by soraya
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CAPITOLO 1
Preistoria
Matrimonio
Le prime unioni tra uomini e donne di cui si ha notizia sono riconducibili ai cacciatori europei dell’alto paleolitico.
Nelle caverne e nelle palafitte, prime forme di urbanizzazione primitiva, sono stati ritrovati spesso, in grandi quantità, asce, punte di freccia e raschiatoi, incisi con una amorevolezza esagerata e troppo perfetti per essere destinati ad un puro e semplice uso domestico o utilizzati come strumenti di caccia. Gli archeologi pensano, perciò, che tali oggetti avessero uno scopo puramente dimostrativo e seduttivo: servissero, cioè, agli uomini preistorici per impressionare le donne con la loro abilità e precisione.
Ruolo sociale
Le donne preistoriche erano legate alla cura dei figli e provvedevano al mantenimento del gruppo/famiglia. Loro conoscevano i cicli di riproduzione delle piante, ed i luoghi dove esse crescevano più abbondanti. Sapevano distinguere una specie vegetale dall’altra e conoscevano le proprietà d’ogni arbusto.
Mondo femminile: abbigliamento, gioielli, ecc…
Le donne impararono a trattare le pelli degli animali uccisi nella caccia e cominciarono ad utilizzarle per ripararsi dal freddo delle incipienti glaciazioni. Il procedimento non era semplice e così le donne iniziano ad utilizzare i primi aghi da cucitura, ricavati dall’avorio animale. Per quanto riguarda i gioielli, pare che le donne preistoriche ne erano gran amanti, ma erano fatti di materiali semplici come ad esempio semi, bacche, denti di animali e conchiglie.
CAPITOLO 2
Antica Grecia
Matrimonio
1 – La moglie (damar o gynè): essa era “adibita” solamente alla procreazione degli eredi, non aveva alcun diritto e non partecipava alla vita sociale, che era appannaggio esclusivo del mondo maschile. Veniva destinata al futuro marito fin dalla più tenera età e si sposava attorno ai quattordici anni.
Molto differente era, comunque, la legislazione riguardante la donna ed il matrimonio nelle due principali città greche: Sparta ed Atene.
Ad Atene una donna si sposava, come accennato in precedenza, attorno ai quattordici anni e da quel momento in poi il suo unico compito era quello di dare al marito gli eredi legittimi. Tutti i beni che la donna ateniese portava in dote, passavano direttamente nelle mani del marito, una volta che il matrimonio veniva celebrato, e ad essa non spettava più nulla, neppure l’eredità che veniva interamente assorbita nel patrimonio della sua nuova famiglia.
A Sparta, invece, non esisteva alcuna legge che regolamentasse la vita privata e al vita pubblica della donna, e spesso le donne vivevano nella sfrenatezza più totale e quindi, quando si sposava, la sposa era padrona della sua persona e della sua dote.
Vita coniugale
Il marito poteva avere anche altre donne, ad esempio la concubina ovvero l’amante che veniva addirittura riconosciuta in quel ruolo dalla moglie.
Ruolo sociale e vita quotidiana
Nell’Antica Grecia le leggi, la politica, la cultura erano materia degli uomini, mentre le donne avevano, come detto prima, il ruolo domestico che prevedeva la totale obbedienza al padre e, successivamente, al marito. La donna era priva di gran parte dei diritti riconosciuti ai cittadini adulti e liberi. La vita della donna era scandita prevalentemente all’interno delle mura domestiche, nella parte interna della casa, detta gineceo. Se apparteneva ad una famiglia ricca, la donna controllava gli schiavi mentre svolgevano i lavori domestici e per il resto del tempo chiacchierava con le sue parenti. Era permesso loro di uscire solo raramente: le feste religiose erano occasioni per incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della famiglia, come ad esempio la nascita di un bambino. Le donne di condizioni più umili, dovevano invece preparare i pasti e svolgere le pulizie, ma non effettuavano le compere, un compito affidato esclusivamente agli schiavi. A Sparta la donna era molto più libera e si dedicava alla ginnastica e non dovevano per forza fare figli o sposarsi. La prostituzione era diffusa e si divideva in due categorie: l’etera, ovvero una donna molto colta e tenuta in grande considerazione; la prostituta, ovvero una donna molto povera e osservata in modo negativo.
Potere politico e guerra
Nell’Antica Grecia le leggi, la politica, la cultura erano materia degli uomini.
Mondo femminile
L’abbigliamento femminile era molto simile a quello maschile.
La lunga tunica abitualmente utilizzata dalle donne dei ceti più elevati era di solito arricchita da spacchi laterali e strascichi. Per quanto riguarda il seno invece si rivelava necessario sorreggerlo con un grosso pezzo di stoffa che veniva sistemato ad arte sotto la tunica. In ultimo le donzelle utilizzavano spesso anche una graziosa giacca smanicata, molto corta, utile a sottolineare le forme femminili.
Non di rado le fanciulle vestivano anche il peplo, costituito da un telone in lana che, opportunamente avvolto e drappeggiato, finiva per somigliare ad una tunica da fermare rigorosamente in vita grazie ad una cintura che, ancora una volta, valorizzava le forme femminili. I colori dei vestiti erano principalmente il bianco ed il giallo, il turchese o il rosso. Ciò era riservato alle donne ricche, quelle più povere indossavano teli rettangolari e lunghi. Alle donne piacevano indossare anche dei copricapi. Portavano sandali in cuoio legati alla caviglia o alla gamba.
CAPITOLO 3
Mondo romano
Nell’antica Roma, la figlia di una famiglia patrizia aveva come balia e precettrice una donna greca, che, col raccontarle favole e novelle in lingua greca, la istruiva sui primi rudimenti della lingua allora parlata dai ricchi. Nelle famiglie non nobili, invece, la fanciulla all’età di 6 anni veniva mandata a scuola affinché imparasse a leggere e a scrivere.
In tutti i ceti sociali la vita sociale delle fanciulle iniziava molto presto: verso i 10 anni, infatti, la ragazza veniva promessa sposa dal padre, il quale si occupava non solo dell’organizzazione del matrimonio, ma anche della scelta del fidanzato. Il futuro sposo dava in dono alla fidanzata un anello d’oro o di ferro sul quale erano effigiate due mani che si univano in una stretta. Il matrimonio aveva luogo alcuni anni dopo. La donna romana che si univa in matrimonio con rito religioso indossava una tunica candida, simbolo della sua verginità, fermata da un nodo di Ercole che poteva essere slacciato soltanto dallo sposo, era ornata da un velo arancione e portava sul capo una corona di fiori d’arancio. Al termine della cerimonia veniva presa in braccio dal marito che le faceva varcare la soglia di casa. Il matrimonio civile, in uso soprattutto negli ultimi anni della Repubblica avveniva secondo un rituale molto più modesto: lo sposo, dinanzi ai testimoni, chiedeva alla sposa se voleva divenire “mater familiae” e reciprocamente la donna invitava il futuro marito a diventare “pater familiae”. Dopo aver pronunciato entrambi gli assensi la coppia era legalmente marito e moglie.
Vita coniugale
Il divorzio, nell’antica Roma era un avvenimento molto frequente: uomini e donne si sposavano anche cinque o sei volte, un esempio è Cesare, che contrasse ben quattro matrimoni. La donna poteva amministrare liberamente i beni avuti in dote dai propri parenti, ma nella realtà tutto era gestito dal marito. Se fosse rimasta vedova, andava in mano al fratello o al figlio maggiore. In caso di adulterio, il marito decideva punizioni severissime per la donna.
Ruolo sociale e vita quotidiana
Alla donna invece c’era un posto riservato nella domus, doveva quindi occuparsi delle mansioni domestiche e nell’educazione dei figli, a cui insegnava il nucleo morale della civiltà romana. La donna però poteva uscire a fare acquisti e partecipare ai banchetti, ma non poteva sdraiarsi e bere vino. Esistevano vari livelli di prostituzione: quella d’alto bordo, cioè il mondo delle cortigiane, greche o di origine orientale, esperte di musica, canto, danza e poesia.
In fondo alla scala sociale erano le prostitute, quelle a basso costo che si offrivano nei lupanari più degradati, per strada. A Roma ce n’erano tante nel quartiere della Suburra, tra il Quirinale e il Viminale. La documentazione pompeiana ci dà un’idea della vita di queste donne e dei loro clienti. I graffiti sui muri di postriboli e strade riportano tariffe e prestazioni, anche a scopo pubblicitario. I prezzi andavano da due assi fino a sedici. La prostituta di strada viveva una condizione di assoluta marginalità, vittima della miseria, tra gli abusi dei clienti e la violenza degli sfruttatori, esposta a ogni sorta di malattie, destinata a un invecchiamento precoce, a morire giovane.
Potere politico
La donna era esclusa dalla vita politica e per esercitare i suoi diritti civili aveva bisogno del consenso dell’uomo.
Rapporto con la religione
Per la Chiesa le donne erano considerato in tutto più deboli e meno intelligenti degli uomini e come pericolo di tentazione.
Mondo femminile
Le donne indossavano uno slip simile al perizoma maschile. Indossavano anche un reggiseno. Si trattava di una morbida fascia in tessuto o in pelle, lo strophium o mamillare. Lo scopo era quello di sorreggere e di rialzare i seni.
Anche le donne romane indossavano la tunica, lunga fino ai piedi. Era tenuta stretta da due cinture: una alla vita e un’altra intorno al torace, sotto i seni. Le matrone, sopra la tunica, indossavano la stola, di seta o cotone. Era un abito cucito, lungo fino ai piedi, con pieghe fitte, senza maniche, ma con spalline. Era poi consuetudine coprirsi con la palla, un mantello che veniva appoggiato sulla spalla sinistra e avvolto intorno al corpo fino alle caviglie, con una parte che poteva essere rialzata per coprire la testa. Le donne completavano poi il loro abbigliamento con i gioelli: collane, orecchini, generalmente in oro e pietre, ma anche bracciali e anelli.
Le donne usavano depilarsi e truccarsi. Quanto alle calzature, maschi e femmine avevano sandali con suole di cuoio o sughero, trattenute al piede da strisce di pelle. Esistevano inoltre i calcei, scarpe chiuse in pelle a forma di stivaletto.
CAPITOLO 4
Medioevo
Nascita
La nascita di una bambina era vista come una disgrazia e di conseguenza era accolta e nutrita male.
Matrimonio
Il matrimonio nella società medievale aveva come compito principale quello di assicurare la nascita di figli legittimi, che, nel caso della nobiltà feudale, comportava la tessitura di una fitta trama di alleanze familiari per il mantenimento o l’estensione del patrimonio. L’aspetto più importante del ruolo della donna era partorire dei buoni eredi che potessero essere meritevoli della trasmissione del beni degli antenati.
Prima della celebrazione del matrimonio, i parenti del futuro sposo si recavano a casa della sposa e, in quel contesto, venivano scambiate frasi che suggellavano l’impegno reciproco che dell’uomo e della donna che si era stabilito di unire. Durante la cerimonia nuziale, i gesti di espropriazione e d’investitura simboleggiavano il passaggio di proprietà della donna dal padre al marito. Gli abiti nuziali erano molto colorati, perché sarebbero stati indossati anche in seguito, durante le feste. Il colore più utilizzato era il rosso, colore propiziatorio per la procreazione.
Marito e moglie dovevano imparare ad amarsi e a rispettarsi e quando erano separati pensare l’uno all’altra. La moglie doveva festeggiare il marito ogni volta che egli partiva o ritornava per un viaggio d’affari o quando rimaneva a lavorare nei campi per intere settimane; doveva essere gentile, affettuosa e comprensiva col proprio marito, per godere sempre del suo amore e del suo favore.
Ruolo sociale e vita quotidiana
A partire dall’anno 1000, la donna conduceva sempre la stessa misera esistenza, circondata dalle mura di casa e sottomessa ai padroni. Il loro compito era sempre lo stesso, ovvero prendersi cura della famiglia. Le donne libere vivevano una vita faticosa e priva di gioia mentre la nobildonna viveva in grandi castelli circondata da dame e servi e si concedeva divertimenti grossolani. La sua vita era volta a sole due attività: la procreazione e le cure casalinghe. Per loro l’educazione era trascurata e, come detto prima, rimanevano sempre in casa e raramente uscivano per andare in chiesa. Si cercava di non lasciare mai tempo libero alle donne, perché l’ozio era considerato cattivo consigliere. La situazione era peggiore per le donne delle classi più povere, che dovevano mantenersi da sole prima e dopo il matrimonio e il suo datore di lavoro, appunto mentre lavorava, assumeva verso di lei il ruolo tipico della figura maschile. Se le ragazze non erano dato in moglie a nessuno, venivano rinchiuse in convento. Non potevano mangiare cibi troppo caldi e bere vino, non dovevano ridere, dovevano piangere senza far rumore e altre regole molto rigide.
Potere politico
La vita pubblica per le donne era molto limitata: era vietato esprimersi in pubblico e nelle questioni legali venivano rappresentate dal marito, padre o qualunque parente maschio.
Mondo femminile
La donna troppo truccata e vestita in modo curato era mal giudicata. L’abbigliamento femminile consisteva in una camicia semplice e lunga fino ai piedi hiamata interula o sotano, sopra la quale veniva indossata
una specie di tunica ampia e variamente sagomata.
La maggior parte dei capi che componevano l’abbigliamento femminile non era molto diversa da quella portata dagli uomini, ma variavano per stoffe e colori, ricchezza di ornamenti e di accessori. Le donne non indossavano le brache ma a volte stringevano il petto con un velo di mussolina a mo’ di reggiseno. Nessuna, ricca o povera che fosse, indossava le mutande, conosciute dai Romani, ma di cui si era perso l’uso.
Si pensava infatti, che ostacolassero “il prendere aria” delle loro parti intime. La tunica poteva essere di due tipi:
quella normale era una veste semplice lunga fino a metà polpaccio, mentre quella composta, comparsa verso la fine del XIII secolo,aveva il corpetto modellato con rinforzi aderente sul petto. Aveva poi, una larga fascia che sottolineava la vita
e una gonna lunga aperta sui fianchi. La vita doveva essere stretta, e le gonne assai ampie e molto ricamate.
Gli abiti avevano lunghi strascichi di stoffa preziosa e colorata. che venivano avvolti sul braccio. Le scarpe erano di vario tipo: alte o basse, chiuse o aperte, con o senza linguetta, di cuoio, di feltro, di tessuto, foderate di pelliccia. Il mantello femminile era una pellegrina semicircolare che non veniva chiusa sulla spalla come quella degli uomini ma sul petto. Il mantello si prestava ad una grande varietà di invenzioni quanto alla forma, alla lunghezza, alla decorazione, alla materia usata. La pettinatura variava secondo l’età: le fanciulle e le donne più giovani portavano i capelli divisi da una riga al centro e due trecce che scendevano sul petto, talvolta lunghe fino alle ginocchia, o ulteriormente allungate da pendenti appesi a ciascuna estremità.
CAPITOLO 5
Rinascimento
Nascita
Nella famiglia, quando nasceva una figlia, ovviamente era un momento di sconforto. Una femmina, non solo rovinava il nome della famiglia, ma doveva essere allevata al riparo dalle tentazioni pericolose e doveva essere accasata. Secondo le opinioni del tempo, la donne, erano considerata addirittura frutto di concepimenti “inferiori”, era ritenuta “un uomo a metà”, considerata un peccato, poteva facilmente essere sedotta dal diavolo ed era peccatrice.
Matrimonio
Durante il Rinascimento la sposa continuava a recitare la parte di “merce di scambio” tra le famiglie. I matrimoni continuavano ad essere combinati, ma, grazie anche alla rivalutazione dell’uomo e della sua natura rispetto all’universo medievale, i rapporti tra i coniugi iniziarono ad essere più veri e spontanei. Bisogna comunque dividere la condizione della donna del periodo rinascimentale, in due momenti: nel primo, in giovane età è agli ordini degli interessi della famiglia di origine e viene sposata per stabilire alleanze o condannata ad una vita di clausura per non disperdere il patrimonio. Nel secondo, in età più tarda, ha il dovere di procreare; spesso in condizione di vedovanza, però, può disporre liberamente della propria libertà e delle sue sostanze, seguendo gli interessi culturali e le inclinazioni sociali amate. Le donne di “buona famiglia” fino a pochi giorni prima dalle nozze subivano una specie di clausura, durante la quale veniva loro impartita
un’istruzione pari a quella degli uomini del loro stesso ceto sociale. La perfetta sposa doveva essere: pulita negli abiti e nel corpo, discreta, modesta e, soprattutto, onesta.
Doveva rispettare ed ubbidire ai suoi parenti, cosa che lasciava supporre che sarebbe stata fedele nel matrimonio. Doveva saper filare, cucire e accudire un’abitazione. La donna deve riconoscere il marito come suo unico punto di riferimento e vivere in sua funzione, ha come dovere primario l’adattarsi ad ogni situazione e di amare sempre il consorte, non considerando come si comporta. Lei non gestisce il suo corpo, esso è “proprietà” del marito che ne usufruisce a suo piacimento ed avere un fisico sano per dare al marito figli robusti e sani.
Ruolo sociale e vita quotidiana
La condizione della donna nel Rinascimento (XV – XVI secolo) è per certi versi uguale a quella delle epoche storiche precedenti. Alcuni storici anzi, sostengono che nel Rinascimento la condizione della donna addirittura peggiorò rispetto al periodo medievale, perdendo la possibilità di libertà. Questa tesi è vera solo in parte perché in questo periodo proliferarono i salotti culturali nelle corti italiane ed europee, gestite da patrizie, duchesse, governatrici e regine.
La maggior parte delle ragazze continuò ad essere tenuta
all’oscuro da ogni genere di istruzione, ma le giovani donne provenienti da famiglie ricche si avvicinarono all’istruzione. É infatti in questo periodo che compaiono le prime opere letterarie italiane al femminile. Le donne dei ceti medi e superiori non dovevano sapere niente di più di quello che occorre; dovevano essere silenziose e obbedienti, dovevano apprendere le pratiche tessili e quelle relative alla gestione domestica. Le ragazze di “buona famiglia” venivano educate alla cura della propria persona e della futura famiglia.
Studiavano un po’ di medicina, sapevano riconoscere e manipolare le erbe da cui estrarre cosmetici e medicamenti; imparavano il latino, la storia, la letteratura, la filosofia, la musica, il canto e la danza. Alcune, poi, curavano in modo particolare la poesia, la pittura, la scultura o il suono di uno strumento musicale. L’educazione femminile fu una vera e propria innovazione di questo periodo, anche se la maggioranza delle persone la riteneva ancora una cosa non necessaria o addirittura dannosa! Venivano mandate in convento, dove potevano studiare e stare al riparo dalle cattive compagnie, fino agli undici-dodici anni.
Uscite dal convento, le ragazze erano pronte ad imparare i loro doveri di donne, per divenire delle perfette spose, sotto la guida materna. In realtà la condizione delle donne cambiò molto, rispetto ai periodi precedenti e non smise di evolversi, verso una sua maggiore liberalizzazione nella società. Non che le donne non rimanessero ancora confinate in casa, ma vi fu un progressivo miglioramento della condizione femminile, anche se le più libere erano ancora le cortigiane.
Mondo femminile
Durante la prima metà del secolo XVI il più importante elemento dell’abbigliamento femminile fu la gamurra che presentava ancora la vita relativamente alta ed aveva le maniche basse, con larghi squarci da cui uscivano gli sbuffi della camicia. Le maniche erano spesso di stoffa diversa ed intercambiabili. Con il passare dei decenni, la vita si abbassò, l’attaccatura delle maniche fu sottolineata da spalline imbottite ed arricciate, i colori diventarono più scuri. La parte inferiore degli abiti femminili venne tesa e resa voluminosa
dalla faldiglia che, stretta alla cintura, si gonfiava a campana a mano a mano che scendeva ai piedi. Si diffuse l’uso degli orecchini nella versione a goccia. Reti d’oro ingioiellate raccoglievano i capelli, la fronte era segnata dalla lenza con gemma. Si sfoggiarono a profusione medaglie ed iniziali in oro massiccio, grandi catene d’oro e collane di perle e braccialetti con pietre preziose. Gli anelli furono frequentissimi e la vera spesso si arricchiva di gemme.
CAPITOLO 6
Settecento
Matrimonio
Nel XVIII secolo, i riti nuziali erano dettati sia dalle convenienze sociali, sia dalle usanze, con predominanza dell’uno o dell’altro a seconda che si trattasse. In genere, le ragazze nobili andavano in spose all’uscita dal convento, assecondando la scelta, spesso avvenuta da tempo, compiuta dai genitori. Il giovane, una volta che il matrimonio era stato deciso, passava sempre, ad un’ora convenuta, sotto le finestre della sua promessa, che doveva rispondere con un saluto. Il futuro sposo, era inoltre tenuto ad offrirle un diamante, che era chiamato il ricordino. Prima della benedizione nuziale, la madre dello sposo donava alla giovane donna un filo di perle, che la sposa doveva portare sempre, fino alla fine del primo anno di matrimonio.
Di solito, le unioni tra due grandi famiglie erano celebrate con una festa in casa, in cui si sfoggiavano il più grande lusso di sete, spade, gioielli, nel salone più grande del palazzo. La sposa appariva vestita con un abito di broccato d’argento, con il petto ricoperto di pizzi e gioielli. La sposa si inginocchiava su un cuscinetto di velluto per ricevere la benedizione del padre, della madre e dei parenti più vicini, poi, condotta al centro della sala dal maestro di cerimonia, poggiava la sua mano in quella del suo futuro marito, e il sacerdote dava loro la sua benedizione. Gli sposi si scambiavano un bacio e l’orchestra iniziava a suonare. La sposa apriva le danze, che sarebbero durate fino a tarda notte, ballando da sola.
Un’altra usanza era che le madri di ragazzi a scegliere le spose tra le giovani del villaggio. La scelta veniva espressa in vari modi, di cui uno era il far cadere una spazzola, all’alba, sulla porta della prescelta. La giovane doveva raccogliere la spazzola ed aspettare, a mezzogiorno, la visita preannunciata. La futura suocera legava quindi i capelli della ragazza con un nastro, simbolo del fidanzamento. Il tutto era accompagnato dalla distribuzione di ceci, mandorle, noci e fave abbrustolite.
Il giorno delle nozze, poi, un corteo andava a prendere la fidanzata. Il padre dello sposo entrava quindi da solo, faceva un complimento alla giovane e la portava per mano, vestita in abito cerimoniale, allo sposo, che la attendeva sulla porta. Dall’alto sui due venivano sparsi pane e sale, come augurio di fecondità e ricchezza. La suocera della sposa poneva, quindi, un biscotto di pasta fine sull’occhiello dell’abito della ragazza, fissandolo con dei nastrini, in simbolo del nutrimento, che la ragazza avrebbe sempre dovuto ricevere dallo sposo. In chiesa, era il prete ad infilare gli anelli agli sposi, d’oro per lui e d’argento per lei, dopo averli scambiati tra loro per tre volte. Anche le corone d’alloro, di olivo, di rosmarino e di fiori, che il sacerdote posizionava sulla testa degli sposi, erano scambiate per tre volte, e poi ricoperte da un velo di garza bianca. Gli sposi si tenevano per il mignolo della stessa mano e reggevano una candela accesa. Il banchetto veniva consumato nella chiesa stessa, ed il sacerdote spezzava il pane, lo inzuppava nel vino e ne dava tre pezzetti agli sposi, poi rompeva il bicchiere, per dimostrare quanto fosse fragile la felicità. Dopodiché gli sposi, gli invitati ed il sacerdote, tenendosi per mano, giravano tre volte intorno al tavolo, danzando e poi, cantando in corteo, tutti si dirigevano a casa dello sposo. Alla fine del banchetto, veniva messo in tavola un piatto in cui gli invitati lasciavano i doni per gli sposi.
Ruolo sociale e vita quotidiana
La trasformazione della società settecentesca passa attraverso una ridefinizione dell’immagine e del ruolo della donna. Se nella realtà sociale la condizione della donna è ancora fortemente diversificata in base al ceto d’appartenenza, in tutte le discipline si moltiplicano i discorsi sulle donne; nelle pratiche sociali, inoltre, essa acquista nuova visibilità. Centrale sarà il ruolo delle donne nella Rivoluzione francese, ad esempio marciarono sulla reggia di Versailles. Le donne, quindi, nel Settecento acquisirono maggiore visibilità, a tal punto che potevano incontrare il loro futuro marito ai ricevimenti, potevano andare ai concerti e vedere le commedie messe in scena nei chiostri. In tutta Europa furono le donne dell’alta nobiltà o della borghesia colta a dar vita ai salotti letterari più importanti, ad ospitare intellettuali e artisti e ad animare discussioni culturali. Ovviamente l’ondata di rinnovamento non riguardò tutte le donne, anzi la maggior parte di esse restò legata al ruolo di “donna di casa” e “madre di famiglia”, tuttavia alcune figure femminili di grande statura intellettuale emersero nella società e nella politica del tempo. Anche in campo letterario emersero delle novità. Nei romanzi pubblicati nell’età dell’Illuminismo, troviamo un nuovo tipo di personaggio femminile: non più la ragazza fragile e sottomessa all’uomo, ma la donna spregiudicata, curiosa, che sa dissimulare i propri sentimenti, che finge di essere stupida o distratta, ma che in realtà, “osservando e meditando”, impara a vivere in società con astuzia, senza lasciarsi dominare dai maschi. In conclusione, il Settecento si chiude con l’immagine delle donne nella Rivoluzione Francese, un’immagine che fa pensare a grandi cambiamenti nel secolo successivo.
Mondo femminile
L’abbigliamento femminile, con la sua linea ampia e morbida, potrebbe racchiudersi in un ovale: niente linee rigide o spezzate, ma spalle arrotondate, gonne fluenti e vesti cariche di pizzi, di paillettes, di nastri, di fiori finti, da cui uscivano la testa piccola e aggraziata e le braccia candide. Una buona dose di maliziosa civetteria caratterizzava questa moda, che mostrava generosamente il seno e gli avambracci e, attorno al 1770, anche la caviglia. Dopo un periodo di transizione all’inizio del secolo, esplose “la robe a la française”, veste di origine teatrale: era caratterizzata sul davanti da un bustino stretto, scollato e che spingeva il seno in alto, chiuso dalla “pièce d’estomac” – un davantino triangolare molto decorato – da un’ampia gonna a cupola che si apriva davanti mostrando il “sottanino”, mentre sulla schiena si allargava in uno strascico che partiva dalle spalle con pieghe a cannone cucite e poi sciolte. Le maniche si allargavano a pagoda fino al gomito, da cui uscivano cascate di pizzo dette “engageantes”. La gonna era sorretta dal “panier” una struttura ovale molto schiacciata, costituita da nastri e stecche di balena e talmente larga da impacciare i movimenti nel sedersi e nel passare le porte.
Nell’ultimo trentennio del Settecento la linea del costume femminile, da piatta e ovale si trasformò in rotondeggiante: una nuova veste alla moda, la “Polonaise” costituì un diversivo al classico abbinamento: busto stretto, gonna e sottanino.
CAPITOLO 7
Ottocento
Matrimonio
Il periodo del Romanticismo interpreta il matrimonio come naturale destinazione dell’amore, e al tempo stesso condanna ogni forma di unione determinata da altri intenti. Tutto il secolo si dibatte tra esaltare e glorificare gli amori impossibili ed indicare una buona strada per il matrimonio d’amore.
Nell’Ottocento nascono anche una buona parte delle tradizioni, come l’abito lungo e bianco, il dolce, il ricevimento, i guanti. Il bianco diventa il colore prediletto, come simbolo di purezza. Trasparente, a volte inumidito, audace, il vestito viene indossato senza corsetti né altro. Nel rito civile, invece, l’aristocrazia preferisce il nero luccicante di paillettes, oppure i colori vivi fitti di perle e lustrini. Gli abiti da sposa esercitavano un grande fascino. Da indossare per un solo giorno, sono il simbolo della felicità. C’è una grande varietà di abiti da sposa. Svasati, aderenti,gonfiati, essi sono lunghi o corti, e bianchi o alternativi. Il tessuto più spesso utilizzato per gli abiti da sposa è il raso. La sposa in quel giorno indossa pochi gioielli:per lo più sono perle, mai dei diamanti; l’eleganza della giovane sposa deve essere sobria.
Ruolo sociale e vita quotidiana
Nonostante la consapevolezza della condizione delle donne comincia ad emergere durante la rivoluzione francese e nel periodo dell’illuminismo, la donna è comunque sottomessa all’uomo. Nell’Ottocento si parla e si scrive molto sulle donne, soprattutto da parte degli uomini. Vengono esaltate e definite come madri e “regine” della casa. In Italia, in ambiente borghese e aristocratico, si fece come modello la donna religiosa e patriottica; Il suo ambiente doveva essere la famiglia. Le letture che le erano concesse erano poche, perché i romanzi, erano considerati poco adatti alle ragazze, per le quali si preferivano libri di devozione o educativi. Durante tutto il secolo crebbe il numero di ragazze, specialmente nobili e borghesi, che si ritirarono nei conventi; alcune di loro fondarono nuovi Ordini religiosi, dove si imparava l’educazione delle donne. Presso le famiglie aristocratiche era ancora diffusa l’usanza di affidare le ragazze ai collegi religiosi, ma in questi ambienti veniva spiegato che loro dovevano diventare mogli e madri e di avere cura della casa. A metà dell’Ottocento, la situazione delle donne era diversa per ogni Paese: in Italia le mogli dei figli vivevano nella casa dei genitori del marito, con le famiglie degli altri figli. Le donne vivevano sottomesse alla suocera e tutte lavoravano nella casa e nei campi; in Francia, nell’ambiente borghese, le donne collaboravano con i mariti commercianti e negozianti e si dedicavano poco alla casa, che era affidata alle domestiche. Con la rivoluzione industriale le donne operaie lavoravano fuori casa, mentre le donne borghesi ritornarono alla conduzione della famiglia. Le donne però non potevano ancora essere autonome, erano controllate e non potevano proseguire gli studi.
Mondo femminile
CAPITOLO 8
Novecento
Matrimonio
Nel Novecento, avvenivano i matrimoni per procura: spesso un uomo, partito per nuove terre incaricava la famiglia rimasta in paese di cercare una brava ragazza da sposare. I giovani partiti all’estero volevano una moglie italiana, per ragioni culturali e anche linguistiche ovviamente. Così le ragazze più povere coglievano l’occasione di andare via dal paese. Quelle che non erano riuscite a sposarsi per procura, ricorrevano ai matrimoni combinati, che avvenivano tra individui della stessa classe sociale. L’essere giovane era essenziale, infatti molti affidavano le figlie in matrimonio già dalla nascita. I matrimoni combinati potevano essere anche fatti per interessi patrimoniali, ma esistevano anche matrimoni tra parenti.
Vita coniugale
Durante il Novecento, il parto avveniva in casa. Non sempre andavano per il meglio e così si chiamava un medico. Il marito inizialmente doveva chiamare la levatrice, ovvero quella donna che faceva nascere tutti i bambini del paese, mentre i bambini andavano l’acqua calda con i pentoloni. Dato che in paese tutti si conoscevano, durante un parto accorrevano tutte le donne. Il parto era ovviamente doloroso e avveniva nelle camere da letto o, nelle famiglie contadine, nelle stallle.
Ruolo sociale e vita quotidiana
Alla fine dell’Ottocento, in tutte le società del mondo occidentale, c’è ancora diseguaglianza fra uomini e donne. La modernizzazione sta progressivamente allargando i diritti di cittadinanza, ma le donne, sono ancora escluse dalla partecipazione politica, sono ritenute incapaci di agire, sono sotto controllo del marito; non sono libere di gestire la propria vita e i propri beni; sono escluse da tutta una serie di percorsi di studio e di professioni; non godono di parità di trattamento con gli uomini nella famiglia e nel lavoro. Molte donne delle classi popolari lavorano (operaie in fabbrica, braccianti, contadine, serve, ecc…) spinte dalla necessità economica, ma le donne dei ceti agiati svolgono il compito di madre e moglie. Alla fine del Novecento, la condizione, i comportamenti e l’immagine delle donne nel mondo occidentale si trasformano. La consistente partecipazione femminile ai diversi settori del lavoro, la straordinaria crescita dell’istruzione femminile, il controllo della procreazione e la diminuzione del numero dei figli sono le principali trasformazioni avvenute. Queste trasformazioni sono connesse all’industrializzazione crescente e l’inurbamento, che modificarono i modi di vivere; lo sviluppo scientifico e tecnologico, che permisero migliori condizioni di salute e una maggiore aspettativa di vita; la pace e la prosperità del secondo dopoguerra, che moltiplica la disponibilità di beni e servizi e a tanti altri fattori. È un cammino ricco di difficoltà e resistenze segnato da molte lotte politiche e sindacali e da molte battaglie femministe. I movimenti femministi assumono forme e obiettivi diversi nei diversi contesti e periodi. Sono particolarmente attivi, visibili e incisivi prima della Prima guerra mondiale e fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. La prima ondata del femminismo è all’insegna dell’emancipazione; in questa fase le battaglie delle donne mirano a conquistare parità di diritti (“femminismo dell’uguaglianza”). Nella seconda ondata, dopo quella del primo Novecento, i movimenti femministi mirano alla “liberazione” della donna, ad affermare un’identità femminile non sottoposta all’uomo, al riconoscimento e alla valorizzazione delle differenze di cui uomini e donne sono portatori (“femminismo della differenza”). Il “femminismo dell’uguaglianza” chiese che venissero cancellate le differenze tra i sessi, che portarono alla discriminazione e all’esclusione della donna.
Chiesero che le donne fossero considerate eguali agli uomini per natura; l’accesso agli stessi diritti degli uomini. La battaglia per l’eguaglianza nei diritti (di voto, di accedere a tutte le professioni e alle cariche pubbliche, di gestire liberamente la propria vita e i propri beni, di pari trattamento nella famiglia e nel lavoro) si concentra inizialmente sulla lotta per il suffragio, ovvero per il diritto di voto, da cui il termine suffragette per definire le militanti di questi movimenti, attivi un po’ ovunque, ma soprattutto negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi, in Gran Bretagna. Fra Ottocento e Novecento le suffragette irrompono sulla scena pubblica e impongono le donne come un soggetto autonomo, capace di decidere e di agire senza la tutela di padri, mariti, o qualsiasi è parente maschio. I risultati concreti tuttavia sono scarsi: all’inizio del Novecento solo pochi stati riconoscono il diritto di voto alle donne (Finlandia, Norvegia e alcuni stati degli Stati Uniti). Una scossa potente arriva con la Prima guerra mondiale, che infrange alcune rigide regole fra i sessi. Le donne, infatti, sostituirono per quattro anni la popolazione attiva maschile, risanano la mancanza di manodopera in settori fondamentali dell’industria (innanzitutto quella degli armamenti). Alla fine della guerra le donne sono in gran parte espulse dal mercato del lavoro, ma i cambiamenti portati dalla mobilitazione bellica trovano riscontro nel riconoscimento del loro diritto di voto in più paesi: in Austria e Gran Bretagna (1918), nei Paesi Bassi, in Lussemburgo e in Germania (1919), in Canada e negli USA (1920), in Svezia (1921).
. Chiesero che le donne fossero considerate eguali agli uomini per natura; l’accesso agli stessi diritti degli uomini. La battaglia per l’eguaglianza nei diritti (di voto, di accedere a tutte le professioni e alle cariche pubbliche, di gestire liberamente la propria vita e i propri beni, di pari trattamento nella famiglia e nel lavoro) si concentra inizialmente sulla lotta per il suffragio, ovvero per il diritto di voto, da cui il termine suffragette per definire le militanti di questi movimenti, attivi un po’ ovunque, ma soprattutto negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi, in Gran Bretagna. Fra Ottocento e Novecento le suffragette irrompono sulla scena pubblica e impongono le donne come un soggetto autonomo, capace di decidere e di agire senza la tutela di padri, mariti, o qualsiasi è parente maschio. I risultati concreti tuttavia sono scarsi: all’inizio del Novecento solo pochi stati riconoscono il diritto di voto alle donne (Finlandia, Norvegia e alcuni stati degli Stati Uniti). Una scossa potente arriva con la Prima guerra mondiale, che infrange alcune rigide regole fra i sessi. Le donne, infatti, sostituirono per quattro anni la popolazione attiva maschile, risanano la mancanza di manodopera in settori fondamentali dell’industria (innanzitutto quella degli armamenti). Alla fine della guerra le donne sono in gran parte espulse dal mercato del lavoro, ma i cambiamenti portati dalla mobilitazione bellica trovano riscontro nel riconoscimento del loro diritto di voto in più paesi: in Austria e Gran Bretagna (1918), nei Paesi Bassi, in Lussemburgo e in Germania (1919), in Canada e negli USA (1920), in Svezia (1921). In altri (Francia, Italia e Belgio) sarà necessaria la Seconda guerra mondiale. La prima ondata del femminismo, dunque, ottiene il massimo dei risultati. Il diritto all’istruzione è per quasi due secoli al centro della riflessione e delle iniziative femministe. Alla fine dell’Ottocento, il secolo della scuola, l’istruzione elementare obbligatoria è diffusa nella maggior parte dei paesi. I percorsi formativi superiori restano, però, differenziati in maschili e femminili. La cultura dominante, ritiene infatti che le donne debbano acquisire competenze diverse da quelle degli uomini, ovvero la casa e la famiglia. L’istruzione per professioni qualificate e incarichi pubblici viene insomma riservata ai maschi e considerata per le femmine un danno per la famiglia e la società. Da qui inizia la richiesta da parte dei movimenti a favore delle donne dell’accesso a tutti i percorsi formativi e a tutte le occupazioni. In molti paesi ciò avviene intorno agli anni Venti del Novecento anche se, fino alla seconda metà del XX secolo, i livelli di istruzione superiore rimangono in prevalenza maschili. In Italia l’accesso all’università per le donne viene legalmente riconosciuto nel 1875, ma quello al liceo, il cui titolo è necessario per l’iscrizione all’università, nel 1883. Il titolo di studio, però, non garantisce ancora per lungo tempo l’accesso alle professioni. Nella prima metà del Novecento, le donne esercitano diritti molto diversi a seconda del paese in cui vivono. L’emancipazione politica e civile delle donne è a lungo contrastata dove Stato e Chiesa cattolica si caratterizzano per posizioni molto conservatrici in materia di rapporto tra i sessi. Una situazione che non migliora con l’avvento dei regimi dittatoriali fascisti che definiscono la donna come “angelo del focolare”, negano il divorzio, criminalizzano l’aborto, esaltano il valore legale della verginità e dell’onore A fronte del pesante svantaggio di partenza nei diritti politici e civili, le donne delle società industrializzate acquisiscono forme di protezione sul lavoro per alleggerire una pesante situazione di sfruttamento che comporta gravi rischi per la salute, per la capacità riproduttiva, per la moralità familiare. In Italia le prime norme a tutela delle donne lavoratrici, risalgono agli inizi del Novecento e solo nel 1977, per la prima volta, viene introdotto il principio di parità di trattamento e di opportunità sul lavoro tra uomini e donne e non più solo quello di tutela delle lavoratrici. Dopo la Seconda guerra mondiale, in un clima favorevole al diffondersi dei diritti, sono le Costituzioni degli Stati democratici a sancire in Occidente l’eguaglianza e la parità dei diritti fra i sessi.
Il diritto di voto si estende rapidamente pressoché ovunque; al contrario l’acquisizione di diritti civili incontra ancora a lungo tenaci resistenze. Ne è un chiaro esempio l’Italia dove, dove le leggi sul divorzio e sull’aborto vengono approvate tardivamente. Solo nel 1996 la violenza sessuale diventa un delitto contro la persona. Dal secondo dopoguerra, nelle società occidentali, è in forte crescita l’occupazione femminile, in forte espansione l’accesso delle ragazze all’istruzione superiore e crescente il riconoscimento formale dei diritti alle donne. Ciononostante, nella mentalità comune continua a essere dominante, fino a gran parte degli anni Sessanta del Novecento, il tradizionale modello femminile, ovvero la donna casalinga. Nonostante queste conquiste, le donne restano imprigionate in un destino da casalinga. Dopo quasi mezzo secolo, negli anni Sessanta/Settanta del Novecento, i movimenti femministi ritornano e spostano l’attenzione dall’emancipazione alla “liberazione” delle donne. E’ una lotta basata solo sul riconoscimento di diritti e di essere presentati un soggetto universale. La nuova ondata di femminismo denuncia il patriarcato, le sue leggi, le sue immagini del femminile e sottopone a critica radicale i costumi sessuali, le abitudini e le convenzioni della vita quotidiana. La seconda ondata di movimenti femministi ha dimensioni di massa negli anni Settanta, ma declina già negli anni Ottanta. Svolge, tuttavia, un ruolo di primo piano nelle trasformazioni sociali e culturali degli ultimi decenni del secolo.
Mondo femminile
Tra il 1890 e il 1910 si ebbe una vera e propria riforma della moda. Le maniche si allargarono all’attaccatura delle spalle per poi stringersi lungo la lunghezza del braccio, sostituendo l’effetto ‘prosciutto’ con quello a ‘palloncino’, e mostrando maggiormente la linea retta delle braccia; scompare il ‘sellino’, ossia il cuscinetto imbottito fissato sotto le gonne negli abiti femminili per rialzarne il drappeggio. Intorno al 1895, poi, apparve un nuovo tipo di busto che spingeva il seno della donna verso l’alto, schiacciando il ventre, per accentuare l’esilità della figura e la sinuosità serpentina del portamento. Le vesti furono dotate di colli foderati e le sottogonne alleggerite dai merletti.
Pochi anni prima, inoltre, aveva fatto la sua la comparsa un capo destinato a durare fino ai giorni nostri: il tailleur, che prende il nome dal termine usato in francese per indicare il sarto da uomo: composto da giacca e gonna, era un completo femminile inventato dall’inglese Redfern come derivazione dell’abito maschile. Solo dalla fine del XIX secolo il capo di vestiario passò da indumento riservato a occasioni informali (da indossare essenzialmente al mattino) a modello della vita attiva con una forte connotazione di libertà (anche nei movimenti), quasi a segnare i progressi dell’emancipazione femminile. Comparvero camicette lavorate con passamanerie, merletti e bottoni; corsetti molto meno attillati e gonne lunghe. I veri trionfatori della moda furono, però, a fine Ottocento, i grandi cappelli piumati che adornavano ed aggraziavano i capi. Per quanto riguarda le acconciature, i capelli, in questo periodo, vengono cotonati e trattenuti sopra la testa, in un ampio e morbido chignon. A differenza del passato, tutti i capelli vengono raccolti all’indietro, e nessuna ciocca è lasciata libera dall’acconciatura. Le forcine scompaiono nella pettinatura, che conferisce alla donna un aspetto elegante e ordinato. Già agli inizi del secolo XX la nuova donna, che doveva misurarsi negli impieghi, nell’insegnamento e nelle diverse professioni, aveva esigenze di praticità e di un abbigliamento consono ad una vita più dinamica e talvolta anche priva di etichette. Anche i Futuristi si occupano dell’abito, noto per il suo uso di colori forti e geometrici, disegni di tessuti per abiti coloratissimi e dai motivi astratti.
Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle mantenere il suo ruolo di arbitra dell’eleganza e i grandi couturiers continuarono la loro attività, nonostante la mancanza di materie prime che dovevano essere, di necessità, mandate al fronte. Forse anche per risparmiare tessuto, le gonne si accorciarono al polpaccio, mentre si affermarono linee militaresche, appena mitigate dalla cosiddetta crinolina di guerra, una gonna imbottita di tulle.
Published: Mar 24, 2020
Latest Revision: Mar 24, 2020
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