Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazionipsicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi.
La loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza , reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.
Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo,anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.
La felicità
è un girotondo di bambini,
che giocano insieme
sotto il cielo azzurro.
Sei sei triste e ti manca l’allegria
scacciare vuoi la malinconia
vieni con me, ti insegnerò
la canzone della felicità.
Batti le ali, muovi le antenne,
dammi le tue zampine
un volo di qua, un volo di là,
la canzone della felicità.
La tristezza
sono le lacrime che scendono dal viso,
sono gocce calde,
sono occhi stanchi e pallidi
e il tuo corpo tremolante.
La tristezza
è come la notte senza stelle
nel bosco in inverno
freddo e gelato,
senza compagnia
e senza allegria.
La paura
è il buio dell’oscurità
e delle tenebre.
Quanto dura
la paura?
Un istante
raggelante,
un secondo
tremobondo,
un minuto
tutto muto,
un respiro
trattenuto,
una notte
scura scura…
Tanto dura
la paura.
Sono tutto arrabbiato,
Cosa mai mi è capitato?
Ho il faccin tutto rosso.
e mi sento un po’ scosso.
Pesto i piedi per terra
e vorrei far la guerra.
Sento tutti nemici
anche i miei cari amici:
non ci voglio parlare
e nemmeno giocare.
Il pancino mi duole
e mangiar lui non vuole,
neppure un boccone
neanche per colazione.
Son tutto nervoso
e mi sento furioso,
una bomba che scoppia
un tornado che soffia,
un vulcano che erutta
un’ onda che spruzza.
Come faccio a calmarmi?
Io vorrei rilassarmi!
Ho bisogno di urlare,
di correr e saltare,
di una parola d’amore,
di un abbraccio dal cuore.
Questo è quello che mi aiuta
e la rabbia tramuta
in una pace tranquilla
in una calma che brilla!
“Il naso che scappava” Gianni Rodari
Il signor Gogol ha raccontato la storia di un naso di Leningrado, che se ne andava a spasso in carrozza e ne combinava di tutti i colori.
Una storia del genere è accaduta a Laveno, sul Lago Maggiore. Una mattina un signore che abitava proprio di fronte al pontile dove si prendono i battelli si alzò, andò in bagno per farsi la barba e nel guardarsi allo specchio gridò:
“Aiuto! Il mio naso!”
Il naso, in mezzo alla faccia, non c’era più, al suo posto c’era tutto un liscio. Quel signore, in vestaglia come stava, corse sul balcone, giusto in tempo per vedere il naso che usciva sulla piazza e si avviava di buon passo verso il pontile, sgusciando tra le automobili che si stavano imbarcando sulla motonave traghetto per Verbania.
“Ferma, ferma!” gridò il signore. “Il mio naso! Al ladro, al ladro!”
La gente guardava in su e rideva:
“Le hanno rubato il naso e le hanno lasciato la zucca? brutto affare”.
A quel signore non rimase che scendere in strada e inseguire il fuggitivo, e intanto si teneva un fazzoletto davanti alla faccia come se avesse il raffreddore. Purtroppo arrivò appena in tempo per vedere il battello che si staccava dal pontile. Il signore si buttò coraggiosamente in acqua per raggiungerlo, mentre passeggeri e turisti gridavano: Forza! Forza! Ma il battello aveva già preso velocità e il capitano non aveva nessuna intenzione di tornare indietro per imbarcare i ritardatari.
“Aspetti l’altro traghetto”, gridò un marinaio a quel signore, “ce n’è uno ogni mezz’ora!”
Il signore, scoraggiato, stava tornando a riva quando vide il suo naso che, steso sull’acqua un mantello, come San Giulio nella leggenda, navigava a piccola velocità.
“Dunque non hai preso il battello? E’ stata tutta una finta?” gridò quel signore.
Il naso guardava fisso davanti a sé, come un vecchio lupo di lago, e non si degnò neanche di voltarsi.
Il mantello ondeggiava dolcemente come una medusa.
“Ma dove vai?” gridò il signore.
Il naso non rispose, e il suo disgraziato padrone si rassegnò a raggiungere il porto di Laveno e a passare in mezzo a una folla di curiosi per tornare a casa, dove si tappò, dando ordine alla domestica di non lasciar entrare nessuno, e passava il tempo a guardarsi nello specchio la faccia senza naso.
Qualche giorno dopo un pescatore di Ranco, tirando su la rete, si trovò il naso fuggitivo, che aveva fatto naufragio in mezzo al lago perchè il mantello era pieno di buchi, e pensò di portarlo al mercato di Laveno.
La serva di quel signore, che era andata al mercato per comprare il pesce, vide subito il naso, esposto in bella vista in mezzo alle tinghe e ai lucci.
“Ma questo è il naso del mio padrone!” esclamò inorridita. “Datemelo subito che glielo porto”.
“Di chi sia non so”, dichiarò il pescatore, “io l’ho pescato e lo vendo”.
“A quanto?”
“A peso d’oro, si sa. E’ un naso, non è mica un pesce persico”.
La domestica corse a informare il suo padrone.
“Dagli quello che domanda! Voglio il mio naso!”.
La domestica fece il conto che ci voleva un sacco di denaro, perchè il naso era piuttosto grosso: ci volevano tremendamila lire, tredici tredicioni e mezzo. Per mettere insieme la somma dovette vendere anche i suoi orecchini, ma siccome era molto affezionata al suo padrone li sacrificò con un sospiro.
Comprò il naso, lo avvolse in un fazzoletto e lo portò a casa. Il naso si lasciò ricondurre buono buono, e non si ribellò nemmeno quando il suo padrone lo accolse tra le mani tremanti.
“Ma perchè sei scappato? Che cosa ti avevo fatto?”
Il naso lo guardò di traverso arriciandosi tutto per il disgusto, e disse: ” Senti, non metterti mai più le dita nel naso.
O almeno tagliati le unghie”.
Published: Mar 15, 2019
Latest Revision: Mar 15, 2019
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