacanza era chiuso nelle proprie abitazioni per sopravvivere al caldo afoso di quel pomeriggio. Solo io e i miei amici Marco e Gabriele eravamo fuori di casa accaldati e un po’ annoiati. Ancora non sapevamo che quella che stavamo vivendo sarebbe stata l’avventura più spaventosa e incredibile della nostra vita.

Dopo aver dato due calci al pallone, Marco propose di giocare a nascondino e per convincerci si offrì di contare per primo. Al suo via io e Gabriele andammo alla ricerca di un posto per nasconderci e fu quando passammo davanti alla vecchia casa abbandonata che capimmo di aver appena trovato il nascondiglio perfetto.

Il grande cancello di ferro arrugginito si aprì cigolando così forte che uno stormo di neri corvi volò via gracchiando. Mi chiedevo se entrare fosse davvero una buona idea, ma decisi di seguire Gabriele che mi precedeva di qualche passo. Arrivati davanti alla porta di ingresso sentivo il cuore battermi in gola; erano vere tutte le leggende che si raccontavano in giro su quella casa? Poteva essere pericoloso? Senza rendermene conto mi accorsi che eravamo già dentro e la porta alle nostre spalle si era appena chiusa sbattendo con un colpo violento. Doveva essere stata una folata di vento, non c’erano altre spiegazioni. Ci guardammo un po’ attorno. Ovunque c’erano vetri rotti, vecchi mobili ricoperti di polvere, enormi ragnatele con giganteschi ragni che le abitavano e un fortissimo tanfo di muffa e di marcio. Ma la cosa che più mi colpì furono gli inquietanti e spaventosi rumori. Sussurri, squittii, scricchiolii, misteriosi tonfi che provenivano dal piano di sopra, versi striduli simili a urla… Come poteva una casa abbandonata essere così rumorosa?

Fu allora che scoppiò un tremendo temporale, o almeno questo era quello che  credevamo. Le finestre sbattevano all’impazzata, un vento impetuoso scuoteva la casa facendo cadere sulle nostre teste polverosi calcinacci, tuoni assordanti ci facevano gelare il sangue nelle vene e la pioggia grondava dalle crepe del soffitto. Spaventati io e Gabriele decidemmo di uscire ma, sbigottiti, ci rendemmo conto che la porta che doveva essere alle nostre spalle non c’era più. La casa si era trasformata in un vero e proprio labirinto. Sentimmo un brivido lungo la schiena e cominciammo ad urlare sperando che qualcuno all’esterno potesse sentirci. Impiegammo ore per trovare l’uscita, ormai stremati dalla paura e inzuppati per colpa del temporale. Solo quando trovammo la porta e uscimmo all’esterno ci rendemmo conto che fuori dalla casa splendeva ancora lo stesso caldo sole di prima, neanche l’ombra di temporali o tempeste. Com’era possibile? In quel momento ci venne incontro Marco che disse “ Ho finito di contare, non vi siete ancora nascosti?’’. Scoprimmo che era passato solo qualche minuto dall’inizio del gioco, ma i nostri panni erano davvero fradici e i nostri visi pallidi come due lenzuoli.

Cos’era successo realmente? Quale terribile mistero nascondeva quella casa? E mentre mille pensieri tormentavano la mia testa e quella di Gabriele, la voce di Marco interruppe le nostre riflessioni “ Ora tocca a voi contare! Cosa aspettate?”.

 

Turci Filippo

 

 

 

 

 

 

 

7

           

IL VILLAGGIO DI KNOSS

Parole scelte: drago, sentiero, gioia.

Ci troviamo nella metà del ‘400, nel piccolo villaggio di Knoss.

L’autunno stava arrivando, lo si notava in quanto i verdi prati stavano diventando tappeti di foglie gialle e marroni. Questo villaggio di contadini, aveva avuto la sfortuna di trovarsi vicino ad un vulcano, ma il problema, anzi un grandissimo problema, era non tanto per la probabilità dell’eruzione della montagna, in quanto dormiente, quanto per la creatura che l’aveva scelta come dimora.

Un drago rosso aveva scelto proprio quel vulcano, probabilmente il forte odore di zolfo lo aveva attirato. Nessuno può dirlo, sta di fatto che la sua presenza causò solo problemi.

Il drago, infatti, prendeva il bestiame dei poveri contadini per placare i suoi irrefrenabili spasmi di fame; i poveri abitanti di Knoss, spaventati e senza cibo, iniziavano a sentire la fame. Come se non bastasse, la lucertola alata color bluastro, sembrava divertirsi a bruciare di tanto in tanto i campi lavorati con dedizione dai contadini.

La situazione era ormai fuori controllo.

Un giorno, il borgomastro del villaggio, Teodorico, probabilmente esausto per via della grave situazione, decise di chiedere aiuto alle uniche  persone, che per le loro diversità e attitudini avrebbero potuto sconfiggere il drago. Si trattava dell’elfo Krell, di blu vestito, stranamente dai lineamenti spigolosi, mostrava conoscenza, probabilmente generata dal suo enorme libro legato alla cintura; un nano, tozzo e barbuto, come del resto i suoi simili, un boccale di birra, anche se vuoto, e, infine un uomo dal bell’aspetto, la chioma color castano, che con il riflesso dei raggi solari, diventava color rosso ramato. L’elfo Krell, consigliò di andare dal mastro ferraio, per procurarsi delle armi, con le quali avrebbero affrontato il drago.

Krell prese un lungo bastone d’oro, con filamenti d’argento, Olaf indossò un’armatura a piastre e scelse un imponente scudo circolare ed infine Thorin decise per una armatura in cuoio e una spada forgiata dalla viscere dell’inferno.

I tre si conoscevano già da tempo, e i loro rapporti non erano così idilliaci. Acclamati come eroi dagli abitanti di Knoss, non seppero rifiutare la richiesta di aiuto e si incamminarono verso il paludoso bosco di Alfestan. Questo era particolarmente pericoloso, in quanto le acque stagnanti, nascondevano un particolare fango, simile alle sabbie mobili che li avrebbe inghiottiti prima che riuscissero a gridare. Il nano Olaf, mentre  si arricciava i baffi, disse: ”Orecchie a punta, vedi di renderti utile una volta tanto. Usa la tua sapienza per farci passare queste acque puzzolenti!”. “In effetti potrei usarti come barile e galleggiare fino all’altra riva, data la tua forma, nano”, un sorriso provocatorio comparve sulla bocca di Krell. I due si guardarono con aria di sfida, finché intervenne Thorin che calmò la situazione. “Sbaglio, o siamo stati scelti indifferentemente dalle nostre fattezze, ciò che conta sono le nostre capacità, quindi concentriamoci e tutto andrà bene”.

Olaf e Krell si fecero una grassa risata per sdrammatizzare e seguirono il consiglio di Thorin. Krel, bisbigliando qualche parola, mosse il bastone in direzione della palude, che iniziò pian piano a congelarsi.

Una strada gelata permetteva ora di superare facilmente la palude.

“Attenzione a non scivolare, soprattutto tu Olaf, rotoleresti fino alla caverna” disse ridendo l’elfo.

Dopo circa due ore di cammino arrivarono vicino all’enorme vulcano, un piccolo sentiero sconnesso, conduceva alla cima. Da lontano si intravedeva una grotta, forse era stata creata nel corso dei secoli dal magma. Krell si accovacciò, accarezzò la superficie del terreno: -“Ossidiana”- disse- “Siamo vicini! Preparatevi”, aggiunse Thorin.

E così, si addentrarono ancor di più nella profonda grotta, raggiungendo una spaziosa cavità; vi erano un numero incredibile di ossa sparse. “Sicuramente questa è la dimora del drago!” disse Olaf,

“Sì, ma dov’è?” ribatté l’elfo, non fece in tempo a finire che l’elfo si girò di scatto verso l’uscita. Passi pesanti stavano arrivando nella loro direzione, accompagnati da una luce rossa che colorava i grigi muri.

“Il suolo vibrava ad ogni passo e dalle pareti si staccavano piccoli sassolini che rotolavano veloci”.

I tre ormai in trappola si preparavano alla scontro.

Una voce echeggiò nella cavità: era profonda e incuteva timore solo ad ascoltarla. Occhi color fiamma del grande drago si avvicinavano, le goccioline di sudore scendevano lentamente lungo la pelle degli avventurieri. “E’ la prima volta che del cibo si presenta a casa mia”, ma Thorn gli urlò: “Mi dispiace deluderti, ma qui non c’è nessun cibo”.

Senza perder troppo tempo, il drago spalancò le feroci fauci, mettendo in bella mostra denti affilati e lunghi come pugnali. Olaf, prontamente, si mise davanti agli altri due, lo scudo saldamente impugnato respinse le fiamme , le quali raggiunsero il drago e con uno scatto, Thorin, avanzò in avanti con la appuntita e pesante spada verso il drago, il quale sorpreso dalla sua rapidità non riuscì ad evitarla. Ruggendo dal dolore, iniziò a scaraventarsi contro Thorin, il quale con una piroetta, schivò la furia del drago e; lo colpì nuovamente, lacerando parte dell’ala. Nel frattempo, l’elfo calmò la sua mente e ancora una volta bisbigliando qualche parola, dal suo bastone uscirono tre raggi, che si intrecciarono in aria colpendo il rettile al torace. Frastornato per i colpi appena subiti, il drago si girò lentamente, forse troppo lentamente, il suo “cibo” si stava scagliando contro di lui e infatti, fu colpito nuovamente al collo e sulla zampa posteriore. Le palpebre del drago iniziarono a socchiudersi, il suo corpo ad accasciarsi e un lamento flebile gli usciva dalle sue fauci. Ci fu un urlo di gioia e un abbraccio. Il drago era stato sconfitto! Una volta tornati al villaggio, il borgomastro Teodoro, diede a loro le meritate ricompense. Ancora oggi si narrano le storie di questi tre coraggiosi avventurieri e delle loro incredibili gesta.

 

Tittarelli Riccardo

8

Un tuffo nel mondo della fantasia

 

Al ritorno da scuola, mi soffermava sempre davanti alla porta della stanza segreta della mamma.

La mamma mi diceva sempre quando vi entrava che andava a farsi un buon tè e a immergersi nella lettura, ma io pensavo che nascondesse ben altro ed era divorata dalla curiosità.

Quel giorno, non mi limitai a sostare davanti alla porta … perché la porta era rimasta socchiusa, forse la mamma si era dimenticata di chiuderla.

Prima di entrare, per sicurezza, chiesi : “C’è qualcuno? “, nessuno mi rispose, la mamma non c’ era.

Pensai che era il momento giusto per entrare, mi feci forza ed entrai.

La stanza era molto grande, circondata da scaffali pieni di libri, sembrava una biblioteca, mi misi a leggere qualche titolo: alcuni descrivevano piante rare, altri fiori, altri ancora parlavano di essenze e decotti. Per me era un mondo incantato.

Ad un lato della stanza vi era un piccolo fornello e al centro un divano accogliente con un tavolino su cui c’era una piccola teiera di porcellana con alcune tazze a contorno.

Mi sedetti sul divano e a quel punto vidi che vicino alla teiera vi era un ricettario, lo aprii e stranamente esso si illuminò su una pagina: riportava la ricetta di un infuso con la lista degli ingredienti. Lessi la lista: erano ingredienti per me sconosciuti, dai nomi buffi e insoliti, vi era la pazientino, la sbarazzina, la dolcina e l’acqua blu.  Non sapevo che cosa fossero, né li avevo mai sentiti nominare dalla mamma.

Ad un certo punto sentii una dolce fragranza liberarsi nell’aria, proveniva da quella piccola teiera di porcellana: ne versai un goccio in una delle tazze e con un po’ di esitazione la bevvi.

Aveva un sapore particolare, sconosciuto, iniziò a girarmi la testa, gli occhi divennero pesanti e mi addormentai.

Al mio risveglio mi ritrovai davanti una fatina che mi guardava incuriosita e subito mi chiese: “chi sei? Da dove vieni?”. Io mi alzai, un po’ confusa, fra le mani stringevo il ricettario e iniziai a chiedermi anch’io dov’ero e come fossi capitata lì.

Mi ricordai che, prima di addormentarmi avevo bevuto il tè, ma non riuscivo a capire come fossi arrivati fin lì, era stato quel tè? Era forse magico?

La fatina intanto continuava a farmi mille domande: era piccola, grande come il mio pollice, aveva due piccole ali ricoperte di polvere d’oro, i suoi capelli erano rossi e decorati con piccoli fiori. Aveva uno sguardo vivace, indossava un piccolo vestitino azzurro e continuava a volarmi attorno, ogni tanto fermandosi per osservarmi più da vicino .

Ancora frastornata le dissi il mio nome e il luogo da cui provenivo e le chiesi dove mi trovavo e come potevo tornare a casa. La fata, senza ascoltarmi, si presentò: “ mi chiamo Sbadatina e  provengo dal villaggio delle fate. Sai, conosco il tuo mondo perché ho un’amica che ti assomiglia che ogni tanto ci viene a trovare proprio da lì.” Poi dopo una breve pausa le chiesi: “ Come si chiama la tua amica?”Lei rispose: “Ines”. Io rimasi sorpresa capii che era mia mamma, ma prevalse in me la voglia di sapere come poter tornare a casa..una volta tornata avrei chiesto a mia mamma…

Chiesi di nuovo a Sbadatina se sapeva come potevo far ritorno a casa e  lei mi indicò il ricettario e poi aggiunse: “ se vuoi tornare a casa, devi preparare lo stesso infuso che hai bevuto per arrivare fin qui, nel ricettario puoi trovare gli ingredienti e le dosi”

Allora con agitazione aprii il ricettario, ritrovai la pagina e mi soffermai sugli ingredienti e poi chiesi: “dove possiamo trovare la pazientino e tutto il resto?” La fatina mi rispose un po’ spazientita: “Ovviamente ciascun ingrediente è custodito in un villaggio di questo mondo … non lo sai? Il ricettario non è tuo, non l’avrai mica rubato?” qui si fermò e incominciò a guardarmi con sospetto.

Io ero un po’ a disagio, sapevo di aver fatto qualcosa che mia mamma non avrebbe mai approvato, ma a questo punto era meglio dire la verità, quindi raccontai tutto alla fatina.

Sbadatina mi guardò con rimprovero, in silenzio, poi in tono severo mi disse: “ Hai sbagliato, ma per l’amicizia che provo per tua mamma, ti aiuterò … ora sbrighiamoci prima che Ortica, la strega, venga a sapere del tuo arrivo”.

Fu così che iniziammo il nostro viaggio, la fatina scosse la sua bacchetta ed io, all’improvvisa, diventai piccola quanto lei, poi fischiò e all’improvviso apparve un maestoso gufo. Il rapace mi guardò e poi mi disse: “ti porto io fino al villaggio degli gnomi”. Sbadatina mi spiegò che lì avremmo trovato la pazientina, il primo ingrediente dell’infuso.

Salii sul dorso del gufo e dopo un breve viaggio vidi per la prima volta il villaggio degli gnomi: era circondato da grandi alberi di meli, le case riprendevano la forma delle mele stesse. Per le strade degli gnomi passeggiavano, accompagnati da scoiattoli e piccoli porcospini. Era bellissimo ciò che stavo vivendo.

Una volta scesi a terra, Sbadatina mi condusse dallo gnomo erborista e gli chiese, dopo avergli spiegato la situazione, la pazientina. Proprio mentre lo gnomo tirava fuori il sacchetto con all’interno l’ingrediente di cui avevo bisogno, due corvi, arrivati all’improvviso, cercarono di afferrarlo per rubarlo, solo grazie all’intervento del gufo non vi riuscirono e scapparono via spaventati. Sbadatina disse: “Ortica sa del tuo arrivo, bisogna fare presto!”

Salutammo gli gnomi e partimmo alla volta del villaggio dei folletti, lì avremmo trovato la sbarazzina.

Ancora una volta fu il gufo a portarmi in quel luogo: il villaggio dei folletti era nascosto da un grande salice, le case erano dei piccoli funghi dai colori autunnali. Si vedevano alcuni folletti giocherellare e farsi dei dispetti.

Quando arrivammo, Sbadatina mi disse:” stai attenta e non farti coinvolgere nei loro scherzi,  ricordati della strega!”.

Ci recammo all’erboristeria dei folletti, non trovammo nessuno. Suonammo il campanello e comparve un folletto che disse” che cosa desiderate?”, io risposi che volevamo la sbarazzina, egli corrugò la fronte e disse: “Mi dispiace ma non ne abbiamo più, perché una signora, accompagnata da due corvi neri, l’ha comprata tutta”. Sbadatina capì che era stata Ortica e allora gli chiese se per caso gliene rimasto qualche scarto. Il folletto, riflettendoci, si ricordò che il giorno prima aveva messo in dispensa delle foglie secche di quella pianta. La fata sorrise e disse:” con la mia magia posso ridar vita a quelle foglie secche, per favore, me le può dare?”, il folletto aprì una credenza ed estrasse un sacchetto, dentro vi erano delle foglie secche e le porse alla fata.

Sbadatina prese la bachetta e ridiede vita alla sbarazzina.

Riprendemmo il nostro viaggio dopo aver ringraziato il folletto. Il gufo questa volta ci portò nel villaggio delle fate. Ci ritrovammo davanti ad una grande quercia, non si vedeva nulla, Sbadatina sorridendo mi disse: “Seguimi”, io le chiesi dove mai volesse andare. La fatina schioccò le dita e si aprì un portale e mi   portò con sé. Aggiunse:” qui possiamo anche fermarci per mangiare qualcosa e per riposarci un po’, intanto Ortica non può entrare ..”

Ci fermammo, all’inizio, in una piccola panetteria, a forma di tazza e lì assaggiai nuovi dolci di cui non conoscevo l’esistenza. Poi potei vedere la casa di Sbadatina, dove ci riposammo un attimo.

La fatina, prima si rifornì di polvere magica, poi mi accompagnò nella sua erboristeria di fiducia. Salutò il suo amico maghetto e gli chiese la dolcina, che fu subito impacchettata e consegnata.

Con tristezza lasciai il villaggio, Sbadatina se ne accorse e mi disse che forse, se Ines fosse stata d’accordo, vi avrei potuto far ritorno.

Prima di riprendere il viaggio, Sbadatina , con sguardo serio, mi disse: “ora dobbiamo andare nel posto più pericoloso: il villaggio delle streghe. Qui, Ortica è più forte di noi! Stai attenta e soprattutto stammi vicino e fai ciò che ti dico!”. Annuii, spaventata dalle sue parole.

Il gufo ci accompagnò anche in quell’ultimo viaggio, Sbadatina fece un incantesimo e rese il rapace invisibile. Arrivati alle porte del villaggio cominciai a provare paura: le case erano a forma di cappello di strega, non c’era nessuno per le strade, tutto era avvolto da una fitta nebbia.

Passando per le vie mi accorsi di essere osservata: dalle piccole finestre delle case si vedono piccoli occhietti curiosi.

Entrando nell’erboristeria del villaggio ci ritrovammo davanti Ortica: aveva una carnagione molto chiara, gli occhi a mandorla e lunghi capelli rossi. Era molto alta, indossava degli stivaletti rossi dalla punta arricciata.

Ortica ci riconobbe, vidi che aveva in mano l’acqua blu, capii che non mi avrebbe dato l’ingrediente per nulla al mondo..

Non sapevamo come prenderci quanto ci serviva,  poi cominciai a pensare a  tutti i libri di favole che avevo letto …. Mi ricordai dell’acqua, le streghe odiavano l’acqua… non ne avevo con me..ma iniziai a desiderarla e a immaginarla …

Per incanto iniziò a piovere , dentro l’erboristeria, anche Sbadatina era sconcertata..

Ortica era spaventata, non atterrita, scappò  via e nel farlo lasciò sul bancone l’acqua blu.

Per questa volta la strega era stata sconfitta, Sbadatina afferrò l’ingrediente, mi prese per mano e scappammo via.

Tornammo subito nel villaggio delle fate e nella casa di Sbadatina preparai l’infuso…

Prima di berlo abbracciai in silenzio Sbadatina, dopo il primo sorso mi venne sonno e mi addormentai.

Venni svegliata da una voce familiare: era  la mamma.

Non mi disse nulla, aveva capito e io con lei.

Mi accompagnò fuori dalla stanza, sarei tornata così lei mi disse, ma non le chiesi quando perché sapevo che sarebbe successo nel momento giusto.

 

SERENA MORONI

 

 

 

 

 

 

 

 

9

LA MIA STORIA

 

Parole scelte: entusiasmo, energia, epidemia.

 

Molti penseranno che io sia una bambina normale come tutte, ma vi informo che non è così. Ebbene sì, la mia storia ebbe inizio milioni di anni fa, quando la Luce incontrò il Caos e dalla loro unione nacqui io, la più divina delle forze, l’energia più grande dell’universo. Ma la mia storia non finisce qui. Io, come ben sapete, ho milioni di anni e per la mia natura sono ancora molto giovane.

In questi anni ho salvato pianeti, distrutto pianeti e addirittura creato pianeti.

Infatti, dopo aver creato la Terra, ero entusiasta del mio capolavoro e tuttora direi che è il pianeta che mi è venuto meglio.

A questo punto i miei genitori (la Luce e il Caos), decisero di mandarmi lì sotto copertura, per studiare un po’ gli umani.

Fui affidata a una famiglia che ancora oggi mi ospita amorosamente nonostante io crei pianeti e stelle in miniatura in giro per casa e a volte distrugga i mobili.

Comunque durante la mia vacanza-studio sulla Terra, ho scoperto tante cose interessanti sugli umani: hanno una passione innata per la plastica, spesso tengono adorabili animali da compagnia di nome cani o gatti dipende dalle loro dimensioni, oppure dalle dimensioni delle loro orecchie, in ogni caso io preferisco i cani.

Gli umani sona parecchio buffi perché litigano inutilmente per dei banali pezzi di carta che chiamano “soldi” però fortunatamente nella famiglia che mi ospita questo problema non esiste perché danno valore ad altre virtù come l’affetto e la condivisione.

Uno dei più grandi pregi degli umani è la solidarietà che in questo momento si sta applicando maggiormente grazie ai medici che passano ore negli ospedali per curare coloro che sono stati colpiti dall’epidemia, ai lavoratori che ogni giorno rischiano la loro vita andando a lavoro per mandare avanti l’economia e grazie anche ai professori che pur di non farci perdere delle ore di lezione  e si impegnano per realizzare una scuola a distanza.

Oltre a questo io, insieme a tanti scienziati, esperti nel campo, stiamo sperimentando un vaccino, che presto renderemo pubblico, per poter rendere meno virulento questo virus.

Non basterà, ne sono certa; perché, ognuno di noi dovrà continuare a fare la propria parte in modo che questa situazione non si ripeta più!

Comunque credo che siano tutti d’accordo sul fatto che senza di me dolce e UMILE creatura e tutte le persone sopracitate il mondo non avrebbe futuro.

Emili Rungaja

 

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Mio nonno e il Coronavirus

Parolescelte:ansia,attesa,angoscia,coronavirus,ospedale,paura,pericolo, ricordo

 

“Babbo”dissi.

“Gecky, lascialo stare sta chiamando l’ospedale,il nonno sta male ed è stato ricoverato.” mi fermò la mamma.

Io andai dal babbo per ascoltare la telefonata: ansia e angoscia erano ben distinguibili in lui  e l’attesa si stava facendo stressante perchè erano tre ore che non riceveva notizie dall’ospedale.

Alla fine della telefonata, non molto utile in verità (visto che nessuno sapeva in che reparto fosse e soprattutto se era ancora lì), l’infermiera dell’ospedale disse che il dottore aveva escluso che fosse il coronavirus, finalmente una bella notizia!

Secondo me però era un po’ in pericolo lì all’ospedale in mezzo a tutta quella gente, visto che è anziano e ha già molti problemi di salute… “Se si fosse ammalato di Coronavirus sarebbero stati guai!”

La sera fortunatamente l’hanno rimandato a casa e la paura se ne è andata, purtroppo solo per poco…..

Ma come!

Oggi ha perso nuovamente conoscenza e mia nonna ha richiamato il 118 perchè non sapeva come comportarsi, questa non ci voleva proprio!

Lo hanno appena visitato ed ha lo stesso quadro clinico di ieri, quindi hanno deciso di non ricoverarlo perchè sarebbe troppo rischioso per lui visto il pericolo di contagio all’ospedale, poi sarebbe da solo, i famigliari non possono nemmeno entrare, infatti mio babbo ieri ha aspettato tutto il giorno fuori dal Pronto Soccorso.

Tuttavia almeno hanno deciso di attivare un’infermiera domiciliare che lo aiuti.

Sinceramente neanche i medici sanno cosa fare, parlano di attacchi epilettici ( che io non so neanche bene cosa siano).

Tutti in casa stiamo aspettando buone notizie, ma ci sentiamo impotenti ed impauriti, è una situazione surreale.

Mi ricordo che mio nonno è sempre stato un uomo molto attivo, da più giovane naturalmente, non stava mai fermo e lavorava tanto, forse anche troppo, ma a lui stava bene così.

Ormai è già da molto tempo che non si muove più da solo, mi dispiace tanto, ma mi piace ricordare quando stava bene.

 

Piolanti Giacomo

 

 

 

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L’ARMADIETTO MAGICO DI GIORDANO – RACCONTO FANTASTICO

 

Giordano è un bambino di otto anni.  Gli piace giocare con i suoi amici nel cortile di casa ma soprattutto gli piace leggere e stare da solo.   Gli piacciono molto le storie strane e a volte le racconta anche agli altri.

Oggi ad esempio si è inventato la storia del suo armadio magico.  Si tratta dell’armadietto bianco che contiene i suoi giocattoli.

“E’ il mio armadio dei giocattoli. E’ tutto bianco lucido ed è magico.”  Ha rivelato ai suoi amici. “Non è vero” ha replicato Marco “L’ho visto anch’io il tuo armadio dei giocattoli. Non è magico. E’ come tutti gli altri.” “Ti dico che è magico. Cosa vuoi sapere tu? Le magie le fa solo quando sono da solo.” Marco ha fatto una smorfia e si è girato dall’altra parte ma Luca  è curioso e più credulone e gli chiede “Dai! Dimmi cosa fa…” Allora Giordano racconta che se si sta nella stanza, da soli, e si fissa lo sportello dell’armadietto per molto tempo senza battere gli occhi e in totale silenzio, a un certo punto lo sportello diventa trasparente, e si vedono i giocattoli dentro che giocano fra di loro (i pupazzi) o si costruiscono da soli (i Lego). “Provate anche voi col vostro armadio dei giocattoli” dice Giordano con un po’ di malignità perché sa che loro un armadio dei giocattoli grande come il suo non ce l’hanno.

Giordano ha raccontato una storia tutta inventata ma comincia a pensare  che forse potrebbe provare davvero a guardare l’armadio per molto tempo e senza battere gli occhi.

Tornato a casa e, dopo aver fatto merenda, si chiude in camera, si siede sul pavimento a gambe incrociate e comincia a guardare fisso lo sportello dell’armadio. Ma non è facile perché guardare a lungo una cosa senza chiudere le palpebre è quasi impossibile. Prova e riprova. Naturalmente non succede niente.  La mamma chiama per andare a mangiare e lo trova immobile davanti all’armadio. “Cosa fai lì? Vieni, che è pronto.”

Dopo cena, però, Giordano ci riprova. Si impegna e per evitare di chiudere gli occhi si tiene le dita sulle palpebre per tenerle aperte. La stanza è in penombra perché è accesa solo la piccola lampada sul comodino. A un certo punto, incredibilmente, lo sportello lucido dell’armadio comincia a tremare e si fa sempre più chiaro. Giordano si spaventa moltissimo ma non riesce a gridare e nemmeno ad alzarsi. Rimane seduto sul pavimento con la bocca spalancata per lo stupore. Non ha più bisogno di tenersi aperti gli occhi. Non riesce a staccare lo sguardo dall’armadio. Che adesso è proprio trasparente del tutto e si può vedere l’interno. C’è molta animazione. Tutti i giocattoli sono in movimento. C’è una casa Lego che cambia continuamente forma e i dadi del Monopoli si lanciano da soli.  Però è il Tirannosauro Rex di gomma alto trenta centimentri a fare paura. Si guarda attorno e ruggisce. Poi si gira verso Giordano e lo guarda con gli occhi verdi e brillanti. Poi fa un balzo verso l’esterno e con una zampa afferra Giordano e lo tira dentro l’armadio. Giordano va a sbattere contro una torre di mattoncini e la distrugge, corre sul tabellone del Monopoli ma il T-rex lo rincorre. Giordano è terrorizzato e non sa come finirà.

Per fortuna, la mamma entra nella stanza un po’ arrabbiata. “L’avevo spenta, la luce. Perché l’hai riaccesa? E si può sapere cosa fai ancora seduto impalato davanti all’armadio? Sei impazzito? Alzati e fila a dormire.”

Giordano si ritrova sul pavimento, con le gambe indolenzite. “Non riesco ad alzarmi, mamma.” ”Sciocchezze.” dice lei e lo prende di peso portandolo a letto.

 

 

Persi Francesco

 

 

 

 

12

MATTIA MANUZZI – Bill, l’extraterrestre

Parole usate: navicella – arcobaleno – sogno

 

Era marzo e le scuole erano chiuse perché un misterioso virus proveniente dalla Cina era giunto in Italia allarmando tutta la popolazione.

La domenica mattina, però, io e i miei amici decidemmo di andare al parco dell’Ippodromo per giocare a calcio quando, all’improvviso il cielo si oscurò, gli uccelli smisero di cinguettare, le persone scapparono a gambe levate, tutti tranne noi che eravamo molto incuriositi.

Tutto ad un tratto atterrò una maestosa e tecnologica navicella spaziale con un’infinità di fari potentissimi.

La navicella spaziale ci attirò fin da subito: non avevamo mai visto una cosa del genere.

Dopo pochi secondi scese un piccolo essere con una gigante testa ovale che assomigliava a E.T.: l’extraterrestre protagonista di un famoso film americano.

 

Era alto 1 metro e aveva dei bellissimi occhi: uno viola e uno arancione che riflettevano tutta la sua bontà.

Le sue caratteristiche più bizzarre erano le sue lunghissime braccia che attorniavano il suo esile corpicino e il suo infinito collo da giraffa che lo faceva sembrare più alto.

I suoi occhi erano attratti da un solo oggetto: la nostra adorata palla da calcio.

Allora gli chiedemmo come si chiamasse, quanti anni avesse, da dove venisse e che lingua parlasse.

Rispose con una voce particolarmente rauca: ”My name is Bill, I am 3749 years old, I come from Urania, I speak English and I absolutely want to play football with you”.

Il più studioso del gruppo capì subito che parlava inglese e ci tradusse la sfilza di parole che aveva pronunciato l’extraterrestre rendendoci i bambini più felici del mondo.

A quel punto rifacemmo le squadre: Bill era con me.

Iniziammo subito a giocare, io, capitano della mia squadra, decisi di posizionarlo nel ruolo di trequartista: giocava splendidamente con tutti e due i piedi, era davvero fenomenale, non avevamo mai visto un essere di quelle dimensioni giocare così tanto bene.

Bill si dimostrava un atleta formidabile: non sudava, non si stancava, non si arrabbiava e, soprattutto, conosceva mille trucchetti per scartare l’avversario.

La mia squadra vinse la prima partita, la seconda e la terza, sempre per merito suo e dei suoi goal.

Al termine ci volle mostrare i suoi due poteri magici più bizzarri: il teletrasporto e il “fermatempo”, quest’ultimo, però, durava solo per mezz’ora.

Fermò il tempo e ci chiese se volessimo andare in qualche luogo che  adoravamo, noi rispondemmo in coro: ”In gelateria”.

Stringemmo tutti le mani dell’extraterrestre e all’improvviso fummo catapultati alla gelateria “Leoni”, la migliore di Cesena.

Bill comprò un gelato ad ognuno di noi avverando il nostro desiderio.

Io mi accorsi, per la prima volta, che aveva un piccolo anello colorato, che dopo un po’ squillò come un campanello di casa.

Lui ci disse: ”Mio babbo mi sta chiamando, penso che vi devo lasciare.”

Allora in un batter d’occhio ci ritrovammo al parco dell’Ippodromo nello stesso punto e nella stessa posizione di quando avevamo lasciato quel posto… le persone iniziarono in quel momento a muoversi.

Il babbo di Bill gli disse: ”Vedo che ti sei fatto dei nuovi amici. Ora però dobbiamo tornare nella nostra galassia, salutali e partiamo.”

Bill ci salutò abbracciandoci uno ad uno e dicendoci: ”Non vi scorderò mai e… non abbiate paura, sento in voi un forte timore per il futuro, come se steste vivendo un momento difficile. Riuscirete sicuramente a superarlo!”.

Partì e dietro alla sua navicella si formò un bellissimo arcobaleno con scritto “ANDRA’ TUTTO BENE!”.

Ancora oggi, ripensando a quell’episodio mi chiedo se sia realmente accaduto o se si trattasse del più bel sogno mai fatto.

 

ANDRA’ TUTTO BENE!!

13

VENERDI’ 13 NOVEMBRE

 

Sembrava una notte qualunque ma non lo era. Come ero solito fare, il venerdì sera andavo a dormire da Mimma, la mia vicina di casa. Una nonnina sulla novantina. Una signorotta vedova e di vecchio stampo, senza figli nè nipoti. Tutte le sue attenzioni erano su di me, tanto che mi aveva una stanza apposta tutta mia per dormire e giocare. La casa era grande ma buia (non ha mai conosciuto l’energia elettrica per volontà personale), piena di ragnatele e piccoli animaletti schifosi che giravano ovunque. Mimma li vedeva ma non li uccideva, le facevano compagnia. Quel venerdì, però, fu strano. Era una notte piuttosto buia con la luna piena che brillava alta nel cielo, regnava un silenzio tombale e spirava un vento freddo che penetrava nelle ossa. Mi sono rinchiuso nella mia stanza. Non c’erano rumori. Un silenzio assordante. Quando… ad un certo punto notai, nella penombra della luna, una scatola di cartone che sembrava ammuffita. Mi avvicinai. L’odore era nauseabondo. Un rumore secco e improvviso irruppe nella stanza. Anche se ero consapevole che non fosse nulla di che, provai a rimettermi nel letto. Mi girai e cercai di riaddormentarmi. Ma sapevo che era soltanto una vaga speranza di fuggire a ciò che ho continuato a sentire per minuti e minuti. ”E’ soltanto questione di minuti e poi tutto sarà finito” pensavo. Ansia. Il battito accelerato. Brividi. Era per la scatola o per il tempo fuori così cupo? Ripercorsi con la mente gli ultimi giorni trascorsi in quella stanza, cercando invano una spiegazione razionale su come quella scatola fosse finita lì. Mimma era troppo vecchia e debole per poterla spostare, anche se fosse, da una stanza all’altra. Nulla. che io abbia mai saputo, nessuno frequentava la casa di Mimma. Mi addormentai. Mi svegliai di soprassalto quando udivo un grido e uno strillo. Balzai nel letto e diventai pallido come un lenzuolo, sembrava un grido umano. Come di una bimba piccola che urlava disperata in cerca di sua mamma. Presi subito il mio cellulare in mano per accendere la torcia, <<Dannazione!>> gridai, era scarico. Un’ombra si avvicinava al mio letto, non riuscivo a distinguere cosa fosse. Poteva forse essere la bambina del lago? Qualche giorno prima ero a giocare con i miei amichetti nel lago vicino a casa. Giocavamo felici e spensierati, gridavamo e ridevamo come fanno i bambini quando giocano con la palla. Con la coda dell’occhio vidi una bambina scivolare nel lago. Nonostante tutta la gente che c’era intorno, sembrava che nessuna l’avesse vista. Chiesi anche ai miei amici ma nessuno aveva visto niente. Non poteva essere frutto della mia immaginazione, mi sembrava di averla vista benissimo la bambina. Capelli lunghi e castani, un vestito bianco abbastanza lungo, come se fosse un po’ di stile vintage. Solo al ricordo di ciò, decisi di alzarmi e avvicinarmi lentamente. Sentivo il cuore in gola e un battito veloce veloce. Era lei la bambina del lago nero certo.” Perchè non mi hai aiutato tu che hai visto tutto!” urlò. E io urlai con lei. Con la stessa velocità che può avere una mamma preoccupata per il suo bambino, nonna Mimma corse in camera. Era solo un sogno, mi tranquillizzò. Avevo forse mangiato troppa pizza…

 

 

MICHELE MARALDI.

 

 

 

 

14

LO SPIRITO DI HARRY

Parole scelte: PAURA, TRISTEZZA,CORAGGIO,RABBIA

 

 

In un giorno d’inverno Harley, una ragazza di 15 anni, stava leggendo un libro di genere horror nella sua camera.

Harley era una ragazza con bei capelli mossi biondi, aveva occhi blu, splendidi e brillanti. Era coraggiosa, ma vendicativa.

Mentra stava leggendo suo fratello Harry entrò nella grande camera di sua sorella e disse:” Ciao sorellina, mi serve il tuo libro”. Allora lei rispose sospettosa:” E perchè scusa?”, :” Adesso lo vedi” le rispose.

I due fratelli andarono in cucina, Harry prese il libro e lo gettò dalla finestra e i cani del vicino lo rovinarono tutto, mordendolo e graffiandolo.

Harley, piena di rabbia, mise tutto in disordine e poi prese il coltello più affilato di tutti

e disse:” Addio Harry sappi che ti ho sempre voluto bene” Harry stupito chiese:” cosa?” ma non ebbe tempo di dire o fare tanto perchè la sorella lo uccise.

Lei pensava:” Quel libro era tutto per me” e così corse in camera a piangere.

Dopo poco andò dai suoi genitori e disse loro spaventata:” Mamma papà, un ladro è entrato in casa e ha ucciso Harry!” i genitori corsero in cucina e videro il loro primogenito disteso per terra, era lì ,fermo e immobile.

 

DOPO UNA SETTIMANA …

 

Tutti si stavano preparando per il funerale di Harry.

Harley nella sua camera, si stava vestendo con un vestito tutto NERO macchiato e un paio di scarpe rosse. Lei non era triste, anzi era soddisfatta di quello che aveva compiuto.

DOPO UN’ORA…

 

Erano arrivati al cimitero e la numerosa famiglia di Harry era lì ad assisterlo.

Invece di piangere Harley si mise a scrivere brutte cose su suo fratello per poi gettare i bigliettini nella sua tomba.

Una volta tornati a casa la ragazza si mise a spazzolare la sua lunga e bionda chioma ondulata e pensò:” Quanto sarebbe bello se sapessi fare incantesimi!”.

In quel preciso istante il libro dei segreti di Harry volò e si depositò vicino a lei.

Harley lo aprì e trovò una mappa molto misteriosa.

La prese e poi il libro si chiuse di colpo davanti a lei,poi disse:” Tu hai preso la mia magica mappa e tu dovrai trovare il tesoro!”, poi continuò:” Quando compirai 16 anni andrai alla ricerca del tesoro e ti imprigionerò dentro di me !”. Harley :” Ma se è pericoloso come farò, se mi faccio male,se mi catturano?” il libro rispose:” Beh ti regalerò il potere del teletrasporto, potrai volare, avere dei capelli molto lunghi e quello di oltrepassare i muri e gli oggetti.

Il libro scomparve e Harley rimase sola a pensare. Il giorno dopo preparò il suo libro e cominciò a leggere, dopo mezz’ora prese il computer e cercò di vedere se poteva rintracciare la mappa del libro però non ci riuscì.

 

IL GIORNO DEL COMPLEANNO DI HARLEY

 

Harley era agitatissima, si svegliò poi si pettinò e infine si vestì.

Tutti le fecero gli auguri e poi la sera  si ricambiò poi prese la mappa e uscì di casa.

Era un brutto giorno, c’era la nebbia, Harley tremava e stava cercando un riparo.

Dopo averlo trovato dormì per un p’ò si rimise in cammino.

Prima entrò dentro la foresta dove  ci abitavano molti lupi il suo scopo era prendere una boccetta con dentro un pezzo di ghiaccio. Così le era stato annunciato. La ragazza pensò:” Ma dove sarà mai”, dopo aver voltato l’angolo la vide: era bellissima solo che era protetta da vari lupi. La ragazza utilizzò il potere di passare attraverso le cose e così riuscì a prendere la fiala senza farsi male.

Poi entrò in una caverna fatta di fiamme e disse gridando disperatamente:” Ma dove sarà, è tutto fuoco e la boccetta contiene fuoco, come si fa!” Dopo essersi sfogata un po’ decise di proseguire volando e alla fine la trovò, la prese ma la grotta bollente stava per crollare però la ragazza volò talmente veloce che quasi riuscì a sollevarla.

:” Finalmente mi manca l’ultima fiala, ma dove si troverà?”.

Harley si fece guidare dalla mappa ed entrò in una laguna, la sua missione era prendere una fiala fatta di foglie:” Eccola, però è in mezzo ai rami” questa volta allungò i capelli, si aggrappò ai rami e così prese  la boccetta poi volò via e tornò a casa.

IL GIORNO DOPO…

Harley si svegliò e convocò il libro magico.

poi disse:” Oh mio magico libro ti ho portato le fiale che volevi ,cioè il tesoro” Fammele vedere” rispose il libro e così la ragazza le prese dallo zaino.

” Molto brava ma ora senza parlare devi andare al CIMITERO”. “ Ok “ rispose.

E così fu.

Harley riuscì di casa e si recò al cimitero.

Una volta arrivata cominciò a tremare e l’ansia le saliva dai piedi alla testa, ma poi si fece coraggio ed entrò nel cimitero.

C’erano tombe dappertutto e c’era molta nebbia ma soprattutto quel luogo lugubre era infestato da zombie, scheletri,spettri, fantasmi… Insomma era molto pauroso.

Stava camminando molto piano fino a quando non sentii qualcuno parlare anzi gridare:” Miei spettri avvicinatevi, sono qui per comunicarvi che ho una preda da catturare ovvero Harley” e mostrò la foto della ragazza,:” La dovete prendere“ continuò, la ragazza era paralizzata dalla paura e il cuore le batteva a mille poi vide che tutti i mostri si erano messi a cercarla.

Così cominciò a volare e tornò a casa.

 

IL GIORNO SUCCESSIVO

 

Harley si svegliò chiamò il suo magico amico.

Quando il libro arrivò le disse:” Oggi tu devi tornare al cimitero e portare con te le fialette”, la ragazza rispose:” C’è un piccolo problema perchè gli spettri mi stanno cercando”. ” Non mi importa io voglio che tu vada nella tomba di tuo fratello e che versi le tre pozioni in modo di distruggere lui e tutti gli spettri, hai capito?”” Sì”.

E così tornò al cimitero si nascose di nuovo e sentì che suo fratello urlava:” Dov’è Harley, dovete catturarla subito,  altrimenti distruggerò ognuno di voi, muovetevi”.

Harley era terrorizzata ma non voleva finire dentro il libro e così si stava per avvicinare alla tomba di suo fratello quando uno zombie la prese per i piedi l’addormentò e la portò via. Dopo mezz’ora la ragazza si svegliò legata per terra e vide suo fratello che le disse:” Come hai potuto uccidermi?. Non parlare, adesso ci penso io” intanto che Harry blaterava Harley si era  sporta verso tomba e proprio quando stava per rovesciare le fiale uno spettro l’afferrò e la portò sopra una tomba, poi Harry stava per prendere un coltello per ucciderla quando Harley gli rovesciò le fialette e così lui scomparve. La ragazza poi si slegò e rovesciò il resto nelle tombe degli altri mostri che scomparvero assieme al fratello.

Poi volò a casa e parlò della sua avventura al libro magico così la premiò regalandole un paio di ali per volare.

 

 

Lucchi Sofia

15

La scuola dei segreti

Parole scelte: amicizia, amore, incredulità

 

Era un giorno buio e tempestoso quando Mike vide la sua scuola.

Una macchina molto bella parcheggiò davanti al cancello. Scesero due persone un bambino ed un adulto. Quello che sembrava essere il padre del bambino si avvicinò cautamente a lui e gli appoggiò una mano sulla sua spalla sussurrandogli qualcosa all’orecchio, poi si alzò e disse:<Questa è l’ultima scuola del quartiere, non farti espellere>.

Il bambino di nome Mike annuì e si avvicinò lentamente all’arco d’ingresso su cui era scritto Niting, il nome della sua scuola. Entrò e ad attenderlo c’era una vecchia signora con lo sguardo di fuoco puntato su di lui. Con una voce fastidiosa e rauca gli disse:<Tu devi essere Mike>.La Signora era vestita di nero e aveva degli occhiali bianchi appoggiati sulla punta del naso rugoso come il suo volto. Aveva delle gambe sottili e dei piccoli piedi nascosti da un paio di scarpe nere con il tacco bianco. L’unico pensiero che aveva Mike in quel momento non poteva che essere:<Ma dove sono finito!!!>. Entrarono nella scuola e Mike si guardò distratto attorno spaventato dagli altissimi muri bianchi come la panna che separavano le varie stanze. Il pavimento era di legno come il soffitto. La vecchia signora lasciò Mike davanti ad un’aula con le pareti marroncine e una cattedra leggermente rialzata di livello rispetto ai banchi degli alunni.  Si aspettava una classe di bambini educatissimi, ma non fu così! Appena sorpassò la soglia della porta vide bambini correre ovunque, alunni giocare con aeroplanini e ragazze guardare il telefono. Quando lo videro ci furono diverse reazioni: certi non se ne fecero caso e continuarono a giocare, invece un gruppo di ragazzini si avvicinò a lui e uno di loro disse:<Allora, sei un ragazzo abbastanza alto, hai dei capelli castani, due occhi marroni le lentiggini proprio sotto gli occhi, porti due occhiali neri, hai delle gambe sottili… OK puoi far parte della nostra classe, ma stacci alla larga>.Mike tirò subito un respiro di sollievo e la sua testa fu invasa di pensieri:<Ma questi sono matti, se avessi avuto le lentiggini sul naso o gli occhi azzurri no avrei potuto far parte di quella classe?> Ma i suoi pensieri si interruppero da un tonfo improvviso, proveniente dalla porta dell’aula. Era tornata la signora dell’ingresso, sicuramente sarà la nostra professoressa pensò. Subito tutti si sedettero al proprio posto e Mike dovette sedersi al primo banco, ma non prima di essersi presentato a tutta la classe. E così calò un silenzio tombale in tutta l’aula. E la lezione iniziò. Passarono i giorni e Mike iniziò ad odiare quella scuola e i suoi compagni di classe, tutti tranne una, la ragazza più bella della scuola, Mary. Mike la osservava sempre: aveva dei capelli biondi lisci, le lentiggini sul naso e due zigomi sporgenti all’infuori che risaltavano gli occhi azzurri. Per Mike era bellissima. Un giorno, all’uscita della scuola, Mary chiese a Mike di andare a casa sua per giocare. Mike non fece altro che dire Sì, balbettando, e subito diventò tutto rosso. Insieme si incamminarono verso casa e Mike dimenticò tutti i suoi problemi e si divertì. Giocarono, cucinarono, studiarono. si divertirono TANTISSIMO. Mike era tornato ad amare quella scuola fino a quando un lunedì successe qualcosa che lo sconvolse. Era una bella giornata e Mike era particolarmente felice, dal pomeriggio passata con Mary, a scuola era stato interrogato ed era andato benissimo, non c’era niente di cui preoccuparsi. Fino a quando, all’uscita vide Mary baciarsi con il ragazzo che l’aveva descritto il primo giorno di scuola. Allora corse a casa sua piangendo e, appena arrivato, si buttò sul letto con la faccia sul cuscino. Stava malissimo, si sentiva il cuore infranto, la vita cadergli addosso, non sapeva più cosa fare. In quel pomeriggio l’unico pensiero che Mike poteva avere era di andarsene e subito si chiese cosa ci faceva ancora in quella scuola. La mattina seguente andò a scuola e litigò con uno dei professori, fece uno scherzo alla professoressa di matematica e fece cadere a terra la professoressa di italiano Marta, che lo mandò dal preside.  IL suo piano funzionò. Mentre lo aspettava nel suo ufficio vide in un angolo uno strano marchingegno e subito pensò di toccarlo: spinse una palla che iniziò a girare sopra una bacinella solo che girò sempre più veloce ed ad un certo punto girò velocissima e una striscia multicolore si alzò nella stanza. Mike si buttò subito a terra spaventato e sorpreso. La striscia non lo colpì ed in poco tempo la palla smise di girare. Mike corse via stupefatto e tornò a casa sua, ancora frastornato dall’accaduto.

Un giorno tornò in quella stanza per mostrarla ai suoi compagni, ma la striscia non si alzò e tutti lo giudicarono matto. Ma sapeva che non era frutto della sua immaginazione quanto aveva visto, ed un martedì ci tornò. La palla incominciò a girare e la striscia si alzò.

Marta, la professoressa di italiano, entrò in quel momento nell’ufficio, lo vide e lo rimproverò subito senza fare caso alla striscia multicolore che, inaspettatamente, la colpì dritto in faccia. Improvvisamente si rimpicciolì e diventò piccola come un chicco d’uva. Mike rimase allibito e senza pensare la prese e la infilò nel suo astuccio per portarsela a casa.

Per molto tempo si prese cura di lei, le lavò gli abiti, le fece un letto e un divano e le costruì una casa con le lego. Ma sapeva che non sarebbe potuto rimanere così per sempre.

Un giorno allora decise di andare a cercare vicino al marchingegno ed inaspettatamente trovò un bigliettino bianco un po’ stracciato con su scritto:<la tua amica salverai se gli enigmi risolverai>.

Mike pensò molto a questa frase e capì che da solo non sarebbe mai riuscito a compiere questa missione. Allora decise di  coinvolgere i suoi compagni. Raccontò loro tutto e decisero di aiutarlo, cercarono ovunque nella scuola tracce di indovinelli, ma non trovarono nulla.

Esausti, si sedettero in terra nel corridoio, tranne Gigi, il più grosso e paffuto del gruppo che si stese sopra una panca sistemata in mezzo al corridoio. Improvvisamente davanti a lui si aprì una grandissima porta nella parete. Senza volerlo probabilmente aveva trovato la via per risolvere il primo indovinello.

Gigi chiamò tutti e insieme varcarono la porta della prima stanza. Era tutta colorata e per pavimento aveva un gigantesco trampolino. La prova consisteva nel riuscire a prendere tutti gli stampi appesi ad un soffitto altissimo e creare un puzzle da usare come chiave per aprire la seconda stanza.

Si fece avanti Mary e disse:<Questo lo faccio io, sono una ginnasta>. Mike la guardò in faccia e arrossì, ancora offeso per quello che era accaduto i giorni scorsi. Aveva ancora impresso nella mente la terribile immagine del bacio, era ovvio che provava ancora qualcosa per lei.

Mary salì sul trampolino e fece dei meravigliosi salti altissimi, riuscì a prendere tutti gli stampi facendo diverse capriole nello scendere.

Così riuscirono ad accedere alla seconda sala, una stanza gigantesca, piena di libri come una biblioteca. La prova qui consisteva nel salire in uno dei cinque libri volanti che trovarono davanti a loro e riuscire a prendere almeno uno dei testi citati in una delle pagine del libro volate. Per compiere questa missione si propose Bea, la studiosa del gruppo che conosceva qualsiasi libro esistente al mondo. Era una ragazza mora con gli occhi marroni ed una corporatura esile ed indifesa. Si fece avanti e disse:<Adesso ci penso io, lasciate fare a me>.

Beatrice cercò l’elenco per trovare il libro giusto, ma quando cercò di sfogliare la pagina il libro si mise in volo e Bea rimase aggrappata ad esso a penzoloni per non cadere.

Tutti erano disperati e Bea ormai era presa dal panico quando vide un libro brillare, riuscì ad avvicinarsi, lo prese e, inaspettatamente, si ritrovò in piedi insieme agli altri, si abbracciarono tutti sbalorditi ed entrarono nell’ultima sala.

Era una stanza piccola e buia: davanti a loro si trovava una macchina in cui bisognava inserire una combinazione di quattro numeri. Mike fece un passo avanti e riuscì a trovare in poco tempo la combinazione sfogliando le pagine più luminose del libro che avevano preso nella stanza precedente. La macchina scricchiolando si aprì. Dentro vi era una piccola porta bianca proprio della stessa dimensione della professoressa. Mike prese Marta e la mise vicino alla porta. L’aprì ed entrò, nessuno  sapeva dove. Improvvisamente intravvidero dalle fessure della porticina, delle luci multicolore, poi tutto divenne buio e inaspettatamente Marta riapparì a fianco a loro. Tutti erano stupefatti, Marta era tornata nelle dimensioni normali!

Si abbracciarono affettuosamente e tornarono verso casa ancora increduli. Tranne Mary che si avvicinò a Mike e lo baciò improvvisamente dicendo:<Mi hai colpito là dentro>. Mike arrossì e sorrise senza dire una parola. Era troppo felice! Insieme presero la strada di casa, illuminati da uno splendido sole.

 

Teresa Guardigli

 

 

16

Ľospedale abbandonato

Parole scelte: Urlo, Paura, Ospedale

 

Era una sera lugubre e tenebrosa, di angoscia e tristezza, l’urlo del vento era incessante, la pioggia batteva ininterrottamente nel lucernario da cui si scorgeva uno spiraglio di luce lunare. Le finestre delle case erano chiuse e nessuno girava in strada. Il tempo scorreva lentamente e Robin, un bambino molto curioso si annoiava. Ad un certo punto passò un’ambulanza che stranamente si dirigeva all’ospedale abbandonato. Robin si chiese tra sé e sé <<Perché sta andando da quella parte?>> Comunque lui aveva sempre avuto il desiderio di andare a vedere quello che si nascondeva dietro a quell’orribile posto e cosí fece. Aspettó pazientemente che i suoi genitori si addormentassero per prendere la bici e partire all’esplorazione. Ma prima si chiese se fosse la cosa giusta o meno, ma poi vinse la sua determinazione. Lungo il tragitto la pioggia e il vento non facevano che peggiorare la situazione e Robin non faceva altro che ripetersi <<Perché ľho fatto, perché!>> La paura aumentava alimentata da un forte batticuore incontrollato, da togliere il respiro. Sentiva inoltre delle voci sussurrargli alľ orecchio <<Ragazzino non ne uscirai vivo…>> Lui non si arrese e continuó finché non vide un enorme cancello e ľambulanza che era proprio passata davanti a casa sua. Era sempre più convinto che in quel luogo stesse accadendo qualcosa di sospetto; <<Perchè se era abbandonato da anni, ora era parcheggiata un’ambulanza? Chi c’era all’interno? Chi si era sentito male? Chi aveva chiamato i soccorsi?>> Appoggiò cautamente la bici a terra ed entró. Notó subito che la porta era scheggiata e con orrore, vide qualcosa di rosso: non ci mise molto a capire che si trattava di sangue a quel punto l’istinto di sopravvivenza gli diceva che sarebbe dovuto tornare indietro e allontanarsi a gambe levate da quel luogo sinistro. Salí le scale, ad ogni scalino sentí l’eco dei passi alle sue spalle e d’istinto si velocizzó facendosi forza con l’aiuto del corrimano alla sua destra. Si voltó di scatto. Vide una specie di zombie con il volto coperto da una mascherina bianca, indossava un camice azzurro inzuppato di sangue e afferrava con la mano sinistra un coltello affilatissimo con la punta anch’essa sporca di sangue. Robin con lo stomaco sottosopra, brividi in tutto il corpo e battiti in gola, inizió a correre piú veloce della luce e si nascose nell’armadio di ferro di una camera dove trovó un cadavere disteso supino su di un letto differente da tutti gli altri letti. Stranamente attorno a lui sentì un lungo e assordante silenzio: uscí e corse in un’altra stanza dove vide qualcosa di ancora piú raccapricciante. Un corpo intubato privo di vita. Sentí delle urla provenienti dal corridoio, forse si poteva trattare di una vittima ferita da quello zombie. Cominció a correre senza una meta certa, quando vide una sala operatoria nella quale trovó strumenti per difendersi dallo zombie. Agguantò un bisturi affilato e lo affondò nel torace di quell’essere terrificante: emise un urlo che squarciò il silenzio e scomparve in una nuvola di vapore. Robin subito si preoccupò di liberare altre vittime recluse nel seminterrato. Una volta uscito da quell’incubo di posto, chiamò la Polizia, riprese la sua bici, assaporó la bellezza di tornare a casa con la mente libera e sana per aver salvato se stesso e la vita di tante persone.

 

                                                                  Alessia Giorgini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL TERRORE DEL CORONAVIRUS

Parole scelte:  NOSTALGIA   LONTANANZA   ANSIA   CORONAVIRUS  

 

Da quando ho sentito le prime parole al telegiornale che erano “BUONGIORNO A TUTTI , IL CORONAVIRUS SI E’ DIFFUSO IN L’ITALIA “ mi è venuta un’ansia terrificante  tanto che le mie ginocchia non reggevano il mio peso. Mi sono sentita molto confusa: sapevo che non avrei più potuto vedere le mie amiche, non sarei potuta andare a trovare i miei zii a Verona, non sarei potuta andare a comprarmi i vestiti o a  fare la spesa. Quel miscuglio di emozioni e strane sensazioni  era  come una pozione spettrale. Però ad una piccola parte di ogni studente piacerebbe non andare a scuola e infatti anche a me è piaciuto nei primi giorni l’idea di starmene a casa e ho pensato che sarebbe stato bellissimo stare  un  po’ senza fare i compiti .Dopo  cinque giorni mi sono annoiata, per fortuna abbiamo il giardino e l’orto dietro casa e ho potuto giocare con la corda, andare allo scivolo del mio fratellino che ha 1 anno e 9 mesi.  Anche se lo scivolo è piccolino mi divertivo a salirci sopra e giocavo con l’altro mio fratello a calcio. Ho giocato anche con il mio telefono, ho inserito nel mio stato di Whatsapp ”GODIAMOCI LA SETTIMANA DEL CORONAVIRUS” e tante faccine con la mascherina , e ho chiesto   ai miei compagni i compiti .Un giorno ho pensato che se noi avessimo scritto dei messaggi per esprimere come ci sentivamo e quanti erano morti, i paesi in cui c’era il Coronavirus e  il numero di contagiati e poi avessimo scavato una buca nella terra e ci avessimo buttato i bigliettini, ci saremmo sentiti meglio sicuramente. Ho pensato anche che chi non volesse scavare nella terra potrebbe prendere un palloncino gonfiato con l’elio e incollarci il messaggio sopra. Mi sa tanto che una delle due idee la realizzerò.

AYA

 

 

 

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La vita al tempo del Coronavirus

Parole scelte: Coronavirus-nostalgia-desiderio

 

E’ ormai un mese che siamo a casa, o meglio, CHIUSI IN CASA, senza poter uscire, senza andare a scuola, senza vedere nessuno, senza poter fare i propri sport… insomma siamo privati di tutto!

In questi ultimi mesi abbiamo infatti modificato completamente la nostra vita di ogni giorno.

Non posso negare che sia un momento difficile per tutti, in questi giorni vorrei tanto che la mia vita, ma anche quella degli altri, tornasse alla normalità, senza nessun Coronavirus e tutte queste complicazioni.

In questo mese ho capito che la scuola non è solo un obbligo, ma divertimento e sapere…

A chi non manca ogni ora alzarsi in piedi perché entrano i Professori, oppure sentire Rassel chiedere ogni mezz’ora: “Prof. posso andare in bagno, è urgente”, oppure avere solo il piacere di poter guardare di persona i professori e i compagni.

Mi manca molto anche il mio sport: “pallavolo”, mi manca vedere le mie compagne, sentire il mio allenatore parlarmi, spiegarmi le cose, sgridarmi…, ma mi manca anche molto il non poter giocare le partite, toccare la palla… cosa che credo tutti quelli che fanno sport provino.

Non mi dispiacciono le video lezioni, ma mi stancano molto più di quelle normali.

Le video lezioni ti privano di un po’ cose: il non poter scambiare almeno una parola con il proprio compagno di banco, che a tutti capita, anche a quelli più diligenti, l’avere sempre un problema con la connessione o con il microfono, il che crea perdita di tempo.

Ho il desiderio di stare all’aria aperta, non ce la faccio più a stare chiusa in casa!

La prima settimana eravamo tutti felici di stare a casa, c’era chi diceva:”Grazie Coronavirus che ci fai stare a casa!!”, dicevano tutti così perché nessuno sapeva quanto saremmo rimasti a casa,  sembrava una normale settimana quasi di vacanza, ovviamente lo sapevamo già che esistesse il Coronavirus, ma non eravamo ancora così sicuri di quanto  fosse pericoloso.

Noi, per lo meno io, immaginavamo che saremmo ritornati a scuola la settimana dopo, invece no, facemmo un’altra settimana a casa, poi un’altra….

Alla terza settimana, fu eliminato il divieto di praticare sport nelle palestre.

Io feci tre allenamenti, e uno di quelli era una partita.

La settimana dopo dissero che non potevamo più fare sport.

Da lì le notizie iniziarono a peggiorare, ad essere sempre più preoccupanti, quindi la gente iniziò a capire in che situazione eravamo.

Ora siamo in pieno ISOLAMENTO, non vedo l’ora che finisca tutto questo perché mi sento stanca di stare a casa, ho nostalgia e desiderio di ritornare alla mia vita normale!

Come si dice in questo periodo: “ANDRÀ TUTTO BENE!”,però succederà solo se  rispetteremo le regole.

Facciamo quello che ci dicono e andrà tutto bene!

 

 

 

 

Ludovica De Troia

 

 

 

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I DUE RAGAZZI INNAMORATI

 

Ogni sera la signora Maria incontrava al parco due ragazzi innamorati Marco e Sofia che

facevano la solita passeggiata, si salutavano e si scambiavano due parole. Ma, non sapeva perché, all’improvviso sentì una brutta sensazione ma non le diede molta importanza e tornò a casa .

La sera successiva ritornò a fare la sua passeggiata ma non incontrò i due ragazzi.

Ogni giorno percorreva la stessa strada ma non li vedeva più passeggiare .

Passarono giorni, andando in edicola comprò un giornale e trovò una notizia: era sparita la coppia innamorata che incontrava sempre al parco. La polizia li stava cercando, ma di loro al momento non c’era traccia. La signora Maria era incredula della notizia. Andando tutte le sere a fare la passeggiata vide qualcosa di strano nella stradina del parco: al posto di una panchina era cresciuto un albero intrecciato.  La signora Maria rimase perplessa, sorpresa dalla visione, pulì gli occhiali e osservò più attentamente, ma quando i due tronchi presero  quasi l’aspetto umano la  signora si lasciò sfuggire un  urlo: erano proprio Sofia e Marco. I due ragazzi sarebbero stati così uniti per sempre, e il loro amore sarebbe stato cresciuto in eterno, con il crescere dell’albero custodito in quel parco .

Ogni sera, la signora Maria passeggiava vicino a quel luogo incantato, sapendo dentro di sé che quei due alberi erano in realtà i due ragazzi scomparsi.

 

 

Danesi Federico

 

 

 

 

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LA PIÙ BELLA

Parole scelte: BELLEZZA,MERAVIGLIA,RABBIA

A una brutta figlia di una strega cresce la gelosia della bella sorellastra. La brutta figlia non sapeva come diventare bella, ma lo desiderava tanto. Era stanca di essere sempre additata per il suo nasone orrendo e gli occhi strabici, per le sue gambe storte e i denti all’infuori. Provò con più tentativi a truccarsi e vestirsi meglio, ma ancora nessun risultato, era proprio uguale a sua madre che era anche lei una strega. Allora andò dalla bella sorellastra a chiedere qualche consiglio e lei le disse:-Se vuoi essere bella, ti devi sentire bella! Allora la brutta figlia provò a convincersi di essere bella.

Ma dopo tanti tentativi ancora non ci riuscì. Ogni volta che si guardava allo specchio la dura realtà le faceva svanire ogni buon proposito. Cambiò strategia e pensò che quello che le aveva detto la sorellastra fosse tutto falso. Andò da lei e le disse:-Lo so che quello che mi hai detto è tutto falso! Dimmi la verità su come ci si fa a diventare belle! E lei rispose:-Guarda che quello che ti ho detto sono le uniche cose che ho da dirti! Se tu non riesci a diventare bella vuol dire che non hai speranza! Con quei brufoli in faccia fai vomitare! E disse:-Dimmi la verità! La sorellastra rispose:-Non sei bella, perché non ti fai mai trattamenti al corpo, e non avrai mai dei vestiti sbrilluccicanti come i miei! Allora la brutta figlia decise di andare in camera sua e aspettare che la sorellastra si addormentasse, per andare ad ucciderla. La sorellastra andò a letto a dormire e la brutta figlia la uccise con una coltellata dritta al cuore. Dopo la morte della sorellastra, la brutta figlia le rubò tutte le sue cose: dopo una settimana lei era diventata la più bella. Sua madre, che era una strega, la guardò con incanto, cambiò il nome da Brutta Figlia a Splendida Figlia.

 

 

 

Ciaburri Federica

 

 

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I SOGNI: ALCUNI FANNO MOLTA PAURA.

Parole scelte:PAURA,FORZA,DEBOLEZZA,PANICO

 

Quel giorno ero in un sogno. Vidi una lupa: i suoi occhi mi colpirono perchè mi fissavano come se volesse parlarmi, il manto era beige e marrone e si trovava all’entrata di una grotta. All’improvviso la raggiunse il maschio del branco: era alto e possente ed era diventato il capobranco per la sua aggressività; ogni avversario che voleva prendere il suo posto nel branco veniva da lui ucciso. Mi offrirono un caffè e io lo bevvi, ma dopo qualche minuto mi sentii girare la testa, non stavo mi addormentai. Dopo qualche ora mi risvegliai sopra a un fuoco legato con una corda e i due lupi invece erano sotto che sogghignavano.  Chiesi loro: “Ma perché mi avete addormentato ??? E loro si misero a dire che io avevo fatto male a loro e ai  loro figli ma io replicai:” Che sciocchezze state dicendo? Io ho sempre rispettato voi e la vostra famiglia e non potete dire che io gli ho fatto del male perché sono sempre stato buono e vi ho sempre rispettato e difeso da tutti”.  Non mi ascoltarono e fecero scorrere piano piano la corda verso il fuoco. Non sapevo più cosa fare, avevo un gran caldo e non capivo più niente: pensavo a come avrei potuto uscire da quella situazione, in quel momento tutta la mia vita mi scorreva davanti e sapevo che stavo per morire. All’improvviso sentii la voce acuta della mamma: ”RASSEL!!! Ti ho detto che è ora di alzarsi”. A quel punto capii tutto e tirai un respiro di sollievo. Avevo riempito il letto di sudore ma mi resi conto che era stato solo un sogno, un sogno spaventoso che non vorrei rivivere mai più.

Quanto odio i sogni paurosi!!!!

 

Rassel

 

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TESTO HORROR

 

Un giorno, in cui il cielo era nuvoloso, quattro bambini decisero comunque di andare fuori a fare una passeggiata. Appena ritrovati nel punto che avevano deciso Marco, Paolo, Giuseppe e Stefano, che erano molto amici, decisero di incamminarsi verso un piccolo bosco che non avevano mai visitato .Quasi a metà della strada iniziò a piovere molto forte e quindi Paolo, il bambino più prudente del gruppo, propose di ritornare subito a casa. “ Non è il caso di continuare o ci bagneremo tutti! Esclamò preoccupato. “Ci torneremo appena ritornerà il sole!”.

Ad un certo punto, guardandosi attorno, Marco vide una casa in lontananza che in apparenza sembrava abbandonata: i muri erano scrostati, le persiane divelte e il tetto in parte era crollato.

Visto che era il più avventuroso propose di andare a ripararsi. Al suo interno e così, anche se qualcuno a malincuore, decisero di raggiungere la casa. All’ esterno i muri erano sporchi , pieni di muffa con delle crepe in superficie. Ai bambini sembrò pericolante, ma non ebbero paura e ci entrarono lo stesso. Aprirono la porta di ingresso cigolante e per sicurezza la lasciarono aperta. Iniziarono ad osservare cosa ci fosse all’ interno: andarono in cucina e, ispezionandola, videro degli sportelli che iniziarono ad aprirsi da soli. “Cosa sta succedendo?” esclamò Paolo. Marco gli rispose che probabilmente era colpa del vento e tutti accettarono come probabile quella spiegazione e si tranquillizzarono. Paolo, che invece si era davvero spaventato molto. stava per guardare al loro interno per capire cosa c’era quando sentirono degli strani rumori e delle grida che provenivano dal piano superiore. L’emozione di tutti salì a mille: i loro cuori battevano all’impazzata e sapevano di essere davvero in pericolo. Salendo le scale scricchiolanti ad ogni passo era come se gli scalini dovessero rompersi, poi, all’improvviso videro dei muri sporchi di sangue ed un coltello a terra .I quattro ragazzi sentendo dei passi provenienti dalla camera da letto si impaurirono sempre di più , però Marco che era il più coraggioso, decise di andare a controllare cosa ci fosse al suo interno .Entrando dentro la stanza vide un armadio mezzo aperto e perciò sbirciò all’interno. Rimase colpito nel vedere un cadavere steso al suolo. “Chi era quella persona? Vide che era un uomo di mezza età con un profondo solco nel collo. Forse l’arma del delitto era proprio quel coltello che avevano visto per terra. Mentre avvisava i suoi amici del pericolo iniziarono a chiudersi e riaprirsi gli sportelli del comodino ed il letto a muoversi. Dopo aver capito la situazione che stavano affrontando terrorizzati scapparono verso l’uscita. Scendendo di corsa le scale videro il portone chiudersi violentemente e, pensando di essere spacciati, tentarono in tutti i modi di aprire la porta senza riuscirci. Cercarono di gridare aiuto ma nessuno andò a salvarli. Da quel giorno i bambini erano scomparsi, tutti li cercarono per più giorni sia e famiglie che la polizia, ma nessuno da quel giorno riuscì più a trovare loro tracce.

 

 

Matteo Montesi

 

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Non aprire quella porta.

Parole scelte: Paura, ansia e angoscia.

Era un venerdì sera e mi venne offerto un lavoro da maggiordomo nella villa dei coniugi Casalboni: dei signori molto ricchi che abitavano in una villa grande e isolata. La paga era molto alta ed ero senza lavoro, accettai senza farmelo dire due volte. Mi presentai nella villa, dove Giorgio Casalboni e sua moglie Claudia vivevano: mi spiegarono quale era la mia camera e mi dissero: “Signor Alberto lei può usufruire dei servizi della casa, ma mi raccomando non vada mai giù in cantina e non apra la porta numero 237.” Io un po’ dubbioso dissi che non avrei mai aperto quella porta senza chiedere spiegazioni. La notte non riuscii ad addormentarmi, pensavo a cosa poteva celarsi dietro la porta 237. Una sera ero così tanto curioso che rubai le chiavi delle cantine per andare a vedere cosa c’era; scesi lentamente le scale. Era tutto buio e umido ma mi feci luce con un accendino; quando arrivai di fronte alla porta 237 vidi che era diversa dalle altre,era in ferro con molte serrature.

Quando girai la chiave sentii graffiare e, in preda al panico, scappai lasciandola aperta. Il giorno dopo era successa una tragedia: il cadavere del signor Casalboni era stato trovato senza vita nella sua camera appeso con un coltello alla parete e con il suo sangue il Killer aveva scritto “Grazie per avermi liberato”. Chiamai subito la polizia. I poliziotti indagarono per settimane, ma non fu trovato il colpevole e così dichiararono il caso irrisolto. Giorni dopo, la mattina del 23 Marzo, quando mi svegliai vidi che la signora Casalboni era stata uccisa e che con il suo sangue era stato scritto “Ora tocca a te“ Mi diressi subito al telefono per chiamare la polizia, ma era stato staccato, corsi verso la porta principale, ma mi accorsi che era stata bloccata e sopra c’era  scritto  “Non puoi scappare” . Voltandomi vidi che c’era un uomo con la divisa da maggiordomo sporca di sangue, con la faccia ustionata e con un’ascia in mano. Urlò! “Sai, anche io ero il maggiordomo dei Casalboni, ma un giorno stavo preparando la cena e la pentola con l’acqua bollente mi si rovesciò addosso: svenni dal dolore, quando mi risvegliai mi ritrovai rinchiuso in una piccola stanza, passai anni a meditare la mia vendetta. Ora ucciderò anche te!!  Scappai in bagno e mi chiusi dentro, sentii i passi pesanti del Killer venire verso di me.

Quando arrivò sulla soglia della porta ci fu un attimo di silenzio, poi si mise a spaccare la porta e disse: “Non puoi scappare! Ti  prenderò.

Quando entrò io presi delle forbici appoggiate sul lavandino e gliele conficcai in gola.

Il Killer cadde a terra e pronunciò le sue ultime parole: “Mi vendicherò”. Rimasi per qualche secondo fermo, scioccato e mi diressi verso la caserma della polizia e raccontai tutto.

 

Albonetti Matteo

 

 

 

 

24

 

La vendetta di Snappy

 

La mamma chiama Peter per dirgli che deve andare a scuola.

Il ragazzo intravede dalla finestra un fumo nero e denso, non riesce a vedere oltre, è veramente spaventoso.

Pian piano il fumo entra nella stanza, qualche minuto dopo è circondato dal nero; non sa più cosa pensare, cosa sta succedendo? Sto per morire soffocato?

Sente che l’aria gli sta mancando, si sente soffocare e sviene cadendo a terra.

Quando si sveglia vede un uomo che sta scrivendo su alcuni libri.

Quando finisce di scrivere una creatura così strana e indescrivibile esce dal libro e comincia a giocare con lui.

Peter pensa:” Questo uomo è veramente strano e senza amici se fa queste cose! :”.

Ad un certo punto la vita dello scrittore è volata in un attimo ed è diventato un adulto, ormai quei libri non li usa più.

Cadono per terra e dalle pagine le lettere cominciano a creare mostri che causano distruzione ovunque passano.

Peter si avvicina incuriosito e legge un libro intitolato “SNAPPY”: capisce che l’unico modo per farli scomparire è creare un nuovo libro con la macchina dello scrittore e scrivere un lieto fine dove i mostri scompaiono.

Peter si è svegliato e il fumo nero è scomparso, la mamma lo richiama, il protagonista la ascolta e si prepara per andare a scuola.

Una volta arrivati la scuola manda un annuncio ai genitori e dice loro che è necessario andare a prendere i propri figli per un problema scolastico.

Tornato a casa comincia a pensare al sogno che aveva fatto e a quello che era successo a scuola.

Mentre pensa si ricorda che a scuola c’ è una macchina da scrivere simile a quella di cui si ricorda.

Il giovane parte per la scuola di nascosto, senza farsi vedere da sua mamma perché gli avrebbe fatto sicuramente tante domande e forse non gli avrebbe permesso di uscire.

Nel tragitto trova un gruppo di gnomi come quelli che si trovano nel giardino, ma più strani, sciolti come se fossero stati in un forno.

Quando si ferma per guardarli stupito uno di loro gli tira una forchetta, senza pensarci un attimo, Peter corre a gambe levate mentre gli gnomi continuano a tirargli forchette.

Per la strada incontra un ragazzo di circa la sua età che è seduto in una panchina a guardare il telefono.

Gli gnomi li hanno seguiti fin lì, i due giovani spaventati entrano in un supermercato, per fortuna hanno chiuso la grande porta in tempo perché uno gnomo sta volando verso di loro, ma lui e il suo cappello si infilano nella porta bloccandosi.

Mentre cercano l’uscita vedono un lupo mannaro con dei jeans blu e peli dappertutto.

John, il ragazzo, cade su una bottiglia d’acqua e il lupo lo sente ,Peter si nasconde dietro uno scaffale e lo sbadato ragazzo sotto a un tavolo, il lupo ci salta sopra e il giovane si affaccia per vedere dove si trova, ma della saliva puzzolente gli cade sopra al naso.

Dopo il lupo torna a mangiar la sua carne nel freezer, trovano l’uscita e se ne vanno da quell’ orribile supermercato.

Vedono una mantide religiosa gigante che li sta seguendo, salgono in un bus fermo ad una fermata con le chiavi inserite, mettono in moto e scappano.

Fortunatamente riescono a seminarla e a scappare e si ritrovarono in un cimitero.

Ormai fatta notte i ragazzi camminano nel cimitero e a metà strada sentono dei rumori: degli zombi escono dalle loro tombe e li prendono per le gambe cercando di trascinarli sottoterra.

Prendono John, ma se non fosse stato per l’aiuto di Peter sarebbe diventato uno di loro.

Riescono a guadagnare l’uscita, ma c’è il cancello chiuso, Peter riesce a passare, invece John, essendo più robusto, è in difficoltà. Dopo vari tentativi riescono ad uscire dal cimitero e, una volta arrivati a scuola, trovano la macchina da scrivere, ma Snappy, un burattino che chiude le porte a chiave, non li fa più uscire.

Per fortuna trovano le chiavi e riescono ad uscire, cominciando a scrivere la storia.

Snappy chiama un mostro che gli porta un libro da cui esce uno viola gelatinoso ed enorme, e i ragazzi cominciano a scappare.

John vede una ruota panoramica e ci salgono sopra, riescono a finire il libro e lo lanciano per terra, si apre e tutti i mostri ci entrano dentro, per poi distruggerlo.

Peter si sveglia e capisce che è un sogno.

 

Bagnolini Edoardo

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L’uomo senza memoria

Parole scelte: Ansia, tristezza e uomo

 

Un giorno un uomo stava lavorando nel suo studio dentro casa quando, ad un certo punto, sentì una voce silenziosa e suadente provenire dal seminterrato. Si girò di colpo, quella voce lo attirava dicendogli: “Vieni da me, coraggio vieni da me…. “

Preso dall’ansia, ma anche dalla curiosità andò nel seminterrato seguendo la voce. I suoi passi erano lenti e i suoi occhi attenti. Il suo sguardo, guidato dalla voce, si posò su un tavolo da lavoro dove era appoggiato un calzettino da neonato bianco e bucato.

Lo prese in mano e la voce sparì. Pensò a come potesse essere finito lì un calzino così piccolo, chi poteva averlo messo? Lui in quella casa viveva da solo. Poi se lo mise in tasca, tornò al lavoro e non ci pensò più.

Il giorno seguente mentre si preparava la colazione sentì ancora quella vocina insistente e accattivante e decise di seguirla, arrivò in sala e trovò un bavaglino sporco sopra il divano. Meccanicamente lo prese e se lo mise in tasca e tornò al lavoro, ma era preoccupato e pensieroso, in casa non c’era nessun bambino!

Il giorno dopo la voce si ripresentò e questa volta proveniva dalla cucina, lui ci andò e trovò un ciuccio ammuffito, morsicato e sbiadito sotto la sedia. Di nuovo lo prese e lo mise in tasca, automaticamente, ma era sempre più angosciato e atterrito. Il cuore gli batteva fortissimo e aveva paura, non capiva. Di chi erano quelle cose? Perché erano in casa sua?

Quella notte fece fatica a dormire e la mattina seguente sempre più confuso e agitato si alzò e scese in cucina. Sperava soltanto che tutto fosse finito e invece…

Trovò davanti a sé una bambina dall’aspetto trascurato e dallo sguardo triste. Aveva i capelli a caschetto arruffati, la faccia era arrossata dal freddo e screpolata dal vento. Le mani erano sporche e dalla pelle secca. Era scalza e i piedi erano luridi,  ma la cosa più inquietante erano gli occhi vitrei e umidi come se stessero per piangere.

Lui preso dal panico scappò verso il bagno a sciacquarsi la faccia, voleva dimenticare tutto! Voleva che quell’immagine sparisse per sempre!

Appena aprì la porta vide la bambina riflessa nello specchio. Fuggì ancora, terrorizzato, cadde e si rialzò e riuscì a nascondersi in camera.

La bambina era lì, ai piedi del letto che lo fissava e gli occhi erano sempre più grandi, imploranti e terrificanti.

Piangendo e urlando di terrore l’uomo uscì di casa e si precipitò in strada correndo, finché si trovò di fronte a un’edicola e improvvisamente si fermò. Era stato attirato da un giornale appeso sopra il vetro dell’edicola. Il titolo diceva: Bambina scappata da un orfanotrofio morta in un incidente!

Solo allora e di colpo l’uomo capì tutto: quella bambina spaventosa che aveva visto a casa e che lo angosciava da giorni era sua figlia! Lui, infatti, l’aveva abbandonata sulla porta di un orfanotrofio appena nata. Sette anni prima sua moglie era morta durante il parto e lui era convinto di non riuscire a occuparsi della bambina.

Non aveva mai più pensato a sua figlia, perché il dolore per la perdita della moglie era stato fortissimo. Non l’aveva più cercata, e lei, che a sette anni era morta, finalmente poteva rivedere suo padre!

 

 

Anita Canali

 

 

 

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