TI RACCONTO UNA STORIA
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TI RACCONTO UNA STORIA

  • Joined Feb 2022
  • Published Books 1

CAPITOLO I

(IL GIOCATTOLO)

Non ricordo nulla della mia vita, ricordo solo i momenti da quando sono arrivato qua, lei piccola e dolce, mi teneva stretto ogni giorno, mi muoveva a suo piacimento, immaginando fiabe di cui ero il fiero protagonista, l’eroe in grado di tutto.

Combattevo draghi, salvavo regni e salvavo lei.

Mi parlava costantemente e non avevo la forza di risponderle, perché ogni volta al suo cospetto la mia bocca si sigillava e non potevo far altro che ascoltarla.

Era magica più delle avventure, più dei castelli e mi parlava, nessuno lo faceva mai.

Sentendo i suoi genitori parlucchiare ho scoperto che le persone così dolci le chiamano pazzi e che c’è un posto in cui si ritrovano tutti assieme, chissà che bello, tutti questi pazzi che si amano.

Ricordo ancora il nostro primo incontro, i suoi occhi luccicanti che mi guardavano con gioia, la bocca tremolante e la voce rotta con cui ringraziasti la famiglia, la torta sulle labbra e quel cinque di cera.

Eravamo noi assieme, ogni giorno, ogni ora, ogni respiro, ricordo tutta la mia vita con te, un tempo infinito.

Ma ora perché non sei più qui?

Ricordo ancora il nostro addio, ero tra le tue braccia, i tuoi occhi luccicanti ma non più di gioia, la voce rotta e le labbra tremolanti con cui salutasti la tua famiglia, quella strana camicetta bianca che ti teneva le braccia e quel sei di cera, abbandonato su quella sedia guardavo mentre attraversavi la porta per l’ultima volta.

Mi misero su di uno scaffale, e stetti la solo finché dopo un tempo infinito si accese un sette di cera, e la tua famiglia attorno, ma tu non c’eri, ho sentito da loro che ora sei in un posto migliore.

Spero tu ti stia divertendo, magari sei dai pazzi o in qualche altro posto, l’importante è che verrai a riprendermi e mi porterai con te.

Ti aspetto.

2

CAPITOLO II

(ERA UN RAGAZZO SVEGLIO)

Era un ragazzo sveglio, ma pochi ci credevano.

Ha passato una vita intera ad abbattere i muri, finendo poi per essere lui stesso colui che li crea.

Non era il massimo della popolarità, e spesso, fin troppo, si camuffava, si nascondeva, mutava la sua essenza in nome della vita.

Ma come puoi vivere nascondendo il tuo viso al sole?

Era un ragazzo sveglio, ma pochi ci credevano,

Piangeva, piangeva spesso, anche senza motivo.

Soffriva il mondo, soffriva la vita, soffriva la gente.

Dimenticò di vivere con una maschera e si scordò il suo volto.

Ma come puoi vivere dimenticando chi sei?

Era un ragazzo sveglio, ma nemmeno più lui ci credeva.

L’alcool, tanto efficace quanto dannoso, buttava giù sorsi di speranza, digeriva il mondo, quel mondo che aveva sullo stomaco da molto.

Ma come puoi vivere odiando il mondo?

Era un ragazzo sveglio, ma non voleva più vivere.

Scordo tutto, odio la vita, bere aiutava e lo mangiava dentro.

Un patto col diavolo.

Venne ricoverato, e si appese a un filo, un funambolo che sfidava l’inferno, sapeva di appartenerci, sapeva che era destino.

Ma come puoi morire se non ne hai paura?

Era un ragazzo sveglio, e inizio ad accorgersene.

Odiava il mondo, ma non perché lui fosse sbagliato, ma perché tutto il resto lo era.

Lui ha troppo cuore per capire il male, troppo cervello per la gente stupida e troppa anima per un corpo.

Pazzo, questo era, almeno secondo la gente, ma lui sapeva che per impazzire bisognava aver capito la vita e lui la capii.

Ma ora sa come vivere…pazzo, distrutto, ma senza maschere.

È un ragazzo sveglio, pochi ci credono ma a lui non interessa.

3

CAPITOLO III

(LEI)

La prima volta che la vidi, era una delle mie solite notti in bianco, passate a bere e a imprecare contro il mondo intero.

Quella sera alzai il gomito più del solito, e non ne ricordo nemmeno il motivo, corsi in bagno, vomitai ovunque.

Avevo quel disgustoso sapore in bocca e mi accorsi di non avere nemmeno staccato la mano dalla bottiglia, ne buttai giù un altro sorso.

Mi alzai e mi diressi verso il lavandino per darmi una sciacquata, barcollavo, mi reggevo a malapena in piedi.

Aprii il lavandino e mi misi con la testa sotto l’acqua ghiacciata, sentivo che piano piano la lucidità stesse tornando ed assieme a lei le paranoie.

Alzai la testa e inizia a sentire un rumore, sembrava una voce, una voce in testa che cercava di comunicarmi qualcosa, non so come successe ma mi ritrovai in cucina, con un coltello in mano appoggiato con la lama sul collo.

Piangevo, non capivo il perché lo stessi facendo, eppure non riuscivo a staccarmi, più cercavo di abbassare il braccio più la voce diventava forte.

E mi si parò davanti, vidi una sagoma, il corpo pieno di lividi e dei tagli sulle braccia.

Mi chiese se ricordassi il mio primo amore, la mia prima delusione e la prima volta che pensai che il mondo facesse schifo.

Mi resi conto che erano talmente tante da non riuscire a ricordarle la metà.

E mi disse che avevo toccato il fondo e che i suoi lividi ne ricordavano i momenti, mi urlo di essermi stata accanto senza che mai l’avessi protetta.

Riuscii a riprendere il controllo, lancia via il coltello, ma mi disse che se lo sarebbe aspettata da me e che avrebbe concluso il lavoro da sola.

Mi puntò il ferro, e cercai di parlarci le dissi che i miei sbagli non c’entravano con i segni sul suo corpo, ma lei non mi ascoltava caricò il colpo mentre le urlai di perdonarmi sommerso dalle lacrime.

Non mi ascolto voleva che pagassi per tutte le volte che l’ho donata a chi la maltrattava.

Chiusi gli occhi e accettai il mio destino, il colpo parti tra le lacrime e mi svegliai.

 

4

CAPITOLO IV

(UNA DURA NOTTE)

È oramai la quinta notte in ospedale, finalmente il mio mal di testa e sparito, non so nemmeno spiegare il dolore provato ma, hai presente quando perdi qualcuno di importante per te, e decidi di sbronzarti per non pensarci, ma tutto inutile…l’alcol riporta solo alla luce i suoi ricordi, il suo profumo, il colore dei suoi occhi ed inizi a vederla ovunque in ogni angolo, inizi a cercare il suo sguardo, il suo sorriso il suo respiro osservando gli altri…e piangi, anzi piango, piango al suo ricordo, piango se non la vedo e sono sicuro che piangerei anche se la vedessi.

Ma tornando a noi questo è il tipo di dolore che ho provato per settimane, eppure li vedo ancora, vedo ancora quei demoni che girano per i corridoi, corridoi apparentemente allegri, fatti per bambini, con cartoni animati e disegni, ma cosa c’è di allegro in un bambino ricoverato o in una ragazza che non riesce ad uscire dalla sua camera e che a breve avrà un’operazione che magari la lascerà bloccata per sempre.

La cosa triste e che bambini ci hanno abbandonato in questi letti, e chi può dirlo, magari uno lo ha fatto proprio sul letto in cui sono seduto adesso.

Nel frattempo, è arrivata l’ennesima pastiglia, portata da un’infermiera con un sorriso enorme, se solo sapesse cosa mi passa in testa, se solo sapesse cosa sto digitando su questa tastiera.

Cazzo mi sono divagato ancora, ma è più forte di me, ogni volta che scrivo mi salgono tutte le emozioni possibili, e sono loro a scrivere, mentre, Manuel muove solo le mani ma non comanda.

Mi guardo intorno, un bambino dorme e un ragazzo legge, chissà che legge, qualcosa di tranquillo, magari una fiaba, oppure anche lui è tormentato e leggere ciò che scrivo gli piacerebbe tantissimo…ma chi può dirlo la gente è troppo normale per capire, oppure è semplicemente troppo stolta.

Ma se il pazzo fossi io?! In effetti i dottori mi hanno consigliato di vedere uno psicologo, eppure non sanno nulla di me non mi possono guardare nel cervello, non possono capire chi sono davvero solo guardandomi, eppure vogliono psicologi, ma poi questi talentuosi dottori, funzioneranno davvero, riescono davvero a capire cosa prova un diciassettenne complessato…

Ma basta parlare di me, mi sono divagato per la terza volta, e tu che stai leggendo, se esisti…se mai avessi trovato qualcuno all’altezza da leggere il mio demonio, ti ringrazio per essere ancora qua, non so quanto scriverò ancora, ma penso di farlo finché non smetterò di piangere e si lo sto facendo dalla prima sillaba.

Gli angoli bui di questo ospedale, nemmeno una luce, nulla, la tristezza più totale, degna di un posto dove delle persone soffrono.

Da un argomento all’ altro, forse dovrei usare più testa e meno sentimenti quando scrivo, ma diventerei come tanti altri, il solito ragazzino che scrive e non sa che dire, e che senso avrebbe, essere uno dei tanti?

Ok, ho finito le lacrime, ora metto i demoni apposto, mi stampo un bel sorriso gigante sulla faccia e ritorna il Manuel semplice e banale.

-Buonanotte demonio.

-Notte Manu.

-Sai, non sei così male come credevo.

-Ah, sì? Beh, tu fai schifo invece.

-Già…Buonanotte demonio.

5

CAPITOLO V

(SUICIDE)

M: ei, come stai?

Md: e me lo chiedi? Hai idea di cosa significa stare nascosto per te?

M: di nuovo con questa storia? È già difficile farmi accettare così, chi pensi che potrebbe amare te? Sei antipatico, non ti importa di nessuno e sei un bastardo apatico; non ti importa nemmeno di me, eppure condividiamo un corpo; hai provato più volte a uccidermi sapendo che spariresti anche te. Sei solo un folle omicida…

Md: questo puoi dirlo tu che mi vedi, ma gli altri no, gli altri penseranno che sei il solito depresso e che ti sarai suicidato, e non darmi colpe, perché sai benissimo che volessi fartelo fare ci riuscirei.

M: ti prego non farlo, non di nuovo, sono anni che mi tormenti, volevi i tuoi spazzi, volevi palesarti e te l’ho lasciato fare…

Md: si peccato che prima ti ho dovuto far passare per autolesionista, impiccarti e renderti tossicodipendente.

M: beh poi ne sono uscito però.

Md: no, io ne sono uscito, tu senza di me non saresti in grado di sopravvivere un giorno.

M: ah sì? Dimmi solo un’unica volta in cui mi sei stato d’aiuto?

Md: beh, ad esempio, quando per quattro anni mi hai nascosto dai suoi occhi, continuava a spezzarti il cuore, venivi da me disperato e appena tornavi apposto riandavi da lei, senza darmi retta…e guarda ora, lei ha una vita e dopo un anno tu ancora ci pensi.

M: io ho un cuore a differenza tua…

Md: non pensi che il fatto che tu sia vivo, dimostri che anche io possieda un cuore?

 

6

CAPITOLO VI

(LA MORTE)

La più bella luna piena dell’anno quella sera illuminava quei campi di contadini stanchi ormai chiusi nelle loro dimore a rifocillare lo stomaco e l’animo dopo la dura giornata.

In quel piccolo paese di campagna vigeva la povertà e gli immensi campi erano accompagnati da piccole capannine in legno che gli fungevano da sfondo.

Khalida ricca ereditiera del marito morto suicida si trovava nella sua capanna, più grande e sicura delle altre con il figlio Markandeya.

Come ogni sera la triste ereditiera dopo aver allattato il pargolo iniziò a bere, consumava decine di bottiglie ogni settimana, la perdita dell’amato marito la scombussolo, impedendole il sorriso.

Quella sera Khalida bevve più del solito, era furiosa, offesa dal mondo e da dio, un impeto di rabbia fece degenerare Khalida che diede fuoco a testi ed immagini sacre all’ interno della sua capanna.

Piu continuava più la fiamma aumentava, finché il fuoco inizio a mangiarsi il legno di cui era fatta la capannina, incendiando tutte in brevissimo tempo.

Corse via cercando di salvarsi, riuscii ad uscire in tempo per vedere la sua casa cedere a causa delle fiamme, credeva di avercela fatta, ma un urlo del suo cuore interrompe quel senso di sicurezza.

Khalida scappò lasciando Markandeya all’interno che morì, bruciato dalle fiamme.

Disperata Khalida si accorse di esserne la colpevole, di avere la colpa della scomparsa di suo figlio, l’ultima cosa che le fosse rimasta a cuore.

Khalida alzò gli occhi al cielo, giurando vendetta contro dio, giurando che avrebbe fatto di tutto per vendicarsi del torto e del destino infame che dio le aveva assegnato.

HARAKIRI.

Khalida si risvegliò immersa tra le fiamme, fato curioso, le stesse fiamme che le avevano rovinato la vita.

Un asfissiante caldo le bruciacchiava la pelle, alzando lo sguardo, vide davanti a sé un uomo, bellissimo, una folta capigliatura crespa e rossiccia, gli occhi lucidi e gonfi di rabbia.

“Benvenuta Khalida, mi presento, io sono lucifero, l’angelo caduto e signore degli inferi…ho sentito che vuoi vendicarti su dio, ed io posso aiutarti, che ne dici di fare un patto?” – “perché dovresti volermi aiutare, tu sei lucifero, tu punisci i peccatori ed io sono un’assassina…” – “Sai Khalida, un tempo ero l’angelo più bello di tutti, il braccio destro di dio, finché non mi getto all’inferno bandendomi dal paradiso, nessuno prima d’ora aveva mai avuto il coraggio oltre a me di sfidarlo, e poi qui con me c’è Markandeya, non vuoi rivederlo?”

Khalida scoppiò in lacrime pregando lucifero di proporle questo patto e che non avrebbe esitato ad accettare.

“Bene, ciò che dio odia di più è chi non obbedisce, ti rimanderò sulla terra, regalandoti la fuga dalla volontà di dio e ti permetterò di vedere e stare con tuo figlio tutto il tempo che vuoi, a patto che tu faccia un lavoro per me.” – “Sono disposta a tutto, mi dica in cosa posso servirla sommo lucifero e non avrò esitazione alcuna” – “Ottimo, in cambio voglio solo ricevere dieci anime al giorno di bambini, sarai la morte dei bambini, colei che strappa le anime dei piccoli non ancora battezzati in modo da poterli portare nel limbo…”

Khalida abbassò lo sguardo, lasciando intendere che si sarebbe sottomessa alla volontà di lucifero, che allontanandosi si fermò di colpo dandole le spalle:

“Ah quasi dimenticavo, ovviamente essendo lucifero devo punire i tuoi peccati, ogni volta che andrai a rubare un anima, i pargoli avranno le sembianze del piccolo Markandeya…se vuoi viverlo, dovrai ucciderlo ogni singola notte per l’eternità”

Da quella sera ogni notte Khalida va alla ricerca di anime da portare nel limbo, solo per poter abbracciare la cui anima è stata strappata da lei stessa.

La morte, triste e malinconica, tutt’ora gira tra i nostri vicoli, schiava di lucifero, del suo patto, del volere di dio e della sua voglia di vendetta.

*KHALIDA: si dice che questo antico nome significa “senza morte”

*MARKANDEYA: nome che deriva dall’ india e significa “uno che conquista la morte”

 

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CAPITOLO VII

(CAMMINANDO TRA I LIBRI)

Esco solo durante LE NOTTI BIANCHE girando tra I FIORI DEL MARE mentre cerco L’ IDENTITA’ che da troppo tempo ho perduto, cercando di confessare IL PIACERE che provo mentre SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE, non scrivo SULL’ AMORE, SUL BERE, SUI GATTI o SULLA SCRITTURA.

Diventare uno scrittore è una scommessa come IL GIOCATORE che prova ad AZZECCARE CAVALLI VINCENTI.

Giro con un quadernino in tasca che sembra il TACCUINO DI UN VECCHIO SPORCACCIONE su cui scrivo qualche frase e disegno DONNE nude per rappresentarne l’arte.

POVERA GENTE che vive L’ IGNORANZA di AMORI RIDICOLI sognando L’ IMMORTALITA’ che soccomberà dopo IL TRIONFO DELLA MORTE.

Io vorrei solo un COMPAGNO DI SBRONZE con cui bere, mangiare un PANINO AL PROSCIUTTO, vorrei solo imparare L’ ARTE DI ESSERE FELICE E L’ARTE DI TRATTARE LE DONNE ma mi ritrovo a soffrire tra IL FUOCO ed I DEMONI miei.

In questa storia sono L’INNOCENTE che viene giustiziato, il cuore spezzato, il sogno infranto, sogno solo di cambiare il mondo ispirandomi ai grandi…eppure SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO.

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