La teoria stadiale di Erik Erikson
La personalità non è immune dagli influssi della società, non dipende solamente da fattori biologico/genetici, e non consiste solo nella acquisizione di un bagaglio di comportamenti unilaterali.
Con l’espressione sviluppo sociale intenderemo qui il progressivo trasformarsi della qualità delle relazioni sociali.
Anche E.Erikson, danese emigrato in USA, allievo di Anna Freud, previde uno sviluppo per stadi. Egli parti dall’idea di un complesso di pulsioni di origine biologica, non di natura sessuale ma sociale, da cui scaturiscono le motivazioni che inducono una persona a stabilire legami sociali e a definire per sé un ruolo utile alla società in cui vive. Mentre per Freud lo sviluppo sociale risulta determinato in maniera quasi irreversibile dalle esperienze fatte nei primi 5/6 anni di vita, per Erikson tale sviluppo continua per tutta la vita e può essere influenzato da ogni nuova esperienza; egli suddivise l’arco dell’esistenza in 8 stadi psicosociali, ognuno dei quali associato ad uno specifico problema, o crisi, che deve essere risolto dall’Io. La teoria di Erikson individua un’ampia gamma di bisogni sociali e propone che, ad ogni stadio dello sviluppo della personalità, prevalga un bisogno diverso. Il modo in cui la persona affronta i bisogni principali connessi allo stadio di sviluppo in cui si trova influisce sullo stile della personalità con cui entrerà nello stadio successivo.
“Erikson definì «epigenesi» il susseguirsi di questi otto stadi: “epi” significa «sopra»; “genesi” «nascita», «Epigenesi», quindi, significa che un elemento si sviluppa sopra ad un altro nello spazio e nel tempo; definizione estesa poi in modo da includere una gerarchia di stadi e non soltanto la sequenza.
Ad ogni stadio della vita e della esperienza, caratterizzato da una dicotomia tra due tendenze opposte, E. associa lo sviluppo di quelle che chiama “virtù”:
“Io ho cercato di descrivere quelli che mi sembravano i principali punti di forza dell’uomo. Un po’ provocatoriamente ho chiamato questi col nome di “virtù”, in modo da indicare una base evoluzionistica per gli elevati moralismi umani”.
Il primo stadio viene chiamato “orale–sensorio”e “cinestetico”.
“L’oralità vale a dire il complesso delle esperienze che ruotano intorno alla bocca si sviluppa in rapporto alla madre che nutre, che protegge, che coccola e dà calore. La prima cosa che impariamo nella vita è immettere, e il principale atteggiamento psicosociale che impariamo è che possiamo aver fiducia nel mondo quando assume la forma della propria madre. Inoltre, le madri a seconda delle culture, delle classi e delle razze devono insegnare questa fiducia in modi diversi, perché possa corrispondere alla rispettiva versione culturale dell’universo. Imparare però a diffidare è quasi altrettanto importante”.
A partire da un rapporto favorevole tra la fiducia e la diffidenza, il primo stadio per l’uomo vedrebbe quindi lo sviluppo della speranza: la speranza è un punto di forza fondamentale per l’uomo, senza la quale non potrebbe sopravvivere.
Nel secondo stadio assistiamo ad uno sviluppo muscolare – anale, collegato al livello narcisistico di cui parlava Freud. Erikson descrive il tratto psicosociale che si svilupperebbe parallelamente a questo livello anale come il rapporto tra l’autonomia da un lato e la vergogna e il dubbio dall’altro. Man mano che i bambini conquistano
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autonomia nelle abilità principali, debbono imparare anche a non dubitare di sé quando non riescono a padroneggiarle immediatamente.
“L’aspetto muscolare – anale rientra nello sviluppo della muscolatura in generale e quindi il bambino che entra in questa fase dello sviluppo deve imparare non solo a controllare gli sfinteri , ma anche i muscoli e ciò che “vuole” da loro. E’ ovvio che gli organi urinari ed anali sono legati fisiologicamente allo sviluppo psicosessuale ed anche all’aggressività. Basti pensare alle parolacce! Solo all’interno di culture in cui alla pulizia e alla puntualità si desse eccessiva importanza per ragioni tecnologiche e sanitarie, il controllo anale potrebbe trasformarsi in un grave problema per il bambino. Il passaggio, tuttavia, dal primo al secondo stadio comporta anche una di quelle «crisi» umane tanto difficili. Ed infatti, appena il bambino ha imparato ad avere fiducia nella madre e nel mondo, deve sviluppare una propria volontà e deve rischiare la propria fiducia per vedere che cosa è in grado di volere. Le diverse culture hanno modi diversi di coltivare o spezzare questa volontà. Alcune si servono della vergogna, che può diventare una terribile forma di autoestraniazione per l’individuo.
L’autonomia, quindi, deriverà dalla risoluzione positiva dei sentimenti di vergogna e di dubbio che si sviluppano durante questo periodo muscolare – anale”.
Prendendo in esame questa polarizzazione, Erikson non afferma che un aspetto si deve sviluppare e l’altro no. Entrambi devono invece emergere a questo stadio dello sviluppo, ma il rapporto deve essere a favore dell’autonomia. Se per certi aspetti si ha relativamente più vergogna che autonomia, ci si sentirà o si agirà da inferiori per il resto della vita, oppure ci si opporrà coerentemente a questo sentimento.
Il terzo stadio, che nella nostra cultura si colloca tra i duequattro anni di età, è quello “locomotorio – genitale”. A questo riguardo Erikson parla di sviluppo dello spirito di iniziativa in rapporto al senso di colpa: i bambini si trovano ora a dover risolvere i conflitti tra il prendere iniziative e il sentirsi in colpa per aver passato i limiti.
Lo stadio fallico nella teoria freudiana parlava di situazione edipica, in cui il bambino si innamora della madre e la bambina del padre, ragione per la quale il bambino si identifica con il padre e sviluppa un forte lo.
“Quando si dice che il bambino si innamora della madre e che in seguito avrà dei problemi per liberarsi di questo amore, si deve ricordare anche che la madre agli inizi era tutto per lui. Il problema è che la madre viene coinvolta spontaneamente nelle prime fantasie genitali del bambino, quando questi si trova in un periodo in cui la sua iniziativa può e deve distogliersi dall’ambiente familiare e trovare nuovi obiettivi. E’ questo il periodo in cui si sviluppano nel bambino nuove importanti facoltà e se queste potenzialità si possono sviluppare completamente egli correrà meno pericoli di subire gravi complessi”.
La virtù particolare che Erikson vede emergere da tutto ciò è lo “scopo”. Dallo spirito di iniziativa, quindi, deriverebbe un orientamento verso alcuni fini.
“Il bambino comincia a intravedere dei fini per i quali lo hanno preparato la locomozione e i processi cognitivi. Egli comincia anche a pensare di essere grande e ad identificarsi con le persone, il cui lavoro e la cui personalità può capire ed apprezzare. Il concetto di “scopo” racchiude questo insieme di elementi. E’ in questo periodo che al bambino tocca reprimere o riorientare molte delle fantasie sviluppate precedentemente. Paradossalmente egli continua a sentirsi in colpa per le sue fantasie”.
Il periodo successivo è chiamato della “latenza”. E’ un periodo corrispondente grosso modo a quello chiamato in modo analogo da Freud, anche se è differenziato per i tratti psicosociali corrispondenti: industriosità e inferiorità.
“Quando si parla del bambino nella sua totalità e non soltanto della libido e dei meccanismi di difesa, si deve considerare che ad ogni stadio il bambino diventa una persona molto diversa, con maggiori capacità cognitive ed
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una maggiore abilità nell’interagire con un più ampio arco di persone verso le quali è interessato, che capisce e che reagiscono nei suoi confronti. Vi è un’enorme curiosità in questo stadio della vita: un desiderio di imparare e di conoscere. Durante il periodo di latenza, quindi, si sviluppa la polarizzazione tra industriosità ed inferiorità, ed emerge la virtù della competenza. L’inferiorità nasce dal fatto che i tentativi di padronanza da parte del bambino sono falliti”.
Nel periodo della “pubertà” o “adolescenza” tra i tredici e i quattordici anni, vengono introdotti i meccanismi psicosociali dell’identità in contrapposizione all’acquisizione dei ruoli.
Anche quando un individuo riesce ad adattarsi sessualmente, nel senso tecnico del termine resta pur sempre la possibilità che egli abbia dei disturbi a causa dei problemi d’identità della nostra epoca. Erikson sostiene che l’individuo non può svilupparsi pienamente senza l’acquisizione di un forte senso d’identità alla fine dell’adolescenza.
La virtù sviluppata in questo stadio è la fedeltà. Quando Erikson parla di “fedeltà” non intende la fede in una particolare ideologia, così come con il termine “speranza” non intende un concetto religioso, intende piuttosto che tali virtù sono necessarie per l’adattamento dell’uomo allo stesso modo in cui gli istinti lo sono per gli animali: “direi che abbiamo quasi un istinto di fedeltà, intendendo con questo che quando l’individuo arriva ad una certa età può e deve imparare ad essere fedele ad una posizione ideologica”. Erikson aggiunge che dal punto di vista psichiatrico, senza lo sviluppo di una tendenza alla fedeltà l’individuo o avrà ciò che chiamiamo un lo debole o cercherà dei gruppi devianti verso i quali essere fedele: anche il giovane delinquente sta cercando una possibilità di aderire ad una , di essere fedele verso il proprio capo e di sviluppare e fare mostra di un qualche senso di lealtà
Identità, adolescenza, ideologia
Sulla base di determinati processi cognitivi il giovane si mette alla ricerca di un quadro ideologico cui fare riferimento per una prospettiva di ampio respiro. E’ importante sottolineare che le ideologie, per definizione, non possono consistere in valori maturi. Gli adolescenti sono attratti dai regimi totalitari e da ogni sorta di mode totalitarie che offrono temporaneamente dei falsi valori. E l’adolescente, mentre è vulnerabile alle idee false, può mettere un’enorme quantità di energia e fedeltà a disposizione di qualsiasi sistema gli appaia convincente. E’ questo che rende così tragica la situazione e dà a tutti i creatori di nuovi valori responsabilità così pesanti. In Occidente noi pretendiamo solo di difendere un modo di vita, ma in realtà anche noi stiamo creando ed esportando ideologie scientifiche e tecnologiche, che a loro modo rafforzano il conformismo. Queste sono attualmente le due grandi fonti dell’identità e della sua confusione: la fede nella tecnologia e la riproposizione di una specie di umanismo. Entrambi con il rischio di essere arretrati nel loro utopismo ed inadeguati per la gigantesca battaglia che l’uomo conduce per arrivare a dominare le proprie forze.
Per quanto riguarda lo stadio successivo del suo quadro epigenetico, quello del “giovane adulto”, Erikson parla di intimità ed isolamento e della virtù dell’amore, riferendosi con ciò a rapporti intimi, come l’amicizia, l’amore, oltre all’intimità con se stessi, con le proprie risorse interne, le emozioni e l’impegno personale.
“L’intimità è in sostanza la capacità di fondere la propria identità con quella degli altri, senza perdere nulla di se stessi. E’ questo sviluppo dell’intimità che rende possibile il matrimonio come scelta consapevole di un legame.
Quando ciò non si verifica, il matrimonio non ha significato, anche se a volte lo sviluppo interno ha bisogno del legame formale”.
Nello stadio successivo, quello dell’adulto, il rapporto davanti al quale si trova l’individuo è quello della generatività e della stagnazione. E’ il momento in cui si trova una propria collocazione nella società, cominciando ad assumere un ruolo e a collaborare allo sviluppo o al miglioramento di ciò che questa produce. L’individuo se ne assume la responsabilità. Col termine “generatività”, da non confondere con creatività, invece, Erikson si riferisce a tutto ciò che è generato, da una generazione all’altra: bambini, merci, idee e anche opere d’arte.
La virtù che accompagna il concetto di generatività, contrapposto a quello di autoassorbimento (stagnazione), è la “preoccupazione” (in inglese care”), intesa in un senso che include sia “la preoccupazione di fare qualcosa”, sia quella “per” qualcuno o qualcosa, sia nel senso di “preoccuparsi di qualcosa che richiede protezione ed attenzione” ed infine nel senso di “preoccuparsi di non fare” qualcosa di negativo.
L’ultimo stadio è quello della maturità e dell’anzianità. La dicotomia è quella dell’integrità e della disperazione, mentre la virtù corrispondente è la saggezza.
“solo nell’anzianità si può sviluppare un’autentica saggezza in coloro che ne hanno la potenzialità. Con gli anni, del resto, non può non maturare una certa saggezza, foss’altro che nel senso che l’individuo arriva ad apprezzare ed a incarnare qualcosa della saggezza dei tempi o del buon senso popolare”.
Erikson crede che il potenziale per lo sviluppo della forza dell’io derivi dal compimento positivo di tutti i processi evolutivi precedenti.
“lo ritengo che il nostro senso d’identità sia composto di elementi positivi e negativi. Vi sono delle cose che vogliamo diventare, che sappiamo gli altri si attendono da noi e che in adeguate condizioni storiche e sociali possiamo effettivamente realizzare. Vi sono poi altre cose che non vogliamo e non dovremmo fare”.
Anche se uno riesce a risolvere la propria crisi di identità, mutamenti successivi nel corso della vita possono far riprecipitare una tale crisi: la vecchiaia può farlo, perché l’individuo che non ha risolto adeguatamente il problema in precedenza tenterà disperatamente di vedere se ha ancora la possibilità di sviluppare un’altra identità. La sua vita non gli appare del tutto accettabile come unica vita che gli sarà dato di avere.
Published: Nov 26, 2017
Latest Revision: Sep 13, 2021
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