Alla scoperta dell’Antico Testamento by SETTE MARIA ANTONIETTA - Illustrated by Sette Maria Antonietta - Ourboox.com
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Alla scoperta dell’Antico Testamento

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Artwork: Sette Maria Antonietta

  • Joined Apr 2020
  • Published Books 2

 

L’Antico Testamento potrebbe essere definito anche, parzialmente, come una sorta di raccolta di antichi scritti ebraici, in quanto comprende la storia e la letteratura di un’intera nazione. Ma in realtà è molto di più, e lo si scopre andando avanti con la lettura fino alla fine della Bibbia.

L’Antico Testamento è suddiviso in quattro parti: Pentateuco, libri storici, poetici e profetici.

  1. Il Pentateuco narra degli inizi del mondo e introduce la storia di Israele; è suddiviso in 5 libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Vi possiamo scoprire diverse caratteristiche di Dio:
    • la sua sovranità  sul creato e sulla scelta di un popolo attraverso Abramo e i suoi discendenti, ai quale promette anche il paese di Canaan come eredità;
    • la sua potenza  nel liberare il popolo;
    • la sua santità ;
    • la sua severità  verso gli increduli e la sua bontà verso il popolo scelto;
    • la sua fedeltà  nel condurre il popolo, che viene protetto fino all’ingresso nella Terra promessa.
  2. I libri storici sono dodici e descrivono le vicende del popolo d’Israele, come il suo ingresso nella terra promessa sotto la guida di Giosuè, la conquista del paese, le numerose infedeltà e i vari ritorni al Signore, l’introduzione della monarchia, le invasioni da parte di Assiri e Babilonesi fino alle deportazioni. Poi, dopo settant’anni di esilio, il ritorno in patria, la ricostruzione delle mura e del Tempio a Gerusalemme. Dopo tali avvenimenti, la narrazione si interrompe per un periodo di quattrocento anni.
    Tutto questo lo troviamo nei seguenti libri: Giosuè, Giudici, Rut, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, 1 e 2 Cronache, Esdra, Neemia e Ester.
  3. I libri poetici sono cinque e rappresentano dei veri capolavori di letteratura e soprattutto dei tesori spirituali.
    Nel libro di Giobbe, si parla di un uomo fedele a Dio, ma colpito da innumerevoli mali che suscitano interrogativi angosciosi ai quali la filosofia e la sapienza umana non sono in grado di trovare delle risposte.
    Nel libro dei Salmi troviamo invece molte espressioni di uomini di Dio, che ancora oggi sono una fonte inesauribile di consolazione e ci spingono a lodare Dio.
    I Proverbi sono per lo più una raccolta di massime di saggezza, concise e di sicuro impatto per chiunque le inizia a leggere e ad applicare alla propria vita.
    L’Ecclesiaste (che significa “predicatore”) è lo scritto di un re di Gerusalemme che, rivolgendosi al popolo di Dio senza rendere esplicito il suo nome, si interroga sul senso della vita.
    Il Cantico dei Cantici è una rappresentazione molto poetica che esalta l’importanza dell’amore tra gli sposi ed è una meravigliosa metafora dell’amore che lega Dio alla chiesa.
  4. I libri profetici raccolgono i messaggi dei profeti di Israele. Un profeta di Dio era un canale che egli usava per trasmettere la sua parola al popolo e annunciare anche eventi futuri.
    Israele aveva il compito di essere il portavoce di Dio fra gli altri popoli, ma, a causa delle continue infedeltà, veniva meno al suo compito.
    Per riportarlo all’ubbidienza, Dio suscitava continuamente dei profeti, il cui messaggio vivo e potente aveva non solo lo scopo di metterli in guardia dai pericoli comportati dall’idolatria e spingerli al ravvedimento, ma anche di annunciare la venuta e la gloria del Messia che li avrebbe liberati.
    Ognuno di questi profeti che si avvicendarono aveva caratteristiche particolari. Tutti parlarono di ciò che ancora non si vedeva e spesso morirono prima che le loro predizioni si avverassero, ma quello che Dio aveva ispirato loro si realizzò alla lettera nei secoli successivi e alcune loro profezie si stanno adempiendo sotto i nostri occhi.
    Non possiamo certo avere dubbi sul fatto che questa sezione della Bibbia abbia un messaggio anche per noi oggi: ciò che suscita davvero interesse è la rivelazione di Dio che contiene. L’intera Bibbia è un libro vivo e sempre pronto a comunicare i pensieri di Dio a chi li vuole conoscere.
    I libri profetici sono: Isaia, Geremia, Lamentazioni, Ezechiele, Daniele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.
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Abramo, l’uomo scelto da Dio

L’antenato degli Ebrei e degli Arabi secondo la Bibbia

La figura di Abramo è un simbolo del rapporto ideale tra il popolo d’Israele e il suo Dio: per la sua fede e per la sua obbedienza egli diviene il capostipite di un grande popolo e stringe un patto di alleanza con Dio, che gli promette il possesso eterno della terra di Canaan (Siria-Palestina)

La storia di Abramo

All’inizio della sua storia, narrata nel libro della Bibbia chiamato Genesi, Abramo emigra dalla sua terra d’origine alla terra di Canaan, dove stringe un patto di alleanza con Dio. Egli ha un primo figlio dalla schiava Agar, Ismaele, che sarà il capostipite degli Arabi; per intervento di Dio avrà poi un figlio anche dalla moglie Sara, Isacco. Ad Abramo e alla sua discendenza Dio promette il possesso eterno di una terra assai estesa, che va dai regni di Israele e di Giuda dell’epoca all’attuale territorio di Siria e Libano.
Secondo gli studiosi moderni Abramo non è una figura storica: sebbene il racconto della Genesi lo collochi nel 2° millenio a.C., in realtà egli viene descritto come un nomade del 1° millennio a.C. (pare fosse proprietario di cammelli). Probabilmente Abramo era un personaggio della tradizione ebraica che fu usato come simbolo del nuovo rapporto tra Dio e il popolo ebraico dopo la fine del regno di Giuda e l’esilio in Babilonia.
Abramo rappresenta il popolo che stringe una nuova alleanza direttamente con Dio, contrariamente a quanto avveniva presso tutti i popoli antichi dell’Oriente, che facevano del re l’unico mediatore tra gli dei e gli uomini. Inoltre nella storia di Abramo la promessa della terra non dipende dalla fedeltà degli uomini alle leggi divine, ma solo dalla sua eccezionale fede in Dio. In libri biblici più antichi rispetto alla Genesi (Geremia ed Ezechiele) si parla invece di una promessa fatta da Dio al popolo d’Israele durante l’uscita dall’Egitto. Durante l’esilio in Babilonia, che fu appunto interpretato come punizione per i peccati d’Israele, si diffuse l’idea che questa promessa era stata fatta al più antico antenato degli Ebrei, come leggiamo nel libro Ezechiele (ma va ricordato che il profeta non era d’accordo con questa idea).
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Il dipinto di Chagall e l’icona di Rublev rappresentano due modi di comprendere la visita del Signore ad Abramo. Chagall interpreta il racconto dal punto di vista degli antichi commentatori ebrei. I misteriosi visitatori sono tre angeli: Michele, che annuncia a Sara la nascita di Isacco; Raffaele, che guarisce Abramo dopo la circoncisione; e Gabriele, venuto per distruggere Sodoma. L’icona di Rublev si ispira all’interpretazione dei Padri della Chiesa, che hanno visto nei tre visitatori l’immagine della Trinità. Il racconto, e le immagini, ci ricordano che « il Dio della Bibbia è Lui che si avvicina a noi, sin dal tempo della sua visita ad Abramo » (Paolo De Benedetti).Il racconto, un caso da manuale di “teologia narrativa”, è scandito in tre scene: La visita del Signore e l’ospitalità di Abramo (18,1-8), l’annuncio della nascita di Isacco e l’incredulità di Sara (18,9-16a), la disputa di Abramo (riv) con il Signore (18,16b-33). « Le circostanze del racconto sono concrete: Il Signore è apparso in un luogo conosciuto, in un momento determinato, agli antenati del popolo d’Israele. Il testo è molto più vicino alla “realtà” di quanto non lo sia una “parabola” propriamente detta, ove i personaggi sono anonimi » (Jean Louis Ska). La visita del Signore e l’ospitalità di Àbramo(Genesi 18,1-8)II Signore appan’e a lui alle Querce di Martire, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». …Annuncio della nascita ed incredulità di Sara(Genesi 18,9-15)Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia”? C’è forse qualchecosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma egli disse: «Sì, hai proprio riso».
Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello chesto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto conl’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con Tempio, così che il giusto sia trattato come Tempio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terranon praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». …Cosa dice a noi questo raccontoHo parlato di teologia narrativa – cioè di quella modalità particolare di parlare di Dio “mettendolo in scena”come in un dramma. Solo il lettore conosce la vera identità dei “visitatori”. Abramo e Sara dovranno riconoscere i loro ospiti a partire da quello che vedono e sentono: tre uomini che accettano l’ospitalità e promettono a Sara la nascita di un figlio (vv, 1-8; 9-15).L’annuncio della nascita di un figlio è accolto da Sara con un sorriso d’incredulità e dal silenzio di Abramo. E questo dovrebbe darci da pensare. E la terza volta che Abramo riceve la promessa di un figlio, ha novantanove anni (Gen 17,1), e ritiene la promessa impossibile da realizzare « Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?” » (Gen 17,17). Abbiamo letto che “Abramo credette”, ma la sua fede fu a caro prezzo: ha dovuto attendere 25 anni per vedere che non c’è “qualcosa d’impossibile” per il Signore (v. 14).« L’esperienza della lettura del brano, dal canto suo, consiste in fondo nello scoprire un Dio che fa ridere Sara, un Dio che scopre la sua risata, mentre elle stava ridendo di nascosto, e che rivela in questo agire qualche cosa del suo mistero. Per partecipare a questa esperienza originaria per il popolo d’Israele, il lettore viene invitato a rinvenire gli altri sorrisi nascosti – ovvero l’ironia segreta – del racconto ». (Jean Louis Ska).Nella terza scena Abramo è rimasto solo con il Signore. Nonostante l’incredulità manifesta, rimane l’amico di Dio, destinatario della promessa, « io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto » (v. 19). E cosciente di essere “polvere e cenere” (v. 27), ma ha il coraggio di disputare con Lui per indurlo ad essere più giusto di quanto non appaia. Il card. Martini commenta così questo episodio:Chi è Abramo? Come si presenta qui Abramo? Abramo è l’amico di Dio ardito fino alla sfacciataggine, perché vuole conoscere Dio fino in fondo, e potremmo quasi dire che, in questa sua sfacciataggine, gli è molto perdonato perché ha molto amato; cioè vuole amare Dio immensamente e vuole talmente capirlo e giustificarlo agli occhi di se stesso e del mondo, che gli fa le domande più audaci. Abramo lotta con Dio anche perché si sente responsabile davanti a Dio del suo fratello e della città dove suo fratello vive, al quale quindi è legata; e lotta con Dio con lo stesso accanimento con cui ha lottato con i suoi 318 uomini contro i quattro re. Lotta e preghiera. Abramo si è buttato nella lotta fino alla morte per salvare Lot e qui si butta nella preghiera fino quasi all’irriverenza; ma lo fa nella pienezza della fede per capire il disegno di Dio e per conoscere il problema di fondo L ’intercessione di Abramo(Genesi18,17-33) della giustizia di Dio verso l’uomo. Per questo motivo ho collegato nel titolo, “preghiera-lotta- teologia”; teologia ossia conoscenza di Dio. Attraverso tutte queste realtà l’uomo cerca di capire chi è il Dio della salvezza, il Dio vero; non quello che io mi immagino e penso, ma il Dio che agisce, giudica, opera, salva. (Carlo Maria Martini, Abramo nostro padre nella fede).
In verità, Signore,
l’evangelo della giustizia di Dioè il mio sostegno e la mia consolazione.
La mia incredulità teme il tuo giudizio, ma la fede che tu mi doni nel tuo amore per me scioglie nella speranza ogni angoscia dell’anima.
La certezza che tu solo abbia l’ultima parola sulle vere inclinazioni del mio cuore mi conforta.
La limpidezza del tuo sguardo mi tranquillizza,la comprensione della tua mente mi rassicura, l’umanità della tua condivisione mi dà pace.
(Carlo Maria Martini, Sto alla porta)
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Isacco, il secondo patriarca di Israele, è presentato nelle pagine dell’Antico Testamento come un personaggio non chiaramente delineato; inoltre, ci sono pervenute solo poche tradizioni che lo riguardano.
Nato quando suo padre Abramo era ormai centenario, rimase a lungo nell’immensa ombra del genitore, dando origine a un detto ironico: «Ogni Abramo è seguito dal suo Isacco».
Da ragazzo, Isacco si comportò passivamente di fronte al dramma più grave della sua esistenza, quando Dio comandò a suo padre di offrirlo in . Durante la vita cercò sempre di evitare ogni conflitto, allontanandosi dai suoi avversari. In tarda età, debole e quasi cieco, non riuscì a impedire che i suoi ultimi desideri venissero ostacolati dalla moglie e dal figlio più giovane, Giacobbe. Rimane tuttavia un esempio di pietà, di gentilezza, di dolcezza e costituisce il collegamento diretto tra le figure fondamentali di Abramo e di Giacobbe.
Ad Abramo, sempre più scettico, era stato promesso per 25 anni un discendente, e in effetti il nome Isacco è variamente spiegato nella Genesi in riferimento alla risata sarcastica di suo padre o di sua madre, Sara, all’idea che una donna novantenne potesse dare alla luce un figlio. Nel frattempo, dietro suggerimento della stessa Sara, Abramo, disperato perché rischiava di rimanere senza eredi, aveva generato Ismaele con la schiava Agar. Un’altra possibile spiegazione per il nome Isacco è che il figlio maggiore rise del fratellastro o, in altre parole, lo schernì. Gli studiosi biblici generalmente preferiscono, però, una spiegazione ancora diversa: “possa Dio sorridere”, una frase che chiede a Dio di guardare con benevolenza a Isacco. Qualunque fosse l’origine del suo nome, Isacco non lo cambiò mai come avevano fatto gli altri patriarchi, perché era stato chiamato così da Dio prima ancora di nascere.
In precedenza, i familiari di Abramo, compreso il tredicenne Ismaele, avevano eseguito il comando del Signore di farsi circoncidere come segno della loro fede. Ma Isacco sarebbe stato il primo discendente di Abramo a essere circonciso a otto giorni dalla nascita, una tradizione tutt’oggi osservata dagli ebrei. Infine, sia che Ismaele davvero molestasse Isacco sia che egli costituisse una minaccia soltanto nella mente di Sara, la donna convinse Abramo a mandare via il fanciullo ormai cresciuto e sua madre per avere la certezza che l’unico erede del marito fosse il figlio da lei partorito.
Per Isacco, tuttavia, il maggior pericolo sarebbe sorto da un ordine del Signore, alcuni anni dopo. Quando era già un ragazzo o forse un giovane uomo, Dio comandò ad Abramo di portare il figlio sul monte Moria e lì di sacrificarlo. La voce del ragazzo si fa sentire una sola volta. Quando arrivarono sul luogo del sacrificio, Isacco chiese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?» (Gen 22,7). All’enigmatica risposta di Abramo che Dio stesso avrebbe provveduto per l’offerta, il giovane replicò con un commovente e sottomesso silenzio. Tanto Abramo quanto Isacco furono ricompensati per la loro fede quando un angelo del Signore impedì al padre di uccidere il figlio e gli indicò una vittima sacrificale alternativa, un montone impigliato nei rami di un arbusto proprio lì nei pressi.
La famosissima scena ha ugualmente ispirato e turbato gli ebrei e i cristiani nel corso dei secoli. Forse per questa ragione, una tradizione ebraica estranea alle Scritture afferma che lo stesso Isacco, trentasettenne, ebbe l’idea del sacrificio per dimostrare che era più virtuoso del fratello maggiore Ismaele, il quale invece sosteneva di avere una fede superiore perché aveva scelto di essere circonciso quando era già grande e libero di farlo o meno. La storia è collegata con un’altra tradizione non biblica secondo la quale la scena del sacrificio provocò la morte di Sara, che avvenne proprio quando Isacco aveva 37 anni.
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Abramo e il sacrificio di Isacco

La figura di Isacco è meno problematica di quella di suo padre Abramo. La sua pacatezza e la sua fede nella guida di Dio lo resero un degno erede delle gloriose promesse fatte ad Abramo. Fu essenzialmente un uomo di pace.

 

Il vero sacrificio di Isacco, Dio non manda croci a nessuno.

La lettura moderna di un brano malinteso: liberi da sacrifici e da legami familiari nevrotici
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo! ”. Rispose: “Eccomi! ”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Gn 22
Una pagina misteriosa, quella della “legatura di Isacco”, in cui Dio appare come un sanguinario che ordina di uccidere il figlio della promessa ma che, letto con profondità, può svelare ancora una volta il vero volto del Dio di Abramo.
Anzitutto questo brano ci dice che il Dio di Israele non vuole sacrifici umani, come era invece consuetudine nei popoli vicini a Israele. Questo racconto esemplare vieta al popolo di Israele di scivolare in una visione sanguinaria della fede. Di più: la Bibbia mette in discussione una visione “sacrificale” e dolorista della fede, ancora troppo diffusa nel cristianesimo. Il sacrificio non è in sé positivo, Dio non ama il dolore e lo evita, se può. A volte il sacrificio è necessario a manifestare l’amore, come l’amato che muore per l’amata, come la madre che veglia insonne la malattia del figlio.
Occorre rivedere alcune visioni sempliciste della croce: Dio non invia la croce, la vita, gli altri, il nostro carattere possono essere crocifiggenti. Nella prova, però, emerge la parte più autentica di noi: esiste un “sacrificio” positivo, è il “sacrum facere” dell’amore, quello di Gesù che sceglie il dono totale di sé.
Questo brano dice, inoltre, che il Dio di Israele rompe il legame ancestrale tra padri e figli: Freud avrebbe molto da dire su questo! Esistono nel nostro inconscio degli ingombranti paradigmi etici e sociali (padre/autorità/divinità/potere/legge) che vengono clamorosamente smentiti dalla Bibbia. Come nel racconto del rapporto di Abramo con suo padre Terach, anche qui la riflessione è pungente: nel legame padre-filgio non c’è possesso, ma libertà, consapevolezza, scelta: Isacco appartiene a Dio, non a suo padre Abramo.
Infine Abramo capisce che il Dio di Israele è misterioso: egli viene sconvolto dalla richiesta di Dio, non possiede il pensiero di Dio, Dio è, anche se alleato e palese, misterioso e imprevedibile. Tutto ciò che ha donato può riprenderlo, la distanza fra noi e lui è immensa, l’uomo non deve fare un idolo della sua fede e della sua conoscenza. Da qui nasce il timore di Dio, che non è paura, ma consapevolezza del “mysterium tremendum” (R.Otto) a fianco del “mysterium fascinans”; sono due poli da tenere in continua tensione. Sarà Gesù ad assumere in sé questo doppio aspetto: non siamo più servi ma amici.
Abramo da parte sua, pensava di avere finito il suo percorso e deve ripartire da capo. La nostra vita evolve fino all’ultimo respiro, l’esperienza che portiamo nel cuore ci riempie la vita ma non ci mette mai al riparo da cambiamenti e svolte. Abramo, inoltre, fa esperienza dell’obbedienza assoluta: esiste un momento in cui la fede viene messa a durissima prova, tutto sembra essere sbagliato e fasullo, la nostra fede diventa nuda, la notte dei sensi e dello spirito prevale; in quei momenti impariamo a credere. Infine Abramo vive l’alterità di Dio: nel cammino dell’uomo, percepiamo, proprio avvicinandoci a Dio, della sua radicale alterità. Amare non significa possedere ma essere posseduti: per la Scrittura timore (di perdere l’amore) e amore convivono.
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IL VIAGGIO

               E’ APPENA

                             INIZIATO…

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