PARTE I
Capitolo I
“Stultifera Navis”
E’ a partire dalla scomparsa della lebbra in Europa che, anche se ancora a livello inconscio, l’esperienza dell’isolamento della follia e dell’internamento cominciano a farsi strada nella mentalità medioevale, fino all’esplosione che avranno nell’Età Classica. Gli ospedali e gli edifici sanitari che erano destinati ad ospitare i malati di lebbra si riveleranno allora i luoghi più adatti per quell’esperienza correzionaria di isolamento e prigionia che contraddistinguerà la follia nel XVII secolo.
Ma nel Medioevo la concezione di follia era ancora inserita nell’antica contrapposizione Bene/Male come parte inscindibile dell’umana tragicità, e sebbene già sulla via dell’alienazione e della punizione, il folle era largamente ammesso nella società come parte costitutiva di essa. L’isolamento non gli precludeva un ruolo sociale e simbolico che l’arte e la cultura dell’epoca non mancheranno di concedergli, e la sua fascinazione sulla filosofia e sulla religione era ancora molto influente. Ancor più che uomo in carne ed ossa, nel Medioevo il folle è un personaggio, oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, stereotipo dell’insensatezza della condizione umana e ricettacolo delle paure dei propri contemporanei.
ll campo in cui più la figura del folle ebbe successo fu sicuramente la pittura. “Sotto la superficie dell’immagine s’insinuavano tanti significati diversi a tal punto che essa non presentava più che un volto enigmatico. Ed il suo potere non era più di insegnamento ma di fascinazione“. La definizione presente nel libro mostra in modo evidente il tipo di rappresentazione della follia che andava diffondendosi nei primi secoli dell’anno mille, e che saranno poi definitivamente codificati da geni visionari come Durer, Brueghel e Bosch. Proprio quest’ultimo è l’autore di un quadro fondamentale, la “Nave dei Folli”, attorno a cui Foucault fa ruotare la propria interpretazione dell’esperienza medioevale della follia, analizzandone i significati impliciti. Nel dipinto di Bosch il folle è in tutto e per tutto stereotipo della sregolatezza e dell’insensatezza della condizione umana, reso protagonista di un viaggio insulso alla volta del nulla, o forse del sapere universale. La navigazione è al contempo simbolo dell’isolamento e della purificazione, preludio dell’internamento e rito misterioso che si riconduce ad antiche magie e cabale che nel Medioevo affiancavano costantemente l’immagine del folle.
Capitolo II
Il grande internamento
I malati sono trattati senza rispetto per le condizioni in cui versano, e tutta l’organizzazione ricorda molto da vicino quella di un carcere. Una testimonianza racconta: “Io li ho visti nudi, coperti di stracci, senz’altro che un po’ di paglia per proteggersi dalla fredda umidità del selciato sul quale sono distesi. Li ho visti grossolanamente nutriti, privati d’aria per respirare, d’acqua per spegnere la loro sete, e delle cose più necessarie alla vita. Li ho visti in balia di veri carcerieri, abbandonati alla loro brutale sorveglianza. Li ho visti in stambugi stretti, sporchi, infetti, senz’aria, senza luce, rinchiusi in antri dove si temerebbe di rinchiudere le bestie feroci…“.
E’ qui che nasce davvero l’esperienza dell’internamento, destinata ad essere emblema di tutto il modo di pensare e di reagire alla follia durante l’Età Classica. Ben presto le case di correzione cominceranno a diffondersi dappertutto, in Francia ed in Europa, e a diventare strumento del potere, che non esiterà a ricorrere ad arbitrarie misure d’internamento: nell’arco di breve tempo un parigino su cento vi si troverà rinchiuso.
Con l’esperienza correzionaria si assiste al ribaltamento di concezioni etiche e religiose proprie del Medioevo, e ad una nuova presa di posizione della Chiesa riformata davanti all’intero problema della carità. Un tempo la povertà era vista come mezzo divino per manifestare la propria fede: aiutando il povero e compiendo atti di carità ci si poteva guadagnare la salvezza in cielo. Ma con la negazione del valore delle opere attuata da Lutero e dalla Riforma, da occasione di gloria la povertà cade nell’ambito della semplice colpevolezza di chi ne è vittima, passando dunque ad una concezione morale che la condanna. La povertà, e con essa la follia, diventa odiosa, non tanto per le sue miserie corporali, di cui è ammessa la compassione, quanto per quelle spirituali, che fanno orrore. E’ al termine di questa evoluzione che si
Capitolo III
Il mondo correzionario
Vediamo quindi come l’Età Classica abbia neutralizzato in un colpo solo e con efficacia sicurissima, tanto più sicura quanto più cieca, coloro che noi normalmente distribuiamo nelle prigioni, nelle case di correzione, negli ospedali psichiatrici o negli studi degli psicoanalisti. Il mondo degli internati era costituito da ogni sorta di personalità, ed entrando in uno qualunque dei numerosissimi edifici dedicati all’alienazione si potevano incontrare folli, criminali, dissidenti politici fra le varie migliaia di persone che vi erano rinchiuse.
Nell’internamento non ci si chiede se ad essere colpita è la ragione: ogni forma sociale che si scontra contro la lucida razionalità secentesca viene imprigionata. Anche certe stravaganze “libertine” come quelle di De Sade saranno viste affini con la problematica della follia e del delirio; saranno ammesse facilmente la magia, l’alchimia, le pratiche profanatrici e pure certe forme di sessualità verranno apparentate con la sragione. L’omosessualità e la sodomia erano punite come sintomi di follia, e l’Età Classica giunse a imporre una distinzione fra amore di ragione e quello di sragione, ponendo l’omosessualità entro i confini di quello di sragione.
Il suicidio era posto alla stregua delle altre manifestazioni di follia, in uno sconcertante ribaltamento della stessa etica cristiana: “Il tentativo di suicidio indica in sé stesso un disordine dell’anima che bisogna domare con la forza. Non si condannano più coloro che hanno tentato di uccidersi; li si rinchiude, e si impone loro un regime che è ad un tempo una punizione ed un mezzo per prevenire un altro tentativo“. A loro volta però l’empietà e la bestemmia saranno duramente punite dall’etica correzionaria, così come per l’ateo l’esperienza dell’internamento avrà una funzione di riforma morale in favore di un attaccamento più fedele alla verità.
Capitolo IV
Esperienze della follia
La gente non veniva rinchiusa per guarire, dal momento che il problema non veniva nemmeno posto, ma solo per terminare i propri giorni secondo le abitudini della vita correzionaria e lontana dalla società. “In tutti gli ospedali od ospizi sono stati abbandonati agli alienati alcuni edifici vecchi, cadenti, umidi, mal disposti e non costituiti a questi fine… in un piccolo numero di ospizi, dove si rinchiudono i prigionieri nei padiglioni detti di forza, questi internati abitano coi prigionieri e sono sottoposti allo stesso regime“.
La sottile presenza della concezione della follia come malattia, seppur ridotta e limitata, è contemporanea alla generale concezione della follia come appartenente all’internamento, all’alienazione ed alla punizione. Secondo Foucault è proprio questa giustapposizione che pone il problema della follia durante l’Età Classica, e che contemporaneamente può servire per comprendere a fondo quale fosse lo statuto del folle in quest’epoca.
Capitolo V
Gli insensati
Nel mondo dell’internamento la follia non spiega e non scusa niente; essa entra in complicità col male per moltiplicarlo, per renderlo più insistente e pericoloso, per prestargli nuovi volti. La follia che non intende esserlo o la semplice intenzione senza follia hanno lo stesso trattamento, forse perché hanno oscuramente la stessa origine: il male o perlomeno una volontà perversa.
Così, poco importa sapere se la ragione è stata effettivamente colpita, l’importante è punire il cedimento di volontà che è alla base della follia. L’entrata della volontà nell’orizzonte della follia non è esplicita nei testi che si sono conservati fino ad ora, ma si tradisce attraverso le motivazioni e le modalità dell’internamento. La follia è offesa alla morale.
La follia è anche scandalo della condizione umana abbassata a quella animale, il rinnegamento di quei valori che fin dall’antichità distinguevano l’uomo dalle bestie egli donavano la dignità di cui l’Età Classica faceva manifesto. L’animalità è il limite assoluto della ragione incarnata e lo scandalo stesso della condizione umana.
PARTE II
Capitolo I
La trascendenza del delirio
Un problema filosofico che delizia il XVII secolo è in che modo si trovi implicata l’anima nella follia. Prendiamo in esame due teorie contrapposte una legata alla tradizione dei teologi giuristi e dei giudici, l’altra esposta da Voltaire.
La tradizione dei giuristi e dei teologi fa leva sull’innocenza del folle: qualora questo dà qualche segno di pentimento si deve supporre che “lo Spirito ha illuminato la sua anima per vie che non sono sensibili e materiali, e quindi il folle è salvo qualsiasi cosa abbia commesso perché la sua anima è rimata in ritiro, e preservata dal male”. Si arriva così alla conclusione che l’anima di folli non è follia.
Opposta è la teoria di Voltaire, il quale riprendendo questo dialogo risponde che dotti e dottori, per preservare la purezza dell’anima, vorrebbero convincere il folle che la sua follia si limita solo ai fenomeni del corpo: “Amico mio benché tu abbia perduto il senso comune, la tua anima è altrettanto spirituale, altrettanto pura, altrettanto immortale della nostra; ma la nostra è bene alloggiata, mentre la tua lo è male; le finestre della casa sono tappate… l’aria le manca, essa soffoca”. Ma il folle d’altro canto sa bene che la sua anima è colpita e controbatte affermando: “Amici miei, voi supponete secondo le vostre abitudini ciò di cui stiamo discutendo. Le mie finestre sono aperte come le vostre, poiché io vedo gli stesi oggetti e ascolto le stesse parole. Occorre quindi necessariamente che la mia anima faccia un cattivo uso dei sensi”. Quindi o l’anima dei folli è folle o i folli non hanno anima.
Capitolo II
Aspetti della follia
In questo capitolo Foucault descrive quattro aspetti della follia, esaminandone le cause, gli effetti e i sintomi e introduce l’argomento che sarà proprio di tutto il successivo capitolo, descrivendo le tecniche mediche utilizzate contro la follia nei secoli XVII e XVIII.
- La demenza e la frenesiaSotto nomi diversi (dementia, amentia, fatuitas, stupiditas, morosis) la demenza è riconosciuta dalla maggior parte dei medici del XVII e del XVIII secolo. Essa persiste nell’elemento del negativo e resta tra tutte le malattie dello spirito la più vicina all’essenza della follia in tutta la negatività del suo disordine. La demenza è dunque nello spirito sia l’estrema casualità che l’assoluto determinismo, questo significa che tutti gli effetti possono nascervi, perché tutte le cause possono provocarla, essa è la possibilità aperta a tutti i sintomi possibili della follia. La sede dell’anima corporea è il cervello; i suoi organi immediati sono costituiti dagli spiriti animali.Nei casi di demenza bisogna supporre una malattia del cervello quando si produce una depressione o un rigonfiamento anormale, allora gli spiriti sono spediti in direzioni irregolari; nel loro percorso essi non possono più trasmettere l’immagine davvero fedele delle cose e confidare nell’anima razionale la verità e trasmettono quindi immagini sbagliate. Nella morosis solo gli spiriti animali possono alterati ma se inizialmente essi sono isolati non lo saranno mai: infatti quando gli spiriti sono troppo pesanti, i pori del cervello ed i canali che essi percorrono si ostruiscono, e viceversa se il cervello ha qualche difetto, gli spiriti riescono a ad attraversarlo con un movimento normale.La demenza è una specie d’incapacità di giudicare e di ragionare sanamente; essa ha ricevuto diversi nomi, a seconda delle varie età in cui si manifesta: nell’infanzia è chiamata stupidaggine, nell’età della ragione imbecillità e nella vecchiaia rimbambimento. La distinzione resta solamente cronologica, mentre i sintomi e la natura non cambiano.
Capitolo III
Medici e malati
Il mito della panacea, ossia il rimedio che guarisce tutti i mali non è del tutto scomparso, la panacea veniva considerata “la natura stessa che agisce e cancella tutto ciò che appartiene alla contronatura”.
Nel secolo XVII si apre una discussione sull’oppio che viene utilizzato in un gran numero di malattie e specialmente nel caso della malattie di testa. Whutt ne esalta i meriti e l’efficacia contro i mali nervosi, in quanto esso indebolisce la facoltà di sentire che è propria dei nervi e di conseguenza è utilissimo per tutte le agitazioni, le convulsioni, la debolezza. L’effetto dell’oppio è quindi l’insensibilizzazione.
L’effetto dell’oppio è totale perché la sua decomposizione chimica lega degli elementi che nel loro stato normale determinano la salute, e nelle loro alterazioni le malattie.
PARTE III
Capitolo I
La grande paura
Nel XVIII secolo i rapporti “classici” tra ragione e sragione prendono un aspetto interamente nuovo e la Follia assume, per il mondo moderno, un significato diverso.
Improvvisamente a metà del XVIII secolo sorge una paura: ci si spaventa a causa di un male misterioso che si propaga, si dice, a partire dalle case d’internamento situate al di fuori delle città. Si parla di febbri delle prigioni, si accusano le carrette di condannati e gli uomini incatenati, si attribuiscono allo scorbuto contagi immaginari…La grande immagine dell’orrore medievale s’impone di nuovo: è un male prettamente morale ma, trasformato dalla gente, ricompare come forma di epidemia e contagio; intere città sono minacciate da questa atmosfera carica di “vapori malefici”.
Per il momento la soppressione delle case d’internamento non è ancora in questione; si tratta piuttosto di neutralizzarle come cause eventuali di un nuovo male, di riformarle purificandole.
Nell’epoca classica, la coscienza della follia e quella della sragione non erano molto autonome l’una rispetto all’altra, ma nell’inquietudine della seconda metà del XVIII secolo la paura della follia cresce di pari passo con lo spavento provocato dalla sragione; la sragione diventa delirio del cuore, la follia del desiderio.
Capitolo II
La nuova separazione
La nuova paura del XVIII secolo non è una vana ossessione: la follia sta di nuovo affiorando, in una presenza confusa, ma che mette chiaramente in dubbio la funzione delle “classiche” case d’internamento.
E’ difficile stabilire con esattezza se il numero dei folli si sia realmente accresciuto nel suddetto secolo in proporzione all’aumento della popolazione o alle misure d’internamento; infatti sembra che la cifra dei folli segua una curva molto particolare caratterizzata da un aumento fino agli anni 1785-1788 e poi da una brusca caduta. Questa diminuzione non vuole dire che i malati di mente stanno pian piano guarendo, ma che si inizia a fare una netta distinzione fra folle, ammalato e criminale e a teorizzare asili esclusivamente destinati agli insensati. Queste nuove strutture assomiglieranno solo in parte a quelle progettate da Pinel e Tuke nel XIX secolo, in quanto non lasciano ancora molto spazio alla medicina il cui ruolo è fondamentale. L’essenziale del movimento che si sta compiendo non consiste dunque in una riforma completa delle istituzioni e del loro spirito, ma nel fatto di aver isolato la follia e di averla resa autonoma nei confronti della sragione.
Capitolo III
Del buon uso della libertà
Arrivati a questo momento non si sapeva più in quale punto dello spazio sociale situarla: prigione, ospedale o assistenza familiare? I provvedimenti adottati successivamente rispecchiano questa indecisione; ne vediamo ora una serie che porteranno a una sempre più decisiva riforma dell’internamento:
- Ridurre quanto più possibile la pratica dell’internamento per quel che riguarda le colpe morali e penali ma conservarla nel suo significato essenziale: rinchiudere esclusivamente i folli.
- Trovare una forma di assistenza solo per i folli che sia la più efficace e dolce possibile.
- Mandare nelle case d’internamento persone e giudici con lo scopo di interrogare i detenuti e stabilire il loro livello di infermità (non si tratta ancora di controlli medici). Tutti quelli che sono considerati folli saranno liberati e mandati in ospedali riservati a loro. Per molto tempo il pensiero medico e la pratica d’internamento erano rimasti estranei fra loro. Alla fine del XVIII secolo queste due figure si avvicinano.
Capitolo IV
Nascita del manicomio
La fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX hanno visto il compimento del grandissimo movimento di riforma conclusosi con la nascita dell’asilo moderno o manicomio, la conclusione di questo enorme cambiamento ha visto come protagonisti Tuke e Pinel.
Tuke è un quacchero, un socio di una di quelle innumerevoli “Società di Amici” sviluppatesi in Inghilterra alla fine del XVII secolo. Essi organizzano gruppi di assicurazione e società di soccorso, chiamate “ritiri” in cui si inserisce il malato in una dialettica semplice della natura e lo si mantiene nel mito della famiglia patriarcale. Essi vogliono essere una grande comunità nella quale i malati saranno i bambini della famiglia nella sua idealità primitiva; nel ritiro il gruppo umano è ricondotto alle sue forme originarie e più semplici, si tratta di riportare l’uomo ai rapporti sociali elementari e assolutamente conformi all’origine e questo grazie anche alla religione. Tuke e gli altri ricostruiscono in modo artificiale intorno alla follia un simulacro di famiglia.
Pinel vuole abolire le forme immaginarie della religione, non il suo contenuto morale; in essa infatti c’è, una volta decantata, un potere di combattere l’alienazione il quale dissipa le immagini, calma le passioni e restituisce l’uomo a ciò che vi è in lui di immediato e di essenziale: essa può avvicinarlo alla sua verità morale. L’asilo deve riprendere il compito morale della religione, al di fuori del suo contesto fantastico, esclusivamente sul piano della virtù, del lavoro e della vita; esso è dominio religioso senza religione e dominio della moralità pura.
L’asilo di Pinel è organizzato in tre modi principali:
- IL SILENZIO. Prigioniero soltanto di se stesso, il malato è coinvolto in un rapporto colpevole con se stesso: la colpevolezza è spostata verso l’interno. L’assenza di linguaggio quindi ha per correlativo l’emergere della confessione.
- IL RICONOSCIMENTO NELLO SPECCHIO. La follia vedrà se stessa e sarà vista da se stessa: sarà, contemporaneamente, puro oggetto e soggetto assoluto.
- IL GIUDIZIO PERPETUO. La follia viene anche continuamente giudicata dall’esterno da una sorta di tribunale invisibile; il malato deve essere perfettamente consapevole di tutto questo, il legame tra colpa e punizione deve essere evidente.
Al silenzio, al riconoscimento nello specchio e al giudizio perpetuo si aggiunge una quarta struttura fondamentale: il personaggio medico. Fra tutte esso è senza dubbio l’elemento più importante perché guiderà infine tutta l’esperienza moderna della follia e diverrà la figura essenziale dell’asilo. L’homo medicus acquisterà autorità come sapiente e come saggio; sarà colui che delimiterà, conoscerà e dominerà la follia.
L’opera di Tuke e Pinel, così diverse nello spirito e nei valori, si incontrano proprio in questa trasformazione del personaggio medico.
Capitolo V
Il cerchio antropologico
“Concludendo, la libertà dei folli è nello stesso tempo precaria e ostinata.”
Essa rimane sempre sull’orizzonte della follia, ma sparisce non appena si tenti di delimitarla, essa non è che meccanismo del corpo, incatenamento dei fantasmi, necessità del delirio. Alla fine del XVIII secolo quindi non si assiste a una liberazione dei folli, ma a una “oggettivazione del concetto della loro libertà”.
Una volta liberato, il folle non può sottrarsi alla propria verità; egli è gettato in essa ed essa lo confisca interamente.
La follia classica apparteneva alle regioni del silenzio, non possedeva un suo linguaggio autonomo, si riconosceva soltanto il linguaggio segreto del delirio. Nel XVIII secolo la follia si appropria di un suo linguaggio, in cui le è concesso di parlare in prima persona e di enunciare qualche cosa che aveva un rapporto essenziale con la verità. Ciò che la follia dice di se stessa è una verità elementare dell’uomo, in quanto lo riduce ai suoi desideri primitivi e ai suoi meccanismi più semplici, e, allo stesso tempo, una verità terminale dell’uomo, in quanto gli mostra fino a dove possono spingerlo le passioni e la vita di società.
Il folle non lo si potrà riconoscere senza riconoscersi, senza sentire in sé le sue stesse
voci e forze.
Grazie per l’attenzione
Caterina Scrimali
Published: Nov 12, 2017
Latest Revision: Nov 12, 2017
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