COS’E’ IL DADAISMO?
Il dadaismo è un movimento artistico nato in Svizzera, a Zurigo, nel 1916.
La situazione storica in cui il movimento ha origine è quello della Prima Guerra Mondiale, con un gruppo di intellettuali europei che si rifugiarono in Svizzera per sfuggire alla guerra e il loro esordio ufficiale viene fissato il 5 Febbraio 1916, giorno in cui fu inaugurato il Cabaret Voltaire fondato dal regista teatrale Hugo Ball.
la serata al Cabaret Voltaire non sono molto diverse dalle serate organizzate dai futuristi: in entrambe vi è l’intento di stupire con manifestazioni inusuali e provocatorie, così da proporre un arte nuova ed originale.
In effetti i due movimenti, futurismo e dadaismo, hanno diversi punti in comune:
- l’intento dissacratorio
- la ricerca dei meccanismi nuovi di fare arte
- utilizzo dei manifesti quale omento di dichiarazione di intenti
ma anche qualche punto di notevole differenza quale ad esempio il diverso atteggiamento che acquisiscono nei confronti della guerra.
CONTENUTI PRINCIPALI DEL DADAISMO
TITOLO: la parola Dada non significava assolutamente nulla, e già in ciò vi è una prima caratteristica del movimento: quella di rifiutare ogni atteggiamento razionalistico.
Il rifiuto della razionalità è ovviamente provocatorio e viene usato come clava per abbattere le convenzioni borghesi intorno all’arte.
Pur di rinnegare la razionalità i Dadaisti non rifiutano alcun atteggiamento dissacratorio, e tutti i mezzi sono idonei per giungere al loro fine ultimo: distruggere l’arte.
Distruzione assolutamente necessaria per poter ripartire con una nuova concezione d’arte che non sta più sul piedistallo dei valori borghesi ma coincide con la vita stessa e non è separata da essa.
Il movimento, dopo il sue esordio a Zurigo, si diffonde ben presto in Europa, soprattutto in Germania e a Parigi. Benché il Dadaismo è un movimento ben circoscritto e definito in area europea, vi è la tendenza a far ricadere nello stesso ambito anche alcune esperienze artistiche che, negli stessi anni, ebbero luogo a New York e in tutti gli Stati Uniti.
Ma la vita del movimento è destinata ad avere vita breve , infatti tra il 1922 e il 1924 il Dadaismo scompare e nasce il surrealismo.
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BOZZETTO 1
Fuga di Cervelli
Con questo bozzetto ho voluto rappresentare la fuga dei giovani cervelli (laureati) dalla propria patria verso le grandi città estere, appunto per ricercare quel successo che nel loro paese nativo non sono riusciti ad ottenere. Negli ultimi anni moltissimi sono stati i casi facendo così aumentare la percentuale di laureati in “fuga” aumentandola notevolmente.
Tantissimi articoli trattano di questo fatto di “emigrazione di massa” alla ricerca appunto di maggiore stabilità.
<<L’indagine dell’Istituto Giuseppe Toniolo rivela che per il 90% degli under 32 lasciare la Penisola è una necessità per trovare un’occupazione adeguata. Australia, Usa e Regno Unito le mete in vetta alla classifica. Per Alessandro Rosina, tra i curatori del rapporto, “la propensione ad andarsene riguarda tutte le categorie e tutti i livelli di istruzione”>>
<<Per la prima volta la maggioranza dei giovani italiani, oltre il 61%, è pronta a emigrare all’estero per cercare lavoro. E nove su dieci sono convinti che ormai lasciare la Penisola sia una necessità. Le mete più ambite? Australia, Usa e Regno Unito. E’ il quadro che emerge dal Rapporto giovani sul tema “Mobilità per studio e lavoro”, presentato a Treviso durante il Festival della statistica e della demografia. L’indagine è basata su un panel di1.000 giovani tra i 18 e i 32 anni e promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con l’Università Cattolicae con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo.
Il 70% degli intervistati ritiene che l’Italia offra alle nuove generazioni opportunità sensibilmente inferiori a quelle degli altri paesi sviluppati e che difficilmente il divario verrà colmato nei prossimi tre anni. L’83,4% è disposto a cambiare città stabilmente per trovare migliori possibilità di lavoro e di questi ben il61,1% si dichiara disponibile a cercare lavoro all’estero.
Negli ultimi decenni l’Italia è diventata un paese di immigrazione, con una continua crescita della popolazione di cittadinanza straniera. Ma, al contempo, sottolinea il rapporto, è diventato anche sempre più evidente un flusso di uscita di giovani in cerca di un futuro migliore. Va anche considerato che nelle nuove generazioni è fortemente sentito l’aspetto positivo della mobilità, cioè fare nuove esperienze e confrontarsi con altre culture, indicato dal 74,8%degli intervistati.
I paesi che i giovani italiani considerano più attrattivi per un’esperienza di lavoro, non necessariamente definitiva, sono Australia, Usa e Regno Unito che insieme raccolgono oltre la metà delle risposte (il 54,8%). Segue la Germania, paese che presenta una disoccupazione giovanile particolarmente bassa, poi Canada, Francia, Austria, Svizzera e Belgio. Solo l’1,5%indica la Spagna, colpita negli ultimi anni da un’alta disoccupazione giovanile dovuta alla crisi.
“La migrazione italiana negli ultimi anni è decisamente cambiata. Non si tratta più di connazionali che prendono il treno un po’ spaesati e con al braccio valigie di cartone, ma di giovani dinamici, intraprendenti, affamati di nuove opportunità e con un tablet pieno di appunti su progetti e sogni da realizzare – commenta Alessandro Rosina, tra i curatori del Rapporto – Da un lato la generazione dei millennials considera del tutto naturale muoversi senza confini. Sono sempre più consapevoli che la mobilità internazionale è di per sé positiva, perché consente di aprirsi al mondo, conoscere diverse culture, arricchire il proprio bagaglio di esperienze, ampliare la rete di relazioni. Dall’altro lato il sempre più ampio divario tra condizioni lavorative delle nuove generazioni e possibilità di valorizzazione del capitale umano in Italia rispetto agli altri paesi avanzati e in maggiore crescita, porta sempre più giovani a lasciare il paese non solo per scelta ma anche per non rassegnarsi a rimanere a lungo disoccupati o a fare un lavoro sotto inquadrato e sottopagato”.
“I dati – conclude Rosina – restituiscono un quadro meno stereotipato rispetto a quello usualmente fornito nei mass media, schiacciato molto spesso sul tema della fuga dei laureati. La fuga è solo un aspetto del fenomeno, anche se è in effetti quello più problematico. E’ vero inoltre che i laureati tendono maggiormente ad espatriare rispetto a chi ha titoli più bassi, ma soprattutto perché hanno maggiori risorse e possibilità per farlo. La propensione ad andarsene, soprattutto se legata a difficoltà oggettive di trovare lavoro, è sentita in tutte le categorie e tutti i livelli di istruzione“.>>
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Secondo bozzetto
l’uomo virtuale
Con questo bozzetto ho voluto rappresentare l’uomo moderno denunciando il suo atteggiamento nei confronti della realtà. Ho raffigurato un uomo la cui testa è stata sostituita da un enorme cellulare. Tale sovrapposizione evidenzia il legame quasi ossessivo e carnale che l’uomo ha nei confronti della tecnologia.
Con l’evoluzione dei nuovi apparecchi tecnologici, quale computer, cellulari ( i nuovi smartphone) i videogiochi ecc, l’uomo sta perdendo sempre più la realtà, entrando sempre più a far parte del mondo virtuale.
<<Il nuovo millennio appena iniziato potrebbe essere denominato “l’era della tecnologia”, infatti ormai è comunemente accettata la tesi che ha portato gli storici a definire gli ultimi decenni del Novecento e questi primi anni del nuovo secolo XXI come il periodo della terza rivoluzione industriale, il quale ha per epicentro l’informatica.
Tale materia, o scienza o addirittura ideologia per certi versi, si è sviluppata in tempi record e in modo straordinario se si comparano i dati di partenza con quelli di arrivo e ha fruttato miliardi di dollari a chi ci ha creduto fin dall’inizio (classico ma efficace esempio rimane quello di Bill Gates, il “capostipite” dei programmi operativi e fondatore della Microsoft ). Il business dell’informatica oggi è diventato il maggiore e più sicuro campo d’investimento grazie alle qualità intrinseche del sistema: modernità, avanguardia, commerciabilità e sicurezza.
L’informatica, quindi, è diventata una componente fondamentale e ormai indispensabile per la vita quotidiana, associata però a una sua “alleata” con la quale costituisce un binomio ormai inscindibile: la tecnologia.
La binarietà che accompagna e accompagnerà dei prossimi decenni la nostra vita e il nostro modo di vivere è appunto la cosiddetta “tecnologia informatica”: in essa è racchiuso tutto un mondo, il nostro mondo, che ci sta trasformando e condizionando. La stessa parola “tecnologia” sta a significare appunto il lato pratico e applicativo dell’informatica stessa, cioè come l’informatica si può usare e sfruttare per la nostra vita quotidiana, in senso stretto, e lavorativa, in senso lato. I frutti di questa combinazione strategica li possiamo vedere attorno e dentro di noi (e non solo in senso figurato, ma spesso anche in senso letterale, basti pensare alla tecnologia chirurgica di cui si parlerà in seguito): dai cellulari al personal computer, dall’i-pode alle e-mail.
Di conseguenza, è possibile proporre un’altra considerazione: la modernità stessa, con tutti i significati che comporta, si trova presa in causa diventando non il ricevente ma il mandatario stesso dell’intero processo: il sillogismo “tecnologia uguale modernità, modernità uguale informatica, allora qualunque qualcosa di tecnologico e informatico è moderno” è diventato usuale e inconsciamente lo applichiamo costantemente quando si tratta di fare delle scelte d’acquisto.
Questo dato è molto evidente nei bambini che in questo periodo si trovano ad avere dai 7 ai 12 anni: essendo cresciuti a pari passo con la tecnologia, è possibile notare un’evoluzione qualitativa nei loro giocattoli molto maggiore che in quelli dei bambini di una generazione prima (anni novanta, ad esempio). Inoltre, essi hanno un’idea di acquisto che si volge quasi esclusivamente a ciò che è più evoluto tecnologicamente, quasi fosse una peculiarità imprescindibile, a scapito di altre caratteristiche che invece erano prese in considerazione e valutate dai bambini delle passate generazioni (ed esempio l’aspetto grafico, la praticità e la semplicità delle forme); in questo modo, nel bambino “moderno” si attua un processo di distaccamento dalla realtà, in quanto gli stessi giochi tecnologici (basti pensare all’x-box, alla playstation, ai giochi interattivi per pc e ai robots) portano il giocatore a non riscontrare nella realtà le stesse caratteristiche che ritrova nel gioco.
Un altro range su cui si muovono gli effetti della cosiddetta “generazione tecnologica” è quella degli adolescenti. Qui entrano in campo non solo il contatto o meno con la realtà, ma la stessa modalità con cui si arriva al contatto con essa. Gli esempi più eclatanti sono due: i cellulari e le e-mail.
Per quanto riguarda i primi, si è assistito ad un vero e proprio stravolgimento delle relazioni intrapersonali e, cosa ancora più grave, del linguaggio stesso. Il mondo adolescenziale, si sa, è fatto di insicurezze e paure che riguardano il sé interno e il sé esterno, e quanto più una persona arriva a confrontarsi direttamente con gli altri, tanto più la persona può “maturare” ed evolvere dal punto di vista socio-relazionale; l’avvento degli sms ha fatto deviare e allungare questo processo, poiché si è posto tra il proprio sé e gli altri un mezzo di trasmissione che media i contatti esterni in modo selettivo e virtuale: oggi l’alto grado di sfruttamento di questa tecnologia permette a molte persone di interagire “da lontano” perdendo la dimensione umana e diretta dell’approccio con conseguenze spesso negative, soprattutto nelle persone che hanno problemi di convivenza civile e di interazione sociale. Si può certo affermare che la tecnologia dei cellulari ha permesso numerose possibilità che prima non c’erano, quali la maggior comunicazione e la circolazione delle informazioni in brevi tempi e a costi sostenibili e la rintracciabilità: come ogni cosa, c’è sempre un dritto e un rovescio della medaglia. Si parlava prima di linguaggio, i messaggini tra cellulari, con la loro soglia fissata a 160 caratteri hanno trasformato la lingua scritta nel giro di pochissimi anni: le esigenze di brevità e immediatezza hanno contribuito a creare un nuovo tipo di stile, per così dire “stringato” e gli effetti si riflettono molto spesso sulla scrittura vera e propria (il caso più inconfondibile è quello delle “k” in luogo delle “c” che spesso si ritorvano anche nei temi svolti in classe).
Altro esempio sono le e-mail: la posta elettronica veloce e sicura che permette di far arrivare qualsiasi informazione in qualsiasi punto del globo in tempi brevissimi e a spesa zero (se non quella per la connessione a internet) è diventata un modo per creare reti di rapporti con numerose persone, spesso molto diverse sia per stile di vita che per vissuto personale, dando come risultato la cosiddetta “globalizzazione”(nel senso sociale del termine). Si è molto discusso, e si continuerà a farlo, sul significato preciso di tale termine, in ogni caso nel nostro contesto esso sta a significare che la nostra società tramite le tecnologie informatiche accennate sopra, si sta evolvendo verso una apertura e una considerazione più “collettiva” di sé stessa; chiaramente, gli aspetti positivi, quali la reintroduzione della scrittura (anche se in diversa forma da quella più tradizionale cartacea), la conoscenza di nuove culture e mentalità e la circolazione simultanea delle informazioni, si eguagliano agli aspetti negativi, quali ad esempio la proliferazione di siti internet pornografici o a sfondo pedofilo, la perdita della propria identità come etnia e delle proprie tradizioni culturali e l’omologazione di prodotti e stili di vita secondo uno standard dominante .
Le ultime osservazioni riguardano l’applicazione informatico-tecnologica per il miglioramento (o peggioramento, a seconda dei punti di vista) della vita: innegabile è l’alto contributo che la modernizzazione dei macchinari ha permesso in campi come la medicina chirurgica (i trapianti, le operazioni al laser, le sonde, etc..) e la ricerca scientifica (la scoperta di nuovi vaccini, macchinari sempre più precisi, etc..), chiaramente accanto a questi risultati positivi si affiancano anche problematiche di tipo etico (la clonazione, la fecondazione artificiale, le cellule staminali, la sperimentazione su animali, etc..) che spesso separano l’opinione pubblica, facendo risaltare le grandi antitesi che la modernità si è sempre trascinata dietro (soprattutto quelle con la religione o con le ideologie politiche).
Infatti, concludendo, è possibile affermare che quest’era della tecnologia applicata all’informatica ha rivoluzionato il nostro modo di vivere in quasi ogni sua parte, dall’ambito lavorativo e manuale al linguaggio parlato e scritto, ma la particolarità che rende questo processo unico e straordinario nella storia è che tale mutazione è avvenuta non in lunghi secoli ma in pochi decenni, quindi sarà necessario e urgente studiare tali fenomeni non solo per comprenderne la natura ma soprattutto per capirne il seguito e prevederne uno sviluppo che sia il più positivo possibile per l’intera umanità.>> _articolo Repubblica._
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Terzo Bozzetto
La Fusione
con questo bozzetto ho voluto rappresentare come l’arte moderna riesca a prevalere sui canoni classici accademici. Nella parte superiore ho raffigurato un busto classico che viene stravolto, nella parte inferiore dall’imponenza della scultura moderna.
Nel corso della storia si è sempre fatto riferimento ai canoni classici per interpretare e raffigurare oggetti, corpi o per progettare e costruire edifici e palazzi. Nel corso del XX e XXI secolo però, la tecnica accademica è stata raggirata e scavalcate dal bisogno pi§ espressivo e d’interpretazione personale nella produzione di opere d’arte. Così l’arte delle avanguardie, e successivamente l’arte moderna prende il posto dell’arte classica dell accademie, non cancellandola totalmente ma oscurandola.
<<Considerare l’arte contemporanea non più come una categoria cronologica (un certo periodo della storia dell’arte) ma come una categoria “generica”, vale a dire una certa definizione della pratica artistica, implica che si dovrebbe poter tollerare l’esistenza simultanea, nel mondo attuale, dell’arte contemporanea, dell’arte moderna e perfino dell’arte classica, anche se quest’ultima non ha più protagonisti (cfr. Heinich 1998). Contrariamente al XIX secolo, dove non c’era che un solo “mondo dell’arte”, la seconda metà del XX secolo vede la coesistenza di più mondi artistici. Il fatto è che la produzione artistica del XX secolo, lungi dal ridursi all’“avanguardia radicale”, come affermano molti storici dell’arte, si presenta come plurale, dove due concezioni eterogenee dell’avanguardia coesistono con la tradizione delle “belle-arti”. Se è importante comprendere la natura non cronologica ma categoriale dell’arte contemporanea è perché la sua specificità si gioca al livello della natura delle opere stesse: l’arte contemporanea è un nuovo “paradigma” artistico. Qui la nozione di “paradigma” viene utilizzata nel senso di Thomas Kuhn, secondo il quale un paradigma è tale se fornisce a un gruppo di ricercatori problemi tipici e soluzioni; non si tratta tanto di un modello comune quanto di uno “zoccolo cognitivo” condiviso da tutti. Sempre secondo Kuhn un paradigma non ha potuto imporsi che a prezzo di una rottura con lo stato anteriore del sapere, e sarà probabilmente soppiantato un giorno da un’altra concezione: è così che procedono le “rivoluzioni” scientifiche, non con una progressione lineare e continua della conoscenza, ma con una serie di rotture, in altri termini appunto di rivoluzioni. Si tratta allora di vedere se le “rivoluzioni artistiche” possono essere ugualmente descritte come cambiamenti di paradigma (cfr. Heinich 2014).
Occorrono molte generazioni perché una nuova definizione di arte, un nuovo paradigma, si imponga non solo agli artisti ma anche ai critici e al grande pubblico. Da questo punto di vista c’è stato, nel XX secolo, un cambiamento effettivo di rappresentazioni collettive che vanno in questo senso; si tratta di un cambiamento che è sfociato in ciò che si chiama “arte moderna”, alla quale succederà dopo gli anni Sessanta la cosiddetta “arte contemporanea”. Se è vero che l’“incompatibilità” vale relativamente ai paradigmi scientifici, e non vale altrettanto per i paradigmi artistici, che si presentano invece nei vari periodi storici come coesistenti tra loro, è altrettanto vero che la storia dell’arte occidentale ci offre un importante esempio di cambiamento paradigmatico così radicale da comportare una ridefinizione dell’arte: è esattamente quanto capiterà con l’arte contemporanea.
L’arte moderna ha coabitato durante molte generazioni con l’arte classica, e anche l’arte contemporanea coabita dopo circa due generazioni con l’arte moderna, al prezzo di una “crisi” più o meno endemica. Così, se i paradigmi scientifici si escludono tra loro, almeno logicamente, dato che in realtà essi possono coesistere almeno per un certo tempo, c’è da dire che, anche se a differenza della verità della scienza l’esperienza percettiva dell’arte può ben sopportare la pluralità, tuttavia la coesistenza di differenti paradigmi artistici resta meno lontana dal modello scientifico di quanto possa apparire. Insomma, l’arte contemporanea funziona bene come un paradigma, dotata com’è di caratteristiche proprie, così radicalmente in rottura con gli altri paradigmi artistici – e prima di tutto con il paradigma moderno – che sembra impossibile qualunque coesistenza; è dunque una vera “rivoluzione artistica” che si produce sotto i nostri occhi dopo una cinquantina di anni.
Pensiamo a quattro momenti emblematici che annunciano l’avvento dell’arte contemporanea: l’orinatoio presentato da Duchamp nel 1917, il disegno di De Kooning cancellato da Rauschenberg nel 1953, il foglio di carta attraversato da Murakami nel 1955, il vuoto esposto da Klein nel 1958. Essi esemplificano i quattro generi maggiori dell’arte contemporanea: il ready made, l’arte concettuale, la performance, l’installazione. Ciò che hanno in comune, e che è particolarmente incomprensibile a coloro che si attengono al paradigma moderno, è il fatto che l’opera d’arte non sta più nell’oggetto proposto dall’artista, e questo sia perché non c’è più un oggetto altro dal semplice contenente (un foglio di carta, le mura di una galleria) sia perché l’oggetto non ha valore né esistenza (così l’orinatoio originale è stato perduto, il che non ha impedito che diventasse un’icona dell’arte contemporanea); il punto in comune di questi molteplici modi di estendere l’opera al di là dell’oggetto è il racconto di quanto è avvenuto, senza il quale non sarebbe restato nulla, il che è come dire che l’arte contemporanea è diventata essenzialmente un’arte del “fare-raccontare” e l’oggetto non è più che un pretesto che mette in moto l’opera. Ma allora l’opera, lungi dal ridursi ai limiti materiali dell’oggetto, è suscettibile di arricchirsi di tutte le interpretazioni, ed è questa realtà che è necessario esprimere per entrare nel paradigma dell’arte contemporanea. Tutto questo orienta l’attenzione verso ciò che inscrive il lavoro artistico negli atti che non sono soltanto mezzi, ma coincidono con la stessa realizzazione dell’“opera”: si passa così dall’oggetto all’atto e di qui la dematerializzazione dell’opera nell’informe, la sua concettualizzazione nell’idea, il suo diventare effimera nella performance.>>_Giuseppe di Giacomo _
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Lettura Connotativa
Con quest’opera ho voluto rappresentare l’odierna situazione riguardante la così detta “fuga di cervelli” dei giovani laureati.
Ormai si sa che la maggior parte dei laureati, non trovando lavoro nel loro paese (specificando: volendo lavorare nel campo in cui si sono specificati per poter emergere nella società) migrano all’estero sperando in una maggiore fortuna.
Mete per eccellenza sono ad esempio le grandi metropoli o megalopoli come le città americane, di cui la più nota è New York, o città europee come Parigi, Londra, Berlino, arrivando fino ad oriente.
Non sempre però questa fortuna si fa trovare, quindi questi “cervelli in fuga” sono costretti a trovarsi un lavoro che non rispecchia le loro competenze di studio per potersi comunque mantenere, rendendosi autonomi, sperando in un occasione della vita. Nonostante i vari casi catastrofici, non tutto va sempre per la peggiore, e molti di questi giovani riescono a farsi valere all’interno della grande società e a svolgere il lavoro per cui, per anni, hanno studiato, arrivando così al successo
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Lettura Denotativa
La tecnica utilizzata per la creazione di quest’opera Dadaista è quella del collage. Ho utilizzato diverse immagini di città per poter creare lo sfondo sul quale ho realizzato la sagoma umana, color rosso, rappresentante il giovane cervello in fuga. Al di sopra di essa ho posto il “cervello in fuga” contornato da diverse frecce che indicano direzioni differenti, appunto per simboleggiare le varie vie prese da ogni giovane che cerca successo all’estero, ognuna diretta verso una città diversa.
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Conclusione
Relazione finale
Tema di questo progetto, ricavato dalla seconda prova di maturità dell’anno 20152016, è il Dadaismo.
Dopo aver osservato l’iter e aver compreso il tema a noi dato, ho iniziato con la realizzazione di alcuni schizzi e alcune ricerche. Successivamente sono arrivata ad elaborare la mia opera finale, scelta tra 3 diversi bozzetti.
La mia opera è un collage, realizzato con diverse tecniche: come supporto ho scelto una tela, dove successivamente ho iniziato ad applicare le varie immagini di città che hanno formato lo sfondo sulla quale si staglia una sagoma umana rossa dipinta in acrilica che simboleggia il giovane laureato. sopra di essa ho posizionato il così detto “cervello in fuga” contornato da frecce che indicano le varie città, mete estere principali dei giovani.
Personalmente ho trovato difficile questo progetto in quanto la spazialità del tema Dadaista ha reso la ricerca di un soggetto da rappresentare molto difficoltosa.
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Published: Dec 9, 2016
Latest Revision: Jan 20, 2017
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