Radegonda by ale bro - Ourboox.com
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Radegonda

  • Joined Apr 2022
  • Published Books 1

La beatissima Radegonda nasce nel 520 da Bertario, re della Turingia. Ella è dunque quanto «di più alto può toccare al mondo, essendo nata da stirpe reale» (II, 3).

Si ha notizia da Gregorio di Tours che il padre fu assassinato dallo zio Ermenefrido, il quale fu a sua volta sconfitto da Clotario, re dei Franchi (531). La regione è devastata «da selvaggio furore» e la bambina diviene preda di guerra del sovrano, ed esiliata, come le figlie di Israele. Dopo aver vinto la contesa accesasi sul possesso della principessa reale, che equivale al diritto di controllo sulla popolazione dei Turingi, Clotario la manda nella villa di Athies, nel Vermandois, affinché vi riceva un’ottima educazione da alcuni maestri. Radegonda, che è bellissima, «viene erudita nelle lettere» e giunge a un elevato grado di istruzione. Ma sono soprattutto i suoi comportamenti a lasciar presagire la sua futura santità. La puella senex è buona e caritatevole, serve gli altri bambini, cura con grande dedizione l’oratorio e l’altare.

Nel 538 Clotario la fa condurre a Soissons, per prenderla in sposa, nonostante lei cerchi di sottrarsi al matrimonio con un «principe della terra» (III, 9). Venanzio non lo dice, ma Clotario, figlio di Clodoveo, aveva già avuto quattro mogli (Ingunde, Aregunde, Cunsina e Gunteuca) e almeno nove figli.

La santa «sposò un principe della terra, né tuttavia fu separata dal principe celeste» (III, 9). Piuttosto che da Clotario, ella si lascia guidare e consigliare dai vescovi. Fa continuamente elemosine e tutto ciò che le resta lo distribuisce ai monasteri. «Presso di lei mai la voce di un misero suonò vanamente, né essa andò via senza averla ascoltata; donava spesso degli indumenti, essendo convinta che sotto la veste di un indigente si nascondevano le membra di Cristo» (III,11).

Nella sua villa di Aties, dono di Clotario, «prestava servizio ai poveri come una serva» (IV, 12), lavava le donne indigenti con bagni caldi e curava le loro piaghe.

2

Non meno virtuoso è il suo stile di vita nel palazzo. Durante i banchetti di corte si nutre solo di fave e lenticchie, e non appena possibile si ritira dal convito «per compiere il suo dovere verso Dio» (IV, 13). Di notte ugualmente si allontana dal talamo nuziale per dedicarsi alla preghiera, indossando il cilicio, tutta penetrata dal gelo e assorta nel pensiero del paradiso, tanto che «veniva detto al re che egli aveva per sposa una monaca piuttosto che una regina» (V, 14). La vita coniugale si rivela quindi disastrosa, ma la regina sopporta con pazienza i rimproveri del marito e costui dopo gli alterchi ripara le offese nei suoi confronti colmandola di doni
(VII, 18).

3

In seguito a una congiura di palazzo, Clotario I mette a morte il fratello di Radegonda, ultimo affetto rimastole della sua famiglia (Venanzio non lo dice, ma la notizia è riferita da Gregorio di Tours).  La vita a corte le diviene insopportabile. Con il permesso del re, si reca allora a Noyon dal vescovo Medardo, e gli chiede  di consacrarla al Signore, rivestendola dell’abito da monaca (XII, 26). Il prelato esita sia per motivi religiosi che per le pressioni dei cortigiani, i quali lo minacciano: non è suo diritto sottrarre al re la sua sposa legittima. Dinanzi alle esitazioni del vescovo, Radegonda prende l’iniziativa: va in sacrestia, depone la porpora reale e indossa la veste monastica in una sorta di autoconsacrazione. Quindi dice a Medardo, quasi sfidandolo: «Se tu avrai rimandato di consacrarmi e avrai temuto più un uomo che Dio, ti sarà chiesto conto, o pastore, del tuo impegno per l’anima di una tua pecorella» (XII, 26). Come colpito da un tuono, il vecchio presule le impone le mani sulla testa e la consacra diaconessa.

Dopo la sua consacrazione Radegonda si spoglia dei suoi preziosi ornamenti per donarli ai monasteri (XIII, 29); si reca in pellegrinaggio nei luoghi di san Martino, (XIV, 33); si ritira nella villa di Saix dove prepara ostie per le chiese, si prende cura personalmente dei poveri e dei lebbrosi: «[…] lei stessa cinta di un panno lavava le teste ai poveri, puliva qualsiasi cosa vi era, croste, scabbia, tigna, non infastidendosi delle piaghe piene di pus; nel frattempo estraeva anche i vermi, puliva le putredini della pelle e lei stessa pettinava ad una ad una le teste che aveva lavato. Inoltre leniva le ulcere delle cicatrici che la pelle staccata aveva messo allo scoperto e che le unghie avevano irritato e calmava l’infezione della malattia con olio sparsovi sopra, secondo quanto dice il Vangelo» (XVII, 39-40).

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