ENIGMA AL PARCO by LICEO VASCO BECCARIA GOVONE - Ourboox.com
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ENIGMA AL PARCO

  • Joined May 2022
  • Published Books 1

CAPITOLO I

 

Stava seduto sulla sua solita panchina, quella rossa, vicino all’ingresso. Andava spesso al parco del suo quartiere per ascoltare musica e osservare i passanti. Da qualche giorno però non la vedeva più passeggiare con il suo cane: dove era finita la ragazza bionda con il cagnolino? Perché non l’aveva più incontrata? 

Aveva timidamente cercato di fare conoscenza: prima l’aveva guardata, poi le aveva chiesto se volesse fermarsi un po’ e le aveva fatto ascoltare l’ultimo pezzo del suo gruppo preferito. Si era anche divertito a giocare con il cucciolo. Lei aveva sorriso e aveva ascoltato un altro brano. 

Era diventato un appuntamento fisso, ma l’ultima volta lei era agitata e guardava continuamente verso l’ingresso, come se temesse di veder comparire qualcuno. Lui stava per chiederle spiegazioni, ma lei aveva risposto ad un messaggio sul suo cellulare e si era frettolosamente allontanata, in preda ad un’evidente confusione. Da quel giorno Carlo, il ragazzo della panchina rossa, era immobilizzato dalla paura riflessa nel senso di vuoto che provava quando pensava alla ragazza bionda con il cagnolino. Non parlava, Carlo, non pensava, sapeva solo di avere paura. Non era mai stato coraggioso, aveva sempre vissuto intrappolato dalla paura di osare, di essere se stesso. La società era sempre pronta a giudicarlo e lui viveva nella paura di essere giudicato. Un circolo vizioso, un cane che si morde la coda… c’erano tanti modi per definire la vita di Carlo, ma la parola “coraggio” non si trovava in nessuno di essi. 

L’unica sua forza, il suo appiglio per evitare di ricadere nella paura, era la musica. La musica era tutto per Carlo, fu proprio in essa che riuscì a trovare il coraggio di tornare al parco, il luogo dove aveva provato quel vuoto e in cui sperava di ritrovare la speranza. Si mise le cuffie e si diresse lungo il sentiero che portava alla panchina rossa, come il sangue che gli stava gelando nelle vene. AC/DC, un gruppo musicale anni Settanta, ma ancora attuale, era la parola chiave per fargli ritrovare la forza, per far rivivere in lui l’immagine della splendida ragazza di cui non riusciva a ricordare il nome. Così un passo dopo l’altro, con il cuore che batteva all’impazzata, al ritmo della canzone, si dirigeva verso il parco con “Shot in the Dark”, l’ultimo brano scritto dagli AC/DC, che gli feriva l’udito. A metà strada, durante il ritornello, gli riaffiorò un ricordo: il nome della splendida ragazza era Anna, glielo aveva rivelato timidamente alcuni giorni prima, proprio quando stavano cantando insieme il ritornello di quella canzone.

Mentre si stava interrogando su che fine avesse fatto la ragazza, si guardò attorno e vide uno strano movimento nei cespugli: era il cucciolo di Anna, Marley, un barboncino Toy, di certo non aggressivo, che appena riconobbe Carlo si avvicinò a lui in cerca di attenzioni.

Sembrava avesse passato giorni infernali: era fradicio, affamato, sporco e con il pelo arruffato.

Il ragazzo decise di portarlo a casa con sé: chissà dov’era Anna! Lungo il tragitto riorganizzò le idee pensando ad un modo per ritrovarla. Arrivato, ripulì il cane e lo sfamò; solo più tardi notò che all’interno del collare c’era una medaglietta con scritto un numero telefonico.

Carlo provò quindi a contattare il numero, ma ogni chiamata ripeteva la stessa risposta:”Il numero da lei selezionato risulta inesistente.”. Che cos’era allora quella strana sequenza numerica? Un indirizzo? Un codice di sblocco di un cellulare? Una data? Tutto affiorava alla mente di Carlo, che ora non riusciva a pensare ad altro che a quella ignota sequenza di numeri.

All’improvviso suonò il telefono. Lui, ancora immerso nei suoi pensieri, si accorse che era solo la sveglia: era ora di recarsi al lavoro. Sconsolato prese la giacca, aprì la porta e uscì.

Come tutti i fine settimana, per pagarsi gli studi, lavorava come cameriere nella pizzeria “Da Ciro”. Il locale era situato nelle vie centrali del quartiere di San Salvario e si presentava come un posto semplice e sicuramente non raffinato. Era frequentato principalmente da ragazzi, i quali potevano mangiare e svagarsi grazie alla sala biliardo.

Il locale apparteneva a Ciro, un uomo di mezza età, dall’aspetto molto trasandato: al lavoro infatti indossava sempre un grembiule sporco e una canottiera di colore indefinito. Nel tempo libero si aggirava per il quartiere con fare minaccioso su una rombante Yamaha TMax nero opaco. Poteva sembrare una persona pericolosa e prepotente, in realtà era un uomo semplice dedito al suo lavoro.

Carlo decise che, quel giorno, gli sarebbe servito pensare un po’, quindi si diresse alla pizzeria a piedi portando con sé il cane che da solo non voleva proprio rimanere. Lungo il tragitto gli venne un’idea: avrebbe postato sui social la foto del cane associata alla descrizione della padrona e al proprio numero telefonico. Chiunque avesse avuto sue notizie lo avrebbe potuto contattare.

Senza esitare prese il telefono, aprì Instagram e pubblicò la foto del cane appena lavato; nella descrizione scrisse: “Cane ritrovato questo pomeriggio al parco, appartiene a una ragazza bionda e molto gentile di nome Anna; chiunque sappia qualcosa in più mi contatti al seguente numero 366*******”.

Giunte le 19 arrivò sul posto di lavoro con Marley. Sull’uscio vide Ciro con il solito grembiule e l’aria severa. Carlo si avvicinò tenendo il cucciolo vicino a sé e con fare gentile e impaurito disse: “Ciao Ciro, non è che posso tenere qua il cane?”. Il pizzaiolo rispose: “Ma tu sei venuto per lavorare o per fare il dog sitter?” sfumando le ultime parole con una risata roca.

Un altro dipendente, Beppe, si infilò nel discorso e disse: «Dai Ciro, lascia che Carlo porti il cane sul retro». Ciro si fece da parte, Carlo sistemò Marley legandolo con il guinzaglio nel magazzino e si affrettò ad accogliere i primi clienti. Era sabato sera e come sempre il locale, pieno di ragazzi chiassosi, diventava difficile da gestire: tutti volevano essere serviti immediatamente e attorno al biliardo si scatenavano i primi litigi. Carlo non ci faceva nemmeno più caso, aveva imparato a svolgere le sue mansioni senza intromettersi nelle questioni altrui, ma quella sera non riusciva a non pensare ad Anna. Preso dall’agitazione del momento quindi non si accorse di una borsa caduta a terra, sulla quale inciampò, rovesciando il vassoio con sei boccali di birra sul tavolo dei ragazzi che stavano aspettando le loro ordinazioni. Si sfiorò la rissa, ma intervenne Ciro che tranquillizzò i clienti offrendo loro un giro di birra e mandando Carlo in magazzino a recuperare alcuni stracci per pulire. Il ragazzo, sconsolato, aprì la porta del retro e vide Marley scorrazzare libero tra gli scaffali senza guinzaglio, ma soprattutto senza collare; in più, alzando lo sguardo, si accorse che la porta di servizio era stata forzata.   

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CAPITOLO II

 

Carlo rientrò nel locale; era scosso e più preoccupato di prima: non aveva nemmeno preso gli stracci! Ciro lo guardava in cagnesco. «Che incapace perditempo» pensò, ma il ragazzo balbettando gli stava dicendo qualcosa: «Nel retro…qualcuno è entrato nel retro!». «Hanno rubato qualcosa? Cosa hanno rotto?». «Nulla, non manca nulla, solo il guinzaglio e il collare del cane…». Ciro infuriato lo rispedì in sala e gli intimò di fare bene il suo lavoro se voleva essere pagato. Come se fosse facile! Carlo non riusciva a pensare ad altro se non ad Anna e ora qualcuno, chissà chi, aveva rubato il collare di Marley.  Forse c’entrava qualcosa quella misteriosa sequenza di numeri…Immerso nei suoi dubbi, Carlo confuse alcune ordinazioni e i clienti protestarono rumorosamente. Ciro a quel punto non si trattenne

«Meglio che te ne vada, prima che…». Senza attendere il seguito minaccioso il ragazzo prese il suo giubbotto, recuperò Marley e lasciò la pizzeria.

Fuori lo attendeva un buio fitto e per strada non c’era nessuno, eppure Carlo si sentiva osservato e sobbalzava ad ogni minimo fruscio; le ombre prendevano forme sospette e ad ogni angolo la paura aumentava. Il ragazzo istintivamente prese in braccio Marley e lo strinse a sé: non voleva perdere anche lui! Un uomo, sbucato da chissà dove, sopraggiunse sul marciapiede opposto; Carlo non riusciva a distinguerne il volto coperto dal cappuccio di una felpa scura. Si avvicinava, a passi lunghi e veloci: «Sarà il ladro? Sta cercando me…o vuole Marley?». In preda alla confusione, si accorse a malapena che lo sconosciuto lo aveva raggiunto e stava continuando per la sua strada senza degnarlo di uno sguardo. Meno male, ora non restava che fare un ultimo sforzo: raggiungere casa, chiudersi dentro e tentare di tranquillizzarsi.

Finalmente arrivò al suo palazzo, spinse il pesante portone e prese l’ascensore: le forti luci gli procuravano fastidio agli occhi. Salì al suo piano, cercò le chiavi nei pantaloni sporchi di farina e pomodoro e le infilò nella serratura arrugginita. Il piccolo appartamento era silenzioso e Carlo si sentì al sicuro; appese il giubbotto all’ attaccapanni nell’ingresso e andò in cucina: Marley aveva sicuramente fame. Frugò nel frigorifero e trovò due fette di prosciutto.

Dopo una doccia veloce, si lasciò cadere sulla vecchia poltrona color porpora nel salotto. I pensieri scorrazzavano nella sua testa come un mare in tempesta; il sangue affluiva al cervello impedendogli di rilassarsi e il suo corpo era stanco come non mai. Poi si ricordò dell’appello lanciato sui social e controllò se qualcuno avesse risposto. Ci sperava tanto: forse avrebbe scoperto chi fosse Anna. La delusione fu grande: nessuna novità. Non sapeva più cosa fare.

Decise di provare a dormire. Dopo un buon sonno qualche idea gli sarebbe venuta. Si sdraiò e chiuse gli occhi, ma continuava a rigirarsi nel letto, tormentato da mille domande: «Dov’era Anna? Chi era? Cosa le era successo?». Anche il cucciolo non riusciva a dormire e aveva iniziato a raschiare con le zampe la porta della camera. Carlo si alzò e lo fece entrare: Marley, scodinzolando, si acciambellò su un tappeto logoro.

Ormai era notte inoltrata; il ragazzo rinunciò al sonno e cominciò a riflettere sulla sequenza numerica: «Che cosa rappresentava? Una password forse? Ma di cosa?». Continuava a pensare a quella “Anna”. «Non ho motivo di preoccuparmi, non la conosco!» si ripeteva, ma quel pensiero proprio non lo convinceva: in realtà era divorato dall’ansia. Non ci volle molto prima che Carlo si accorgesse che non sapeva niente della bella Anna. Vide il cellulare sul comodino.  «Instagram! – esclamò – Tutti hanno Instagram!». E così la sua folle ricerca ebbe inizio. Passarono secondi, minuti, forse ore prima che il giovane trovasse il profilo della ragazza, anna&marley97. Guardando le foto della bionda fanciulla una lacrima salata scivolò sul suo viso. Era malinconia questa? Con molta attenzione osservò ogni singolo post, ma, sfortunatamente, non trovò niente di utile: c’erano solo foto di Anna con il suo cagnolino. Un senso di sconforto si impadronì di Carlo e la tristezza si fece largo in lui. Niente gli faceva capire dove potesse essere finita Anna.

Un’idea folle, ma geniale gli passò poi per la testa, «Potrei entrare nel suo profilo», ma oscillava tra «Non farlo, violi la sua privacy» e «Fallo, è per una buona causa». Decise di agire e si mise al lavoro: doveva indovinare la password. Dopo aver tentato svariate combinazioni, senza alcun successo, gli sorse un dubbio: e se le cifre nella medaglietta di Marley fossero proprio la password? Il collare del cagnolino era stato rubato, ma Carlo quel numero lo aveva provato a chiamare. Lo cercò nella cronologia e speranzoso inserí cifra dopo cifra la sequenza numerica nel profilo di Anna. Il suo cuore si fermò per qualche secondo quando vide l’account apparire davanti ai suoi occhi. 

Ancora incredulo andava avanti e indietro nella piccola stanza, quando nella frenesia di quegli istanti si accorse di molte notifiche sul profilo. Una certa Chloe, capelli rossi e occhi azzurri, aveva intasato i direct di Anna: una miriade di messaggi. Ne lesse solo alcuni: «Anna, dove sei?», «Perchè non mi rispondi?», «Anna, è successo qualcosa?».  La ragazza sembrava sinceramente preoccupata. Carlo tornò sul suo profilo e decise di contattarla.  Davanti alla chat, ancora vuota, gli si fermò il cuore in gola: cosa scrivere? Non lo sapeva. Iniziò: «Ehy ciao, non mi conosci, ma sono un amico di Anna», poi attese; quei minuti erano interminabili, quando…una notifica di Instagram. Era Chloe. Carlo lesse il messaggio ad alta voce: «Ciao, è una strana coincidenza che tu mi abbia scritto proprio adesso che Anna non mi risponde. Dato che sei suo amico, dimmi qualcosa di lei. Devo potermi fidare di te». Carlo con le mani tremanti scrisse: «Anna ama andare al parco, con il suo cagnolino Marley e ascolta sempre gli AC/DC. Fidati di me».

Chloe non tardò a ribattere «Sono cose che solo un amico può sapere: mi fido».

Carlo si calmò: «Ho bisogno di vederti, devo parlarti». 

«Cosa devi dirmi? Sai qualcosa di Anna?». 

«Non posso dirtelo via social, preferisco incontrarti.  Vediamoci domani alle 15:00 alla panchina rossa del parco in cui Anna ama andare».

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CAPITOLO III

 

La stanza in cui si trovava Anna non era grande, al suo interno si sentiva soffocare. Istintivamente cercò di muoversi, ma sentiva qualcosa che le stringeva la caviglia. Nonostante fosse buio, il rumore metallico inconfondibile di una catena le rese chiara la situazione. Anna si sentiva confusa e stordita. Andò a tentoni e sentì sotto le sue mani un qualcosa di morbido e logoro: evidentemente si trattava di un vecchio materasso sul quale avrebbe dovuto dormire. Man mano che i suoi occhi si abituavano alle tenebre, intravide, a pochi passi da lei, una porta arrugginita e sopra una piccola finestra serrata da un chiavistello. Nonostante allungasse le braccia fino allo spasimo non riusciva in nessun modo a raggiungerla. Tentò allora con la porta: dapprima si accanì disperatamente a calci e spallate contro il battente, poi tentò di forzare la serratura con la forcina che aveva tra i capelli.

 Niente, sembrava essere chiusa da un lucchetto esterno. Tutto intorno regnava il silenzio, si sentiva solo lo scorrere del Po. Dopo un tempo indefinito che le sembrò lunghissimo, un po’ di luce filtrò dalle fessure della finestra, ferendole gli occhi. Tutto intorno sembrava in abbandono, polvere e sporcizia ovunque, enormi ragnatele pendevano dalle travi di legno del soffitto. Le pareti erano di nuda pietra e anche la sua pelle si era ingrigita per lo sporco. I suoi capelli, di solito di un biondo lucente, avevano perso la loro luminosità ed erano pieni di polvere. 

 

«Non capisco cosa stia succedendo – pensò Anna fra sé – un senso di stordimento e di angoscia mi opprime. Mi sento molto stanca e senza forze. Svariati ricordi confusi riaffiorano alla mia mente ma non riesco a ricostruire una sequenza logica di ciò che è avvenuto. Ho molti graffi sulle braccia, come se fossi caduta su un cespuglio di rovi. Mi sento spaesata: dove sono? Per quale motivo mi trovo qui? Chi mi ci ha portato? L’assenza dei ricordi mi terrorizza, l’ansia per il futuro mi toglie il fiato. Cerco di stare tranquilla e di rimettere assieme frammenti di memoria: l’ultima cosa che ricordo è che stavo facendo jogging con quei due ragazzi di Torino e che con uno di questi da poco più di due settimane avevo iniziato a chattare su Instagram. Cerco di ricordare come sono arrivata fin qui, ma senza arrivare a nessuna conclusione. Una bottiglia d’acqua all’angolo della stanza fa riaffiorare qualcosa: una borraccia passatami dal ragazzo di Instagram e quel freddo pomeriggio di febbraio al Valentino. Ma chi erano realmente quei due? So solo che uno lo incontravo spesso quando andavo a correre, l’altro, il suo amico, era la prima volta che lo vedevo. 

L’unica cosa che ricordo è che era molto silenzioso. Che c’entrino loro? Sembravano due tipi tranquilli ma probabilmente mi sbagliavo. 

Chissà se in questa vicenda è coinvolto anche il ragazzo della panchina rossa, quello che incontravo quando portavo a spasso Marley. Credo si chiamasse Carlo. Mi avevano colpito i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e il viso ricoperto di lentiggini, era molto timido e anche strano. L’ultima volta che l’avevo visto mi aveva fatto ascoltare una canzone degli AC/DC e alla fine sembrava stesse per dirmi qualcosa, ma sono dovuta scappare via. Tutta colpa del messaggio di Chloe: avevamo litigato e voleva chiarire.

Uno dei tanti pensieri che mi balenano in testa è proprio Chloe. Improvvisamente mi viene in mente la litigata di pochi giorni fa in cui si era mostrata molto gelosa di Carlo. Non riesco però a capacitarmi del perché provi invidia, dato che tra me e lui non c’è nemmeno una semplice amicizia e l’unica persona per cui il mio cuore batte è lei. Avevo già capito di provare un sentimento che andava oltre l’amicizia quando mi regalò Marley a novembre, il giorno del mio compleanno.

Lei sapeva quanto desiderassi avere un cane, in particolare un barboncino. Quello che mi aveva colpito sin da subito erano i suoi occhi azzurri, che mi stregano ogni volta che incrocio il suo sguardo. Il suo viso è incorniciato da lunghi capelli rossi spesso raccolti in una coda di cavallo e le sue guance diventano spesso rosse per l’imbarazzo. Le sue labbra sottili nascondono un sorriso ingenuo, ma nello stesso tempo travolgente. Le sue ciglia lunghe le contornano gli occhi e il suo naso alla francese sembra esser stato dipinto da Vermeer.

Ora nella mia testa riaffiora un altro ricordo indelebile, ovvero il momento in cui ci siamo conosciute. Io indossavo una semplice tuta verde e un paio di scarpe da ginnastica, mentre lei aveva un cappotto lungo color cammello, un paio di jeans bianchi e un elegante maglioncino blu. Era il primo maggio, al corteo dei No Tav».  

Anna ricordava alla perfezione quel giorno: gli striscioni, i cartelloni e le grida erano ancora impresse nella sua mente. Gli scontri erano stati violenti, con la polizia che aveva caricato il corteo e ferito diversi manifestanti. Nei giorni successivi non si parlò d’altro. Proprio in quel pandemonio aveva conosciuto Chloe, che si trovava lì anche lei per protestare contro l’alta velocità. Quel giorno era diventato simbolico per Anna. Dopo poco tempo quel corteo venne però dimenticato e i lavori in Val di Susa andarono avanti come nulla fosse. 

Ora era il febbraio del 2020, e dopo quasi un anno le notizie che si diffondevano in città erano di natura totalmente differente. Si cominciava a parlare di un virus che in Cina mieteva molte vittime. Tuttavia in Italia la gente non sembrava ancora preoccuparsene: il problema appariva distante e la maggior parte della popolazione non avrebbe mai potuto immaginare che poche settimane dopo questo virus avrebbe messo in ginocchio anche il nostro Paese.

«Non mi sarei dovuta fidare di quei due! – si ripeteva Anna disperandosi – Sembravano dei bravi ragazzi e adesso mi ritrovo in questa situazione: sono proprio un’ingenua. Ma perché mi hanno portata qui? Perché proprio me? Che sia tutta una questione di soldi? No, non è possibile: mia madre stenta a pagarmi gli studi e io cerco di aiutarla come posso. È improbabile che le abbiano chiesto un riscatto. Chissà, sicuramente sarà in pensiero per me, forse avrà già allertato la polizia. 

E se i miei rapitori fossero invece dei maniaci? Che idee stupide mi vengono in mente: se fosse così, sarebbero qui con me e invece nessuno si è fatto ancora vedere. Che c’entri forse quella questione dell’hotel?»

Dopo essersi scervellata per alcuni minuti, le venne in mente Marley e tornò a quel giorno in cui fece incidere sul suo collare la sequenza numerica: «3665810012…Quel numero civico 366 –  pensò – 58100 il CAP di Grosseto che in realtà indica la via di Torino e 12, il numero della stanza dell’Hotel Master. Sembrava veramente una combinazione di numeri perfetta e spero che nessuno l’abbia ancora decifrata…».

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CAPITOLO IV

 

Erano circa le 14:30 quando Carlo giunse sul luogo dell’incontro. Il vento soffiava forte, quasi quanto il turbinio di emozioni che il ragazzo provava dentro di sé. Voleva scoprire la verità, ma allo stesso tempo aveva paura che questa cambiasse in modo irreparabile le sue convinzioni: e se la situazione si fosse rivelata più pericolosa del previsto? Cosa avrebbe potuto fare lui, da solo? Non sapeva ancora perché Anna fosse scomparsa, né se fosse in pericolo… In realtà non sapeva nemmeno perché fosse così preoccupato per lei, dopotutto era solo una conoscente. Tuttavia, alla sola idea di non fare nulla gli veniva un nodo alla gola: in quel momento, l’unica cosa certa per lui era volerla trovare, ad ogni costo. Nel frattempo, Marley lo guardava incuriosito, interrogandosi su cosa stesse succedendo. Per lui era tutto un gioco, iniziato con la corsa al parco verso Carlo dopo la scomparsa della padrona. 

L’istinto diceva al giovane di non avvicinarsi alla panchina, così rimase distante, appostato all’ombra di un pino ad osservare l’evolversi della situazione. Dopo diversi minuti arrivò una ragazza dal cappotto color  cammello che si guardò intorno e, successivamente, si sedette. Marley la riconobbe e precedette Carlo correndo verso di lei e saltandole sulle ginocchia. Doveva essere Chloe. 

A quel punto il ragazzo capì di potersi fidare e si affiancò alla panchina rossa.  

Carlo tossì due volte per schiarirsi la voce prima di parlare, ma Chloe lo precedette dicendo velocemente: «Inizierò io: vedi, Anna non sa chi sia suo padre, ha sempre vissuto insieme alla madre che non le aveva mai detto nulla di lui». «Mi dispiace… non immaginavo, ma in che modo questo ci aiuta?», la interruppe Carlo desideroso di risposte. «Aspetta un secondo! Ci arrivo», lo rimproverò Chloe.

«Anna non è mai sembrata interessata a cercare suo padre, almeno finché sua madre non decise di darle qualche informazione che deve averla scossa». Detto ciò Chloe si fermò un momento per osservare la reazione di Carlo. Vedendolo curioso riprese il discorso: «Da quanto so, suo padre appartiene ad una famiglia molto ricca che non ha mai accettato la sua relazione con una donna inferiore a lui».

Carlo pensò dunque che fossero questi i motivi dell’abbandono dell’uomo e in preda al terrore chiese a Chloe: «Potrebbe forse aver  scoperto qualcosa di troppo ed esser stata di conseguenza rapita?».

La ragazza impallidì ricordandosi di quel giorno in cui aveva visto Anna correre insieme ad uno sconosciuto al parco, si era chiesta chi fosse, ma non aveva dato al gesto l’importanza che forse meritava. 

Dopo averlo detto a Carlo, Chloe si alzò lasciandolo immerso tra i suoi pensieri. Il ragazzo iniziò a ripercorrere nella sua mente tutto quello che aveva visto nelle ultime settimane: notava spesso Anna camminare per il parco con fare nervoso parlando al telefono a bassa voce, probabilmente per non farsi sentire. Pensò: «E se non mi fossi accorto di qualcosa? E se avessi tralasciato qualche dettaglio?». 

«Ti assicuro che troveremo Anna, costi quel che costi!» esclamò alla fine Carlo, cercando di nascondere dietro ad un tono determinato la grande preoccupazione che intanto lo assillava dall’inizio dell’incontro con Chloe. Già, ma come? 

Anche Marley sembrava sempre più confuso e turbato dalla tensione che c’era nell’aria; ma gli piaceva l’idea di aver rivisto una persona conosciuta e amica. Guardando l’animale Carlo si ricordò del collare e del numero inciso sulla medaglietta. 

Improvvisamente si alzò il vento e i due si salutarono. Carlo ritornò a casa meditando su quelle parole, sempre più sicuro che quel numero misterioso inciso sul collare di Marley fosse in qualche modo legato a quel mistero: evidentemente era importante per Anna al punto da farlo incidere. C’entrava forse con il suo passato accennato da Chloe? 3665810012… se lo ripeteva come un mantra.

Mentre camminava immerso nei pensieri ed in cerca di risposte per le strade di Torino, inciampò più volte lungo il tragitto. Il suo sguardo cadeva sempre involontariamente sui numeri civici degli edifici circostanti, ma non ne capiva il motivo.

Salì di corsa le scale e si precipitò alla scrivania per iniziare l’indagine; finalmente tutti quei lunghi pomeriggi passati a studiare Crittografia gli sarebbero tornati utili! Prese in fretta il suo taccuino e scrisse: 3665810012. Fin da piccolo Carlo aveva la passione per i numeri, gli piaceva trasformare tutto meccanicamente in sequenze di cifre: riusciva a tradurre tutto quello che leggeva in sequenze numeriche, con cui si sentiva molto più a suo agio, al contrario delle parole. Mentre gli altri bambini imparavano le filastrocche, infatti, Carlo memorizzava i CAP delle città, e mentre i suoi amici ricordavano i ritornelli delle canzoni del momento, Carlo fissava nella sua mente il peso atomico degli elementi della tavola periodica.

  1. 3665810012. Per un po’ provò a scomporlo in differenti combinazioni riempiendo di scarabocchi il foglio davanti a sé, fino a quando, improvvisamente, un’intuizione gli illuminò la mente e squarciò la nebbia che offuscava i suoi pensieri. Da vero crittografo si avvicinò pericolosamente alla soluzione dell’enigma.

 

Capitolo 5

Anna era ormai sfinita, le girava la testa e non capiva dove fosse. Le ferite sulle braccia continuavano a bruciarle. Si coricò sul sudicio materasso, l’odore di muffa la avvolgeva, quasi soffocandola. Tentava di tenere gli occhi aperti, ma la polvere caduta dal soffitto le offuscava la vista. A un certo punto però sentì dei suoni pesanti e ovattati, forse dei passi?  Cercando di concentrarsi meglio riuscì a percepire delle voci forti e vicine coperte da un ronzio continuo: una TV? Una radio?

Pian piano le voci, dapprima confuse, si fecero sempre più chiare e riuscì a distinguere alcune frasi. «Se non fosse stato per suo padre, forse avrei potuto innamorarmi davvero di lei». Al sentire queste parole Anna rimase completamente esterrefatta. Non riusciva a crederci, non poteva essere vero! Improvvisamente udì due voci maschili in lontananza, le aveva già sentite. Ne era certa.

«Abbiamo fatto il nostro lavoro, ora vogliamo risposte!»  dissero i ragazzi. «Quel che è giusto è giusto, anche voi avete diritto di sapere, visto che ci siete dentro fino al collo – rispose la prima voce – Iniziò tutto all’incontro dei no TAV, quando io e Anna iniziammo a parlarci per la prima volta. Nella confusione infatti ci scontrammo e discutemmo un po’ delle problematiche riguardo all’alta velocità che si erano scatenate nell’ultimo periodo. Sentendoci subito a nostro agio decidemmo di scambiarci l’Instagram e da quel momento iniziammo a scriverci ogni giorno. Cominciammo anche a frequentarci e Anna mi raccontò della sua situazione familiare, non aveva mai conosciuto il padre. Di lui sapeva solo che era un uomo molto importante e ricco, invischiato in diversi affari, titolare di molte proprietà. Un giorno però fu commissionata a mio padre, dalla FVT per cui lavorava, la costruzione di tratto del binario dell’impianto ad alta velocità. Mentre svolgeva, come ogni giorno il suo dovere, però mio padre è morto. Morto! Così dovetti affrontare un colloquio con l’amministratore delegato della FVT. Non so come accadde, ma capii subito che doveva trattarsi del padre di Anna e infatti il cognome era lo stesso, le assomigliava molto, i tratti del viso erano identici e gli avevo sentito dire che aveva una figlia proprio di nome Anna».  Sconvolta da tutta questa situazione Anna sentiva il bisogno di essere certa di ciò che aveva appena sentito, la sua mente cercava di smentire in ogni caso la possibilità che lì fuori ci fosse realmente Chloe. Si sentiva come un incubo. Decise allora di avvicinarsi alla porta per provare a capire chi si trovasse là fuori da quella porta, ma gli occhi di Anna erano troppo affaticati per distinguere le sagome nere al di là della serratura, inoltre la quantità di luce non era certo sufficiente. Tutto ciò che riuscì a vedere, invece, era il luogo che la circondava, essendosi abituata al buio. La stanza era lurida, lercia, la muffa contornava tutti gli angoli delle pareti e c’era un vecchio tappeto beige che ornava il pavimento. Era profondamente turbata e ciò non le permetteva di riuscire a riflettere su quello che stava succedendo. Con i pensieri che le rimbombavano in testa, Anna iniziava a realizzare sempre di più chi si trovava dietro quella porta, ma era rimasta ancora incredula, come aveva potuto farle questo? Era frastornata da emozioni contrastanti e difficilmente riusciva a distinguere il dolore psicologico da quello sentimentale.   Nel frattempo Carlo, dopo aver preso diversi medicinali per il forte mal di testa, riuscì a trovare le forze per dirigersi al luogo indicato da quell’indecifrabile numero sul collare. Si preparò, afferrò uno zaino dove mise una torcia, una bottiglietta d’acqua, il telefono e per finire chiamò Marley e si incamminarono. Passo dopo passo con la testa altrove, cominciò a pensare alla gravità della situazione: «Cosa sto facendo? Come ho fatto a finire in questa storia? Non è pericoloso che io faccia tutto questo da solo? Non sarebbe meglio chiedere aiuto? – disse Carlo rivolgendosi a Marley – Ma che cosa mi sta succedendo? Sto parlando con un cane! Ora basta, devo calmarmi» ribadì Carlo per convincersi. 

Nonostante avesse provato a tranquillizzarsi fermandosi più volte, l’ansia non cessava di salire, man mano che andava avanti era sempre peggio. Era quasi giunto a destinazione e riuscì a intravedere tra due palazzi l’insegna al neon blu dell’Hotel Master. Cominciò a correre per raggiungerlo più velocemente, accertandosi che Marley lo seguisse. Finalmente uscì dal vicolo e sbucò proprio di fronte alla struttura; la facciata era molto grande ed era visibilmente curata: la vernice era fresca di un bianco abbagliante e i vetri risultavano come degli specchi alla luce del sole. Dopo aver osservato per pochi istanti il tutto, provò ad avvicinarsi alla porta e si aprì di scatto. Carlo aveva il cuore in gola e, tenendo stretto a sé Marley, decise di varcare la soglia…  

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CAPITOLO V

 

Anna era ormai sfinita, le girava la testa e non capiva dove fosse. Le ferite sulle braccia continuavano a bruciarle. Si coricò sul sudicio materasso, l’odore di muffa la avvolgeva, quasi soffocandola. Tentava di tenere gli occhi aperti, ma la polvere caduta dal soffitto le offuscava la vista. A un certo punto però sentì dei suoni pesanti e ovattati, forse dei passi?  Cercando di concentrarsi meglio riuscì a percepire delle voci forti e vicine coperte da un ronzio continuo: una TV? Una radio?

Pian piano le voci, dapprima confuse, si fecero sempre più chiare e riuscì a distinguere alcune frasi. «Se non fosse stato per suo padre, forse avrei potuto innamorarmi davvero di lei». Al sentire queste parole Anna rimase completamente esterrefatta. Non riusciva a crederci, non poteva essere vero! Improvvisamente udì due voci maschili in lontananza, le aveva già sentite. Ne era certa.

«Abbiamo fatto il nostro lavoro, ora vogliamo risposte!»  dissero i ragazzi. «Quel che è giusto è giusto, anche voi avete diritto di sapere, visto che ci siete dentro fino al collo – rispose la prima voce – Iniziò tutto all’incontro dei no TAV, quando io e Anna iniziammo a parlarci per la prima volta. Nella confusione infatti ci scontrammo e discutemmo un po’ delle problematiche riguardo all’alta velocità che si erano scatenate nell’ultimo periodo. Sentendoci subito a nostro agio decidemmo di scambiarci l’Instagram e da quel momento iniziammo a scriverci ogni giorno. Cominciammo anche a frequentarci e Anna mi raccontò della sua situazione familiare, non aveva mai conosciuto il padre. Di lui sapeva solo che era un uomo molto importante e ricco, invischiato in diversi affari, titolare di molte proprietà. Un giorno però fu commissionata a mio padre, dalla FVT per cui lavorava, la costruzione di tratto del binario dell’impianto ad alta velocità. Mentre svolgeva, come ogni giorno il suo dovere, però mio padre è morto. Morto! Così dovetti affrontare un colloquio con l’amministratore delegato della FVT. Non so come accadde, ma capii subito che doveva trattarsi del padre di Anna e infatti il cognome era lo stesso, le assomigliava molto, i tratti del viso erano identici e gli avevo sentito dire che aveva una figlia proprio di nome Anna».  Sconvolta da tutta questa situazione Anna sentiva il bisogno di essere certa di ciò che aveva appena sentito, la sua mente cercava di smentire in ogni caso la possibilità che lì fuori ci fosse realmente Chloe. Si sentiva come un incubo. Decise allora di avvicinarsi alla porta per provare a capire chi si trovasse là fuori da quella porta, ma gli occhi di Anna erano troppo affaticati per distinguere le sagome nere al di là della serratura, inoltre la quantità di luce non era certo sufficiente. Tutto ciò che riuscì a vedere, invece, era il luogo che la circondava, essendosi abituata al buio. La stanza era lurida, lercia, la muffa contornava tutti gli angoli delle pareti e c’era un vecchio tappeto beige che ornava il pavimento. Era profondamente turbata e ciò non le permetteva di riuscire a riflettere su quello che stava succedendo. Con i pensieri che le rimbombavano in testa, Anna iniziava a realizzare sempre di più chi si trovava dietro quella porta, ma era rimasta ancora incredula, come aveva potuto farle questo? Era frastornata da emozioni contrastanti e difficilmente riusciva a distinguere il dolore psicologico da quello sentimentale.   Nel frattempo Carlo, dopo aver preso diversi medicinali per il forte mal di testa, riuscì a trovare le forze per dirigersi al luogo indicato da quell’indecifrabile numero sul collare. Si preparò, afferrò uno zaino dove mise una torcia, una bottiglietta d’acqua, il telefono e per finire chiamò Marley e si incamminarono. Passo dopo passo con la testa altrove, cominciò a pensare alla gravità della situazione: «Cosa sto facendo? Come ho fatto a finire in questa storia? Non è pericoloso che io faccia tutto questo da solo? Non sarebbe meglio chiedere aiuto? – disse Carlo rivolgendosi a Marley – Ma che cosa mi sta succedendo? Sto parlando con un cane! Ora basta, devo calmarmi» ribadì Carlo per convincersi. 

Nonostante avesse provato a tranquillizzarsi fermandosi più volte, l’ansia non cessava di salire, man mano che andava avanti era sempre peggio. Era quasi giunto a destinazione e riuscì a intravedere tra due palazzi l’insegna al neon blu dell’Hotel Master. Cominciò a correre per raggiungerlo più velocemente, accertandosi che Marley lo seguisse. Finalmente uscì dal vicolo e sbucò proprio di fronte alla struttura; la facciata era molto grande ed era visibilmente curata: la vernice era fresca di un bianco abbagliante e i vetri risultavano come degli specchi alla luce del sole. Dopo aver osservato per pochi istanti il tutto, provò ad avvicinarsi alla porta e si aprì di scatto. Carlo aveva il cuore in gola e, tenendo stretto a sé Marley, decise di varcare la soglia… 

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CAPITOLO VI

 

Carlo entrò nell’hotel. Si girò verso il receptionist e salutò con finta nonchalance, fingendosi un ospite, poi si avviò al primo piano in cerca della stanza 12, con Marley nascosto nel giacchetto. Vagò un po’ per i corridoi del primo livello, ma non la trovò; individuò invece una porta, l’ultima in fondo vicino alle scale antincendio, senza numero. Doveva essere quella la camera!

Giunto davanti alla porta, fece per aprirla, ma si fermò perché sentì provenire dall’interno delle voci, di una ragazza ed un uomo; si mise ad origliare. L’uomo disse: «È tutto programmato! Il treno passerà nel punto stabilito fra poche ore e l’inaugurazione inizia fra due».

«Quindi sai già cosa fare?» chiese la voce femminile.

«Io devo andare all’inaugurazione, non posso saltarla. Quindi devi andare tu a spostare la leva! Ti chiamerò quando il treno è partito».

«Non credo alle mie orecchie! – pensò Carlo – Sembra stiano parlando della TAV, e in effetti l’inaugurazione è proprio oggi. Vorranno mica far deragliare un treno?! Tra l’altro mi pare di sentire una voce familiare; è quella di Chloe!! Perché è lì? Con chi sta parlando? Che intenzioni hanno? C’entra qualcosa con la sparizione di Anna?».

Ma all’improvviso, “BAU BAU”! Anche Marley doveva aver riconosciuto la voce di Chloe! 

Calò il silenzio. Pochi istanti di eterna durata. A Carlo mancò il respiro. Nella stanza si udirono dei passi. Gli occhi di Carlo guardarono la maniglia, che si abbassò. Questione di secondi e la porta si spalancò. Un imponente ed elegante uomo lo osservava dall’alto al basso: «Posso aiutarla in qualche modo?».

Da dietro l’uomo spuntò fuori il viso di Chloe, che esclamò esterrefatta: «Ma tu sei l’amico di Anna!».

Guardando verso di lei, Carlo intravide in tutta la stanza delle piantine con segnati sopra dei percorsi. Lo sguardo dell’uomo si incupì; capì che Carlo li aveva sentiti parlare e poteva aver visto i piani, così l’omone tentò di afferrarlo; al che Marley ringhiò. Carlo fu preso dal panico e si precipitò giù per le scale antincendio, inseguito dall’uomo. 

Fuori pioveva. L’acqua rendeva scivolosi i gradini. 

Alla fine della prima rampa, il giacchetto si impigliò alla ringhiera e Carlo, cercando di divincolarsi, perse l’equilibrio e scivolò, battendo la testa. 

 

 

La fame era tornata; cibo e acqua erano finiti quel mattino. Si rigirò sul materasso senza trovare una posizione comoda. Pensava ancora a come quei due tipi l’avessero portata lì; l’ultima cosa che si ricordava è che le avessero chiesto di andare al bar per un aperitivo dopo quella corsa. Dopo averlo bevuto, tutti i suoi ricordi si annebbiarono. 

Ad un certo punto sentì dei rumori. Qualcuno stava trascinando qualcosa fuori dalla porta, che si aprì di scatto; le luci si accesero e Anna vide un uomo imponente che stava trascinando un corpo fino all’angolo in cui si trovava Anna e lo legò al suo stesso termosifone; lo riconobbe dopo qualche istante: era il ragazzo del parco, Carlo. Cosa ci faceva lì? 

Sembrava morto. 

Vi era un silenzio assordante, interrotto solamente dallo scorrere dell’acqua nelle tubature. Quegli attimi sembrarono un’eternità, ma in realtà passarono solo pochi minuti. La ragazza udì improvvisamente un respiro affannato. Carlo era vivo, ma faticava a respirare. Allora Anna si precipitò a osservare le condizioni di Carlo, che improvvisamente riprese coscienza e vide il volto candido della ragazza: «Finalmente la mia Anna! – pensò Carlo – I suoi capelli sono incantevoli, la sua pelle soffice come il cotone e i suoi occhi sono favolosi!».

Tentò disperatamente di abbracciarla, ma lei si scansò di colpo. 

«Come sei finito qui?» chiese la ragazza. «L’ultima cosa che mi ricordo è di essere entrato nell’hotel Master e di aver sentito quest’uomo parlare con la tua amica Chloe di piani sospetti inerenti ad un treno», rispose il ragazzo.   

A quel punto, dalla porta sbucò Chloe che esclamò: «Ma allora non hai capito proprio niente!! Secondo te sono nostri quei piani?!». Carlo rimase di stucco. Vide Chloe guardare Anna, quindi si girò verso di lei in cerca del suo sguardo, in cerca di spiegazioni. 

«Avevo pochi mesi quando mio padre sparì; mia madre rimase sola all’età di 37 anni e fu molto difficile superare quel brutto momento. In seguito, lei mi raccontò che lui era morto durante un incidente, ma anni dopo è stata lei stessa a confessarmi  che è vivo, è molto ricco  ed è uno dei finanziatori dell’Alta Velocità. Da quel momento ho partecipato a tutti i cortei No TAV. Proprio ad un corteo ho conosciuto Chloe, il cui padre è morto durante i lavori, e ci siamo legate molto; almeno, per me è stato così… Nell’ultimo periodo le cose sono cambiate e ci siamo allontanate… Comunque, per vendicarmi di mio padre ho architettato un piano per far deragliare il primo treno».

Carlo rimase scosso e i suoi pensieri si offuscarono.

L’uomo, ancora presente nella stanza, a quel punto non riuscì più a trattenersi ed esclamò…

 

 

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CAPITOLO VII

 

«Ciao Anna, sono io tuo padre. Ho intenzione di tenerti prigioniera fino all’inaugurazione della nuova ferrovia, perché vorresti distruggere il mio progetto, la TAV, ma non mi fermerai, stanne certa –

e aggiunse – In un primo momento avevo programmato di mandare all’aria i tuoi piani con l’aiuto della tua “amica” Chloe, ma dal momento che hai coinvolto nel tuo progetto molte persone ho dovuto risolvere il tutto in modo radicale, facendo sparire per un po’ la mente, il motore dell’iniziativa.

Anna rimase basita. Non avrebbe mai pensato che suo padre avesse addirittura il coraggio di rapirla.

Intravedendo arrivare Chloe, pensò che fosse stata rapita anche lei, ma capì ben presto che non era lì in veste di vittima. Anna prese dunque coraggio e le chiese che cosa c’entrasse lei in questa storia e la supplicò di liberarli. Chloe, con voce tenebrosa e fare sbrigativo, le spiegò: -Ho conosciuto tuo padre a seguito dell’incidente del mio, in quanto amministratore delegato della FVT. In quell’occasione mi ha proposto di aiutarlo  per un progetto contro i no TAV in cambio di un’ingente somma di denaro e io ho accettato, anche perché, non arrivando più a casa lo stipendio di mio padre… Poco dopo, al corteo ti ho avvicinata e poi il resto già lo sai».

A tal punto intervenne nuovamente il padre di Anna che chiamò due aiutanti per far slegare dalle catene i due ragazzi che, in un certo senso, gli facevano pena. Appena entrarono, Anna non poté credere ai propri occhi: si trattava dei ragazzi del parco, quelli che le avevano offerto l’aperitivo. Una volta “liquidati” dal capo, sparirono.

Il padre aggiunse: «Carlo, tu non dovresti essere qui, ma origliando hai capito troppe cose».

Rimasti senza parole, i due prigionieri guardarono l’uomo e Chloe uscire dalla stanza confabulando.

Anna, qualche ora dopo, cominciò a sentirsi male: aveva dolori alla testa e si sentiva svenire. Dopo qualche ora apparve chiaro che fosse salita la febbre a entrambi. Chloe arrivò e diede loro da mangiare della minestra. Anna si fermò e fece notare a Carlo di non sentire più il gusto del cibo. Anche il ragazzo, assaggiato il suo pasto, lamentò il medesimo problema. Carlo cominciò a pensare che potesse trattarsi del nuovo virus cinese del quale si stavano diffondendo le prime notizie di contagi in Italia. Il ragazzo, dunque, preoccupato, espresse le sue perplessità ad Anna.

All’improvviso si aprì la porta, dalla quale entrò il padre di Anna. Carlo gli disse: -Io ed Anna non stiamo bene.

Anna intervenne e specificò la sintomatologia.

Suo padre controbattè: «Che cosa? Parlate su, che non abbiamo tempo da perdere!»

Uscito, il padre di Anna si mise a confabulare con Chloe. Dall’interno si sentivano solo brusio e delle parole confuse. Dopo qualche minuto i due rientrarono e dissero: «Per non infettare tutti, se per caso fosse Covid, cercheremo di starvi lontano».

Al padre di Anna non interessava molto lo stato di salute dei prigionieri, nonostante uno di loro fosse sua figlia, e farli visitare da un medico sarebbe potuto essere pericoloso. 

Chloe vide aggravarsi le condizioni di salute dei due e, dato che non ci teneva ad avere delle vite sulla coscienza e si stava pentendo di aver ascoltato il padre di Anna, decise di convocare uno studente di medicina suo amico che si stava specializzando in virologia che avrebbe potuto aiutarla a tradire il capo e far evadere i due, perché, ormai, si era resa conto che l’amministratore delegato la stava usando e riempiendo di bugie.

Appena arrivò, l’aspirante medico si mise a visitare i due prigionieri, ma non ebbe il tempo di finire, perché sopraggiunse il padre di Anna che si arrabbiò con Chloe: «Ma come ti sei permessa di chiamare il medico, forse non avevi capito che qua il capo sono io?».

Chloe, spaventata, ma determinata, controbatté: «Questo è un mio amico, stia tranquillo, ha promesso che non proferirà parola con nessuno di ciò che sta vedendo».

Il padre, irritato, andò dal medico, lo prese in disparte e lo avvertì: «Non provare a dire a nessuno ciò che hai visto, altrimenti sono guai seri, per te e per la tua famiglia!»

Mentre il medico finse di andarsene, iniziò un’accesa discussione tra Chloe e il padre di Anna, che, distratto, dimenticò di chiudere la porta della stanza nella quale erano tenuti i prigionieri. Approfittandosene, le vittime uscirono e, furtive, raggiunsero le scale dell’edificio dove trovarono l’amico di Chloe che, contrariamente a quello che ci si sarebbero aspettati, li aiutò a trovare l’uscita dello stabile. Le loro condizioni di salute erano piuttosto gravi e cominciavano ad avvertire alcune difficoltà respiratorie.

Mentre stavano varcando la soglia dell’edificio, ecco comparire il padre di Anna che li stava inseguendo, ma la sua corsa furiosa si arrestò appena sentì il suono delle sirene delle auto della polizia e dell’ambulanza che erano state avvertite dall’aspirante virologo. Fortunatamente, dopo una gravità iniziale, i sintomi, data la loro giovane età, si erano attenuati e i due furono rapidamente dimessi. 

Era tutto finito, ma Carlo non riusciva a smettere di pensare a ciò che era successo. Anche se non era più prigioniero si sentiva ancora tale. Qualcosa di positivo in questa vicenda però c’era: Marley aveva ritrovato la sua padrona e Carlo avrebbe continuato a vederlo al parco insieme alla sua nuova amica Anna. 

Chloe preferì partire e lasciare Torino, almeno per un po’: la storia tra le due non decollò, date le varie traversìe. Anna e il padre avevano ancora molto di cui parlare…

Carlo sentiva il bisogno di schiarirsi i pensieri e di trascorrere un po’ di tempo fuori. Stava piovendo, ma a lui pareva una doccia di lacrime dal cielo; le gocce gli saltavano addosso come in una danza scoordinata. Questa storia sarebbe rimasta nella sua testa, impressa insieme alle altre avventure, nell’attesa che il tempo la cancellasse, lasciandogli un’impressione e nulla più.

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RESPONSABILI DEL PROGETTO

Prof.ssa Silvia Bertone

Prof.ssa Alessandra Belfiore

DOCENTI COORDINATORI

Prof.ssa Monica Menichelli

Prof.ssa Silvia Bertone

Prof. Andrea Sanfilippo

Prof.ssa Claudia Regis

Prof.ssa Alessandra Belfiore

Prof.ssa Stefania Lovera

Prof.ssa Tiziana Giuggia

CLASSI PARTECIPANTI

2^ S LISS

1^ S LISS

2^ E LINGUISTICO

1^ A CLASSICO

2^ D LSU/A LES

1^ B SCIENTIFICO

1^ D LSU

9
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