L'origine della novella e Il Decameron
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L’origine della novella e il Decameron

  • Joined Jun 2022
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DALL’ORIGINE DELLA NOVELLA AL DECAMERON

La novella è una narrazione in prosa, reale o fantastica, con finalità di intrattenimento. Genere in larga parte assimilabile al racconto, può essere distinto da esso per la sua maggiore brevità e semplicità. La novella presenta solitamente una vicenda in sé compiuta, che si svolge in maniera lineare, spesso in una sola unità di tempo e luogo. Tuttavia queste caratteristiche non sono così rigide, e il confine fra i due generi si è fatto via via più labile.

Le origini della novella sono molto antiche, pare infatti che abbia avuto una prima codificazione nella letteratura orientale, per poi passare nel modo islamico e cristiano. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che sia nata nell’India antica e che da lì, grazie agli scambi commerciali fra Oriente ed Occidente si sia diffusa in Europa.

Nella letteratura greca la novella si sviluppa come genere a sé a partire dall’età ellenistica, della quale ci sono giunte le Favole milesie di Aristide di Mileto (III sec. a.C.), una raccolta di novelle d’amore e d’avventura che ha contribuito alla nascita del romanzo ellenistico.

Il mondo romano ci ha tramandato due bellissime novelle all’interno di due famosi romanzi, La matrona di Efeso, presente nel Satyricon di Petronio, e La favola di Amore e Psiche, narrata ne L’asino d’oro di Apuleio.

Tornando in Oriente, in particolare nel mondo islamico, bisogna ricordare Le mille e una notte, raccolta di novelle che vede la propria origine nel IX-X secolo, per trovare definitiva sistemazione nel XV secolo, e che presenta l’espediente narrativo della cornice, poi ripreso da Boccaccio nel Decameron. Si può dire che Le mille e una notte siano un inno al potere e al fascino dell’affabulazione. Non si può fare a meno di rimanere incantati dalla storia narrata nella cornice: il re di Persia, scoperta l’infedeltà della moglie, la fa giustiziare ed ordina al Visir di procurargli ogni giorno una nuova sposa che, dopo aver passato la notte con lui, verrà uccisa. Shahrazād, la figlia del Visir, dopo aver sposato il re, escogiterà lo stratagemma di raccontargli ogni sera una storia, lasciandone in sospeso la conclusione. Il re, curioso di saperne il finale, lascerà in vita la sposa sino ad innamorarsi di lei. Le novelle narrate da Shahrazād, spaziando fra i temi più svariati, realistici e fantastici, tratteggiano un interessante affresco della vita e della civiltà islamica.

Per quanto riguarda l’Occidente, nel Medioevo si possono ravvisare degli antecedenti della novella negli exempla e nei fabliaux. I primi sono racconti esemplari finalizzati alla trasmissione di precetti e sono presenti anche nei Vangeli, dove vengono definiti “parabole”, i secondi invece, sviluppatisi nella Francia del XII sec, sono novelle in versi con contenuti realistici, burleschi, talvolta anche licenziosi, con lo scopo quindi di intrattenere e divertire.

La novella vera e propria ha poi un grande sviluppo in Italia, dove a partire dal Duecento nascono raccolte anonime, come il Novellino, opera di un anonimo toscano. Qui si susseguono novelle brevi, aneddoti, bozzetti di vita quotidiana, tutte caratteristiche che verranno sviluppate e portate a maturazione da Boccaccio nel Decameron, l’esempio più significativo del genere.

 

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DECAMERON

 

Il Decameron, l’opera più celebre di Giovanni Boccaccio, viene composto tra il 1349 e il 1353, anche se probabilmente la composizione e la circolazione autonoma di alcune novelle – soprattutto quelle delle prime tre giornate – possono essere antecedenti. Il Decameron racconta la vicenda di dieci giovani che, per sfuggire alla peste del 1348, si ritirano in una villa di campagna, dove trascorrono dieci giornate narrandosi vicendevolmente delle novelle per ingannare piacevolmente il tempo.

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STRUTTURA DELL’OPERA

Il nome di “Decameron” ha origine greca, come quello di molte opere giovanili di Boccaccio, provenendo da déka, “dieci” ed hēméra, “giorno” e modellandosi, con finalità parodica, sul titolo di un’opera di Sant’Ambrogio (340ca. – 397), l’Hexameron, che racconta i sei giorni della creazione della Terra da parte di Dio.

L’opera di Boccaccio è composta da una cornice narrativa, in cui l’autore racconta le vicende della “brigata” in fuga da Firenze e poi nel locus amoenus della villa campagnola, e da cento novelle suddivise in dieci giornate. Boccaccio, mettendo questa volta da parte il motivo autobiografico che ispira e anima tante altre sue opere (come nel Filocolo o nel Filostrato), si dedica a un’opera che ha come fine quello di intrattenere le “vaghe donne”, ovvero le lettrici alto-borghesi, che diventano le destinatarie privilegiate del testo, come Boccaccio stesso specifica nel Proemio al Decameron. La finalità dello svago è del resto la stessa anche per i giovani della brigata, composta da sette donne e tre uomini, che, per far fronte all’emergenza sanitaria e morale della peste, che ha sconvolto i costumi cittadini, vuole restaurare una nuova misura di equilibrio e comportamento.

La sfida alla morale dell’epoca (i giovani, maschi e femmine, convivono sotto lo stesso tetto giorno e notte) si traduce così nell’attività della narrazione, che mette in scena i valori fondamentali della visione del mondo dell’autore: la Fortuna e il caso, la Natura e l’amore, l’ingegno umano e l’abilità con la parola.

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Due novelle di Boccaccio: il piacere del racconto, la forza della parola.

Federigo degli Alberighi

Analisi >
1. Nel testo si possono cogliere alcune indicazioni sulle norme sociali che regolavano l’eredità e i matrimoni fra le classi nobiliari: dove si possono trovare questi riferimenti? Quali norme riportano?
2. Qual è il ruolo ricoperto dal falcone nella vicenda?
3. Qual è il ruolo della fortuna in questa novella? È determinante o meno? Perché?
4. Alla fine della novella si dice che Federigo diventa miglior massaio (r. 150). Perché? Quale espressione useremmo oggi per indicare tale condizione?
Approfondimenti
5. La novella può essere interpretata come un giudizio sulla classe nobiliare con i suoi pregi e i suoi difetti. Rifletti su questa affermazione, facendo riferimento anche ad altri testi dell’autore. (massimo 15 righe)

 

Isabetta e la badessa Usimbarda

 

Analisi >
1. Dove è ambientata la novella? In che modo il luogo viene descritto?
2. Che cosa significa l’espressione menata in capitolo (r. 50)?
3. Che cosa significa l’espressione leggiadramente parlando (r. 8), riferita a Isabetta?
Approfondimenti
4. Qual è a tuo giudizio l’importanza storica del tema trattato in questa novella da Boccaccio, la satira dei religiosi? Individua altri esempi tratti dal Decameron o da opere contemporanee. (massimo 10 righe)

 

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USO DIDATTICO DEL DECAMERON NEL CINEMA DI PASOLINI.

La novella di Andreuccio inizia con quello che è chiamato raccordo sullo sguardo, in inglese eye shot, si tratta di una sequenza di due immagini, nella prima viene presentato un personaggio che osserva, nella seconda quello che il personaggio osserva, è l’equivalente della focalizzazione interna della narrazione scritta.
Nella novella di Andreuccio di Pasolini ci sono alcune differenze con la versione originale di Boccaccio. Pasolini muta il rapporto tra fabula e intreccio, per esempio anticipa il racconto dell’inganno ordito dalla giovane siciliana ai danni di Andreuccio ed elimina uno degli episodi della sua avventura napoletana.
Il realismo di Boccaccio utilizza uno stile medio, che unisce il realistico a una elegante forma linguistica, anche quando descrive la realtà più bassa, volgare, popolare utilizza sempre uno stile elegante, raffinato.
Pasolini invece non ingentilisce la realtà, la rappresenta senza mutarla.
Pasolini usa il napoletano nel suo Decameron perché è la lingua del popolo. “Ho scelto Napoli”, dirà Pasolini, “perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e, così, di lasciarsi morire”. Napoli e i napoletani sono il simbolo della resistenza a quella trasformazione causata dal capitalismo industriale che Pasolini riteneva disastrosa per l’uomo e il mondo. La scena finale di Andreuccio che esce dalla chiesa danzando è inventata da Pasolini e aggiunge una nota di gioia alla vittoria finale del giovane.
Pasolini dedica la lunga scena iniziale a uno degli incontri notturni di Isabetta e Lorenzo, nella novella di Boccaccio non c’è traccia di questi incontri che sono appena accennati in un breve passaggio “e sì andò la bisogna che, piacendo l’uno all’altro igualmente, non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che più disiderava ciascuno.” Nella lunga scena iniziale Pasolini prefigura la fine della novella e crea un racconto a struttura circolare. Subito dopo l’inquadratura della finestra Isabetta bacia Lorenzo sdraiato a torso nudo sul letto, il giovane è immobile e appare come morto, l’ultima inquadratura è quella di Isabetta con le braccia tese verso il vaso di basilico sulla finestra.
Pasolini modifica il racconto di Boccaccio mostrando la reazione violenta di uno dei fratelli di Isabetta. Il realismo di Pasolini è molto più crudo di quello di Boccaccio, non esclude, non nasconde nulla, neanche ciò che può disturbare, infastidire il lettore o spettatore.
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