L’isola di Arturo versione illustrata by rosanna - Ourboox.com
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L’isola di Arturo versione illustrata

  • Joined Mar 2022
  • Published Books 1

Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra,
fu tutto.
E non san mai rubato quest’unico tesoro
ai tuoi gelosi occhi dormienti.
Il tuo primo amore non sarà mai violato.
Virginea s’è rinchiusa nella notte
come una zingarella nel suo scialle nero.
Stella sospesa nel cielo boreale
eterna: non la tocca nessuna insidia.
Giovinetti amici, più belli d’Alessandro e d’Eurialo,
per sempre belli, difendono il sonno del mio ragazzo,
L’insegna paurosa non varcherà mai la soglia
di quella isoletta celeste.
E tu non saprai la legge
ch’io, come tanti, imparo,
— e a me ha spezzato il cuore:
fuori del limbo non v’è eliso.

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Nonostante la nostra agiatezza, noi vivevamo come selvaggi. Un paio di mesi dopo la mia nascita, mio padre era partito dall’isola per un’assenza di quasi mezz’anno: lasciandomi nelle braccia del nostro primo garzone, che era molto serio per la sua età e m’allevò con latte di capra. Fu il medesimo garzone che m’insegnò a parlare, a leggere e a scrivere; e io poi, leggendo i libri che trovavo in casa, mi sono istruito. Mio padre non si curò mai di farmi frequentare le scuole: io vivevo sempre in vacanza, e le mie giornate di vagabondo, soprattutto durante le lunghe assenze di mio padre, ignoravano qualsiasi norma e orario. Soltanto la fame e il sonno segnavano per me l’ora di rientrare in casa.

4
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Nel mio famoso codice delle Certezze Assolute, nessuna legge riguardava le donne e l’amore; perché nessuna certezza (tolto l’affetto materno) poteva darsi, per me, riguardo alle donne. Il più grande amico di mio padre, Romeo-Boote, le odiava; ma mia madre, come donna, era stata anch’essa una ripudiata, per lui? Questa domanda era un motivo di diffidenza fra me e l’ombra dell’Amalfitano. E rimaneva senza risposta: giacché nessun discorso avevo ancora udito mai da mio padre, né dall’Amalfitano, né sulle femmine; e il suo sorriso (allorché si menzionava il terrore d’ogni donna per la Casa dei guaglioni), non era una spiegazione, ma piuttosto un enigma.

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Son curioso di sapere che frase poi intendessi dirle, perché a quel tempo ancora non capivo niente (e capisco forse adesso?); ma ero certo che avrei parlato, sebbene, in quell’ultimo tratto di strada, di tutte le possibili parole esistenti non ne ricordassi che una: Nunziatella. Ripetevo dentro di me questa parola Nunziatella con lo stesso ritmo disperato dei miei passi. E tutto il resto era oscurato, non udivo né vedevo più nulla.

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Artù, — come se non mi riconoscesse, e, stranamente, aggrapparmisi, come per chiedere, a me, aiuto; mentre che io, in una specie di affermazione spavalda, la stringevo più forte, premendo le mie labbra contro le sue.
Intorno alle sue palpebre ammorbidite s’era sparso un pallore debole e attonito. Le sue labbra, da fredde, s’erano fatte brucianti. E allora io sentii nella bocca un gusto di dolcezza sanguinosa che in un attimo distrusse nella mia mente tutti i pensieri. D’un tratto la mia voce disse: — Nunziata! Nunziatè! — ma in quel momento medesimo ella si strappò da me con una disobbedienza feroce, e incominciò a negare con la testa, in un modo tenero, sbigottito e febbrile.
Per un minuto stette così, a un passo da me, come se, trasognata, non ancora consapevole, interrogasse un mistero; ma la sua testa ricciuta (che mai m’era apparsa di una bellezza così angelica) si ostinava in quella sua negazione feroce, e i suoi occhi già mi evitavano, pieni di colpa e di spavento.

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Bieco individuo.
Avevo pensato aspetterà un ergastolano solo per una induzione ironica, senza prevedere, invece, che indovinavo il vero. Mi avvidi, in quel punto, che la camionetta del Penitenziario, da me non notata prima, sostava all’imbocco della piazza; e che una guardia in divisa grigioverde, con la baionetta a tracolla, passeggiava in prossimità del piroscafo, avanti e indietro. Segni sicuri, questi, che, a bordo, c’era un qualche nuovo ospite del castello di Procida, tuttora rinchiuso nella cabina di sicurezza presso la stiva, in attesa che le due guardie addette al suo seguito lo traessero a terra. Seguì un altro breve intervallo, forse un minuto, durante il quale mio padre parve raggiungere, con una estrema esigenza della volontà, un’apatia fredda e immobile, quasi che non gli importasse più nulla dell’imminente episodio, e di nessun altro evento umano! Teneva sempre le palpebre chine, allorché d’un tratto lo vidi trasalire, e i suoi occhi, pieni di luce, infantili, azzurri, levarsi istintivamente verso il ponte di coperta del battello. In quell’istante medesimo, l’atteso terzetto, ormai familiare agli abitanti dell’isola, apparve sul ponte, dirigendosi alla scaletta.

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Per esempio, avvertii subito, con sicurezza, che
mio padre conosceva quel condannato, non da oggi, ma da prima; e lo sguardo che gli rivolse non mi si cancellerà mai dal cuore. I suoi occhi (sempre i più belli del mondo, per me), come due specchi al passaggio d’una forma celeste, s’erano fatti di un turchino limpido e favoloso, senza nessuna traccia della loro solita ombra torbida. E la loro espressione poteva significare un saluto fedele, un’intesa immaginaria, un’accoglienza povera e disperata; ma, prima di tutto, significava un’implorazione.

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Ormai, gli perdonavo ogni cosa. Anche la sua partenza con un altro […]

Già, però, il marinaio, ai piedi della scaletta, stracciava i nostri biglietti per il controllo; già Silvestro saliva, assieme a me, la scaletta. La sirena dava il fischio della partenza.
Come fui sul sedile accanto a Silvestro, nascosi il volto sul braccio, contro lo schienale. E dissi a Silvestro: — Senti. Non mi va di vedere Procida mentre s’allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia… Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento.
E rimasi col viso sul braccio, quasi in un malore senza nessun pensiero, finché Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse:
— Arturo, su, puoi svegliarti.
Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più.

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