INDICE:
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INTRODUZIONE SULL’AGENDA 2030 pag.2
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Adolescenza e felicità pag.4
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Il benessere fisico pag.7
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Il benessere dell’anima pag.9
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Cenni storici pag.13
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La peste nella letteratura pag.16
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La peste nell’antichità pag.18
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In salute con la matematica pag.21
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The food pyramid pag.23
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Chimica in salute pag.25
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La perfezione del corpo pag.28
AGENDA 2030
L’agenda 2030 è un riferimento globale per l’impegno nazionale e internazionale, ha lo scopo di trovare soluzioni comuni alle grandi sfide del pianeta.
Salute e benessere è il terzo obiettivo dell’agenda 2030, una sfida importante contro le malattie e le condizioni di estremo malessere e mira a garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età, annullando l’ingiusto divario tra Paesi ricchi e poveri.
Adolescenza e felicità
La felicità è uno stato emotivo di benessere vissuto, legata ad una specifica circostanza e coincide con il termine gioia, ovvero un emozione positiva, improvvisa e intensa.
PRIMA E TARDA ADOLESCENZA
L’adolescenza è un periodo della vita che va dai 13 ai 18 anni. Si divide in prima e tarda adolescenza. Le circostanze che favoriscono uno stato di felicità in entrambi le fasi dell’adolescenza sono quella del divertimento e dell’appagamento. Nella prima fase sono più frequenti gli episodi che rimandano a relazioni amichevoli e a riuscite scolastiche. La seconda fase, invece è caratterizzata da riuscite sportive, divertimento e relazioni sentimentali.
Questo periodo è caratterizzato dalla presenza di varie emozioni; ci sono ragazzi che affrontano questo periodo con ottimismo e benessere e altri che tendono ad associarla ad emozioni come la rabbia, la paura, la solitudine e la disperazione. Si parla poco degli adolescenti felici e che non si arrendono mai. L’adolescente è in grado di cogliere i piccoli attimi, e sa valorizzare le relazioni. Durante questo periodo si presentano nuovi cambiamenti: l’approccio ad una nuova realtà, si creano le basi per la vita futura e l’accettazione di se stessi.
CHEROFOBIA
La “cherofobia” o “paura della felicità“, nonostante non venga riportata nel manuale dei disturbi mentali, è considerata una forma di ansia anticipatoria, per cui gli individui evitano esperienze che provocano emozioni positive o di gioia.
Hanno paura di ciò che potrebbe accadere dopo, se vanno incontro a momenti felici. I cherofobici di solito nel periodo infantile hanno vissuto punizioni e umiliazioni, distruggendo momenti felici e sereni. Queste persone sono prevalentemente introverse, che non manifestano la loro tristezza o il loro disagio e agiscono in modo nascosto. Le persone a loro vicine devono convincerli ad affrontare il problema, con l’aiuto della psicoterapia.
Il benessere fisico
I DISTURBI ALIMENTARI(DCA)
I disturbi alimentari, consistono in una disfunzione del comportamento alimentare compromettendo lo stato di salute fisica e psicosociale di una persona. Questo disturbo è caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione per il peso e la firma fisica. Il DCA sorge prevalentemente durante l’età adolescenziale e colpisce soprattutto il sesso femminile.
I principali disturbi:
-L’anoressia nervosa è un disturbo mentale grave che colpisce prevalentemente gli adolescenti. I soggetti cercano di mantenere il proprio peso più basso possibile con: restrizione dietetica, inducendo il vomito e praticando un’intensa attività fisica.
– La bulimia è un disturbo del comportamento che consiste in un’eccessiva assunzione di cibo, seguita da episodi finalizzati a liberarsi della quantità di cibo ingerita. Ed è causato da due fattori: uno socio-culturale e l’altro psicologico.
-L’obesità è un eccessivo accumulo di grasso corporeo. Questo disturbo può provocare delle malattie come diabete e infarto, riducendo così l’aspettativa di vita.
Il benessere dell’anima
La felicità è uno stato d’animo caratterizzato dalla serenità. Nell’antichità i greci chiamavano la felicità “eudaimonia“, ovvero il sommo bene, il fine naturale della vita umana. Ogni pensatore ha poi dato una sua personale interpretazione.
La felicità per Aristotele
Il bene supremo per l’uomo, secondo Aristotele, consiste nel vivere secondo ragione. Il filosofo ritiene che la felicità debba essere ricercata nell’interiorità, individuandola anche nei beni esteriori. Egli ha una visione integrale della felicità, in quanto la stessa comunità (polis) permette all’individuo di raggiungere la felicità.
La felicità per i Cinici
Secondo i Cinici, in particolare Diogene di Sinope, oltre alle apparenze la felicità può derivare solo dalla natura umana. Secondo Diogene, la vita felice è raggiungibile dall’uomo.
La felicità per Epicuro
Epicuro riconobbe nella felicità, il fine della vita dell’uomo. Per egli, la felicità consiste nel piacere che ci indica il bene, mentre il male è ciò che provoca dolore. La felicità, inoltre, è un’arte di vivere, che cura le passioni e libera l’individuo dalle paure che possono tormentare il suo animo. Per definire la felicità in modo negativo, ci sono due termini:
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aponia: assenza di dolore
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atarassia: assenza di turbamento.
Secondo l’opinione comune, l’uomo saggio cercherà la felicità nell’amicizia.
La felicità per gli stoici
La scuola stoica sostiene che la felicità consiste nel vivere secondo natura, cioè in conformità con la ragione che regola ogni cosa, ed è una capacità che è posseduta solo dal saggio. La felicità è impercettibile dallo stolto, che vive nell’ignoranza. Secondo tale scuola, quando il saggio non porta a termine il suo dovere, ha l’obbligo di commettere suicidio anche se in quel momento era felice.
La felicità per gli scettici
Gli scettici hanno un’opinione differente da quella degli stoici. Sostengono che prima di provare felicità, bisogna provare una sofferenza.
Secondo Pirrone di Elide, si è felici soltanto se si sa guardare alle cose cogliendo la loro natura.
Il cristianesimo
Il messaggio evangelico, è un messaggio di salvezza inteso come una condizione eterna di beatitudine alla presenza di Dio.
La felicità è il premio che l’anima ottiene dopo la morte, per aver condotto una vita di fede in Gesù e di amore per il prossimo.
La felicità per Agostino di Ippona
Per Agostino di Ippona, Dio stesso è la felicità. Chi sceglie di seguire Dio, è un uomo libero e felice, mentre chi sceglie il male non ha né libertà né felicità.
La filosofia medievale
Secondo molti autori, la felicità consiste nella contemplazione del vero che è Dio, e la felicità è la ricompensa che l’uomo buono merita per la sua condotta di vita.
La felicità per Alberto Magno
Per Alberto Magno la perfetta felicità dell’uomo, è la sua piena realizzazione nella conoscenza intellettuale.
La felicità per Tommaso D’Aquino
Per Tommaso D’Aquino, Dio rappresenta la felicità che l’anima non può conoscere finché è legata al corpo.
Gli Averroisti Latini
Secondo gli Averroisti Latini, la pratica dell’indagine filosofica sarebbe capace di condurre l’uomo già in vita a una piena felicità.
Pratiche terapeutiche epicuree
Epicuro fonda una scuola ad Atene chiamata “Il Giardino“;
era una comunità filosofica aperta a tutti. Per entrare nella scuola non è richiesta una preparazione di base filosofica. Durante la permanenza bisognava interrompere i rapporti con i familiari, abbandonare la propria occupazione e donare i propri beni personali affinché lo scolaro potesse iniziare un nuovo tipo di vita basato su attività filosofiche e rapporti umani.
Nella scuola di Epicuro erano escluse la matematica e la geometria e si studiava la fisica.
Lo studio era basato su due tecniche:
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Imparare a memoria i maggiori scritti del maestro
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Meditare quotidianamente
Pratiche terapeutiche stoiche
Gli stoici non fondano alcuna comunità terapeutica.
Nelle pratiche terapeutiche stoiche ognuno diventava medico di sé stesso e il rapporto maestro-alunno era di tipo paritario. L’alunno deve essere disposto a:
cambiare vita, ad astenersi dalla preghiera e a nutrire un grande rispetto per la poesia.
Uno stoico si dedicava allo studio della logica, della psicologia, del ragionamento e delle opere dei filosofi.
Pratiche terapeutiche scettiche
Delle pratiche terapeutiche scettiche abbiamo poche notizie, perché non istituirono scuole o comunità e non elaborarono manuali poiché secondo loro, la vita consiste nel non assumere alcun comportamento particolare.
Il maestro invita a raccontare la propria esperienza e ad analizzare il disagio senza l’uso di cure standardizzate.
Le scuole ellenistiche
Le scuole ellenistiche sono le prime ad aver riconosciuto l’esistenza di motivazioni e credenze inconsce, per questo la filosofia non è più svolta in modo accademico e tratta argomenti occasionali.
Cenni storici
La rinascita dell’Europa iniziata nell’XI secolo era stata caratterizzata da un aumento della popolazione e della produzione agricola, dalla ripresa della città e dallo sviluppo dei commerci. Questa lunga fase di espansione si concluse tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, quando l’Europa entrò in un periodo di recessione, definito dagli storici “crisi del ‘300“.
Dobbiamo considerare una pluralità di concause intrecciate fra loro che nel loro insieme derivano dalla debolezza del sistema economico medievale. Negli ultimi decenni del ‘200 si era verificato un fenomeno che gli storici chiamano “squilibrio tra popolazione e risorse” ossia una sproporzione tra le risorse alimentari disponibili ed una popolazione in crescita costante da 3 secoli. In questo periodo si verificò un calo delle temperature. Nel 1315 e 1317 si susseguirono una serie di cattivi raccolti e di carestie, di conseguenza la popolazione subì un forte calo.
Nel corso del Trecento, in Europa la peste divenne una malattia endemica; per questa ragione nell’intero continente si verificò un vero e proprio crollo demografico. Il tasso di mortalità più elevato fu registrato nell’Italia centro settentrionale e nella regione di Parigi, ossia nelle aree europee a più intensa urbanizzazione. La pestilenza ebbe il proprio focolaio in Asia centrale poi nella penisola di Crimea. Secondo alcune fonti dalla colonia genovese di Caffa sul mar Nero, partirono le navi che trasferirono la peste in Europa: durante un assedio alla città, i mongoli avevano catapultato all’interno delle mura cadaveri infetti.
Le navi mercantili di Genova trasportarono inconsapevolmente il morbo in tutti i porti mediterranei (Messina, Pisa, Genova, Marsiglia) così nell’arco del biennio 1348-1350 la peste dilagò nell’intero territorio europeo.
Mentre in Europa si contarono circa 25 milioni di morti (un terzo della popolazione totale), in Italia furono 3 milioni (su un totale di circa 11 milioni di morti).
Il morbo colpì tutti ma infierì in modo particolare sui ceti più bassi, già provati dalla denutrizione e da altre malattie che si manifestarono insieme con la peste. I cittadini più agiati potevano tentare di sfuggire al flagello rifugiandosi nelle loro abitazioni di campagna, dove attendere che la fase acuta dell’epidemia terminasse.
Le conoscenze mediche del tempo erano molto scarse, pertanto i contemporanei non erano in grado né di spiegare il contagio , né di proporre rimedi efficaci per prevenire o curare la malattia.
Le autorità pubbliche si limitavano a prendere misure di emergenza come le quarantene; con il termine peste (dal latino pestis=distruzione, morte) si indicavano diverse tipologie di malattie epidemiche mortali.
La causa della peste fu individuata soltanto alla fine dell’Ottocento da Alexandre Yersin che isolò il batterio Yersinia pestis (pulce di alcune specie di topi che con la loro puntura erano in grado di trasmettere il morbo all’uomo).
Per quanto riguarda i sintomi principali si parlava di dolorosi “bubboni” nell’inguine, nelle ascelle o nel collo accompagnati da febbre alta, nausea, vomito e macchie scure sulla pelle (da cui derivò poi l’appellativo “peste nera”).
L’impatto psicologico esercitato dalla peste sugli individui fu enorme: spingeva a comportamenti antisociali provocati dalla paura.
Nel panico collettivo la causa dell’epidemia venne associata alla collera di Dio. Per ottenere il suo perdono nacquero poi movimenti di penitenti; essi si spostavano in processione per le città colpendosi il corpo con una specie di frusta, il flagello. Molto spesso inoltre, i flagellanti alimentavano l’ostilità delle comunità locali contro gli ebrei, questo fece riemergere l’antigiudaismo.
Il secolare pregiudizio antigiudaico portava a giudicare gli Ebrei perché responsabili della crocifissione e della morte di Cristo. Di fronte alla catastrofe rappresentata dalla peste, essi vennero accusati di voler distruggere la società cristiana avvelenando ed inquinando i pozzi d’acqua o appestando l’aria con polveri e pozioni capaci di diffondere il morbo.
L’ebreo divenne poi un vero e proprio capro espiatorio nell’illusione che la sua eliminazione fisica potesse mettere fine al malessere che la peste aveva causato.
La peste nella letteratura
LA PESTE NEL RACCONTO MITICO
La peste compare per la prima volta all’interno dell’opera di Omero: l’Illiade. Nel libro I si parla della pestilenza che colpì l’esercito durante la guerra di Troia. Per Omero la causa della peste fu una punizione divina, messa in atto da Apollo per punire Agamènnone. L’eroe Achille era stato costretto a consegnare la sua schiava Briseide ad Agamennone, che a sua volta doveva consegnare la sua schiava Criseide al padre Crise, sacerdote di Apollo, per calmare l’ira del dio. Agamennone si rifiutò di restituire Criseide al padre, il quale con l’aiuto di Apollo decise di scagliare una maledizione contro l’esercito acheo.
LA PESTE AD ATENE: UNA TESTIMONIANZA DIRETTA
Anche nella letteratura antica compare il tema della pestilenza. In età classica nel 430 a.C ad Atene scoppiò un’epidemia durante la guerra del Peloponneso. Inizialmente viene narrata dallo storico Tucidide in quanto ne fu testimone in prima persona. Successivamente riprende la tematica Lucrezio nella sua opera il De rerum natura. Per Lucrezio la peste era un fenomeno naturale, venne descritta in modo dettagliato e crudo.
LA PESTE NELLA LETTERATURA MEDIEVALE E MODERNA
Nel 1348 la peste si presentò a Firenze, venne descritta da Giovanni Boccaccio nella sua opera il Decameron. L’opera narra le vicende di tre ragazzi e sette ragazze che una volta abbandonata la città si rifugiano in campagna. La narrazione diventa, quindi, un modo per sopravvivere alla pestilenza, ogni giorno a turno ognuno di loro racconta una novella. Nell’introduzione alla prima giornata l’autore descrive l’evento in un modo terribile e angoscioso e individua le origini e le cause nell’ira di Dio che vuole punire i peccati degli uomini. I rimedi messi in atto da medici furono inutili poiché Boccaccio descrive la peste come un evento che sconvolge ogni ordine familiare e sociale, rendendo ogni persona priva di valori e sopraffatta nella paura.
La peste nera ruppe tutti gli affetti familiari, mettendo a nudo la parte più egoista e malvagia dell’essere umano.
“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura”
La peste scoppiò secoli dopo anche a Milano. Alessandro Manzoni la descrive nella sua opera I PROMESSI SPOSI (1840).
“Può esser gastigo, può esser misericordia”. Manzoni cerca di analizzare le cause della diffusione della peste. Nel romanzo l’epidemia è vista come evento provvidenziale.
IL NOVECENTO
La più celebre opera letteraria del XX secolo sulla tematica della pestilenza è il romanzo dello scrittore Francese Albert Camus, la peste (1947) ambientato in Algeria negli ‘40 del novecento. L’obiettivo è quello di censurare le violenze della seconda guerra mondiale. Il protagonista del romanzo è Rieux, la peste gli portò via affetti e amicizie. C’è chi interpreta le peste come un flagello divino e chi continua la vita di sempre in modo irresponsabile.
«In verità, tutto per loro diventava presente; bisogna dirlo, la peste aveva tolto a tutti la facoltà dell’amore e anche dell’amicizia; l’amore, infatti, richiede un po’ di futuro, e per noi non c’erano più che attimi»
La peste nell’antichità
Una delle epidemie che ha colpito gravemente la popolazione nell’antichità e che ricordiamo grazie alle fonti che ci sono pervenute dagli autori del tempo è la peste, che colpì gli abitanti dell’Attica di Atene nel 430 a.C. durante la guerra del Peloponneso. L’epidemia ci viene narrata dallo storico greco Tucidide nella sua opera “Guerra del Peloponneso”, egli descrive con precisione i sintomi e le manifestazioni della malattia perché lui stesso ne fu colpito, ma riuscì a sopravvivere. Il racconto di Tucidide continua poi con la descrizione dei lazzaretti, i cadaveri lasciati insepolti lungo le strade e la crisi sociale. La peste, secondo Tucidide, è vista come una calamità dovuta all’ira divina. A questo modello Lucrezio si ispira fedelmente ponendo l’attenzione sugli aspetti clinici e psicologici della malattia nel capitolo VI della sua opera, il “De rerum natura”. Nei vv. 1145-1178 Lucrezio si sofferma sulla descrizione dei sintomi causati dalla peste “l’individuo aveva gli occhi iniettati di sangue, il corpo e il capo arrossato da ustioni. Gli aspetti psicologici che sfinivano gli infermi erano l’angoscia, un pianto incessante e continui lamenti”. Anche la medicina risultava impotente di fronte al dolore della malattia. Lucrezio nei vv. 1182-1189 descrive l’avvicinamento del contagiato alla morte. Dopo essersi soffermato sui terribili effetti della peste nei momenti che precedono la morte nei vv.1190-1214 descrive coloro che momentaneamente non avevano contratto la malattia e che per sfuggire al contagio si mutilavano genitali e arti con un ferro. Il poeta nei vv.1215-1238 sottolinea che il contagio non risparmiava nemmeno bestie selvagge e uccelli. La sensibilità di Lucrezio per la triste sorte dell’umanità, traspare chiaramente nel suo invito alla solidarietà reciproca, l’unica via per una morte dignitosa. Inoltre demonizza gli atteggiamenti egoistici che portavano a una morte vergognosa e infame (vv.1239-1246). Nei vv. 1272-1286 l’autore, infine, descrive anche la decadenza sociale e morale del periodo dove regnava solo dolore e terrore.
In salute con la matematica
Per calcolare il peso ideale, servono solo due dati:
–altezza
–sesso dell’individuo
Più che di peso ideale, è meglio parlare di fascia di peso ideale, ovvero intervalli di pesi entro i quali si può considerare un individuo normopeso.
Le due formule fanno riferimento al modello Devine:
Peso (in kg)+2,3kg x (h-60)
DONNA = 45,5 kg + 2,3 kg x (h-60)
UOMO = 50 kg + 2,3 kg x (h-60)
h è espressa in pollici (1 pollice = 2,54).
Per i bambini di età compresa tra i 1 e i 10 anni, la formula per calcolare il peso ideale è:
2 x ay + 10 (ay sta per l’età del bambino).
Per i bambini inferiori a 1 anno, la formula è: ½ am + 4
(am sta per l’età del bambino).
Chimica e salute
La chimica è una disciplina che condivide il proprio nome come scienza. I suoi prodotti non vengono utilizzati direttamente poiché essi sono prevalentemente beni intermedi impiegati da altre industrie per produrre i beni finali. Tra scienza e industria chimica c’è un legame fortissimo: la scienza studia le proprietà e le trasformazioni della materia mentre l’industria chimica acquisisce le conoscenze scientifiche e attraverso l’attività di ricerca rende disponibili, sotto forma di tecnologie, prodotti che contribuiscono a migliorare il benessere e la qualità della vita. Per queste caratteristiche, l’industria chimica ha un ruolo centrale nel soddisfare i bisogni di una parte sempre più ampia della popolazione mondiale che sta conquistando o migliorando il suo benessere.
La chimica inoltre consente di ottenere tantissimi prodotti attraverso successive trasformazioni di diverse materie primeorganiche (petrolio, carbone, gas, biomasse) ed ricerca continuamente nuove strade per realizzare i suoi innumerevoli prodotti tra questi: la petrolchimica, fa uso intelligente e sostenibile del petrolio utilizzando i suoi derivati come materie prime per ottenere moltissimi prodotti, quali i manufatti in plastica; la chimica da biomasse: utilizza materie prime di origine biologica per realizzare prodotti chimici e biocarburanti, contribuendo alla sostenibilità attraverso l’uso di materie prime che comportano minori emissioni di gas serra e l’offerta di prodotti biodegradabili o biocompostabili.
La perfezione del corpo
Il Discobolo venne realizzata intorno al 460-450 a.C. da Mirone e rinvenuta sull’Esquilino nel 1781, la statua originale era in bronzo oggi invece è nota solo da copie marmoree dell’epoca romana.
L’opera venne probabilmente realizzata per la città di Sparta e raffigura un’atleta nell’atto di scagliare il disco. La statua raffigura un’azione dinamica, l’atleta è chinato in avanti mentre sta per lanciare il disco. La gamba destra è piegata e sostiene il peso del corpo, il piede sinistro è sollevato e poggia a terra.
Frontalmente il busto è ruotato rispetto al bacino, il braccio destro è sollevato e la mano afferra il disco mentre il braccio sinistro è disteso verso il basso e il polso poggia sul ginocchio destro, il volto non ha
espressione.
Questa posizione è ideale per prendere slancio e lanciare il disco lontano.
Published: Mar 8, 2022
Latest Revision: Mar 16, 2022
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