Nembrini nella
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Nembrini nella “Commedia” di Dante

  • Joined May 2019
  • Published Books 1

introduzione (con metodo e il nb)

2

Inferno pubblico (Data, luogo)

Paola Perossi, Preside

 

3

INFERNO PUBBLICO

Ormai qui a Lecco mi sento a casa, è facile per via della famigliarità con cui mi sento sempre accolto e per il lavoro che abbiamo intrapreso con il liceo Leopardi un po’ meno facile è capire da che parte cominciare, perché è sempre difficile. Sì potrebbe leggere Dante, ma preferirei dirvi alcune cose di questa strana Divina Commedia. Vi dirò poi perché “strana”. Un motivo è che sono due kg di libro! Perché l’editore continuava a dire che doveva essere una Divina Commedia “da comodino”, uno di quei libri che apri, leggi una pagina e poi dormi. Solo che i commenti più benevoli sono stati del tipo “ma questa non è una Divina Commedia da comodino, questo è il comodino!”. Allora abbiamo proposto l’edizione trolley, voluminosa, doveva essere nelle intenzioni un bell’oggetto e lo è stato, il regalo di Natale in questo senso si presta. È una Commedia strana per il contenuto, il contesto in cui nasce. Parto dalla domanda che mi sento sempre fare ovunque io vada, ovvero “ma come si fa a interessare i giovani a Dante? A loro non piace niente, non leggono niente…” e via dicendo. Rispondo raccontando la mia esperienza, diametralmente opposta, dato che forse val la pena di chiarire subito la questione decisiva: un ragazzo, esattamente come un adulto che ha qualcosa da fare nella vita, ha solitamente qualcos’altro a cui pensare. Perché a un ragazzo di quindici anni dovrebbe attrarre Dante? Io dico che ha ragione a non interessarsi. Cosa gliene può importare di un autore e di uno scritto di settecento anni fa? Il problema non è l’interesse per Dante, non è l’interesse per la letteratura, non è l’interesse per la cultura, come si può pretendere che nasca un interesse in un mondo come questo, in cui i ragazzi hanno un vissuto, un immaginario e una cultura di un certo tipo? Come fa a nascere l’interesse per Dante, se non come esito dell’unico interesse serio che un uomo può avere, ovvero l’interesse per se stesso? Rispondo a insegnanti, genitori, sociologi che mi fanno questa domanda dicendo che non ci si può interessare per una cosa fuori di noi. L’’interesse è sempre relativo alla propria persona, e allora ai ragazzi non bisogna dire “dovete interessarvi a Dante”, non è fattibile. Bisogna dirgli, invece, “dovete interessarvi a voi stessi, abbiate un po’ di tenerezza per voi stessi, abbiate a cuore la vostra vita e la vostra persona, stimatevi” e da lì nascerà l’interesse per Dante, ma anche per molte cose che ora si sentono lontanissime. È per la commozione, per lo stupore, per qualcosa che si sente grande per sé che ci si può interessare a qualcosa, se non si parte da ciò non si comincia nemmeno. È uno sforzo bestiale, disumano, cercare di far appassionare i ragazzi a qualcosa che non li rappresenta. Se invece a un certo punto scatta quella scintilla, che muove il cuore, l’intelligenza e libertà, allora tutto cambia. Ad esempio, se tu chiedi a un quindicenne di Bergamo se gli interessa imparare il giapponese, questo ti guarda e ti dice che già l’italiano è troppo. Per quale motivo dovrebbe voler imparare il giapponese? Se però quello stesso ragazzo un giorno si sente solo perché non ha la ragazza, e poi vede passarne una giapponese e le si dichiara, ma non riesce a capire la risposta che lei gli da, allora immediatamente questo ragazzo cercherebbe qualcuno che può tradurre quanto la ragazza gli sta dicendo. Il giovane si mette a studiare il giapponese, non dorme la sera senza sapere cosa lei gli volesse dire! Non c’è altro interesse se non per sé e per la bellezza della propria vita. In questo senso mi commuove essere chiamato da una scuola, perché una scuola dovrebbe essere il posto dove è richiamato questo interesse per la vita, questa tenerezza per se stessi che, se qualcuno la scopre, entra in dialogo con tutto quello che vede, tutto quello che tocca, tutto quello che viene a sapere. Per diversi anni avevo un cartello che appendevo dietro la mia cattedra, di modo che quando i ragazzi avevano lezione con me fossero costretti a vederlo, su cui vi era una citazione di Manzoni: “L’amore alla verità è l’unica cosa che ci possa far dare importanza a tutto ciò che veniamo a sapere”. Questo è il segreto della scuola, della vita, del sapere. Certo, perché scatti tutto ciò occorre ci sia un adulto davanti ai ragazzi, che viva su di sé questo amore. L’educazione è questo sguardo pieno di misericordia, di passione verso chi si insegna. Insomma, tutto questo incredibile percorso che ci ha portato a tale risultato – prima una giornalista mi chiedeva come è nato il tutto – non è mai nato, ma è capitato. Ancora oggi non ci credo quando guardo questo libro, e vedo che c’è il mio nome sopra. Fino a cinquant’ anni mi sarei potuto immaginare di tutto, ma non di scrivere libri o andare in giro a fare conferenze, e quindi essere qui adesso mi impressiona, perché capisco che è una cosa grande, non perché l’ho fatta io, ma per la storia che l’ha in qualche modo generata. E la storia è questa, quella di un insegnante che quando andava a scuola provava a fare quello che ho descritto adesso. La mia prima ora di lezione è sempre stata quella di prendere la classe a cui avrei dovuto insegnare di Dante, della Commedia, dello Stilnovismo – e parliamo di ragionieri bergamaschi, ai quali tutto ciò non è che venga granché spontaneo – e gli faccio leggere una lettera di Machiavelli, anche lui fiorentino esiliato, il quale scrive a un amico di star vivendo una vita disillusa, eccetto per quando la sera si trova nel proprio scrittorio e “lasciate quelle veste quotidiane piene di fango e di loto mi metto panni reali e curiali, e vestito decentemente entro nelle antiche corti degli antichi uomini, dai quali ho ricevuto amorevolmente il pasto di quel cibo che solo è mio e che io nacqui per lui, dove io non mi vergogno di chiedere loro la ragione delle loro azioni, ed essi per la loro umanità mi rispondono, e io per quattro ore di tempo dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte e tutto mi trasferisco in loro”. Dopo avergli letto questo brano, gli chiedevo se avessero il coraggio – ed è questa la sfida – di passare almeno quest’ora di lezione lasciando fuori dalla porta quella che dite voi stessi essere una vita ripugnante, e mettervi panni reali e curiali, cioè sentendovi re, papi e sacerdoti di voi stessi e prendere in mano la vostra vita? Di venire a lezione con il cuore in mano, vivendo all’altezza della vostra infinita dignità e del vostro infinito desiderio? Perché se avete il coraggio per fare così allora io, insegnante, non ho risposte da darvi, ma posso raccontarvi del mio dialogo con Dante, e delle risposte che io ho ricevuto. La cosa interessante non è però questa. La cosa interessante è che avete delle vostre domande, se vi guardate, se vi prendete in mano, capite la vostra vita, così come la mia e quella di tutti gli uomini, è fatta di cose grandi e di ferite, di drammi, a volte di tragedie. Ecco, se avete il coraggio di prendervi in mano così, io faccio l’insegnante, il cui dovere è portarvi nelle antiche corti degli antichi uomini, dove io sono già stato e conosco la strada per giungervi, in modo che voi possiate fare le vostre domande a Dante ed avere le vostre risposte, non le mie. E anzi, se scatterà questo dialogo incredibile, non vi lascerà mai più. Diventerà interessante anche il dialogo tra noi, perché paragoneremo le mie risposte con le vostre e ciascuno di voi lo farà con amici e compagni, e sarà una conversazione incessante che dura tutta la vita. Immaginate che questo possa accadere con Dante, poi con Leopardi, con l’arte e con tutto. Con tutto, perché il sogno dell’uomo è che tutto gli sia amico, che tutto gli sia vicino, sentir tutta la realtà grande, sentir tutto così amico che in tutto trovi un compagno di strada che ti accompagna, che ti compie in qualche modo, perché la vita è questo rapporto strepitoso che si apre con tutta la realtà. L’interesse, se deve nascere, nasce solo così. Cosa ho fatto dunque io in 40 anni? Non ho fatto che questo. Ho cercato di stare davanti ai miei alunni o a chi capitava, in questo modo. È una sfida incredibile questa, perché l’interesse se è questo, tu insegnante non puoi fare finta di averlo, perché se entri in classe fingendo gli alunni ti guardano e ti dicono di finirla di blaterare sciocchezze, si vede lontano un miglio che non ti importa nemmeno a te e sei qui per portare a casa lo stipendio a fine mese. I ragazzi sanno questo, lo sentono per vie misteriose, sentono che o è vero per te che sei dietro la cattedra, o non può essere vero per gli studenti, che giustamente prendono le distanze dall’argomento e dicono “non mi interessa”, e hanno ragione a farlo. Dev’essere così vero per te quello che spieghi, che accade in quel momento. È il segreto dell’insegnamento, per cui se l’insegnante non sta imparando ciò che chiede di imparare ai ragazzi, quest’ultimi non hanno ragione di impararlo. Cito sempre un episodio accaduto nella mia scuola una decina di anni fa, che mi impressionò tantissimo perché – allora facevo il rettore – vi era un insegnante relativamente di primo pelo che mi disse “Franco, mi è successa una cosa strana: ho una classe che in matematica è solita andare male, in cui però ho fatto una compito in classe quindici giorni fa e tutti hanno preso otto”. Risposi io: “Ti hanno fregato, hanno copiato, scendi dalla pianta”. Questa insegnante però mi spiegò come la verifica fosse strutturata di modo che a nessuno fosse possibile copiare, e allora la cosa mi lasciò incuriosito, per poi alla fine capire cos’era accaduto. Nel raccontare disse qualcosa a cui non aveva nemmeno fatto caso, cioè mi ha confidato che quell’argomento era l’unico che non aveva studiato all’università, e che studiava mentre lo spiegava agli studenti. È perché lo stava imparando lei, che i ragazzi capivano, anche le più capre in quella circostanza riuscirono a padroneggiare quanto veniva detto in classe e a prendere un bel voto, perché si può insegnare solo ciò che si sta imparando. Si può leggere la decimillesima volta il primo canto dell’Inferno, ma l’alunno che hai davanti lo può gustare solo se in quel momento per la decimillesima volta tu ti commuovi, perché dice a te qualcosa di così vero che non puoi non riverberare negli alunni che hai davanti. Questa è la fonte dell’interesse per tutto ciò che veniamo a sapere, un grande amore per la verità, ma non la verità filosofica, bensì la verità della vita. per quarant’anni tu leggi “nel mezzo del cammin di nostra vita” e per quarant’ anni, per migliaia e migliaia di volte ti viene la pelle d’oca ed anzi, più passa il tempo e lo ripeti, e più la pelle d’oca è sincera, è vera, perché è carne della tua carne. Se ti tocca dire la verità su di te, e questa parole l’hanno detta una volta decine di anni fa, a distanza di tanto tempo è ancora più vera, e la commozione ancora più sincera. Dire ai ragazzi di Dante, che a 35 anni, quando potrebbe dire che comunque era una persona compiuta, aveva una famiglia, successo, potere, e invece guardandosi si rende conto che la sua condizione è misera, che tutto quel che aveva fatto e che aveva era inutile in mancanza di un orizzonte, se non si sa stare davanti alla realtà di ogni giorno pieno di una grandezza e di una speranza invincibili. Sentire che da qualche parte ci dev’essere un luogo dove c’è una luce grande, sentirsi attratti da essa, e la possono godere quelli intorno a te, una luce così grande da essere capace di spiegare il mistero della vita, e perché c’è il dolore, e perché si soffre e si muore e si canta e si piange. E volerla raggiungere, questa luce, provarci da soli e non farcela, perché è come se qualcosa più forte di te assaltasse e uccidesse ogni giorno questo desiderio. Leggi la commedia ai ragazzi e gli spieghi che Dante la luce l’ha vista, ha visto il colle illuminato dal sole, ha provato a giungervi in cima da solo, ma è stato assaltato da una lince, una lupa e una lonza in modo così violento da non lasciar possibilità di speranza, e anzi dice “io fui per ritornar più volte volto”, cioè quel male, oscuro e tremendo da far paura, ti fa capire che è finita. E invece che essere la fine, per Dante tutto ciò è un inizio, l’inizio della grande avventura della vita, ma a condizione di chiamare le cose per nome, di far valere questo atto di aver paura di sé ma nello stesso tempo, nel momento in cui si presenta uno sconosciuto nel fondo della selva, senza pregiudizio saper dire a questo “non ce la faccio più, da solo non ci riesco, vivere è troppo duro, troppo pesante”. Sì è pieni di speranza sin da piccoli ma questa viene tradita dalla vita di ogni giorno, e Dante lo sapeva bene perché di tutto questo si rende conto per via della storia d’amore che vive con Beatrice. Un ragazzo giovane che gira per Firenze come facciamo noi, con però il vantaggio che l’educazione che aveva ricevuto lo aveva reso attento, lo faceva consapevole di sé e di questo desiderio di bene che aveva. Noi non ce lo ricordiamo nemmeno di essere fatti così, a differenza sua. Dante sente questo desiderio di bene e continua a guardarsi in giro cercando, finché incontra una ragazza così bella, così significativa per la sua vita che dice di non avere altri ricordi, precedenti l’incontro con lei, di una persona che gli avesse fatto presentire la felicità possibile. La sente capace di renderlo felice, di portargli la beatitudine cui aspira (Beatrice, colei che rende beati). A questa ragazza da con slancio il cuore e la vita, per poi rivederla a diciotto anni anni in un incontro decisivo, descritto in maniera impeccabile, quando lei gli si dichiara, non dicendo nulla in realtà, ma sorridendogli. Gli sorride ed è il modo di dire “sì, sono io, hai fatto bene ad aspettarmi, Dante, io ti renderò felice, sono la tua Beatrice, Dio mi ha pensata per te”. Allora lui, di fronte a tutto ciò, impazzisce, scrive poesie, ha delle visioni tali che i miei alunni parlano di canne e droga. Insomma, va fuori di testa tanto è grande quanto gli sta accadendo, e sul più bello, quando sembra che la vita compia in lei, quella donna, il sogno della felicità, allora questa muore. Muore, e a Dante sorge quel grido, che accosto sempre a Leopardi sulla tomba di Silvia: “Oh natura, oh natura perché di tanto inganni i figli tuoi?”. Perché non rendi ciò che prometti a loro? E a Dante sperimenta una rabbia, gli viene una domanda, ma siccome è cristiano – e questa è la cosa che facciamo più fatica ad imparare da lui – è di un realismo incrollabile, si fida più della realtà che dei suoi pensieri, espone che se c’è questo desiderio nell’oggetto incontrato, in questa ragazza, se vi ha trovato del bene, semplicemente c’è qualcosa che non capisce. C’è qualcosa di grande ancora da imparare.

4

E in quell’oggetto incontrato, quella ragazza, io ho fatto esperienza di quel bene. Semplicemente c’è qualcosa che non capisco, c’è qualcosa di più grande ancora da imparare e Dante per anni sta zitto, piangendo e soltanto dieci anni dopo mantiene la promessa, prende carta e penna e compone la Divina Commedia.
Ma quando la scrive ha fatto un percorso, ha vissuto fino in fondo quella ferita e quella domanda e allora capisce che nel momento migliore della sua vita lui non è ancora niente, il bello deve ancora venire; per questo ci parla di una ferita, di una selva oscura, di una felicità intuita ma non raggiungibile e di questo miracolo pazzesco con cui la Divina Commedia inizia: la presenza di uno, inaspettato, immeritato ma che finalmente può gridare “miserere di me”, cioè non ce la faccio. Chiunque tu sia se sei vivo se sei uno di noi, se non sei un uomo sarai un fantasma, ma se ci sei abbi pietà di me, dammi una mano perché da solo io non ce la faccio, il dolore è troppo grande, la menzogna rischia di vincere e l’amore si è preso l’ultima parola.
Ma voi vi immaginate dei ragazzi di quindici anni capaci di rimanere indifferenti a questo? È impossibile. Bisogna imparare ad aprire gli occhi e guardare le cose come sono, c’è una promessa di bene gigantesca, ma l’esperienza ci fa anche dire che questa promessa sembra poi tradita dalla vita a causa del cinismo, della disperazione, del rancore che gli adulti fanno respirare loro e che è ciò che gli fa mancare il respiro.
Allora ragazzi, c’è una strada, dura, difficile quanto vi pare, ma c’è una possibilità, anche per il più disinteressato a Dante. C’è chi dice che i ragazzi di oggi, i ragazzi moderni, non si interessino a causa di un linguaggio così complesso, ciò è falso perché sarebbe come dire che qualcosa che è stato scritto tremila anni fa non interessa più a nessuno. Non si può ragionare così! Mi sono tolto un sassolino dalla scarpa decidendo di dedicare questo volume ai pochissimi italiani che non hanno mai letto la Divina Commedia e ai moltissimi che avevano giurato di non leggerla mai più. Il cuore dell’uomo è così descritto da questa esperienza che colui che è il più sordo, il più disinteressato si muove un po’, almeno in quell’ora, poi se lo dimentica con il suono della campanella e tocca riprenderlo la settimana dopo, ma non c’è anima umana che non abbia sobbalzato davanti ad una verità così evidente.
Nel mio girare per il mondo al fine di leggere Dante mi è capitato di spiegarlo alla gente della Sierra Leone, non si può immaginare una cultura così distante, ma raccontandogli questa storia loro capiscono benissimo e ragazzi di quindici anni, bambini soldato, si mettono a piangere sul proprio colore, sulle proprie ferite perché ciò per loro è una consolazione, che non ci sia un’ultima parola. L’anno scorso ero a Caracas, in Venezuela, ed ero stato chiamato dalla società perché, cosa incredibile, ero riuscito a far credere di essere un grande conoscitore di Dante e questa cosa mi fa sorridere perchè io sono solo un professore, ma ci sono persone che ha dedicato la vita allo studio di Dante e ne sanno di più di me. Io non sono riuscito a frequentare l’università, mi sono arrangiato, sono andato a lavorare eppure la gioia di questo mio dialogo con dante mi porta ovunque.
Come dicevo mi chiamò a Caracas la società Dante Alighieri, che ha quasi duecentoventi centri culturali in Venezuela; andai là tre giorni dopo il colpo di stato di Maguro, il paese soffriva una fame tremenda e le cose erano peggiorate ancora. Arrivato feci quattro incontri dove la gente mi chiedeva come era possibile uscire dall’Inferno come aveva fatto Dante. Un giorno mi fecero conoscere una donna poverissima delle Favelas, che aveva insistito fino alla morte perché mi invitassero lì alla società Dante Alighieri dopo aver visto alcuni dei miei video. Io le chiesi come si era incrociata con Dante e lei mi raccontò che lei con delle sue amiche stava cercando di costruire una piccola fabbrica di cioccolato ma per farlo c’era bisogno di un pezzo di carta, di un titolo di studio che si poteva ottenere con un piccolo esame facendo una relazione su un tema a sorte.
Quando toccò a lei il professore tirò fuori il bigliettino con il nome di Dante Alighieri. Questa povera donna si mise a cercare chi fosse, chiedendo ai figli, al prete fino a quando non trovò una Divina Commedia in spagnolo in prosa, ma leggendola lei si appassionò. Io le chiesi che cosa l’avesse colpita e lei rispose che era il modo in cui Dante parlava direttamente al suo animo. Mi raccontò inoltre che lei alle quattro di mattina si metteva in fila per il pane insieme a centinaia di persone in coda per portare a casa un piccolo pezzo di pane per i cinque figli e lei nell’attesa prendeva la Divina Commedia e la leggeva insieme agli altri.
Così mi unii anche io a quel gruppo e ogni mattina ci trovavamo e leggevamo Dante insieme come se fosse la cosa più normale al mondo. Loro mi dicevano che sebbene facessero la fila per poter dare ai figli il pane per la pancia, bisognava anche prendere il pane per la mente. A Caracas, una donna delle Favelas, senza che abbia bisogno di studi o di letteratura, mi disse che stava cercando il pane che era in grado di educare e far crescere i suoi bambini. Se succedono cose di questo genere vuol dire che veramente quest’opera e questo scrittore possono arrivare ad un livello incredibile di profondità nel cuore dell’uomo.
Un’altra volta un mio amico filosofo in università mi disse che alcuni studenti erano interessati a Dante e speravano di incontrarmi quel pomeriggio. Decisi di andare e proprio sulla porta mi presentarono Oref, un alunno alto un metro affetto da una malattia gravissima di nanismo e quasi cieco. Lui mi raccontò la sua storia, dicendo di aver vissuto l’inferno quando venne lasciato in un orfanotrofio alla nascita, ma poi mi disse che ebbe il colpo di fortuna della sua vita: divenne cieco.
In quel momento dissi all’interprete di fare attenzione a ciò che stava traducendo, pensando fosse un suo errore, ma non era così; lui serissimo mi spiegò che quando iniziò ad avere problemi di vista lo trasferirono in un internato per ciechi e lì finalmente riuscì a capire di essere nato anche lui per la bellezza, attraverso la letteratura e la musica. Feci la lezione su Dante, spiegando dettagliatamente la questione delle stelle, per me la più bella ed enigmatica di tutta la Divina Commedia. quando uscii mi chiesi cosa potevano aver capito da una presentazione di Dante, spiegato da un bergamasco, tradotto in russo dall’interprete e reinterpretato da un altro in ucraino. Ritrovai Oref davanti alla porta e gli chiesi come era andata e lui in risposta piangeva come una fontana; alla fine gli chiesi cosa potessi fare per lui, utilizzai la parola “desideri” siccome avevo spiegato il significato: de sidera, verso le stelle. Lui mi disse che voleva rivedere le stelle e allora per due anni sono andato in giro a parlare, raccontando la sua storia e chiedendo un’offerta. Lui venne in Italia e fu operato a Como affinché potesse rivedere le stelle. Quando lo rincontrai gli chiesi se era riuscito a vedere di nuovo le stelle, ma lui mi disse che ora non poteva, ma vedeva qualcosa di più importante: gli occhi degli amici che gli parlavano. Se Dante può fare ciò, per me allora è santo. Qualche anno fa mio figlio arrabbiato venne da me dicendo che aveva un’interrogazione su Dante, decisi dunque di dargli una mano e facemmo il primo incontro una domenica sera io, lui, il fratello maggiore e i vicini di casa. La storia fu talmente interessante che mi dissero di andare avanti e così, per mesi, i ragazzi continuavano ad aumentare ed ad aprile per il passa parola arrivarono duecentoottantaquattro ragazzi da Milano e da Torino, facendo ore e ore di viaggio per leggere Dante con me.
Fu così che arrivarono le mamme chiedendo il perché i propri figli si fossero interessati a Dante così velocemente. Esse si lamentarono perché a loro stesse non veniva mai raccontato niente, così fondai il primo corso per le mamme intitolato “Dante per le massaie”.
Dante non è solo un testo che viene letto da degli specialisti del classico, ma è un messaggio per i ragazzini che fanno i cuochi, i parrucchieri, chiunque abbia veramente bisogno di leggerlo. Con questi ragazzi ho scoperto la petizione del milletrecentosettantatre, quando cinquant’anni dopo che la morte di Dante la gente di Firenze fece una raccolta firme chiedendo alle autorità di assumere uno studioso che sulla pubblica piazza spieghi dante ai non grammatici, perché avevano capito che attraverso la Divina Commedia loro potevano imparare a nella virtù evitando il vizio. Boccaccio venne incaricato di fare queste pubbliche letture, ne fece sedici o diciotto ma cadde malato anche perché era ultrasessantenne. Quando ho letto quella petizione ho capito il motivo per cui si ascolta Dante, perché è nato come esempio di vita buona, presente; ci siano persone che ci fanno uno studio speciale, ma io voglio portare di nuovo dante alla gente per strada che non sa. Nei libri spesso c’è una riga di dante e una pagina di note, un casino! Solo gli studi approfonditi dovrebbero essere letti così. La scuola tratta la letteratura in modo sbagliato. Non puoi dire ad un ragazzo di quindici anni “ti piacciono le ragazze? vieni te ne faccio vedere una” e lo porti all’obitorio! Certo è una bellissima ragazza, ma lui ne vuole una viva; da abbracciare. Questo hanno fatto, hanno preso la Commedia, l’hanno messa sul tavolo dell’obitorio e hanno detto ai ragazzi di sminuzzarla.
A quindici anni non gli può interessare, bisogna che lui senta che lei lo vuole, vuole stare con lui, con il modo misterioso in cui Dante parla, più imparerà più vorrà amarlo, ma bisogna cambiare la visione dall’inizio. Mi ricordo che in una classe, terza ragioneria, c’era uno spilungone lungo tre metri attaccato al muro che dondolava sulla sedia con gli occhi chiusi e tutti i piercing. Quando chiesi l’opinione dei miei alunni dopo aver spiegato Dante, lui da là in fondo aprii gli occhi e alzò la mano dicendo voler essere interrogato dicendo:“io so a memoria tutto il primo canto” gli chiesi di dirlo e lui ripeté tutto il canto senza sbagliare un accento, tutti rimasero basiti e quando gli chiesi il perché lo avesse studiato lui mi rispose in bergamasco “trop bell”.
Come aveva fatto quella lezione a fargli dire “trop bell”, come poteva smuovere un ragazzo come lui? Questa è la magia dell’insegnamento! Quei ragazzi sono andati all’università poi ci siamo ritrovati e siamo andati a bere e parlando e bevendo saltò fuori l’idea dell’associazione “Cento Canti”, in caso bruciassero tutte le Divine Commedie.
Ognuno avrebbe imparato un canto da diventare la Divina Commedia vivente. Fu in questo modo che creammo la “Cento Canti”.

5

 

 

 

E in quell’oggetto incontrato, quella ragazza, io ho fatto esperienza di quel bene. Semplicemente c’è qualcosa che non capisco, c’è qualcosa di più grande ancora da imparare e Dante per anni sta zitto, piangendo e soltanto dieci anni dopo mantiene la promessa, prende carta e penna e compone la Divina Commedia.
Ma quando la scrive ha fatto un percorso, ha vissuto fino in fondo quella ferita e quella domanda e allora capisce che nel momento migliore della sua vita lui non è ancora niente, il bello deve ancora venire; per questo ci parla di una ferita, di una selva oscura, di una felicità intuita ma non raggiungibile e di questo miracolo pazzesco con cui la Divina Commedia inizia: la presenza di uno, inaspettato, immeritato ma che finalmente può gridare “miserere di me”, cioè non ce la faccio. Chiunque tu sia se sei vivo se sei uno di noi, se non sei un uomo sarai un fantasma, ma se ci sei abbi pietà di me, dammi una mano perché da solo io non ce la faccio, il dolore è troppo grande, la menzogna rischia di vincere e l’amore si è preso l’ultima parola.
Ma voi vi immaginate dei ragazzi di quindici anni capaci di rimanere indifferenti a questo? È impossibile. Bisogna imparare ad aprire gli occhi e guardare le cose come sono, c’è una promessa di bene gigantesca, ma l’esperienza ci fa anche dire che questa promessa sembra poi tradita dalla vita a causa del cinismo, della disperazione, del rancore che gli adulti fanno respirare loro e che è ciò che gli fa mancare il respiro.
Allora ragazzi, c’è una strada, dura, difficile quanto vi pare, ma c’è una possibilità, anche per il più disinteressato a Dante. C’è chi dice che i ragazzi di oggi, i ragazzi moderni, non si interessino a causa di un linguaggio così complesso, ciò è falso perché sarebbe come dire che qualcosa che è stato scritto tremila anni fa non interessa più a nessuno. Non si può ragionare così! Mi sono tolto un sassolino dalla scarpa decidendo di dedicare questo volume ai pochissimi italiani che non hanno mai letto la Divina Commedia e ai moltissimi che avevano giurato di non leggerla mai più. Il cuore dell’uomo è così descritto da questa esperienza che colui che è il più sordo, il più disinteressato si muove un po’, almeno in quell’ora, poi se lo dimentica con il suono della campanella e tocca riprenderlo la settimana dopo, ma non c’è anima umana che non abbia sobbalzato davanti ad una verità così evidente.
Nel mio girare per il mondo al fine di leggere Dante mi è capitato di spiegarlo alla gente della Sierra Leone, non si può immaginare una cultura così distante, ma raccontandogli questa storia loro capiscono benissimo e ragazzi di quindici anni, bambini soldato, si mettono a piangere sul proprio colore, sulle proprie ferite perché ciò per loro è una consolazione, che non ci sia un’ultima parola. L’anno scorso ero a Caracas, in Venezuela, ed ero stato chiamato dalla società perché, cosa incredibile, ero riuscito a far credere di essere un grande conoscitore di Dante e questa cosa mi fa sorridere perchè io sono solo un professore, ma ci sono persone che ha dedicato la vita allo studio di Dante e ne sanno di più di me. Io non sono riuscito a frequentare l’università, mi sono arrangiato, sono andato a lavorare eppure la gioia di questo mio dialogo con dante mi porta ovunque.
Come dicevo mi chiamò a Caracas la società Dante Alighieri, che ha quasi duecentoventi centri culturali in Venezuela; andai là tre giorni dopo il colpo di stato di Maguro, il paese soffriva una fame tremenda e le cose erano peggiorate ancora. Arrivato feci quattro incontri dove la gente mi chiedeva come era possibile uscire dall’Inferno come aveva fatto Dante. Un giorno mi fecero conoscere una donna poverissima delle Favelas, che aveva insistito fino alla morte perché mi invitassero lì alla società Dante Alighieri dopo aver visto alcuni dei miei video. Io le chiesi come si era incrociata con Dante e lei mi raccontò che lei con delle sue amiche stava cercando di costruire una piccola fabbrica di cioccolato ma per farlo c’era bisogno di un pezzo di carta, di un titolo di studio che si poteva ottenere con un piccolo esame facendo una relazione su un tema a sorte.
Quando toccò a lei il professore tirò fuori il bigliettino con il nome di Dante Alighieri. Questa povera donna si mise a cercare chi fosse, chiedendo ai figli, al prete fino a quando non trovò una Divina Commedia in spagnolo in prosa, ma leggendola lei si appassionò. Io le chiesi che cosa l’avesse colpita e lei rispose che era il modo in cui Dante parlava direttamente al suo animo. Mi raccontò inoltre che lei alle quattro di mattina si metteva in fila per il pane insieme a centinaia di persone in coda per portare a casa un piccolo pezzo di pane per i cinque figli e lei nell’attesa prendeva la Divina Commedia e la leggeva insieme agli altri.
Così mi unii anche io a quel gruppo e ogni mattina ci trovavamo e leggevamo Dante insieme come se fosse la cosa più normale al mondo. Loro mi dicevano che sebbene facessero la fila per poter dare ai figli il pane per la pancia, bisognava anche prendere il pane per la mente. A Caracas, una donna delle Favelas, senza che abbia bisogno di studi o di letteratura, mi disse che stava cercando il pane che era in grado di educare e far crescere i suoi bambini. Se succedono cose di questo genere vuol dire che veramente quest’opera e questo scrittore possono arrivare ad un livello incredibile di profondità nel cuore dell’uomo.
Un’altra volta un mio amico filosofo in università mi disse che alcuni studenti erano interessati a Dante e speravano di incontrarmi quel pomeriggio. Decisi di andare e proprio sulla porta mi presentarono Oref, un alunno alto un metro affetto da una malattia gravissima di nanismo e quasi cieco. Lui mi raccontò la sua storia, dicendo di aver vissuto l’inferno quando venne lasciato in un orfanotrofio alla nascita, ma poi mi disse che ebbe il colpo di fortuna della sua vita: divenne cieco.
In quel momento dissi all’interprete di fare attenzione a ciò che stava traducendo, pensando fosse un suo errore, ma non era così; lui serissimo mi spiegò che quando iniziò ad avere problemi di vista lo trasferirono in un internato per ciechi e lì finalmente riuscì a capire di essere nato anche lui per la bellezza, attraverso la letteratura e la musica. Feci la lezione su Dante, spiegando dettagliatamente la questione delle stelle, per me la più bella ed enigmatica di tutta la Divina Commedia. quando uscii mi chiesi cosa potevano aver capito da una presentazione di Dante, spiegato da un bergamasco, tradotto in russo dall’interprete e reinterpretato da un altro in ucraino. Ritrovai Oref davanti alla porta e gli chiesi come era andata e lui in risposta piangeva come una fontana; alla fine gli chiesi cosa potessi fare per lui, utilizzai la parola “desideri” siccome avevo spiegato il significato: de sidera, verso le stelle. Lui mi disse che voleva rivedere le stelle e allora per due anni sono andato in giro a parlare, raccontando la sua storia e chiedendo un’offerta. Lui venne in Italia e fu operato a Como affinché potesse rivedere le stelle. Quando lo rincontrai gli chiesi se era riuscito a vedere di nuovo le stelle, ma lui mi disse che ora non poteva, ma vedeva qualcosa di più importante: gli occhi degli amici che gli parlavano. Se Dante può fare ciò, per me allora è santo. Qualche anno fa mio figlio arrabbiato venne da me dicendo che aveva un’interrogazione su Dante, decisi dunque di dargli una mano e facemmo il primo incontro una domenica sera io, lui, il fratello maggiore e i vicini di casa. La storia fu talmente interessante che mi dissero di andare avanti e così, per mesi, i ragazzi continuavano ad aumentare ed ad aprile per il passa parola arrivarono duecentoottantaquattro ragazzi da Milano e da Torino, facendo ore e ore di viaggio per leggere Dante con me.
Fu così che arrivarono le mamme chiedendo il perché i propri figli si fossero interessati a Dante così velocemente. Esse si lamentarono perché a loro stesse non veniva mai raccontato niente, così fondai il primo corso per le mamme intitolato “Dante per le massaie”.
Dante non è solo un testo che viene letto da degli specialisti del classico, ma è un messaggio per i ragazzini che fanno i cuochi, i parrucchieri, chiunque abbia veramente bisogno di leggerlo. Con questi ragazzi ho scoperto la petizione del milletrecentosettantatre, quando cinquant’anni dopo che la morte di Dante la gente di Firenze fece una raccolta firme chiedendo alle autorità di assumere uno studioso che sulla pubblica piazza spieghi dante ai non grammatici, perché avevano capito che attraverso la Divina Commedia loro potevano imparare a nella virtù evitando il vizio. Boccaccio venne incaricato di fare queste pubbliche letture, ne fece sedici o diciotto ma cadde malato anche perché era ultrasessantenne. Quando ho letto quella petizione ho capito il motivo per cui si ascolta Dante, perché è nato come esempio di vita buona, presente; ci siano persone che ci fanno uno studio speciale, ma io voglio portare di nuovo dante alla gente per strada che non sa. Nei libri spesso c’è una riga di dante e una pagina di note, un casino! Solo gli studi approfonditi dovrebbero essere letti così. La scuola tratta la letteratura in modo sbagliato. Non puoi dire ad un ragazzo di quindici anni “ti piacciono le ragazze? vieni te ne faccio vedere una” e lo porti all’obitorio! Certo è una bellissima ragazza, ma lui ne vuole una viva; da abbracciare. Questo hanno fatto, hanno preso la Commedia, l’hanno messa sul tavolo dell’obitorio e hanno detto ai ragazzi di sminuzzarla.
A quindici anni non gli può interessare, bisogna che lui senta che lei lo vuole, vuole stare con lui, con il modo misterioso in cui Dante parla, più imparerà più vorrà amarlo, ma bisogna cambiare la visione dall’inizio. Mi ricordo che in una classe, terza ragioneria, c’era uno spilungone lungo tre metri attaccato al muro che dondolava sulla sedia con gli occhi chiusi e tutti i piercing. Quando chiesi l’opinione dei miei alunni dopo aver spiegato Dante, lui da là in fondo aprii gli occhi e alzò la mano dicendo voler essere interrogato dicendo:“io so a memoria tutto il primo canto” gli chiesi di dirlo e lui ripeté tutto il canto senza sbagliare un accento, tutti rimasero basiti e quando gli chiesi il perché lo avesse studiato lui mi rispose in bergamasco “trop bell”.
Come aveva fatto quella lezione a fargli dire “trop bell”, come poteva smuovere un ragazzo come lui? Questa è la magia dell’insegnamento! Quei ragazzi sono andati all’università poi ci siamo ritrovati e siamo andati a bere e parlando e bevendo saltò fuori l’idea dell’associazione “Cento Canti”, in caso bruciassero tutte le Divine Commedie.
Ognuno avrebbe imparato un canto da diventare la Divina Commedia vivente. Fu in questo modo che creammo la “Cento Canti”.

 

 

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Nel frattempo mi sono ammalato ho dovuto smettere di insegnare, e smettendo di insegnare ho avuto più tempo per andare in giro a fare queste chiacchierate. Sono finito in una parrocchia romana dove un parroco mi ha chiesto di fare un piccolo corso sulla “Divina Commedia”, qui incontro un giovane, tale Gabriele Dell’Otto, che aveva seguito tutto il percorso di sei serate sull’Inferno e la moglie tutte le volte diceva di presentarsi e dire che lavoro faceva, ma soltanto all’ultimo incontro si decide, viene lì.
Sapete però come funzionano questi incontri, sei lì con cinquecento persone, uno ti racconta che ha trascritto la Divina Commedia in dialetto locale, la maestrina ti viene a dire che ha fatto recitare la Commedia all’asilo, da uccidere lì sul posto, le cose più variegate, insomma. Ad un certo punto arriva questo tipo e dice: “piacere sono un illustratore, ho fatto delle rappresentazioni su Dante, eventualmente potremmo collaborare, grazie mi faccia sapere”.
E quando se ne va i ragazzi della borgata di Roma mi dicono: “Franco, hai capito con chi stai parlando, è Gabriele Dell’ Otto”.
Ed io: “E chi cavolo è il Gabriele Dell’Otto”.
Così mi spiegano che è uno degli otto al mondo, l’unico italiano, poi c’è un coreano, due giapponesi e un canadese, che illustra le copertine dei fumetti americani Marvel, cioè disegna, olio su tela e a colori, lo Spider Man e tutti i lavori di quel genere.
Capendo che la questione era importante andai a trovarlo, mi aveva lasciato il numero di telefono, ci siamo sentiti, e insomma, ve la faccio breve, si presenta, mi racconta un po’ la sua storia, convertito in tarda età, mi lancia una sfida.
Era rimasto così colpito da ciò che aveva sentito a quegli incontri che così per diletto aveva cominciato a dipingere dei quadri. Nel suo studio c’era un cavalletto su cui stava facendo i suoi supereroi mentre teneva un altro cavalletto libero.
Mentre pitturava ascoltava le mie sei lezioni sulla Divina Commedia, e di colpo mentre sentiva gli veniva l’idea, cambiava cavalletto e dipingeva un quadro dell’ Inferno. Quando l’ho conosciuto ne aveva fatti già cinque che adesso, se possiamo, vediamo insieme.
Il primo che ho visto è stato questo, e lui mi ha spiegato che ogni tanto provava a fare quadri ispirati da me. “Me ven la meraviglia, ispiro cuse!” E quando entro nello studio guardo questo primo e dico: “Scusa ma cosa sarebbe?” “L’Ulisse” mi rispose e io mi misi a ridere: “Scusa ma dov’è l’Ulisse?”. Io quando ho letto la Divina Commedia ho sempre immaginato che se dovessi fare un’immagine di Ulisse mi verrebbe in mente la nave, le Colonne d’Ercole, la Circe, il naufragio davanti alla montagna del Purgatorio. E invece cos’è questo disegno? E lui quindi mi spiega il criterio con cui nasce la sua illustrazione della Commedia, e mi dice: “Franco, sei stato tu ad insegnarmelo, chiunque leggerà la nostra Divina Commedia vedrà ciò che ha visto Dante, non quello che vediamo noi ascoltando i suoi racconti, perché il lettore deve sentire la proposta fattagli dall’autore, immedesimarsi in lui e fare lo stesso percorso di santità e di grandezza.
“Non possiamo fargli vedere delle altre cose.”
Provate a pensarci, se lui avesse un altro criterio, quello che per altro hanno usato quasi tutti gli illustratori. Abbiamo visto migliaia di immagini, e cos’hanno fatto, hanno dipinto il contenuto del racconto dei personaggi, solo che così si hanno cento quadri della Divina Commedia sparati in direzioni diverse: un greco antico che viaggia su una barca, Paolo e Francesca in costumi medioevali ammazzati dal cognato e così via… Avremmo avuto delle immagini totalmente incoerenti, ognuna per conto suo, che dicono per conto loro. Questo modo invece io lo difendo tantissimo. Alcuni grandi studiosi quando le hanno viste si sono stracciati le vesti: “Sacrilegio, sacrilegio!!” “Dante ridotto a fumetti, costui bestemmia” figuratevi. Io invece lo difendo a spada tratta, vi sfido ad andare a prendere le immagini per vedere la coerenza tra l’immagine il testo, è assoluta, assoluta.
Un giorno Gabriele mi chiama a mezzanotte dicendo: “Sto dipingendo i centauri, ma su che terreno camminano i centauri?” e io: “Scusa?” “Sabbia o roccia?” e io: “Cosa te ne frega? Dove camminano in centauri … Ecco fai l’asfalto, l’asfalto con la riga in mezzo” “No no no perchè il verso dice …”.
Capito? Siamo a questo livello paranoico, una esigenza di fedeltà al testo che moltissimi cicli di immagini della Divina Commedia non hanno poiché avevano altri intendimenti. Noi invece stiamo qui a pensare pure a questo, se vedeste l’originale di questo sentireste caldo man mano che vi avvicinate e avreste paura di scottarvi a toccarlo tanto è realistica quella fiamma.
Ora possiamo vedere anche la seconda immagine così vi dico altre due cose importanti. Ecco, qui per esempio ci siamo presi una licenza poetica, pochissime quando ci son sembrate necessarie, pochissime. All’inizio aveva fatto Virgilio lì dov’è mentre Dante si trovava al posto della lupa e la lupa al posto di Dante, inoltre c’era solo la lupa e aveva ragione, sapete che Dante prima vede la lonza che poi sparisce, poi il leone e anche lui sparisce infine la lupa, vede quindi una fiera alla volta.
Questa immagine non è fedelissima al testo, ma se metti solo Dante e la lupa viene l’idea che se è un po’ furbo magari ce la fa, che magari con uno scatto frega la lupa e arriva in cima al colle, e questo non va bene, deve essere chiaro a chi la guarda che da soli la salvezza non ce la si fa, allora abbiamo discusso e deciso di metterle le fiere in sequenza, così che voi capiate bene la differenza, ora guardandola si capisce bene che la in cima non ci si arriva, è impossibile, e allora si capisce ancora meglio il gesto di Virgilio che gli mette la mano sulla spalla e gli dice, indicandogli un sentiero alternativo: “A te convien tenere altro viaggio e vuoi campar di questo luogo selvaggio.” Il massimo di licenza poetica che ci siamo concessi è questa ma con l’intenzione di dire ancora meglio quello che dante sta dicendo.
Questa è la terza, ed anche qui e stato un grande. Gli avari e prodighi, disposti su due file si incontrano spingendo un masso,,e quelli di qua bestemmiano e urlano contro quelli di là e viceversa. Lui aveva dipinto il dannato in primo piano tutto teso nello sforzo di spingere il masso ma con la testa che si guardava, e quando l’ho visto ho detto: “Accidenti Gabriele, però sembra che questi non centrino niente con il resto, Dante dice che questi due si insultano, si odiano, si ammazzerebbero l’un l’altro, e invece tu hai fatto questo qui in primo piano che è come isolato da ciò che gli succede intorno”. Allora abbiamo riletto il canto, non gli ho detto più niente, la mattina dopo gli aveva girato la testa, una magia, girato quella testa che ora urlava qualcosa. Queste immagini nascono insieme, da una lettura, adesso con il comitato scientifico è bellissimo perché leggiamo insieme il canto, gli lanciamo un’idea, lui fa il layout,lo mandiamo tutto al comitato e ognuno di loro fa le sue osservazioni.
E’ un lavoraccio, ma incredibile perchè ogni quadro in questo modo nasce proprio insieme.
Questo è il quarto quadro. Guardate gli occhi di quel bambino, vale da solo tutto il libro, il genio di Gabriele ci mette dentro la situazione, ed io del Limbo ne ho viste tante di immagini ma nessuna ha avuto questo colpo di genio. Qui Dante li ha gia incontrati li ha gia visti, e è passato oltre, ma proprio perché li ha visti gli ha spaccato il cuore in due, allora si gira a guardare il bambino come per dire: “Non è giusto.”
Guardate gli occhi di quel bambino. “Noi che sanza speme vivemo in disio”, il Limbo dove i grandi uomini dell’antichità e i bambini morti senza battesimo non possono accedere al Paradiso, sono all’Inferno, sia pure in una zona dove non si soffre, ma sono all’Inferno e Dante passa come dicendo: “Perché? Quel bambino lì dovrebbe essere in Paradiso” e invoca una salvezza che lui, nella sua ortodossia non può attribuire a coloro che non sono stati battezzati, ma con quello sguardo è come se gliela portasse, come se gli dicesse: “Se vado da Dio glielo dico che non va bene, non è giusto così”. Poi Benedetto XVI ha cancellato il Limbo e mi ha cancellato il capitolo e il quadro, insomma ha sistemato tutto lui.Eccoci all’ultima immagine e qui ragazzi siamo all’apoteosi, Paolo e Francesca. Si riesce a zoomare il volto di Francesca? I due amanti colti in flagrante e poi uccisi dal marito di lei mentre lei si stava intrattenendo con il cognato, “Noi che tignemmo il mondo di sanguigno”. Qui è di una grandezza infinita, lui zitto che piange, come dice Dante, e non fa parola, lei che racconta piangendo la loro storia e invece Dante che impazzisce, qui c’è tutto il tema del quinto canto, insomma lo conoscete, come può essere che l’amore, la cosa più grande che Dio ci ha dato sia motivo di condanna per sempre invece che motivo di salvezza della vita, come è possibile? Lei gli racconta una storia ma lui non si accontenta di darci delle spiegazioni per sapere il come, il dove, e il quando e siccome sa che lui ha lo stesso problema, lui ha il problema di vivere rettamente il suo rapporto con Beatrice, ecco che sviene. In lei guardate quegli occhi, è come se secoli di pianto li avessero devastati e quella mano, dico sempre a Gabriele: “Secondo me è una citazione della Cappella Sistina, il dito di Adamo che riceve vita dal dito di Dio” e invece qui il dito di Francesca è proteso inutilmente perché Dio non c’è, siamo all’inferno, non c’è niente che ti può ridare la vita rispetto a questa morte a cui ti sei condannato, Dante sviene ed e interessante che i due svenimenti nella “Commedia”, sono qui, davanti a Paolo e Francesca, e poi quando incontra Beatrice, proprio perché il dramma che sta vivendo è lo stesso, la verità dell’amore o la possibilità che l’amore ci condanni all’inferno. Questo quadro l’ho fatto vedere in una classe di scalmanati aspiranti cuochi senza dirgli niente, non sapevano neanche chi fosse Dante e men che meno conoscevano la Commedia, eppure hanno discusso per un’ora e hanno tirato fuori tutto quello che io avrei detto a parole. I ragazzi di oggi vedono cose che io non vedo, c’è poco da fare, la mia generazione e forse l’ultima generazione della parola, questo dipinto mi piace tantissimo ma mi aiuta a capire le parole, i ragazzi di oggi invece saltano la parola ma raggiungono lo stesso contenuto semplicemente leggendo queste immagini e quindi speriamo che se i ragazzi guardano bene e con intelligenza questi trentaquattro dipinti ci ricavino questa roba qui e basta poi quando lui mi ha lanciato la sfida io l’ho preso quasi sul serio, nel senso che ho cominciato anche io ha dare un occhiata a tutta la parte che non conoscevo bene, che non ho mai insegnato e poi e accaduto l ultimo grande passaggio, Alessandro D’Avenia, di cui sono amico perché l’avevo sentito in alcune occasioni ha fatto una cosa incredibile, lui che e il professore d’italia per eccellenza, mi ha chiamato, verresti a spiegar Dante ai miei alunni, Lui insegna al San Carlo di Milano, io imbarazzatissimo siccome d’Avenia che ti chiama insegnare non la matematica, che non la sa, giusto che chiami un altro, ma Dante, cose che spiega lui ad un livello pazzesco, e da li mi ha chiamato e sono andato volentieri, ma ero veramente imbarazzatissimo, è stato un pomeriggio meraviglioso, ci salutiamo e mi dice: “Ma è vero che stai pensando di commentare tutta la Divina Commedia con Dell’Otto?”Ma no, è quasi uno scherzo, ne stiamo parlando ma non ho il tempo né la salute, ciao.”
Mezz’ora dopo,ho un messaggio: “Hai gia’ la casa editrice” “Si ce l’ho perchè l’ho fondata io.” La Cento Canti mi serviva per tradurre i libri in russo. Non so neanche se faremo questa Divina Commedia.”
Mezz’ora dopo altro messaggio, mi chiede : “Ma se ne parlo con la Mondadori sei contento” la risposta mia, fai come vuoi, dai stai ponendo un problema che non c’è, sei mesi dopo ha organizzato un incontro a Roma tra me, Carlo Carabba, direttore editoriale della Mondadori e dell’Otto, passiamo una giornata insieme e semplicemente la Mondadori ha detto, se mai farete una cosa così la farete con la Mondadori, e rimasta li pero insomma la cosa si faceva seria, tant’è che mi hanno proposto un contratto, e allora ho avuto l’ ultimo colpo d’ala della mia vita, la genialata pazzesca, cos’ho fatto? Ho chiamato i ragazzi della Cento Canti, a partire dal direttore di 20 anni fa quasi, li ho chiamati uno ad uno, sono una dozzina e gli ho detto sentite capita così e così, io da solo non ce la posso fare, se volete ci rimettiamo insieme, come i cavalieri della tavola rotonda, ce la facciamo, ci proviamo, tutti hanno detto di sì e come leggerete nel testo il comitato scientifico è costituito dai ragazzi del direttivo della Cento Canti per altro diventati tutti insegnanti di lettere o addirittura rettori o presidi, oddio un signor comitato scientifico, mica un baluba così, il baluba sono io, loro sono seri, ce le sanno le cose, e la cosa incredibile e che lavoriamo in questo modo, io vorrei che ci fosse il mondo intero ad assistere, per me e una gioia che non potevo immaginare che gli ho dato ciascuno un gruppo di canti e io la parte più grossa e più nota, quella che facevo a scuola insomma, ho tenuto per me almeno una decina di canti, per ciascuna cantica gli altri tre a te due a te due a te ci troviamo in seminari di tre giorni a casa mia, bed and breakfast, tre giorni insieme e chi deve presentare un canto lo presenta cercando di spiegarlo come lo spiegavamo allora insieme e ne discutiamo per tutto il giorno. Se poi sono canti come Paolo e Francesca impieghiamo anche tre giorni e tutto quello che viene fuori dalla discussione viene registrato, sbobinato e consegnato al relatore di quel canto che deve presentare una seconda relazione tenendo conto di tutta la discussione, questa viene poi passata ad uno che deve fare una relazione mettendo gli stili, rendendo omogeneo lo stile poi viene passato a me che lo rendo coerente con tutto il marchingegno poi d’estate in campeggio una settimana tutti insieme rileggiamo pian piano tutta la cantica godendosi l’intera Divina Commedia e il commento che ne è venuto fuori. io non ho mai visto magari succederà da altre parti, che un commento, una critica nasca veramente dall’amicizia di ragazzi che seguirono un insegnante che ha sua volta ha seguito un insegnante. L’altra volta, quando abbiamo presentato il libro alla traccia, c’era la mia insegnante delle medie, quella che mi ha insegnato Dante la prima volta, e vedere lei che ha insegnato a me bambino, mio figlio rettore della traccia o quasi , insomma quattro generazioni a far vedere che la bellezza si può trasmettere, che educare si può, in una scuola come questa, come il Leopardi, perchè è da stimare come una delle cose più preziose del territorio, perché sono rimasti pochissimi posti dove la tradizione viene consegnata ai giovani e dove i giovani sono presi così sul serio da sentire non forzata la compagnia di adulti che li aiutano ad essere libere e a diventare grandi con tutti i difetti e le fatiche che possono avere, io ho diretto a mia volta una scuola libera e ho cercato di difenderla il più politicamente quando è stato il caso ma il bene più prezioso che può avere un uomo è la libertà, e il bene più prezioso che può avere un paese è la libertà di educazione perché esistano posti dove tu o i tuoi figli e i tuoi amici e gli amici dei tuoi amici siano stimati così io vi auguro semplicemente, mi auguro che il lavoro che abbiamo cominciato domani mattina, che domani pomeriggio proseguiamo con i ragazzi del Leopardi sia un piccolo esempio per tutti che educare, educare al bello, educare attraverso Dante non solo è possibile ma è letteralmente entusiasmante.

Inferno:

Rispondo a questo gruppo di domande chiarendo due o tre cose che forse non sapete, ma che dovete sapere. ovvero che quando un autore edita un libro, soprattutto se lo fa con una casa editrice importante come questa, non decide da solo come sarà il prodotto finito. Io alla Mondadori proposi un progetto non essendone troppo convinto, perché mi sembrava già un miracolo che mi avessero chiamato a prendere parte a questo lavoro. Per esempio, con una certa serietà io avevo detto che mi sarebbe piaciuto fare un’opera veramente nuova facendo la prima Divina Commedia della storia in quattro volumi: Vita Nova, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Avrete capito che per me la vita nova è veramente parte integrante del percorso per conoscere Dante, dato che se non si capisce la Vita Nova non si può capire la Divina Commedia. La casa editrice all’inizio ha dimostrato entusiasmo verso questa mia proposta, e hanno commentato questo mio parere dicendo: “Bellissima idea, è qualcosa di rivoluzionario, troppo rivoluzionario”. Hanno successivamente bocciato il mio progetto perché dietro un lavoro come questo c’è un discorso commerciale, e alla Mondadori sono preoccupati sì di fare un’operazione culturale, ma anche di far sì che questa abbia un ritorno economico per l’azienda. Ciò non è assolutamente nulla di assurdo o deplorevole, mi sembra legittimo da parte loro. Sarebbe stato bello mettere sugli scaffali la versione del libro che io mi ero immaginato, ma non era fattibile, perché se qualcuno va a comprare la Divina Commedia, e il primo volume è la Vita Nova, si sente preso in giro. Questo perché per le persone comuni la Divina Commedia comincia con l’Inferno, e dunque queste si arrabbierebbero, non comprerebbero il libro e tutta l’operazione rischierebbe di andare a monte. Quando la casa editrice mi fece presente ciò non ho potuto far altro che prendere atto di questa realtà. Per quanto riguarda la copertina, io avevo scelto un’altra illustrazione da porvi, e allora loro mi hanno spiegato che già avevano fatto degli studi con il loro ufficio commerciale, che hanno scelto una seconda grafica, che secondo me non è una tra le più belle e delle più significative, perché rende il libro riconoscibile in mezzo a mille altri. Guardando la copertina devi poter dire: ”Quello la è dante, è la Divina Commedia”. La grafica, in mezzo a tante altre copertine, deve farti intendere da subito di cosa si tratta. Anche questa è una scelta commerciale: hanno scelto la grafica che è più in grado di attrarre chi passa in libreria e sta casualmente cercando un libro, anche come regalo. Molte di queste scelte le fa l’editore, non l’autore. Specularmente anche per quanto riguarda la scelta del formato, ho detto, date le dimensioni del prodotto: ”Fate almeno l’edizione trolley, mettete due ruote e il manico con cui uno porta il libro in giro più facilmente”. Anche su questo lato vi è stata una scelta molto precisa da parte dell’editore: questa edizione della Commedia doveva essere un oggetto che potesse essere venduto come regalo di Natale, ed è stata pubblicizzata e lanciata sul mercato appositamente a fine ottobre. La strategia commerciale della Mondadori ha funzionato, ci si aspettava di arrivare a 10.000 copie vendute (che per una Divina Commedia sono tante, quando si pubblica un libro di D’Avenia si parte da un milione di copie, stiamo parlando di due cose molto diverse) e questo risultato è stato raggiunto nei primi due mesi dalla messa in commercio del suddetto libro. Quasi sicuramente cureranno un’edizione ridotta meno pesante per le scuole per cui usciranno altre edizioni e ne cureranno una per le banche lussuosissima con le riproduzioni dei quadri.
Un’altra scelta che a me è dispiaciuta molto (l’illustratore Dell’Otto si è arrabbiato molto) è la resa delle immagini, se guardate lo vede chiunque che i colori sono poco luminosi, su questa carta non si stampano disegni importanti, ci vuole la carta lucida fatta apposta ma se usavano la carta lucida sarebbe costato 50 euro invece che 28 e allora questa prima edizione regalo che doveva vendere tot numero di copie hanno scelto di farla formato regalo perché se uno regala una cosa così a natale fa una bella figura, come oggetto è proprio un bel regalo ma è stata penalizzata dal fatto che le figure sono più scarse rispetto a quelle originali,su carta lucida è proprio un altro mondo.
è importante che capiate come avviene il processo di edizione di un libro e della sua collocazione sul mercato perché tante vostre domande sull’oggetto libro hanno la risposta in questa dinamica, ripeto l’autore in queste decisioni non centra niente, ho provato a puntare i piedi sulla copertina che non mi piaceva che fosse farinata ma era stata proprio bocciata, funziona così insomma.
Vi dico anche una possibile soluzione, ci sono dei libri che sono in bianco e nero e in mezzo hanno una specie di inserto di 20 pagine a colori con tutte le illustrazioni, era venuta fuori anche quell’idea lì che economicamente costava molto meno, il problema è che qui non si poteva fare, bisognava mettere l’illustrazione al suo posto, farlo raddoppiava i costi del volume a mettere l’illustrazione canto per canto, se le mettevamo tutte insieme 36 in mezzo l libro si poteva fare economicamente ma io mi sono rifiutato cosa ne faccio di 36 illustrazioni in mezzo che tutte le volte devi andare a cercare e questo non va bene.
“Nelle edizioni per le scuole ci sarà la presenza di note o rimarrà così”.
Questa è una domanda molto importante perché questo libro non è nato per le scuole, cioè io non volevo fare un libro per le scuole, questo è importante che voi lo sappiate, la mia smania dantesca era di riconsegnare la Divina Commedia alla gente semplice o che non è andata a scuola o a quei ragazzi che per il tipo di scelte che fanno non andranno mai a leggersi la Divina Commedia e le note della Chiavacci Leonardi.
Io ho un fratello che gestisce i centri di formazione professionali a Bergamo, ecco se penso a quei ragazzini che fanno il corso per cuochi dopo la terza media, loro proprio con i libri hanno poco a che fare, o le ragazze che fanno corso per parrucchiera, ecco io volevo un libro per loro perché anche loro che fanno la parrucchiera o il cuoco hanno il diritto di conoscere la Divina Commedia quindi è stata una scelta molto forte molto coraggiosa eliminare tutti gli apparati critici non è stata una scelta facile, perché io capisco che è un edizione più povera dal punto di vista della critica e perciò dell’analisi del testo e perciò dei miliardi di riferimenti che si potrebbero fare, ma a un ragazzino che fa il cuoco a me interessava che capisse il sugo della storia cioè che potesse leggere la Divina Commedia e che potesse sentire sua, per esempio se ha la fidanzata e cerca di voler bene alla ragazza, la domanda che dante si fa davanti a Paolo e Francesca perché Dante sviene addirittura davanti a Paolo e Francesca perché è preso dalla pietà per loro due ma soprattutto è sconvolto dall’idea di quanto loro si vogliono bene , di quanto si siano amati, possibile che l’amore cioè la cosa più bella che ci è data da vivere possa rendere la vita un inferno?Amare una donna o amare un uomo che è l’esperienza più grande che un uomo può fare possa essere un inferno? Quello che a me premeva era che un ragazzo che legge fosse colpito da questo tipo di osservazioni e di esperienze, se Dante dice che Ulisse ha provato a trovare la felicità andando in giro come uno scemo per il mondo e non c’e l’ha fatta, ecco io voglio che un ragazzino di 15 anni che sogna che la sua vita potrebbe essere più felice se potesse cambiare famiglia , paese ,scuola e andarsene via, Dante gli dice:” No, stai attento che non funziona, c’è un’altra strada”.
A me premeva fare un libro che colpisse in modo chiaro e semplice la persona che non studia o non ha studiato proponendogli lì l’esperienza di Dante,facendolo riflettere sulle cose su cui Dante ci fa riflettere.
Un libro per le scuole tradizionali cioè con le note con le spiegazioni non è neanche in grado di farlo, non ho studiato abbastanza.
Io non sono potuto andare scuola perché dovevo andare a lavorare in fabbrica alla vostra età, ho fatto la maturità da privatista in 3 mesi, non ho fatto un ora di università in vita mia perché dovevo lavorare , la mia preparazione non è di quel tipo lì, accademico o scientifico, i vostri professori invece hanno studiato.
Io ho solo letto tanto e con tante domande sulla vita per cui per me Dante è diventato una delle persone più preziose della mia vita, lo continuo a leggere perché ci trovo dentro “l’ira di dio” io questo, volevo raccontare e volevo che chi legge la Divina Commedia lo potesse fare come lo faccio io.
A me dell’enjambement non me ne frega niente, a me che il professore ti massacri per chiederti quante metafore ci sono per far si che l’endecasillabo mi fa girare la testa solo a pensarlo capito?
Non voglio sminuire il lavoro che state facendo, voi fatelo, ma accusavo i miei colleghi insegnanti di massacrare la letteratura e per farglielo capire gli dicevo:”voi trattate i ragazzi male, perché non si può a uno di 15/16 anni rompergli le scatole perché sappia la critica tal dei tali, l’analisi del testo ,l’etimologia,uno dopo un po’ non ne può più.
E’ come se tu ti accorgessi che i ragazzi vanno dietro alle ragazze e allora per aiutarli gli chiedono come siano le ragazze, gli porti all’obitorio, dove una bellissima ragazza morta è fatta a fettine per vedere com’è fatta, ma a un ragazzo di quindici anni, una ragazza da fare a fettine non gli interessa.
A un ragazzo interessa una ragazza viva, bella, da abbracciare, una ragazza con cui parlare…
L’interesse è dunque incontrarla per la grandezza che è e abbracciarla e starci insieme e passare del tempo con lei, io la poesia la intendo così prima di tutto bisogna gustarvela, vi deve far compagnia poi se qualcuno di voi ha la passione o vuole diventare insegnante d’italiano vuol dire che la studierà anche con l’analisi del testo ecc.
Come primo impeto voi dovete sentire la poesia come una cosa viva che ha tanto da darvi per vivere meglio e per essere più contenti, se no come si fa?
Spesso gli insegnanti mi chiedono quale sia il mio segreto, come faccio a interessare i ragazzi di quindici anni alla Divina Commedia che ha un linguaggio difficile ecc. ed io gli rispondo che a me non frega nulla di interessare i ragazzi a Dante perché a un ragazzo di 15/16 anni oggi secondo me non gliene frega niente della Divina Commedia, bisogna riuscire a convincere i ragazzi a interessarsi a se stessi perché se uno comincia a interessarsi allo studio della sua persona e della sua vita e comincia a farsi delle domande intelligenti improvvisamente hai gusto di sentire risposte intelligenti e allora ci si potrebbe rivolgere alla Divina Commedia, ma se non ci si interessa della nostra vita chi ce lo fa fare di leggere Dante?
“Sono necessarie tutte le premesse?”
Si sono necessarie perché, come vi ho detto prima, voglio portare la Divina Commedia a gente che non sa nemmeno cosa sia il medioevo, se si vuole capire, migliore è meglio che si sappia qualcosa sulla vita di Dante.
per quanto riguarda sempre le note spettano al professore spiegarle perché sul libro non ci sono.
“Perché la poesia di Ungaretti?”
mi sembra che molti di voi si chiedano:” se io non sono credente posso capire la Divina Commedia? È scritta per i credenti o per tutti?”(…) personalmente sospetto che quel che dice Dante è così serio è così reale che è una proposta che si rivolge proprio a chi non crede.
Dante non ha fede all’inizio è la conquista che fa intraprendendo il percorso, non dice “io ho la fede perciò capisco le cose a modo mio” lui è come se dicesse che non ha la fede però la vita funziona così e voglio provare a capirla.
Quando comincia il primo canto dell’Inferno dico ai ragazzi come nelle assemblee pubbliche che non m’interessa che il lettore sia cristiano, ma quello che m’interessa è che mi diciate se siete d’accordo o meno che le cose stanno come le dice Dante, perche mi sembra difficile che riusciate a dire che non è vero perché in fondo Dante dice questo: ”Io nella vita ho sempre cercato di essere felice, di essere contento ma a un certo punto ho avuto il sospetto che la ragazza che avevo adocchiato qui a Firenze se mi avesse detto di si forse sarei stato davvero felice” cioè quella ragazza l’ho sentita come una fonte di beatitudine, capace di farmi beato (cioè Beatrice), anzi quando l’ho incontrata e mi ha detto di sì ho capito che poteva rendere la mia vita grande e lui rimane così colpito da questo rapporto con lei che dice che la sua vita è veramente cambiata, da quando ha incontrato lei lui non riesce più a sentir nemico nessuno, gli sembra che tutta la realtà intorno anche quelle cose che sentiva difficili, faticose, sembra che tutto sia un bene, tutto sia per lui, da quando lei mi ha detto di sì è come se la vita fosse cambiata solo che questa ragazza che ormai sente come fonte della felicità muore, e lui si arrabbia come noi tutti faremo al suo posto.
Dante allora dice:” vengo al mondo ricercando la felicità, finalmente trovo quella cosa che sembra proprio il punto della mia felicità un punto luminoso e bello a cui mi consegnerei interamente e quella cosa muore”.
“In che senso Dante è razionale quando va dire cose del tipo: se Beatrice mi chiedesse di morire io lo farei”.
Finalmente Dante trova ciò che riesce a procurargli felicità e questa muore, allora la vita è un’immensa menzogna.
Quando leggerete Leopardi che non è cristiano, fin qui è lo stesso a Dante, non è possibile che la vita sia una fregatura infinita e basta, desiderio di felicità ma illusione di averla trovata e poi ci viene sotratta.
Nel primo canto Dante dice che ha vissuto questa esperienza e vuole che sia l’esperienza di tutti, che ognuno di noi abbia vissuto e si ritrovi nella sua esperienza.
Provate a pensarci se vi viene in mente qualcosa, altrimenti siamo nei guai, tutti siamo condannati a un’infelicità totale, ma vi accontentate di questo? Come fate a campare? Perche vi alzate al mattino e fate la fatica di andare a scuola? Perché v’impegnate nelle cose se è tutto così infelice.
Almeno fin qui ci possiamo ritrovare tutti, non c’è nessuno che può dire che non è d’accordo,, allora Dante fa un secondo passo e ti dice:” Ascolta, a me è successo questo,è successo che quando mi sono trovato nella confusione e nella disperazione ho provato a tirar su la testa” cosa vuol dire “tirar su la testa?” vuol dire provare a vedere se per caso non ci sia qualcosa di grande che suggerisce una strada alternativa”
(…) bisogna avere paura di questa “impossibilità di essere felici” “tant’è amara che poco è più morte” vivere così, come capre che non gliene frega niente del proprio bene è come essere già morti si può vivere e fare un sacco di belle cose e occuparsi della salute e essere già morti, ma lavorandoci sopra ho trovato delle cose incredibili e adesso te le racconto,Io non mi ricordo bene come sono finito in questo disordine forse è semplicemente il disordine dove finiamo tutti prima o poi.
Il tentativo di essere felici da soli non funziona, adesso sarei morto come tutti invece a me è accaduta una cosa che mi ha salvato la pelle, proprio mentre stavo morendo, ho visto uno non sapevo niente di lui, non sapevo chi fosse e non so neanche se fosse un fantasma o una persona,fatto sta che stavo morendo e mi trovo uno davanti e ho fatto la cosa più intelligente che un uomo può fare cioè chiedere aiuto, perché quando sei disperato l’unica cosa che puoi fare è chiedere aiuto, è gridare il tuo bisogno.
La prima parola di Dante nella commedia è “Miserere di me” cioè qualcuno abbia pietà di me, come se qualcuno dicesse ai propri amici (non dico a tutta la classe ma nemmeno a due amici) che non ce la fa più, che non riesce ad alzarsi al mattino e che va tutto male.
C’è qualcosa che può rendere grande la vita, cosa può fare un uomo arrivato a questo punto se non chiedere una mano? Dante non chiede a Virgilio se la pensasse come lui o no, quando stai per morire e qualcuno di butta il salvagente non gli chiedi: ” scusi lei come la pensa sulla politica internazionale?” se ci stai rimettendo la pelle ti aggrappi al salvagente e ti fai tirare fuori, poi se ne discuterà.

 

8

Tante volte ho visto chi pensa di sapere già le cose perché va spesso in in Chiesa ed è cristiano.
È chi è ferito che può capire la Divina Commedia, non chi pensa di non avere ferite perché è già a posto.
Esattamente come stessa cosa, quelli che pensavano di sapere già chi era Dio si sono adirati e l’hanno ucciso. Quelli che erano ciechi e sordi, dicevano: fammi provare a vedere.
Ho proprio cercato anche di rispondere a tutte le domande di questo gruppo che suonavano così:
C’è un’altra opera che può darti tutto quello che dante da?
Questa è una domanda pericolosa, perché chi lo sa ?! Dante io l’ho incontrato ed è stata la mia vita, ma chi lo sa, per te potrebbe essere qualcun altro. Ognuno trova qualche cerca e cerca sua che trova.
Magari arriverà uno scrittore famosissimo e importantissimo che scriverà di un albero, presso cui stava tutti i giorni della sua vita ma un giorno improvvisamente gli è apparso per la prima volta.
Guardando una cosa che pensavi di conoscere diventa nuova e la vedi per la prima volta, è stato uno degli incontri della sua vita.
Come Dante, così completo nella struttura, non ce n’è tanti.
Però ognuno veda cosa trova.
Se la tua media non rappresenta per noi la cultura del tempo, perché è ancora nei programmi ministeriali?
Mi sembra di averlo detto, perché ha questa forza e storicamente veste le parti della lingua italiana. Lui e Manzoni hanno inventato la nazione dandogli la cultura e la lingua, può dispiacervi, ma è andata così.
C’è un limite di confronto tra noi e l’esperienza di Dante? Fino a che punto ci si può immedesimare con la vicenda dell’uomo del trecento?
Questa è un po’ una domanda un po’ oziosa: fino a che punto bisogna immedesimarsi, non lo so. Se io leggo il Vangelo mi immedesimo in figure vecchie di duemila anni.
Se leggo l’Iliade, Ettore mi fa impazzire, mi immedesimo; i miei figli quando erano piccoli si immedesimavano in un capitano.
Uno incontra nella vita, e si immedesima in tutto ciò che incontra di bello.
Dante nel suo cammino incontra Virgilio, chi può essere un Virgilio per noi?
Altra domandaoziosa, non ha una risposta.
Chi può essere Virgilio per noi? Quello che senti possa esserlo per te. Può essere chiunque. Basta che siate onesti nel definirlo, Virgilio non è chi vi dà ragione, è chi vi dà torto. L’ausilio non è chi ti mette una mano sulla spalla e ti dice “che figo che sei” è quello che dice “datti una mossa”.
Quello è un amico, non è sempre comodo.
Ma se cercate Virgilio, fate in modo che abbia le sue caratteristiche.
Ma ceratelo, perché tanto, senza un Virgilio non si va da nessuna parte.
Leggendo l’Inferno mi sono chiesta, cosa ci rende veramente liberi?
Nell’incontro sul Purgatorio, Nembrini aveva parlato di libertà.
Come è possibile he certi uomini non per colpa loro vivano in questa situazione inumana?
A queste ultime due domande provo a rispondere con un cenno.
Chi di voi ha sentito l’esempio del bambino e della madre?
Sulla condizione umana di Virgilio tenete presente che in queste cose bisogna fare un lavoro di paragone, per noi uomini di oggi (tosse) per gli uomini di un tempo era diverso.
Ma Papa Benedetto XVI ai paparazzi qualche anno fa ha chiarito che il Limbo non c’è. I miei amici cristiani ortodossi non credono nel Purgatorio , come sia l’aldilà , non lo sa nessuno.
La teologia cerca di immaginarlo così da spiegare come si dovrebbe vivere di qua.
Quindi come sia possibile che uno grande come Virgilio possa soffrire per l’eternità in questo limbo maledetto, lasciatelo stare perché non è un problema nostro.
Invece la domanda sulla libertà é interessante.
Faccio una battuta abbiate pazienza, sono convinto che tutti voi, così come gli adulti alla domanda “Cos’è la libertà?” rispondereste le solite cose, perché ci è stata inculcata da duecento anni questa idea, sono sicuro che il 90% risponderebbe che la libertà è fare quello che si vuole, non avere legami e non dipendere da nessuno e altre falsità.
Ma vi sfido poi a dire ragazzi, siete sicuri che è questa la libertà? Dopo cinque minuti vi accorgereste che non è così, e non è il non avere legami o fare ciò che si vuole. Perché non esiste.
Per spiegarlo in modo molto semplice a scuola utilizzavo questo paragone.
Racconta tu quell’esempio Paola, così riposo un attimo!
Immaginatevi di poter scegliere i genitori che vorreste avere, di poter scegliere. Un bambino che a sei anni si possa presentare su un palco e avere di fronte una schiera di mamme da scegliere. È così falsa la definizione di libertà detta prima che basta guardarti e dire , tu hai la faccia simile a tuo nonno, i capelli come la nonna, gli occhi come lo zio. Non c’è un pezzo di me, non è possibile! Ognuno di noi è definito da dei presupposti familiari.
Io dico sempre ai miei ragazzi sempre che : se regalassi una macchina del tempo e giungessi al momento in cui stavi per nascere e avresti ucciso i tuoi genitori, saresti stato più libero.
Nel momento in cui spari a loro però, non esisti nemmeno tu perche dipendi da loro. Ma se si volesse realizzare questo sogno di non dipendenza, nasce un bambino lo faccio aprire dopo 15 minuti che è nato, i genitori se ne vanno sulla Luna, e lo faccio crescere in un orfanotrofio statale, e a sei anni gli dico : Ma tu sai che sarai il primo uomo della terra a essere veramente libero? E sai perché? Perché ti faremo scegliere la tua mamma finalmente invece di subirti quell’antipatica della tua. Gli metto davanti cento donne diverse e può scegliere la mamma che vuole. Qualsiasi psicologo direbbe che qualsiasi bambino sarebbe da ricoverare in manicomio, perché è una situazione talmente disumana da far impazzire. E io dicevo ai miei alunni: Ma come è possibile? Ma che roba è? Immaginate lo stesso bambino, se si aprisse una porta e ne venisse fuori la sua mamma, vi rendete conto? Le volerebbe in braccio gridando mamma, la libertà è questo.
È l’energia con cui quel bambino riconosce sua madre e le vola in braccio. O questa libertà o essere schiavi del potere, o Geppetto o Mangiafuoco per dirla nel modo di Pinocchio, un padre o un padrone, la cosa pazzesca di Dante è che si fa aiutare da Virgilio così libero di poter essere davvero te stesso, tant’è che quando Virgilio lo saluta e gli dice :”Io vado, ora puoi raggiungere Beatrice e la tua felicità “ egli dice :”Prima di andare io sopra te corono (emitrio?) La corona è l’attributo della corona del re, nella Bibbia è l’attributo del vescovo, del papa.
Gli dice che ha fatto un lavoro così interessante.
Signore e sacerdote della tua stessa vita, sei libero e padrone di te stesso, non avrai mai più padroni non sarai mai mortale.
Questo è il percorso [tosse] si capisce?
Tutte le domande sulla libertà, avrete tempo questi due anni e mezzo per approfondire e andare avanti.
Io ho scritto questo libro per dire tutte queste cose.
Poi c’è un gruppo di domande che è l’ultimo.
Che riguarda invece tutta la questione della Vita Nova, abbiamo fatto un po’ tutto al contrario.
Le leggo velocemente
In che senso Dante è razionale quando arriva a dire […]
Come è possibile che una persona ti dia qualcosa?
Come è possibile innamorarsi di una persona senza avere un rapporto reale?
Come mai dante nella Vita Nova sente la necessità di personificare l’amore?
Dante perde tempo a seguire l’amore.
[…] Domanda di Stefano (Non poteva cercare il suo compimento in un altro modo? Proprio con l’amore?
Quando Dante dice studio intende un’osservazione piena di interesse e di curiosità, un lavoro, un’attrattiva. Non può che essere così, se una cosa che desideri tantissimo si avvera nella tua esperienza, tu non riesci a staccarci gli occhi è così importante per te che la guardi in tutti i momenti, ma guardando ultimamente a una cosa così bella per questa età, ti porta un sentimento così positivo per tutto il resto. Senti positivamente anche ciò che prima sentivi negativamente. Per questo dice che da quando incontró Beatrice.
“Ho capito che amore avrebbe signoreggiato la mia vita, che sarei stato dominato da Amore”
Capisci che sei amato e quindi puoi amare. E poi aggiunge una cosa che il mondo moderno ha dimenticato “Ma mai accade che questa mia esperienza d’amore possa essere vissuta senza avere un consiglio della ragione. Cioè lui avverte e dice “stai attento perché tu sei un uomo e se ti innamori… nell’uomo la ragione dovrebbe governare la passione e i sentimenti, insieme ragione e sentimento dovrebbero governare l’istinto che è la tragedia.
Dante dice No, un uomo che sia un uomo usa la testa quando ama, non la dimentica. Non è che se hai il sentimento dell’innamoramento non capisci più nulla e la ragione la dimentichi, è il contrario. Sei così innamorato che l’amore ti costringe ad usare tutta la tua intelligenza e la tua libertà. Dico un’osservazione importante sul fatto che la vita nova è costruita su un “tira e molla”, una persona direbbe :” Ma si sono mai scambiati effusioni o qualcosa di simile?” In realtà avevano forse più carnalità di noi, e forse è per questo che nel Medioevo nasce la necessità di catalogare ciò che si fa distinguendo bene cosa succede e quando succede è come succede. Ma loro avevano una concezione molto materiale dei valori che vivevano. Nel momento in cui certi amici inventano un modo di fare Poesia, Dante che sa benissimo cosa significa amare e fare l’amore e cos’è l’affetto. Ma cosa gli interessa fare? Quando Beatrice muore, lui che ha vissuto una riflessione e un’esperienza molto forte di innamoramento per lei , riflette su cosa voglia dire amare e prende spunto da un famoso saluto per dire cosa sia l’amore,Beatrice non c’è lui quello che descrive. Io sono convito di questo ma probabilmente non tutti lo sono . Sostengo che dante che ha sposato Gemma Donati ma non ne parla da nessuna parte, tanti alunni mi chiedono :”Ma non si è arrabbiata questa donna che ha sposato questo uomo che continua a parlare di un’altra donna?”. E invece lui non ne parla perché secondo me ne parla sempre, la riflessione su beatrice è la riflessione sulla vita amorosa che lui vive in quel momento con sua moglie. Perché mi permetto di dire così anche se non lo dice da nessuna parte? Io sono stato davvero travolto perché le prime volte che studiavo ho scoperto che la figlia di Dante, Antonia decide di farsi monaca di clausura e quando entra (asilo) in cui deve cambiare ,nome, le chiedono come avrebbe voluto chiamarsi, e tra gli infiniti nomi possibili lei scelse Suor Beatrice. Se tua figlia, che è stata con te e sua madre, e ti ha sentito scrivere la “Divina Commedia” parlando di questa Beatrice, se fosse anche lontanante un amore che ha distrassi Dante da tua madre, ti saresti arrabbiata.
L’ultima cosa che fai, è prendere quel nome.
Se l’unica figlia si fa monaca, e prende quel nome, in quella casa sentì parlare di amore riferito a lei e lo vide in atto nei confronti di lei e di sua madre. Quindi è vero che è una struttura apparentemente astratta su una ragazza che ha visto tre volte e che poi è morta. Ma lui senza di lei non avrebbe conosciuto il fenomeno dell’amore, che vive concretamente con la sua donna.

Come è possibile che Dante se la senta di giudicare tutte le varie persone nei diversi gironi?
Voi che dite di non aver capito Ungaretti.. io l’ho messo appunto per rispondere a questa domanda.
Ha bisogno di risposte, ha bisogno di capire, ha una rabbia che male c’è.
Ungaretti è un Signor Poeta e ha appena detto che la poesia di Dante dopo Petrarca si è un po’ persa.
Il poeta sa benissimo che non può permettersi di mandare nessuno all’Inferno, al Purgatorio o al Paradiso, ma Dante cerca di capire, di Paolo e Francesca ha scritto quando aveva sedici anni ed è rimasto colpitissimo e pensa sia stato un peccato.
Quando descrive la Divina Commedia, se deve dire o spiegare che l’amore può anche essere fonte di male, gli vengono in mente Paolo e Francesca ed è per questo che dovrebbero stare all’Inferno.
Ma Dante non ha mai scritto da nessuna parte “Sono sicuro che Paolo e Francesca dovrebbero andare all’Inferno” Costruisce tutto il percorso per aiutarsi con quello che sa, e gli esempi che ha davanti. Dice più volta nella Divina Commedia che lui non è sicuro di dividere Inferno, Purgatorio e Paradiso. Lo dice lui stesso. Questa accusa di presunzione non ha alcun senso.
Noi abbiamo letto un saggio di Natalino Sapegno che afferma che la Commedia, data la sua grande complessità è impossibile da rinchiudere in una sola definizione. E volevo sapere se lei era d’accordo con questa affermazione.
Non penso che sia possibile, prova a definirla, è difficile. È una affermazione da una parte ovvia, e da una parte oziosa. È ovvio che un poema come questo sia difficile da incasellare, infatti per definirla hanno dovuto inventare un nuovo termine “poesia totale” oppure “ Realismo Allegorico Medievale eccetera”, così tentano di definirla.
Ma è come incontrare una persona, dai una definizione “simpatico, carino” ma non riesci a definirlo. Con un’opera di questo genere è lo stesso.
Ringraziamenti.

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Buongiorno a tutti come vi avevamo detto, oggi è qui con noi Franco Nembrini a parlare del Purgatorio, in particolare vi ricordo le tre domande che gli avevamo sottoposto. La prima: proprio a partire dal nome della cantica,Purgatorio, che cosa vuol dire purgare, cosa intende Dante, cosa è per lui questo viaggio? Seconda domanda: Dante ambienta questo percorso nell’aldilà appunto, ma nell’aldiquà è possibile questo percorso o no? Terza domanda: un po’ più profonda, di altro tipo, oggi, spesso si ritiene, è opinione diffusa ritenere che la nostra libertà è legittima e finisce soltanto dove comincia quella dell’altro, non è l’idea che Dante ha della libertà questa, per cui abbiamo chiesto a Franco di aiutarci a capire che cosa è la libertà per Dante, e adesso lascio la parola.

Bene, chi c’era ieri sera? Capito qualcosa? Ci hai capito qualcosa? Perché qualcosa che rispetto a queste tre domande è già venuto fuori ieri sera, però secondo me sarebbe interessante che le tre idee che dico io adesso sul Purgatorioandaste voi a verificarle nel testo, la cosa interessante non è anticipare per il gusto di sapere, ma andare, leggendo il Purgatorio quest’anno, a vedere se dico delle bugie o se la cosa vi sembra proponibile. Il mio di Purgatorio uscirà ad ottobre. Sulla questione della libertà era interessantissimo farvi vedere subito la costruzione, proprio la struttura del Purgatorio dove secondo me è messa a tema la questione della libertà in un modo favoloso, proprio guardando i numeri e guardando alcune curiosità. C’è qualcuno che fa lo scientifico qui che ha dimestichezza con i numeri? E’una cosa importante che vi invidio molto perché, come si può dire, mi sembra di aver fatto una piccola scoperta, studiando il Purgatoriodi Dante, sulla questione dei numeri ma mi è venuta in mente solo perché c’era a tema la libertà, siccome Dante costruisce la commedia per far capire quanto è importante la questione della libertà. La prima osservazione che faccio subito e potrei in questo modo rispondere subito alla seconda domanda, forse delle tre cantiche quella che amo di più è il Purgatorio, perché è quella più evidentemente riferita all’aldiquà, la Divina Commedia non ha a tema l’aldilà ma l’aldiquà, sennò cosa ce ne frega niente, e cosa gliene fregava a Dante di scriverla. Il problema è che Dante,ha la presunzione di parlare della vita su questa terra guardandola dal punto di vista di Dio, dal punto di vista dell’aldilà e  come se fosse uscito dall’ altra parte nell’ aldilà, e da là guardarsi la vita su questa terra e la vedesse secondo verità, quindi la descrive in questo modo, ma il tema, l’oggetto di questa descrizione è la vita su questa terra, sia nell’ Inferno, nell’ Purgatorio che nel Paradiso, ma delle tre cantiche quella che è più vicina noi è proprio ilPurgatorio,dico che è la più concreta perché L’Inferno, chi è all’inferno è all’inferno, Il Paradiso, in qualche modo anche il Paradiso ha la sua fissità, una condizione definitiva, Il Purgatorio è il posto dove si cambia, dove si parte peccatori, ovvero pieni ancora di male, e dove si arriva, fino all’ultimo verso del Purgatorio:”si finisce puri e disposti a salire alle stelle”. Allora se è un itinerario, un viaggio, e si assiste ad un cambiamento si arriva lassù. Quando si arriva all’ inizio del Purgatorio, un angelo scrive sulla fronte di Dante sette P, che rappresentano i sette peccati,i sette vizi capitali, dai quali, per come è organizzato il Purgatorio, ci si libera del male progressivamente per cui, scalando la montagna del Purgatorio che è organizzata in sette gradoni, in sette balze, man mano che si supera una di queste balze viene cancellata una delle sette P, uno dei 7 peccati, per cui si arriva in cima dove viene cancellato l’ultimo e si torna puri e disposti a salire alle stelle.Quindi è un itinerario di conversione, di cambiamento, di realizzazione.Nel Purgatorio si assiste all’ uomo che si elimina progressivamente dal male di cui è fatto, di cui è capace e torna nello stato di bellezza, di purezza, di beatitudine con cui Dio aveva creato, ci aveva creato tutti quanti ed è interessantissimo perché i setti vizi capitali sono tutto il male di cui siamo fatti, che se uno non è scemo ci si ritrova per forza. Una delle cose più geniali che Dante si è inventato nel Purgatorio è questa:  chemi ha colpito veramente tantissimo che nelle discussioni che abbiamo fatto per scrivere il secondo volume, quando un peccato viene eliminato,non è che rimane il vuoto.L’angelo del gradino successivo, quello che presiede al girone dopo, un angelo o le anime precedenti cantano un inno, una canzone che ha a che fare con una delle beatitudini del discorso della montagna di Gesù; io sono rimasto impressionassimo da questa cosa perché il problema non è togliersi di dosso il peccati ma quando anche gli avessi tolti tutti non è che rimane il vuoto, l’anima, la testa e il cuore ti si riempono di bene, cioè ad ogni peccato che viene tolto corrisponde una beatitudine che si possiede, che viene esercitata, cioè chi è arrivato in cima non solo ha tolto i sette peccati ma ha guadagnato le sette beatitudini, si capisce? In questo senso può dire che è arrivato puro e disposte a salire alle stelle. L’altra cosa importantissima è, cosa vuol dire purgare, non lo so, io ne so quanto voi, purgare lì vuol dire che tu arrivi nel Purgatorio con addosso ancora tutti i peccati che hai fatto nella vita, vorresti non essere così, vorresti non far schifo a te stesso agli altri, purgare nel Purgatorio significa convertirsi, essere quello che hai sempre desiderato essere anche quando hai negato in realtà il cuore dell’ uomo, quello di ciascuno di noi desidera veramente essere grande, essere buono, di essere di una natura fantastica piena di bene per se e per gli altri. Il Purgatorio è il cammino attraverso il quale diventiamo un po’ cosi, un po’ quello che dovremmo essere, definitivamente nel cammino su questa terra, questo può essere un Inferno, un Purgatorio e può anche essere un Paradiso, ci possono essere cose, amicizie così vere che ci possono far dire ecco, lo aveva capito Dante.Mi ricordo che mio figlio Stefano, ritornando da un viaggio mi aveva ringraziato perché gli avevo fatto vedere un pezzo di Paradiso nell’ Inferno. Tutto questo dovrebbe aiutarci a fare questa cosa qui, a calarlo nell’ esperienza, in modo tale che il rapporto con i tuoi figli, con tua moglie, con il lavoro possa essere il più possibile un pezzo di Paradiso in questo Inferno, in questo mondo di pazzi in cui viviamo. Purgatorio significa purificazione, vuol dire diventare quello che si è sempre desiderato essere, provarci almeno. Le condizioni sono quelle che sapete già: andare dietro ad uno che ti aiuta e ti guida, Virgilio, e poi tener presente, in modo da impedire agli insegnanti di saltarla, l’ultima parte, perché l’ultima parte è davvero impressionante.

Nel paradiso terrestre Dante si trova davanti ad una processione incredibile, dove si trova davanti figure che in qualche modo rappresentano tutta la storia dell’ umanità dell’ Antico e Nuovo Testamento, alla fine della processione c’è un grifone, un animale mitologico metà aquila e metà leone, che tira un cardo, e sul cardo c’è Beatrice cioè la donna che gli ha cambiato la vita, e dico che tutto lo scopo del viaggio, tutto lo scopo della Divina Commedia è quel momento lì, quel incontro lì, poterla riabbracciare, solo che quello che lui non si aspetta è che Beatrice dal primo momento che si vedonolo sgrida, lo asfalta senza misericordia, lo asfalta perché gli dice che èveramente un stupido. Lei lo chiama e solo quando lei lo chiama, lui la riconosce, è una dinamica simile all’episodioquando Gesù risorge, Maria Maddalena va a cercare il corpo di Gesù nel sepolcro, ma non c’è e passa un giardiniere che la chiama per nome così quando Beatrice lo chiama per nome, e lui si sente chiamato per nome la riconosce definitivamente anche se qualcosa gli faceva già dire che era lei. Gli fa una sorta di processo pubblico di una violenza inaudita, dicendogli che lui non la avevamai capita bene davvero, e Dante sbalordito dice che gli aveva donato la vita, lei sempre più dura gli dice che non aveva capito mai nulla di lei soprattutto nel momento in cui la aveva tradita. Dante risponde chiedendole che cosa stesse dicendo, gli aveva voluto bene, lei gli aveva promesso la felicità e aveva avuto la bella idea di morire e che era colpa sua.Guardate che in questo momento Dante descrive tutta la logica dell’amore, tutta la logica della vita come dovrebbe funzionare, Beatrice le dice di partire dal principio e gli chiede se gli piaceva, se era veramente a cosa più bella che aveva visto nella vita, Dante replica dicendo sì, che era lei la cosa più bella e grande che aveva visto nella vita. Beatrice gli chiede se era stata mai veramente in grado di renderlo felice e lui gli risponde sì ma a metà perché sul più bello era morta. Beatrice lo ammonisce di nuovo dicendogliche se la cosa più bella che aveva visto nella vita non era stata sufficiente a renderlo felice nella vitavuole sapere da Dante come ha potuto pensato che le cose meno belle potessero ottenere risultato. Lo accusa di aver guardato le altre donne, gli occhi ce li aveva, o di essersi dedicato alla filosofia in sostituzione di Beatrice. Beatrice gli chiede come poteva immaginare che se lei non era bastata a renderlo felice questo lo potesse fare la filosofia, e se ragionava, continua Beatrice, poteva capire che se questo bene non era bastato alla sua felicità, doveva cercare un bene più grande ancora, cercare il bene con la B maiuscola, ciò che poteva renderlo davvero felice. Beatrice allora racconta a tutti che Dante aveva avuto tutte le fortune della vita; l’intelligenza, tutti i beni più grandi, una città, la salute, lo studio, tutto aveva avuto e invece ad un certo punto ha voluto diventare più piccolo di quel che era, poteva diventare quello che voleva, qui si inserisce la questione della libertà. E’ così chiaro per Dante che centri con la terra che quando Beatrice gli fa il processo ad un certo punto sviene e in tutta la Divina Commedia accade due volte. La prima davanti a Paolo e Francesca e davanti a Beatrice e solo quando leggerete questo incontro con Beatrice capirete quello con Paolo e Francesca perché ha capito che potrebbe fare la stessa fine, gli sale l’ansia, perché lui deve ancora tornare sulla terra e finire di vivere, deve decidere del suo destino. Quando sente Francesca dire che nella vita dell’ uomo l’amore è la cosa più grande che c’è ma non è automatico che volga al bene, siamo così liberi che della cosa più grande che c’è possiamo fare motivo della nostra dannazione eterna, della infelicità suprema e Dante pensa allora non sono salvo per forza devo tornare sulla terra e capire chi è Beatrice, che cosa è l’amore e il legame con gli altri è dovuta dal fatto che sono gli unici due,è legato anche a questo oltre a certe parole, linee per dirvi quanto il tema del Purgatorio sia urgente per lui, la cosa curiosa che voglio farvi notare e che vi voglio mostrare. I canti della Divina Commedia sono cento quello in mezzo è quindi? Posto che il primo fa da prologo, la Divina Commedia è fatta di 99 canti: 33 Inferno, 33 Purgatorio, 33 Paradiso, se fosse così, qual è il canto centrale? Il canto centrale della Divina Commedia sarà? Tolto il primo canto abbiamo novantanove canti che vanno dall’ uno al cento. Se questi sono il “corpus” della Divina Commedia, quello a metà sarà il cinquantunesimo, che ne ha quarantanove prima e quarantanove dopo. Il quanto cinquantunesimo in questo ordine quello centrale è il diciassettesimo del Purgatorio, quindi il diciassette del Purgatorio è il canto centrale della Divina Commedia. Qualcosa che forse non sapete è che tutti gli studiosi, tutta la critica da Dante a ieri, ha sempre sostenuto che c’è tutta una meravigliosa proporzione di numeri incredibili, trentatre, trentatre, trentatre, l’unico elemento casuale, cioè buttato lì così, sarebbe, e vi assicuro che lo dice tutta la critica, sarebbe la lunghezza dei canti, quello invece va a caso, ci sono canti lunghi centoquarantuno versi altri centoquaranta, siccome tutti i canti sono fatti da terzine e tutti finiscono con un verso che li conclude e non con una terzina, evidentemente i versi di ciascun canto sarebbero un multiplo di tre più uno, come per esempio centotrentuno, ma tutta la critica ha sempre detto che sono casuali. Uno studioso Americano, si è accorto di una cosa strana, di cui non si era accorto nessuno prima e cioè che il canto centrale, il diciassette è lungo cento trentanove versi, i tre canti successivi sono lunghi centoquarantacinque, centoquarantacinque, centocinquantuno e si accorge con il computer che anche tornando indietro la sequenza si ripete; il canto sedici è di centoquarantacinque versi, il canto quindici è di centoquarantacinque versi, il canto quattordici è di centocinquantuno versi, una sequenza che mi incuriosisce.

 

 

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Una sequenza che lui dice “mi incuriosisce”, è impossibile che sia un caso che attorno al centro della Divina Commedia si distribuisca un gruppo di 7 canti cosi speculare e preciso, no non può essere un caso, e ci fa su tutti dei ragionamentoni e scopre due o tre cose, non voglio tenervi qui tre ore, ma vi dico gli elementi essenziali e poi divertitevi un po’ anche voi che è interessante. Lui dice che, primo, un caso non può essere e quindi Dante ci segnala che nel cuore della Divina Commedia c’è un gruppo di 7 canti importante: li ce dentro qualcosa di decisivo e di grosso: pensate che nel 17esimo del Purgatorio lui si trova nella quarta balza del purgatorio, cioè anche dal punto di vista geografico è esattamente a metà: Inferno, Paradiso, 3 balze di qua, tre balze di là, lui è in mezzo sulla quarta. Quindi vorrà pur dire qualcosa di decisivo. Tenete presente che i numeri (nel Medioevo sentivano le proporzioni, le quantità come l’altra lingua di Dio). L’avrebbe detto anche poi Galileo: la matematica è il linguaggio con cui Dio ha scritto l’universo, cioè non è mai indifferente la forma al contenuto, la precisione delle proporzioni. Allora per i medievali è importantissimo il numero 7, che è il numero della creazione (7 giorni della creazione) e quindi è il numero dell’uomo, creato. Ovviamente importantissimo, lo sapete già, la Trinità, Dio, la perfezione. 7 più 3 fa dieci quindi se devo parlare della salvezza di incontro tra l’uomo e Dio viene fuori il 10, ma anche il 13 è importante perché 13 è l’accostamento del numero di Dio nell’antico testamento e del numero di Dio nel nuovo. Dio, il Dio unico dell’antico testamento, si rivela come Trinità, addirittura può essere, in alcuni testi, identificato con il momento proprio di Cristo, quando i due testamenti si incontrano (finisce uno ed inizia l’altro). Allora ripeto, l’uomo, Dio, Cristo. 9 più uno dieci, più tre tredici, cinque, quattro nove fa dieci, cinque e due sette. Ma uno dice: “però 13 è il centro, il cuore della storia, Cristo, che è come se salvasse tutta la storia dell’umanità, dal primo uomo all’ultimo, attraverso l’incontro di Dio e dell’uomo, che avviene comunque nell’antico e nel nuovo testamento, la storia torna alla salvezza. ESindetodice: “che meraviglia, allora c’è qualcosa”. Allora si mette a ravanare col computer e fa un’altra scoperta, quella proprio sua, questa cosa qui qualcuno l’aveva già intravista, ma lui, ravanando col computer, scopre questa cosa incredibile: alla fine del 17esimo, se tu cominci a leggere il 18esimo e vai avanti per 25 terzine, quindi le conti proprio, la 25esima terzina ha il verso centrale con dentro la parola “libero arbitrio”, la libertà. Di cosa si accorge Sindeto? Che anche a tornare indietro è uguale: se tu partendo dalla fine del 16esimo a tornare indietro conti 25 terzine, quella terzina, nel verso centrale ha la parola “libero arbitrio”. Una cosa di cui senza computer non si sarebbe mai accorto nessuno e lì Sindeto fa delle osservazioni bellissime sul modo con cui i medievali concepivano le cose e fa il paragone con gli scultori che facevano le statue del Duomo di Milano (noi adesso possiamo andare solo a vederle, allora no, tirate giù le impalcature, le statue del tetto non le avrebbe mai viste nessuno al mondo, le vedeva Dio e le facevano per lui e per gli angeli). Allo stesso modo uno poteva nascondere una cosa così, ma fregarsene del fatto che qualcuno dei lettori la trovasse, lo faceva perché era bello farlo, perché era più giusto che tutto fosse congegnato con questo ordine. Allora, se la cosa sta in piedi, tenete presente questo: in questi 7 canti, Dante spiega l’amore, l’amore come legge della vita e qui posso solo accennarlo, ci tornerete sopra voi, l’amore come legge della vita che cosa vuol dire? State attenti, vuol dire che l’amore è una legge della vita, cioè non è che puoi scegliere se amare o no. Un po’ come la gravitazione universale: te puoi anche non essere d’accordo e dici “no, io non sono d’accordo, la gravitazione universale non esiste, e quindi esco e vado fuori da casa del mio amico al settimo piano del grattacielo, ma io mi butto dalla finestra perché secondo me la gravitazione non esiste”. Te puoi dire quello che vuoi, ma se esci dalla finestra al 7 piano ti schiacci per terra perché la gravitazione esiste. Il realismo di chi accetta, o meglio può anche non accettare, ma scopre come siamo fatti. Te non è che puoi scegliere se vivere secondo la gravitazione universale o no, è una legge dell’essere, in questo caso della materia addirittura. Dante dice: “se una legge che regola il movimento della materia”, si, le materie che compongono le sostanze potrebbero chiamarlo verso la Terra, verso l’altro, fuoco, aria, … Ma allo stesso modo c’è una legge che regola il funzionamento dell’uomo, qual è il movimento dell’uomo come legge? Si chiama amore, cioè l’uomo, gli piaccia o no, subisce una attrattiva da parte della realtà, le cose lo attirano a sé. Dante chiama questa dinamica, immaginate una calamita e un fiordo: se lasciate andare il fiordo che corre verso la calamita, sta atterrando su una legge fisica. Ecco voi dovete immaginare che per Dante l’uomo è cosi: se lo metti davanti al cielo stellato non può non commuoversi, non può non piangere, non può non sentire l’infinito, e se lo metti davanti ad una bella donna, non può non desiderarla, e se lo metti davanti a qualsiasi cosa, non può non sentirne l’attrattiva. Lui tutta questa cosa la spiega in quei 7 canti lì. La dottrina d’amore, come legge dell’essere, è il cuore della Divina Commedia perché è il cuore dell’uomo. Ma pensate Virgilio, uno che dice:“ragazzi però il chiodo non è libero, il chiodo deve andare verso la calamita”. Qual è la grandezza dell’uomo? Cosa ha dato in più Dio all’uomo, che non ha dato al cane, al gatto o al chiodo? La libertà, cioè la dottrina d’amore che vi ho appena spiegato, dice Dante, “guardate che è tutta compresa nel mistero della libertà, la cosa pazzesca che l’uomo può fare è: “no, non accetto che sia così, mi rifiuto di vivere così”, “Dio tu mi hai messo all’inferno, ma io ti bestemmio lo stesso, la suprema libertà”. Allora Dante è come se dicesse “ragazzi, io vi spiego come siete fatti, ma state attenti perché proprio questa attrattiva della realtà è affidata alla vostra libertà”, “tutti i giorni potete dire sì o no, nel senso che l’attrattiva c’è, ma potete viverla bene o male, a vantaggio della salvezza o contro”. Tant’è vero, e qui è quella che secondo me è la novità più grande dellaDivina Commedia, la più grande, per noi nordici moralisti tirati su in un certo cattolicesimo è veramente una novità pazzesca perché Dante dice, nel purgatorio, che i 7 vizi capitali, cioè i peccati, li facciamo per amore, solo che sbagliamo ad amare. Ma è per amore che facciamo tutto quello che facciamo, sia le cose giuste, che quelle sbagliate, e allora lui, quando organizza i 7 vizi capitali, che vengono purificati dal purgatorio, li organizza così: ci sono i peccati che facciamo perché amiamo con troppo vigore, ci sono i peccati che facciamo perché amiamo con poco vigore, ci sono i peccati che facciamo perché amiamo per e poi spiega. Ma i peccati si fanno per amore, cioè non è che il Diavolo è scemo e ti dice: “guarda questa è una bellissima ragazza” e Dio ti mette davanti la più bella del mondo, il diavolo la più brutta che tu non la vorresti neanche regalata e ti tenta con quella lì. Il Diavolo che è furbo ti tenta con le stesse cose con cui Dio ti chiama a sé. Tu vedi la bellissima fanciulla e la bellezza di lei che ti attrae, dovrebbe mettere in moto tutto quel meccanismo che ho detto all’inizio, quello per cui Beatrice processa Dante, che gli dice: “io sono bella, ma c’è una cosa più grande ancora, di cui io sono segno”. Il Diavolo ti dice “no no, non c’è niente dopo, di là, prenditela questa bella ragazza che ti piace, che ti attira, e sarai felice”. Perché il Diavolo fa il suo lavoro mettendo lo stop al desiderio, non facendoti desiderare altre cose, ti fa desiderare le stesse cose che ti fa desiderare Dio perché la realtà la fa Dio. Il Diavolo viene e ti dice “prenditi quello che vuoi e che ti piace e sarai felice”, non è mai vero. Bene e tutta questa cosa Dante la scrive lì. Poi, e qui è la sfida che vi lancio, ma non la voglio spiegare in modo troppo lungo, io una notte mi ero fissato che secondo me Dante, che è un medievale, doveva aver costruito, anche dal punto di vista formale, la Divina Commedia attorno all’idea della croce, esattamente come i cristiani fanno in chiesa, quando fanno una chiesa fanno un edificio a forma di croce quadrata girata, ecc.., ma è una croce la chiesa, e quindi le proporzioni tra i muri perimetrali, le colonne, non sono a caso, ma sono calcolate per rappresentare una croce. Mi sono fissato che Dante avesse studiato la Divina Commedia volendo fare una croce. Fissazione pericolosissima perché ci ho passato delle notti a rimbambire fino al mattino, disegnando su carta le cose più strane. Volevo trovare una croce. Ho preso tutti i cento canti, ci ho scritti tutti i numerini del numero dei versi per vedere cosa succedeva e ho fatto delle scoperte, devo dire, interessanti. Ve le leggo solo: per esempio ho scoperto che tutti e cento i canti sono 33 danno 7 come somma, 33 danno 10 e 34 danno il 13. E già questo uno dice: “però non sarà mica un caso, poteva uscire di tutto, potevano essere 50, 13 e possibile 33, 33, 34?” Poi uno guarda bene e dice: “ma dove sono i 7, i 10 e i 13 nel quadro complessivo?” Allora ho disegnato un grande quadrato di cento quadratini di dieci file da dieci e ci ho messo dentro il numerino che non si vedeva niente, zero, girato in tutte le maniere fino a diventare matto, zero. Poi una notte ho detto: “però la Divina Commedia è divisa in tre cantiche di 33 canti, forse un quadrato da 10X10 non va bene, forse è giusto fare un rettangolo, mettere a parte il primo canto, il famoso prologo primo dell’inferno, poi provo a fare una linea di 11 canti e così diventano 11, 22, 33 e qui finisce l’inferno, 11, 22, 33 il purgatorio e 11, 22, 33 il paradiso e così è una cosa più giusta, più ordinata, rispetta di più lo schema di Dante”. Quindi sono 9 file di 11 quadratini, invece che 10X10, i 99 canti sono qui. Adesso ho fatto tutti i miei quadratini, ci ho messo dentro i numerini, o 7, o 10, o 13 ed è successo di tutto: ho pianto come una fontana, volevo urlare perché mi sembrava di vedere delle cose incredibili, per esempio che il quadratino centrale, il famoso 17 del purgatorio, è ovviamente un 13, intorno se tirate una croce e abbracciate i tre quadrati laterali, tutti e 4, con numeri diversi, danno 33, cioè la vita di Cristo. Se allungate la croce, tutti e tre i bracci danno, alla fine come somma, 9, cioè il numero di Beatrice, cioè la presenza di Cristo nella vita di Dante, e poi ho trovato una croce a forma di per, giuro, l’unica croce di 7 che c’è in tutto il quadro è qui: c’è un 7, un 7, un 7 e un 7. Viene fuori una croce in questo modo, una croce perfetta messa a per. Solo che è l’unica croce di 7 che c’è in tutto il quadro. Poi, andando avanti, guardando e guardando, ho trovato una croce di 10 qui, a questo modo e poi ho trovato una croce di 13, anche quella l’unica di tutto il quadro, e io mi sono fermato e mi sono detto: “mi serve qualcuno a cui piace la matematica che si metta a studiare per vedere che ci sia ancora da trovare l’ira di Dio”, perché l’unica cosa che sono riuscito a fare è mandare questi dati a due matematici e l’unica cosa che mi hanno già garantito è: “impossibile che sia un caso”, cioè c’è una probabilità su non quanti di miliardi che per caso venga fuori sta roba. Ma trovare addirittura la croce del 7, cioè dell’uomo prima di Cristo, all’Inferno e nel punto più lontano dalla croce, trovare lì il numero 10, cioè della salvezza, del possibile incontro tra l’uomo e Dio, al Purgatorio, e sulla croce, perché è inchiodata alla croce, alla croce grande, e trovare il numero 13 solo in Paradiso, che c’è nelle tre file del Paradiso, non più sulla croce, ma appoggiata alla croce, come a dire: “così si muore, però in Paradiso siamo a posto, tutto bene”. Nel Purgatorio probabilmente, adesso vedremo che scoperte riusciremo a fare quest’anno, probabilmente Dante ha voluto dire nel Purgatorio, perfino coi numeri e con le quantità, perché vi ho accettato. La dottrina d’amore come legge dell’essere e la libertà come possibilità che solo l’uomo ha di contravvenire, opporsi a questa legge d’amore che lo prenderebbe. E quindi ecco perché la libertà, il problema grave che abbiamo è che non sappiamo cosa è la libertà perché tutti i giorni, anche tra adulti, pensiamo tutti che la libertà sia fare una scelta senza condizione e, io qualche volta l’ho fatto in classe, scrivete cosa è la libertà e lo scrivo anche io e giuro che indovino tutte le definizioni che scrivete: “la libertà è fare cioè che si vuole”, “la libertà è non dipendere da nessuno”, “la libertà è non avere legami”. Queste cose sono tutte false perché la libertà così non esiste, esiste la libertà come assoluta assenza di negativismo. Allora bisogna trovare la definizione da un’altra parte, appunto dicevo ai miei alunni: “ma scusate, se tu sei stufo di essere così perché chi ti guarda dice”:“ah ma ha i capelli della nonna, parla come lo zio, è uguale a sua sorella,quella grande…” E tu dici: “ma basta io sono io, non voglio più avere i capelli della nonna, parlare con lo zio, basta”. Per liberarmi da questa dipendenza così pesante, io ti regalo una macchina del tempo, tu torni indietro e se fosse possibile, il risultato quale sarebbe? Coincide col suicidio perché lei, le piaccia o no, lei è la sua storia, è i legami che la costituiscono. Se io azzero, riesco ad azzerare i legami, lei non esiste più e questo è una legge. In questo senso chi ha più legami, ha una possibilità più forte, in questo senso la memoria, cioè ricordare tanto dei nostri legami, rende la personalità più libera, se tu adesso uscendo inciampi sulle scale perché hanno appena passato lo straccio e sbatti una testata, ti si resetta il cervello: la diagnosi è amnesia totale, cioè ti si è resettata la memoria. Io lo vedo lì e gli dico: “tu, chi sei? Boh”. “Ma cosa fai qui, è tardi, dove abiti?” “Boh”. “Ma di chi sei figlio?” “Boh”. “Ma ti ricordi per caso cosa fai qui?” “Boh”. Senza memoria è zero e la cosa interessante è che sapete cosa è costretto a fare? A credere al più furbo perché lui non sa più niente. Se io sono furbo e gli dico: “ah ma lo so io chi sei, adesso vieni, tu sei uno che vende cocaina”. E gli faccio fare quello che mi pare. Quello lì, poverino, in assenza di memoria è totalmente schiavo del potere, cioè di chi gli vuol male. Se non avete memoria, se non studiate a memoria, almeno le cose più importanti, chi comanda vi fregherà sempre (religione, cellulare, scuola, ecc…), l’avrete sempre in quel posto. La libertà è avere tanta memoria e tanti legami, dopo saperli vivere, quello è un altro discorso, ma i legami devi averli. Chi ha più amici è più libero o meno libero? Tutti scriveremo d’istinto la libertà è avere meno amici, no, no! È il contrario: libertà è riconoscere di avere legami e saperli vivere. Vi faccio l’ultimo esempio: se fosse vero che la libertà è la libertà di scelta, se io posso scegliere sempre, un rapporto decisivo come quello della madre, immaginate che lo Stato dica: “facciamo una riforma dove d’ora in poi i bambini scelgono”. Prendono un bambino appena nato, lo portano via e quando ha 6 anni lo portano in un cinema e sul palco gli mettono cento donne, alte, basse, bionde, giovani, vecchie, cinesi, giapponesi, insomma tutte le qualità di donne possibili e dicono al bambino di 6 anni “scegli la mamma, sei il primo della storia dell’umanità libero, veramente libero, puoi scegliere tua madre, è una riforma grandissima”. Voi riuscite a immaginare un bambino di 6 anni davanti a cento donne e gli si dice: “scegli tua madre”. Ragazzi, il giorno dopo impazzisce. La libertà di quel bambino sapete quale sarebbe? Che si aprisse la porticina ed entrasse sua mamma e lui la potesse riconoscere e poterle volare in braccio, gridando: “mamma, mamma!”. La libertà funziona così: non ce lo insegna nessuno, ma la libertà è l’adesione dell’uomo alla fede, al vero, non poter scegliere tra cento donne. Alla prossima, ciao.

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Di solito leggo questo episodio: il canto di Salomone. Vi racconto questo episodio che mi è accaduto cinque anni fa. Stavo facendo un giro tra le città della Puglia per presentare la Divina Commedia. La prima sera, parlai a delle scuole di una città, eravamo radunati in un teatro gigantesco e la serata era stata introdotta da una ragazza di prima liceo, Chiara, che aveva una voce incredibile. Alla fine della serata mi fermai per ringraziarla e complimentarmi per sua voce, fu così che ci salutammo. Il mattino dopo partii per un’altra città, mi accompagnava l‘insegnante d’italiano di questa ragazza. Quando ci fermammo a pranzo in un autogrill all’insegnante arrivò un messaggio sul telefono da parte di Chiara che gli scrisse che era morto Antonio, il suo compagno di banco in un incidente stradale con il motorino. Il messaggio mi aveva colpito perché finiva dicendo -non lo rivedrò mai più-, anche l’insegnante era molto scosso. Così decidemmo di tornare indietro perché non mi sentivo di lasciare Chiara in questo dolore, in questa botta, senza dirle niente. Tornammo indietro, nella prima città a visitare Chiara, per poi andare di corsa nella seconda città dove tenevo un incontro nel tardo pomeriggio. Nel viaggio di ritorno decisi di vedere l’argomento dell’incontro che sarebbe avvenuto al pomeriggio, tirai fuori il volantino e mi spaventai perché diceva che tutta la città era invitata all’incontro sul canto quattordicesimo, ma io non mi ricordavo di cosa parlasse. Quel canto, per tante ragioni, non lo leggevo da molto tempo, così decisi di ripassarlo ma, appena iniziato a leggere, mi misi a piangere come una fontana. Esso parlava dell’incontro tra Dante e Salomone nel quale Dante gli chiedeva come riuscissero a riconoscersi gli uni con gli altri a causa della loro luce, che era così forte che gli faceva dolere gli occhi. Aggiunse inoltre -dopo il giudizio universale, se tutti brilleranno di una luce ancora più forte come si riuscirà a vedere o a riconoscere qualcuno?- e Salomone gli rispose con un paragone bellissimo, gli dice: “Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende; così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza dà la carne che tutto dì la terra ricoperchia; né potrà tanta luce affaticarne: ché li organi del corpo saran forti a tutto ciò che potrà dilettarne”. Ovvero gli dice: -Dante stai tranquillo che andrà così: risorgendo saremo più luminosi di prima, è vero, ma prova a pensare alla brace; quando è rossa, è un unico bagliore indifferenziato, ma se la temperatura si alza, diventa bianca per la temperatura altissima ed è solo allora che si possono vedere i pezzi di carbone distinti-. Con questo paragone Salomone cercava di dire che quando saremo risorti saremo stati ancora più luminosi, ma proprio per questo, come il carbone, ci saremmo riconosciuti meglio. La grazia di Dio avrebbe fatto in modo che i nostri occhi potessero sopportare la luce con facilità, senza avere fastidio. “Tanto mi parver sùbiti e accorti e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», che ben mostrar disio d’i corpi morti” la prima spiegazione che Dante fa è che, appena sentita questa spiegazione, tutti coloro che erano lì, santi, angeli, si mettono a gridare: “Amen” ovvero è proprio così, è giusto, è bello che sia così e Dante finisce con questa rivelazione pazzesca: “forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme.” Questi non erano contenti solo per sé stessi, mostrando il desiderio della resurrezione, ma erano contenti pensando a tutte le mamme, parola molto più tenera ed affettuosa di madre, che avendo perduto un figlio avrebbero potuto rivederlo. La spiegazione di Salomone è rassicurante perché dice che in paradiso ogni uomo troverà tutti quelli che ha amato e li riconoscerà, mentre le mamme potranno riabbracciare i figli perduti. Ma voi immaginate cosa significasse per me, in quel momento, quel canto? Appena arrivammo alla casa di Chiara le feci leggere il canto e le disse che aveva sbagliato quando aveva scritto al proprio professore -non lo rivedrò mai più- perché un giorno lo rivedrai e non solo, lo riconoscerai e lo potrai riabbracciare. È stato forse l’atto di amicizia o di carità, non so come chiamarlo, più bello e più concreto che ho vissuto in questi anni leggendo un pezzo del paradiso. Parliamoci chiaro, cosa significa essere concreto? Cos’è veramente concreto nella vita? Qualche risposta interessante ve la potete dare anche da soli, basta che ci pensate. Questo tavolo è concreto, purtroppo la grammatica è stata impostata così, perché lo posso toccare con le mani, mentre l’amore di mia moglie è astratto invece, non c’è. Ma nella vita è più importante sapere che c’è questo tavolo o che mia moglie mi ama? Questo banco nella migliore delle ipotesi marcirà e diventerà cenere, ma dell’amore di mia moglie spero di avere tanto da sapere e da costudire per l’eternità; la cosa più concreta che c’è è quella che riesce a vincere l’urto del tempo. Questo tavolo risulta dunque astratto. Cos’è concreto? È una domanda sbagliata, perché nel nostro caso, nel caso dell’uomo, la resurrezione della carne permette di dire che è tanto concreto il corpo quanto l’anima. Si capisce quel che voglio dire? Voglio solo provare a sfatare il mito per cui il Paradiso sarebbe astratto; in realtà è la cantica più concreta che c’è e dovete avere questo pensiero se vogliamo leggere il canto trentatreesimo e capire qualcosa. Esso è il più, tra virgolette, astratto che c’è perché il canto finale è dove Dante vede Dio. Cosa è più astratto di Dio? Più astratto della Madonna? Pensandoci, si può dire che qualcosina di certi santi la si possiede, ma la Madonna? Chi può paragonarsi alla Madonna? Il trentatreesimo è stato definito il più astratto dei canti io, invece, dico ed insisto che proprio perché arriva alla visione finale è il canto più concreto. Sono riuscito a istillarvi questo sospetto? Che la concretezza sia una cosa un po’ diversa da ciò che noi pensiamo? Incoraggiatemi un po’! La struttura del canto è molto semplice, la prima parte è il grandissimo e famosissimo inno alla Vergine, cioè una preghiera alla Madonna. In questo ultimo tratto Dante è accompagnato da San Bernardo, che lo porta davanti alla Madonna e le chiede la grazia per poter vedere Dio. La grazia viene concessa e Dante tira su la testa, dicendoci cosa vede in quel momento lì; è una roba da fuori di testa! Dante vede tre cose, infatti la visione che gli viene concessa si sviluppa in tre momenti, dove dice di star guardando un oggetto che poi è cambiato in un altro e successivamente in un altro ancora; ma non è che la cosa, in realtà, stesse cambiando, Dante stava guardando sempre lo stesso oggetto! ma siccome la sua vista diventava sempre più acuta più chiara, il suo occhio più sincero, allora la realtà davanti ai suoi occhi si trasformava, si approfondiva continuamente. Se c’è qualcosa di concreto nella vita è questa qui: lo sguardo. Quando guardiamo qualsiasi cosa: dalla natura, all’amico, allo studio, o ai parenti, siamo sicuri di vedere quello che è perché per vedere quello che è davvero bisognerebbe avere il coraggio di cambiare sguardo, di pulirsi gli occhi e di cambiare il modo di vedere. Quanto male ci facciamo, o quanto male subiamo dagli altri solo perché non vediamo le cose per quello che sono davvero; pensiamo di capire, pensiamo di vedere, ma in realtà non capiamo niente! Dante dice che la vita è fatta così, che pensava di vedere una cosa, ed è vero che la vedeva, ma con la vista che si avvalorava, da quella stessa cosa si poteva scorgere tanto altro. Il paragone che facevo sempre a scuola, per spiegare questi tre momenti della visione, era quello di un cannocchiale a pagamento: se tu vuoi vedere qualcosa, finché non metti un euro non si vede niente, perciò ci vuole la grazia della Madonna per diventare capaci; l’euro è il sì di Maria. Dante mette la moneta e finalmente vede una montagna, ma scopre che c’è la possibilità di zumare e l’immagine si avvicina di più e invece di vedere una montagna vede una casa, poi zuma ancora e vede un bellissimo fiore che sta in un vaso su un balconcino della casa. L’oggetto sembra cambiare, montagna, casa e fiore, ma in realtà è sempre lo stesso panorama visto con una lente d’ingrandimento sempre più efficace, con occhi sempre più puri. La vita funziona così. È tutta il problema dei problemi che abbiamo, la maggior parte di essi si risolverebbero se avessimo il coraggio di ripulire il nostro sguardo dai pregiudizi, dal comodo. Proviamo a leggere insieme il canto, ho voluto anticipare questa questione per farvi capire il metodo di cui Dante parla. Il canto inizia subito con le parole di San Bernardo che fa questa preghiera alla vergine chiedendole di permettere a Dante la visione: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.” Tu sei il punto che Dio ha sempre avuto presente sin dagli inizi, mentre creava il mondo; ha reso la natura umana così nobile che il creatore ha accettato di rendersi sua fattura, di rendersi creatura. Ma vi segnalo subito una cosa che per me è stata un’esperienza importantissima nella vita, questo -vergine madre, figlia di tuo figlio- è proprio uno di quei versi che per tanti anni mi sono chiesto cosa centra con me. Vergine e madre può essere solo la madonna, figlia di tuo figlio a maggior ragione, chi può essere così? poi invece la vita mi ha fatto vedere che non è così, che la Madonna, almeno nella dottrina cristiana, è la primizia di tutti i salvati, ovvero realizza pienamente ciò che viviamo anche noi. Cioè l’appellativo “vergine e madre” è ciò a cui siamo chiamati tutti; è relativamente semplice, perché scoprirete, spero, che siamo veramente siamo tutti chiamati a essere vergini, ovvero colui che rinuncia a possedere fisicamente l’altro. Questa è una virtù che dobbiamo vivere tutti, perché anche chi è sposato è chiamato a non rendere l’altro l’oggetto del suo piacere, ma amarlo e stimarlo con una certa distanza, piena di rispetto perché l’altro non è cosa tua. È vero che in italiano diciamo mia moglie, mio marito, i miei figli, ma è più vero dire figli di Dio; questa verginità, questo distacco dall’altro che ti permette di amarlo davvero è una cosa a cui siamo chiamati tutti. Anche se poi si mettono al mondo i figli, fisicamente ciò non emerge, infatti chi fa il voto di verginità non lo fa perché non gli importa degl’altri, ma per vivere una paternità profonda e grande come quella dei santi; tant’è vero che la chiesa ha sempre chiamati “madri” le suore e “padri” i frati e i preti, perché sono veramente padri e madri nella vita. Quando son diventato padre ho cominciato a ragionare, pensando che forse essere vergini e madre, cioè essere capace di amare e rispettare l’altro senza possederlo, senza farne un oggetto mio e nello stesso tempo con un altro, con mia moglie, poter generare, poter dar la vita, è proprio quella che sono chiamato a fare anche io. Più difficile è stato accorgermi dell’altra: -figlia del tuo figlio-, la capii solo quando andai ad un meeting a Rimini, sei o sette anni fa, dove c’era una mostra su un santo. Andai a vederla senza sapere che mio figlio l’avrebbe presenziata. Fu talmente bravo, che non riuscii a resistere e mi commossi, perché, in quel momento, mio figlio mi era padre, mi guidava, mi insegnava. Rimasi tramortito per giorni, perché improvvisamente questo -figlia del tuo figlio- era vero anche per me, anzi, era il più grande augurio che si potesse fare ad un padre o una madre, ovvero poter vedere i propri figli diventare così grandi da poter andargli dietro, il poter essere scavalcato dai figli che diventano padri. E quanti ragazzi della vostra età ho conosciuto che senza bisogno di leggere Dante, avendo dei papà o delle mamme malati o svergoli, sono diventati padre e madri del loro genitori, permettendogli di rinascere, di ricominciare a vivere; è uno degli spettacoli più incredibili in terra, e lì ho capito che figlia del tuo figlio voleva dire questo. “Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore.” Nel tuo ventre si è riacceso l’amore che Dio aveva verso l’umanità, per cui nel tuo feto, nel tuo amore, nella tua fedeltà è potuto nascere e sbocciare questo fiore, la candida rosa del paradiso, ovvero l’insieme degli uomini salvati dal sacrificio di Cristo, grazie a te Maria si è riacceso quell’amore per la cui tenerezza gli uomini sono stati salvati. “Qui se’ a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali, se’ di speranza fontana vivace.” Qui sei per noi un sole di carità e sulla terra sei fonte di speranza. “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ ali.” Sei così grande, di così grande valore, che chiunque volesse una grazia, un dono da Dio, desiderasse qualcosa, deve passare da te, se non passa da te non succede niente, il suo desiderio è come se volesse volare senza aver le ali. “La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre.” Sei così buona che non rispondi alle domande, ma le precedi; papa Francesco usa spesso l’espressione -Dio ci primera-, ci precede, ed improvvisamente si capisce il legame con il primo canto dell’inferno, dove Dante si trova davanti Virgilio, che per convincerlo a partire gli racconta come ha fatto arrivare lì, che l’ha cercato Beatrice, che aveva cercato Santa Lucia che aveva cercato la Madonna. Perché Lei ha visto il bisogno di Dante e si è mossa per aiutarlo prima che Dante stesso chiedesse aiuto, anzi, ha potuto chiedere aiuto a Virgilio perché glielo aveva mandato lei. “In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate.” In te c’è tutto quello di buono che c’è nella vita umana e qui finisce la preghiera canonica, l’inno vero proprio; adesso comincia la richiesta dove San Bernardo gli chiede il piacere di poter vedere in faccia Dio. Prima però una piccola chicca che non ho mai trovato su internet; dovete sapete che San Giuseppe è chiamato dai teologi “il santo muto” perché nei quattro vangeli non dice mai una parola, è discreto e di lui non si sa niente: dove sia andato a finire, dove sia morto. Sparisce dalle cronache e anche nella Divina Commedia non c’è! Con tutti i santi che incontra in Paradiso, Dante cita una sola volta San Giuseppe se non che, qualche anno fa, mi arrivò una lettera da una professoressa siciliana che mi raccontava che tanti anni prima un professore d’italiano siciliano, facendo una lezione a un gruppo culturale, alla fine del suo raccontare, quasi fosse uno scherzo, disse una battuta ai presenti: “prima di andare via volevo dirvi questa cosa simpatica, ho trovato San Giuseppe nella Divina Commedia!” È proprio in questo canto! Subito dopo il verso vent’uno, dove finisce la preghiera alla Vergine. Sottolineando le lettere iniziali di ogni terzina si forma il nome di San Giuseppe, Josep, e le due lettere successive sono un A e una V; sapete che il saluto latino era ave, contratto in A.V. Quindi Josep Ave, nell’inno alla vergine senza nominarlo esplicitamente, quasi nascosto dietro alla Madonna, proprio come nei vangeli, c’è San Giuseppe! è come se Dante dicesse che San Giuseppe deve rimaner nascosto, aiutando Maria, ed è per questo che Dante gli manda il suo saluto senza bisogno che nessuno lo sappia o lo veda. Ma tornando al tema della concretezza…quali sono le due cose più concrete della vita? Sto sempre affrontando il tema del Paradiso astratto. Alla vostra età si diventa quasi impazziti per capire cosa ci sia di veramente concreto. Anche io andai in crisi per due anni, perché le cose più belle che avevo nella vita stavano scomparendo, marcendo nelle mie mani e io non potevo farci niente e mi chiedevo che cosa invece durasse. Le due cose che bisognerebbe che fossero vere perché tutto stesse in piedi, sono che tutto abbia un’unica radice, sia unito misteriosamente, abbia un senso e che si risolva questa contraddizione tra l’uno e il molteplice, in termini filosofici, tra l’essere e il non essere, il problema del divenire, ciò che resta e ciò che va via. C’è la possibilità di risolvere il problema della vita dove tutto sembra perire o no? È la domanda più concreta del mondo, mentre l’altra domanda è se esiste questo senso, se esistesse un Dio che unisce tutto non sarebbe bello conoscerlo arrivando addirittura ad amarlo e farsi amare nella vita? Queste due argomentazioni: la possibilità che tutto ciò che sembra a pezzi sia unità e la possibilità che questa unità, che è Dio, si possa conoscere ed amare nella vita di tutti i giorni sono i due grandi veri problemi dell’uomo. Quando andavo a catechismo mi insegnavano una formula alla domanda “quali sono i due misteri principali della nostra fede?” La risposta era ed è ancora -unità e trinità di Dio e incarnazione nascita passione e resurrezione di nostro signore Gesù Cristo-. Ho avuto questa intuizione qualche anno fa, collegando questa formula con la visione di Dante, infatti quando vede Dio, vede la risposta a queste due domande, a questi due problemi; vede l’unità di tutto in Dio che è tre e uno e subito dopo vede nel profondo di Dio, nel cielo di Dio una faccia di uomo, con gli occhi, con la barba, che è il mistero della reincarnazione detto il cuore di Dio. L’esito finale della Divina Commedia è: ho visto Dio e vi posso assicurare che è la risposta adeguata alle domande più concrete della vita, ai bisogni più veri che avete, essere amati e amare e essere compagni nell’esistenza e per l’eternità di Dio stesso, questo ho visto e questo è quello che voglio raccontarvi-. Questo è la cosa più alta che la letteratura mondiale abbia mai espresso, lui con quel meccanismo dello zoom, dice che guardando Dio ha visto queste tre cose, ciò per cui l’universo si squaderna, poi l’unità e la trinità dei tre cerchi che vede e il volto d’uomo nel cuore stesso di Dio. Ciò è una scoperta importantissima perché mi fa dire che tutta la Divina Commedia è costruita come risposta alle domande più urgenti che abbiamo e che risolte possono portare alla felicità.

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