Educatore e pedagogista (Oberweissbach, Turingia, 1782 – Marienthal 1852). Orfano di madre, ricevette dal padre e dallo zio, ambedue pastori protestanti, una profonda formazione religiosa. Dopo alcuni anni di attività impiegatizia, l’incontro a Francoforte sul Meno (1805) con il Gruner, discepolo del J. H. Pestalozzi, suscitò il suo interesse per l’attività pedagogica. Dapprima a Grisheim e Keilhau, poi a Wartensee, a Wilisau, a Burgdorf in Svizzera, in una serie ininterrotta di tentativi pedagogici, fra difficoltà e delusioni di continuo risorgenti, F. venne a poco a poco delimitando il campo della propria attività: l’educazione della prima infanzia, nella quale era destinato a rivelare la sua genialità di maestro. Il campo sperimentale della nuova forma di educazione, donde uscirono l’istituto per l’educazione all’attività nei fanciulli e nei giovanetti, il giardino d’infanzia (il primo fu aperto nel 1840), periodici e volumetti per l’educazione infantile, fu dapprima Blankenburg (1837–44) e da ultimo Marienthal. Tra le sue opere: Die Menschenerziehung (1826); Familien der Erziehenden. Wochenblatt für Selbstbildung und Bildung Anderer, a cura di F. W. A. Fröbel (1826); Mutter und Koselieder. Ein Familienbuch (1843); Wochenschrift. Ein Einigungsblatt für alle Freunde der Menschenbildung(1850 e segg.); Zeitschrift für Friedrich Fröbels Bestrebungen (1851–52). n I suoi giardini gli sopravvissero e, superate le diffidenze e le opposizioni anche politiche dei primi anni, in pochi decennî si diffusero rapidamente in tutte le nazioni civili, sebbene alcuni entusiasti seguaci avessero, non di rado, confuso le singole procedure suggerite, talvolta un po’ rigide e pesanti, con lo spirito animatore del fröbelismo, che mirava a promuovere tutte le forze dell’infanzia in una atmosfera di gioconda fattività. F. fornì giustificazioni teoriche dei suoi principî, incentrati su una visione unitaria della natura e dell’uomo, d’ispirazione idealistico-religiosa e insieme scientifica; ma essenziale è soprattutto la sua concezione educativa affermatrice dell’autonomia spirituale e della personalità come ideale da realizzare. Essa mette in luce le potenzialità di autoformazione del fanciullo e afferma la funzione fondamentale che assume, in essa, l’attività giocosa. Il gioco infantile per F. è un’attività non ricreativa o diversiva, ma essenzialmente “seria”: ne deriva una concezione nuova della libertà creatrice del fanciullo, più avanzata di quella elaborata da Pestalozzi.
dall’inizio dell’Ottocento che, grazie alle nuove scoperte in campo medico-scientifico che portarono a una netta diminuzione della mortalità infantile, che il bambino acquista una sua posizione all’interno della famiglia fin dalla nascita, anche se l’attenzione pedagogica alla prima infanzia inizia con Rousseau e Pestalozzi.
Ma è merito di Friedrich Fröbel (1782-1852) se tali intuizioni pedagogiche giunsero a tradursi in istituzioni scolastiche. Fröbel ebbe, infatti, l’occasione di sperimentare in pratica la validità del suo progetto formativo, dapprima lavorando a Keilhau con cinque bambini, e poi con la fondazione del primo “giardino generale tedesco dell’infanzia” a Blankenburg. L’istituzione sarà però chiusa dal governo prussiano nel 1850 sotto il sospetto di ateismo e socialismo.
Rispetto allo sperimentalismo di Pestalozzi, le posizioni di Fröbel prendono il via da riflessioni più filosofiche. Egli iniziò la sua riflessione dall’idea che il rapporto con la natura non dovesse essere mediato da logichesocio-economiche, ma piuttosto estetiche o, meglio, mistico-sentimentali. Egli cerca dunque di arrivare a scoprire le leggi che regolano la natura, l’organizzazione della sua struttura interna, per arrivare su queste basi a ricondurre la variabilità del tutto a un principio generale di unità. Questo sarà il concetto guida della sua filosofia come della sua pedagogia: se tutto proviene dall’unità e a essa tende, lo scopo naturale di tutte le attività – e quindi soprattutto di quella formativa – è aspirare al raggiungimento di tale unità.
Sarà poi l’incontro con Schelling a permettere e favorire un’organizzazione definitiva del suo pensiero sulla base della sostanziale unità tra Natura e Spirito, base teorica e giustificazione della sua ricerca nella natura delle leggi che sovrintendono ai processi di formazione, educazione ed evoluzione dell’uomo.
Dal punto di vista pedagogico Fröbel si allinea perfettamente con le idee romantiche dell’epoca e vede lo sviluppo come un processo lineare e continuo, in quanto esso è dato da una progressiva realizzare quell’energia divina che è insita in ciascun uomo.
L’infanzia corrisponde per Fröbel alla prima fase educativa del bambino (prima educazione) e inizia subito dopo i primi mesi di vita, quando il bambino inizia a “rappresentare spontaneamente l’interno nell’esterno”. La funzione psicologica che rappresenta l’inizio di questa fase è il linguaggio, che permette al bambino di tradurre, grazie all’impulso creativo che è in lui, in rappresentazioni e quindi in azioni la complessità del sentire che è in lui.
Ogni atto umano per Fröbel è creativo ed è quindi espressione diretta del divino che è in ogni uomo. L’espressione dei processi rappresentativi e le corrispondenti azioni che ne deriveranno che iniziano a comparire nei bambini dovranno dunque essere liberi, in quanto ogni espressione, causa la sua origine divina, è in sé buona e giusta. Questa posizione teorica non arriva però a riflettersi in un suggerimento educativo che vede il precettore non coinvolto in questa fase dell’educazione. Al contrario egli dovrà intervenire e guidare, seppur discretamente, il bambino verso la precisione e la chiarezza.
La spontaneità del bambino va comunque salvaguardata a ogni costo, ed è in questo contesto che Fröbel introduce l’importante concetto del gioco come strumento educativo. L’autore, infatti, vede il gioco come attività fondamentale del bambino, e quindi come strumento principe per favorire l’espressione e la rappresentazione del suo interno in maniera creativa, naturalmente con il supporto del linguaggio. Il gioco è visto come momento in cui nel bambino si sperimenta il concetto di unità tanto caro a Fröbel in quanto permette in un certo senso al bambino di penetrare nelle cose, facendole sue, e alle cose di penetrare in lui, prestandogli i loro attribuiti nel gioco di finzione.
Il gioco è importante anche perché conduce il bambino alla scoperta del disegno, facilita l’evoluzione linguistica, metta le basi per l’apprendimento di concetti logico-matematici e anche per future applicazioni lavorative.
Il disegno diventa importante già in questa prima fase educativa, in quanto con la sua natura grafica favorisce nel bambino l’impulso a strutturare in un qualche modo le proprie rappresentazioni interne(mentre il linguaggio permette anche un fluire continuo, non strutturato), spesso ordinandole sulla base di categorie numeriche.
Non bisogna poi dimenticare che Fröbel include in questa prima fase educativa anche una forte attenzione all’educazione motoria, al ritmo, un’introduzione al mondo della musica e della danza, senza sottovalutare neanche l’importanza dei piccoli compiti domestici che possono essere affidati al bambino quali fonte di apprendimenti pratici.
La seconda fase dell’educazione segue un percorso opposto rispetto a quella della fase precedente. Se prima si trattava di favorire la spontanea esposizione da parte del bambino della sua interiorità, ora si chiede al fanciullo di intraprendere un cammino di interiorizzazione che deve essere guidata dalla curiosità e dall’interesse, così come l’espressività era guidata dalla creatività. Si passa dunque dall’espressione all’apprendimento, e fanno la loro comparsa l’istruzione formale e la scuola. Quest’ultima è vista come luogo dove l’uomo arriva a conoscere gli oggetti fuori di sé, la loro natura, le leggi che li governano. Ricordando le posizioni teoriche dell’autore non sarà difficile immaginare che questa conoscenza sarà poi finalizzata alla conoscenza delle leggi generali che governano l’interno dell’uomo come l’esterno, per arrivare dunque a comprendere l’unità del tutto.
L’impostazione metafisica di Fröbel si avverte molto distintamente nei suoi suggerimenti per l’insegnamento religioso e per quello scientifico. Per il primo egli immagina di richiedere ai fanciulli di arrivare all’intuizione di Dio (così come essi devono arrivare all’intuizione dell’unità), appoggiandosi essenzialmente agli strumenti dati dalla fede o, meglio, data la richiesta di una contemplazione, un riconoscimento, di un “pervenire” a Dio, attraverso una sensibilità mistica. Per l’apprendimento scientifico, invece, egli parte dalla considerazione che la natura tutta è espressione e rivelazione di Dio. Questa è la prima consapevolezza che, anche a livello formativo, si deve raggiungere per poter arrivare a comprendere le leggi scientifiche che regolano il mondo.
Su queste basi Fröbel innesta dei mediatori didattici, che possono in un certo senso semplificare il cammino dei fanciulli verso l’apprendimento. Egli pensa che l’apprendimento scientifico deve essere intuitivo come quello religioso e leggere la realtà in maniera analogica e non strettamente oggettiva, Fröbel, pensa di renderlo più “naturale” presentando ai bambini dei “doni” che rappresentino i diversi solidi. Dalla loro osservazione e manipolazione i giovani potranno arrivare a derivare la loro origine comune dalla sfera, e quindi a “presentire” in concetto stesso di unità – cui sempre si torna.
Parlando invece dell’insegnamento di lettura, scrittura e arte, Fröbel lascia momentaneamente da parte le sue preoccupazioni metafisiche. Definisce, infatti, la lingua come strumento espressivo, che si fa manifestazione della soggettività degli individui. Questo collegamento forte tra linguaggio, personalità ed espressività porta l’autore a prestare molta attenzione ai dialetti come manifestazione dell’individualità dei popoli, e al ritmo del discorso, come base dell’espressione poetica. L’espressione e il linguaggio sono visti come manifestazioni naturali e spontanee già del bambino: esse solleciteranno dunque spontaneamente il bisogno della scrittura, che sarà prima ideografica (basata cioè sul disegno, che abbiamo già visto tra i fattori fondamentali dell’educazione della prima infanzia) e poi basata su codici convenzionali. Alla scrittura farà seguito la lettura, nata dal bisogno di esplicitare, prima a sé e poi agli altri, quanto si è scritto.
La formazione estetica sarà invece basata, per Fröbel, sull’insegnamento artistico che trarrà spunto dall’osservazione e rappresentazione di suoni (musica e canto), superfici (viste come colori e quindi concretizzate nella pittura) e corpi (disegno).
Il giardino d’infanzia e il materiale didattico
Il primo concetto che occorre sottolineare è che il giardino d’infanzia di Fröbel è pensato come una scuola in senso proprio e non come una semplice istituzione prescolastica sul modello di quelle che si stavano diffondendo più o meno negli stessi anni in tutta Europa.
Il giardino d’infanzia è pensato come distinto in due ambienti principali: uno esterno e uno interno. In quello esterno erano collocate delle piccole aree (“proprietà private”) per la coltivazione delle piante insieme a un’ampia area destinata al lavoro comune – che ben riflettono la dialettica fröbeliana tra individualità e società, la responsabilità individuale avvicinata a quella collettiva.
Il possesso non è quindi inteso in senso ideologico, ma come espressione di un bisogno psicologico del bambino volto ad aiutarlo a determinare la sua identità personale e a educarlo contemporaneamente all’assunzione di responsabilità.
La scuola “fuori”, diretto contatto con la natura e con la sua esplorazione, non esclude una scuola interna più ordinata. Qui si inseriscono i “doni” di cui si parlava sopra a proposito dell’insegnamento scientifico. Ma oltre a essere tramite per la trasmissione di una forma determinata di conoscenza, essi sono visti da Fröbel anche come forme di vita architettonica e forme estetiche e quindi come sussidio didattico per un’educazione all’arte e all’estetica.
Anche il materiale didattico strutturato può dunque, nell’ottica creativa e “giocosa” di Fröbel, godere una propria autonomia a trasformarsi in sussidio per altre attività anche lontane da quelle originali.
Fare, agire e formare attraverso il gioco
dimensione educativa, formativa e ontologica del gioco
Il tema del gioco ci conduce inevitabilmente verso una lunga e articolata strada sulla quale si affacciano molteplici direzioni tutte percorribili, aventi come sfondo vasti panorami da esplorare. Per la sua natura complessa, il gioco è stato indagato da secoli concentrando su di sé interessanti riflessioni, ma anche preoccupazioni e sentimenti ambivalenti provenienti dal mondo religioso e da quello laico-borghese. Il piacere legato al gioco è stato infatti per lungo tempo considerato dannoso per la formazione della volontà di molte confessioni e dannoso ad una seria e rigorosa formazione di una classe, che si è andata affermando attraverso il lavoro. Nel migliore dei casi il gioco costituiva una distrazione del ragazzo dai suoi doveri domestici.[1]
La strada verso un suo progressivo riconoscimento e conseguente rivalutazione, è piuttosto lunga e, fatta salva qualche eccezione nel mondo antico, è solo a partire dalla seconda metà del Settecento, che la storia della pedagogia evidenzia una sempre crescente attenzione verso il gioco e la progressiva accettazione che l’idea di educazione dovesse tener conto del suo valore. Ma la strada del suo graduale riconoscimento e conseguente rivalutazione è lunga e complessa e si deve in particolare ad illustri figure della pedagogia del Settecento e dell’Ottocento, tra cui J.J Rousseau, E.Pestalozzi e F. Fröebel un’ attenzione verso il gioco destinata a crescere e ad arricchirsi di molteplici forme e di significati polivalenti.
Se tuttavia ai grandi pedagogisti va riconosciuto il merito di aver condotto nel corso dei secoli un’accurata e attenta riflessione intorno al gioco ponendone in luce il valore formativo e ricollocandolo all’interno di una pratica educativa più attenta ai bisogni del bambino, per lungo tempo esso, a causa della sua natura poliedrica e complessa, stenta a trovare riconoscimento sul piano educativo e formativo e ancor oggi sfugge al tentativo di una definizione esaustiva che voglia identificarlo e collocarlo in un preciso ambito. Ma al contrario, in ragione delle sue qualità, esso richiede di essere esplorato a vari livelli del vivere umano, non come fenomeno contingente, ma costitutivo dell’esistenza umana
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Grazie per l’attenzione!
Caterina Scrimali
Published: Nov 2, 2017
Latest Revision: Nov 4, 2017
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