Care ragazze e cari ragazzi,
in queste giornate, a cui abbiamo dato il nome di tempo sospeso, ci sono momenti in cui a me sembra di sentire un grandissimo chiasso. Un po’ come quando entri in classe e per un pelo non ti scontri con quello che fa dribbling spostando la sua palla di carta fra i banchi, o con quell’altro che la lancia per aria, riuscendo pure a fare canestro…
… quindi poi ti volti e vedi il gruppetto alla finestra che urla strepita e si dimena, allora ti giri e dall’altra parte ecco che incontri la congrega che però, va detto, non nuoce a nessuno e anzi magari sta pure ripassando per la lezione successiva; ed è poi su quella traiettoria che con lo sguardo incontri lui, il solitario, di cui la sola cosa che avverti è il rimbombare delle cuffie che porta alle orecchie.
Succede poi che quando ti volti dall’altra parte ancora, ti accorgi dei banchi vuoti e allora capisci che sono di quelli che sono scappati, di quelli che nessuno li ha visti, e nessuno li ritrova, e parlando di quelli metti però nel conto anche quegli altri che neanche il tempo di arrabbiarsi che loro: mi scusi, ero in Presidenza, dovevo giustificare.
La casistica, si capisce, potrebbe estendersi ben oltre, ma stavolta, va specificato: in quella chiassosa classe, in questo momento, non ci siete voi ma noi adulti. È allora per noi importante spiegarvi alcune cose.
Quest’emergenza ci ha davvero presi alla sprovvista; sì, sì proprio a noi adulti, intendo: spesso possiamo sembrare confusi ma è perché ci ha costretti a doverci adattare e cambiare programmi e quotidianità nel più breve tempo possibile, e voi lo avete dovuto fare con noi, ma poiché noi siamo gli adulti, ci siamo subito messi al lavoro per cercare di fare del nostro meglio. Siamo infatti tutti impegnati e ciascuno di noi, secondo mansioni e responsabilità, sta cercando di fare del suo meglio. Quindi, se anche vi sembrerà strano, stavolta siamo noi a dover chiedere aiuto alla vostra pazienza!
Quel che sta sta succedendo è in tutto e per tutto un fatto inedito, la stessa parola che si usa quando un romanzo non è mai stato pubblicato prima, dunque significa mai verificatosi. Anzi, aggiungo che da insegnante di Lettere io ho osservato che, dopo anni trascorsi a sentir pronunciare, senza alcuna fondata ragione, dunque solo in maniera iperbolica e per modo di dire, l’aggettivo epocale, è nostro malgrado arrivato il momento in cui possiamo debitamente usarlo. Tutto quel che passa in questo presente è senza alcun dubbio un fatto epocale.
Vediamo dunque la definizione di epocale:
sillabe: e|po|cà|le | pronuncia: /epoˈkale/
Alla luce della definizione, sarete d’accordo con me: è il caso di dire che questo è davvero un evento epocale, nella misura in cui contraddistinguerà questa nostra epoca, che altro non è se non il nostro attuale presente. Ora fermatevi e riflettete da soli sugli aspetti che secondo voi ammettono l’utilizzo dell’aggettivo epocale e provate a fare riferimento a qualcosa che, invece, è stato epocale per le epoche passate. Vi do un input: quest’anno abbiamo iniziato la nostra prima lezione di storia parlando di Big Bang!
Mettete in moto il cervello e spostatevi nel tempo, potete aiutarvi con il libro di storia e andare alla ricerca di cosa secondo voi è stato davvero epocale. La ruota è un esempio, ve lo ricordate? Perché la sua invenzione può definirsi un evento epocale? Pensate però non solo alle invenzioni, ma anche a eventi più impegnativi, come le guerre o le rivoluzioni. Questo è il primo esercizio.
Sempre riguardo a questo tempo, ho osservato anche un’altra cosa, e l’ho fatto riflettendo su quello che voi esclamate più spesso: uff, che noia, ma perché queste cose le dobbiamo studiare? Certo, va detto che di mio non so proprio come sia possibile che qualcuno trovi noiosa una materia come epica, con quelle sue affascinanti storie, come il giudizio di Paride e la guerra di Troia…
Dicevamo la guerra di Troia… Ecco, se ben ricordate, il poema omerico inizia raccontandoci gli ultimi cinquantuno giorni di quel lungo conflitto, durato presumibilmente dieci anni e diciamo presumibilmente perché a tramandarci queste informazioni è stato il mito.
Su cosa sia il mito abbiamo riflettuto a lungo, ma è stato senza dubbio più complicato riflettere su cosa sia l’epica, e va da sé, su cosa sia un fatto epico. Ecco, non c’è quasi nulla di più difficile da spiegare, naturalmente solo dopo i vari princìpi delle termodinamica e di tutte le altre leggi della fisica e della matematica, del vasto concetto racchiuso nella parola “epica”.
Ebbene, ecco una delle possibili spiegazioni attualizzata al presente: questa che stiamo vivendo è la prima vera epica della nostra generazione. So bene che siete troppo piccoli per ricordare gli avvenimenti dell’11 settembre, se anche li avete studiati, ma va detto che neppure quei fatti, per quanto significativi, hanno avuto il potere di cambiare in modo così immediato e radicale la realtà, come quello che sta avvenendo ora. Di cambiarla, per essere precisi, coinvolgendo tutta la collettività di questo nostro tempo.
Possiamo applicare la riflessione in questa maniera: c’è stato un tempo prima degli attentati dell’11 settembre, e c’è stato un tempo inevitabilmente cambiato dopo i fatti dell’11 settembre. Chiedete pure in casa, vi diranno che il primo grande effetto è stato la paura, l’aumento massiccio di controlli negli aeroporti, la percezione ormai mutata del concetto di “sicurezza”. Questo è il secondo esercizio: dovete fare una breve ricerca sugli attentati dell’11 settembre e indicare una delle conseguenze ricadute sull’immaginario collettivo.
Tornando però al nostro presente, da cui tutto è partito, dicevamo che ciò che sta avvenendo è a tutti gli effetti l’epica della nostra generazione. Ma che significa una frase come questa? Tanto per iniziare c’è una situazione che per certi aspetti è come una “guerra”, ed è quella che tutti stiamo combattendo, e quando c’è una guerra, a combatterla ci sono degli “eroi”.
Quando ci sono gli eroi, ormai lo sapete, al loro fianco ci sono anche gli aiutanti, e contro di loro gli ostacolatori (o antagonisti), per esempio quelli che non rispettano le regole, dunque per forza di cose ci sono i guardiani. Dopo di loro le persone comuni, così come gli invisibili lavoratori, non meno eroici ma per l’appunto meno importanti degli eroi, impegnati a salvare le vite altrui. Le loro azioni, come quelle degli eroi antichi, diventano gesta, e i cantori, che all’epoca erano gli aedi, sono ora i mezzi di comunicazione che ogni giorno ci raccontano di queste loro mirabili imprese a cui noi assistiamo, diventando l’altro inevitabile elemento perché sussista una storia, vale a dire il pubblico. Un pubblico interessato perché coinvolto.
Questo presente, dunque, è la nostra difficile epica e se è vero, come io per prima ho sempre pensato, e cioè che a mandare avanti il mondo non sono che quelli capaci di salvare le vite altrui, rimane in prima istanza altrettanto vero che senza la parola e, quindi, senza il racconto non potremmo essere umani; del resto non è che questa la prima vera ragione per la quale conosciamo le storie, reali o mitiche, di gran parte di quelli che prima di noi sono vissuti. Il racconto è, dopo i bisogni primari dell’uomo, una sua urgenza, una necessità. Serve a metterlo in relazione con le emozioni, con i sentimenti, con gli altri uomini.
Ricordiamoci però ancora e meglio che, fra tutti i generi, quello epico ci chiama a una grande riflessione: nella profondità dei temi che indaga suole dividere la complessità della realtà, riducendola tutta a due soli estremi, quello di bene e quello di male. Di fatto dà voce al cambiamento, ma è solo dopo, soltanto dopo, che il cambiamento si è sedimentato che può nascere la storiografia, e ancora dopo il romanzo, la narrativa. Insieme fanno sempre la stessa storia, ma cambia il modo attraverso cui noi dobbiamo guardarla. Il modo in cui noi la guardiamo si chiama: coscienza critica, ed è una cosa che impariamo a sviluppare attraverso lo studio.
La terza e ultima osservazione che ho fatto è che se per noi prof. è sempre molto difficile far capire l’importanza della scuola, ce la possiamo spiegare oggi, insieme, in questa grande lezione didattica che ci sta portando il presente: ogni materia, dalla matematica all’italiano, dalla storia alla geografia, passando per la chimica e la fisica, il diritto e l’economia, le scienze motorie e tutte le altre che non cito, ci aiuta prima di ogni cosa a capire il presente, a saper vivere nel presente… E questo è il terzo e ultimo esercizio: in che termini spigheresti questa riflessione?
Ora che ho davvero finito, vorrei concludere dicendo che però la scuola ci serve soprattutto perché in qualità di persone prima, e di cittadini poi, ci aiuta a sviluppare la capacità di restare lucidi e consapevoli, prudenti e ottimisti e, grazie alla tecnologia, lontani e vicinissimi a chi si vuol bene. Io ve ne voglio!
Un caro abbraccio dalla Prof. Maria Letizia Mereu
Insieme possiamo farcela! #andràtuttobene
Published: Mar 21, 2020
Latest Revision: Mar 24, 2020
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