Le vite spezzate raccontano storie interrotte, parlano la lingua del silenzio assordante che chiede, ai vivi, giustizia.
Lunghe liste di nomi lette da voci innocenti, echi rimbalzanti dalla carta stampata alle labbra dei nostri ragazzi che hanno imparato a conoscere e dare un volto a quell’insieme di lettere mute regalando loro, come fosse un desiderio rimasto inespresso, un ultimo fiato…
Storie semplici, immaginate col cuore prima ancora che con la mente, riempite di anima pulsante per dar voce a chi, quest’anima, ha visto volare in Cielo troppo in fretta, strappata con violenza all’affetto dei propri cari…al proprio futuro, spesso, ancora tutto da costruire.
Storie di eroi inconsapevoli, persone straordinarie che hanno scelto di continuare a fare il loro dovere fino alla fine, accettandone le conseguenze… Storie che incrociano i loro destini con quelli di un proiettile destinato ad altri, storie di chi ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto…
Mille e mille storie, quante sono le stelle nel cielo e che, proprio come le stelle, chiedono solo una voce e una memoria per tornare a brillare squarciando il velo nero di una violenza che ha paura estrema della Luce.
prof.ssa Mariastella Di Fonso
Il percorso è inserito nell’ambito delle attività proposte dall’Associazione Libera contro le mafie in occasione della Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riconosciuta ufficialmente dallo Stato con la legge n. 20 dell’8 marzo 2017, e intitolata, nella sua XXVI edizione del 21 marzo 2021, “A ricordare e riveder le stelle”.
Questo piccolo contributo è stato realizzato nell’a.s. 2020-2021 dalle classi 2E e 3A della Scuola Secondaria di I Grado “G. Mazzini” dell’ Istituto Comprensivo “Mario Bosco” di Lanciano (CH): gli studenti hanno formato una catena di voci leggendo i nomi di alcune vittime innocenti della mafia che, unite a quelle di tanti altri studenti (e non solo) hanno fatto brillare, per lunghi minuti, un firmamento di vite spezzate.
Dalla condivisione di una Storia comune abbiamo analizzato in classe le micro-storie personali cercando di conoscere sempre meglio le vite che, dietro quei nomi, si celavano. Sono nati così dei testi realizzati dagli studenti che hanno cercato di mettersi nei panni di in modo da raccontare, in maniera verosimile, frammenti di storie possibili. Racconti semplici in cui si riflette una sensibilità che solo i ragazzi sanno regalare cogliendo sfumature a volte difficili da percepire…
LUIGI BODENZA
Caro diario,
oggi ho voglia di parlare con te di me.
Come sai, inizialmente facevo l’idraulico un lavoro che non mi piaceva molto, anzi mi annoiava. Conducevo una vita discreta ma non lussuosa fino a che, un giorno, incontrai Swami, la donna della mia vita, con cui ebbi Giuseppe e Donato, i miei magnifici figli. A quel punto i soldi non bastavano più, così provai ad entrare nella polizia e, per fortuna, ci riuscii. Chiesi subito il trasferimento a Catania, perchè avrei voluto combattere la mafia in prima linea e provare a cambiare qualcosa: avrei voluto far capire alla persone che, se ci fossimo uniti, avremmo potuto sconfiggere questa organizzazione criminale che insanguina la nostra bella Sicilia. Per fortuna, accettarono la mia richiesta, così mi trasferii lì con tutta la mia famiglia, cambiando del tutto la mia e la loro vita. Questa cosa non mi è mai pesata, anzi: il trasferimento ha rivoluzionato la mia vita, anche se devo ammettere che, a volte, avevo paura di essere ucciso perché lavoravo in una sezione che combatteva la criminalità in prima linea. Da un momento all’altro avrei potuto perdere la mia famiglia lasciandoli soli, con mia moglie senza lavoro e i miei figli, in quel paese pericoloso.
Una sera, mentre tornavo a casa dopo una giornata di lavoro, sentii degli spari dietro di me.
I miei pensieri cominciarono a girare a mille.
Quelli che mi tornano in mente ancora adesso sono: “Ora si avvera il tuo peggior incubo, quello di lasciare la tua famiglia sola, i tuoi figli che faranno?…Sei certo di aver fatto qualcosa di buono?”
L’ultimo pensiero, che ricordo è: “ Chissà se concretamente ho aiutato la nostra Sicilia… “.
All’improvviso ho visto tutto buio, tutto nero…
Mi sono risvegliato in un mondo nuovo e sconosciuto.
Da qui osservo il mondo e cerco di stare vicino ai miei cari: non fisicamente, certo, ma con l’anima. A distanza di un pò di tempo dalla mia morte posso dire di essere fiero di ciò che ho fatto: il mio sacrificio è stato riconosciuto e il segno che ho lasciato per il mio impegno nel costruire un mondo migliore per i miei figli e per le generazioni a venire ha preso la forma di una medaglia d’oro al valore civile.
GIOVANBATTISTA ALTOBELLI
Da anni aspettavo di rivedere la mia famiglia, i miei fratelli e i miei cugini, non vedevo l’ora. Stavo tornando a casa per festeggiare il Natale e avevo la valigia piena di regali. Stavo già assaporando il pesce che mia madre avrebbe cotto alla vigilia. Dalla felicità al terrore è stato un attimo, mi resi subito conto che stava succedendo qualcosa di brutto.
Sul treno, mentre eravamo in galleria ci fu un’esplosione terribile, i vetri dei finestrini si ruppero ed io e gli altri passeggeri eravamo terrorizzati, non mi sarei mai aspettato una cosa del genere, così brutta e tragica, in fondo era il periodo di Natale, siamo tutti più buoni! Molti si ferirono gravemente ma per me era giunta l’ora, il mio cuore smise di battere, tutti i miei desideri e le mie passioni erano svanite in un mare di cattiveria, di egoismo e di crudeltà.
Ma perché proprio io? Che ho fatto di male?
Avevo solo 51 anni, avevo ancora molti progetti da realizzare, ma purtroppo non mi è stato permesso.
Perché questa esplosione? Perché tutta questa cattiveria? Nessuno merita di morire
BUON NATALE MIEI CARI! CONSIDERATEMI SEMPRE VICINO A VOI!
DOMENICO (DODO’) GABRIELE
Domenico era un normale ragazzo di appena undici anni.
Nato e vissuto a Crotone, ha sempre avuto una grande e forte passione; quella per il calcio.
Di quello sport se ne innamorò sin da quando era piccolo, oltre ad esserne molto portato.
Anche a scuola se la cavava, prendendo sempre ottimi voti.
Insomma, è sempre stato un ragazzo con molte passioni che avrebbe sicuramente voluto realizzare in futuro.
Domenico era paffutello, con occhi e capelli di un colore carboncino scuro, naso a patata, labbra carnose e orecchie grandi e sottili.
Non molto alto, forte e robusto.
Indossava sempre abiti eleganti e curati, come jeans grigi, camicie bianche e scarpe alla moda.
Aveva un animo profondamente buono e gentile ed un carattere allegro, audace e sereno.
Quando entrava in campo si trasformava, voleva dare il massimo ad ogni partita, e cercava di replicare il suo idolo: Alessandro Del Piero.
Quando giocava, la sua mente si liberava ed ogni problema svaniva, lasciando spazio al divertimento e alla soddisfazione.
Ma non avrebbe mai potuto immaginare che in quel luogo così tanto amato, un giorno sarebbe morto.
Era solito andare allo stadio con il papà Giovanni, per la partita di calcetto.
Nella sera del 25 Giugno 2009, durante il match tra le due squadre, improvvisamente, si sentirono alcuni piccoli boati.
La situazione divenne grave all’improvviso.
Diversi proiettili colpirono ben 9 persone.
Alcuni erano bambini, altri adulti.
Il destino non fu clemente con Domenico, anche lui rientrò tra i feriti.
Due colpi penetrarono la testa e lo stomaco.
A ciò seguirono mesi di dolore, tristezza e speranza in cui Dodò giocò la partita più importante della sua vita: quella contro la morte, ma purtroppo non ce la fece.
Dopo qualche tempo venne fatta giustizia e gli assassini di Domenico furono condannati all’ergastolo.
Ma tutto questo non ridarà mai indietro la vita, i sogni, le speranze e le passioni uccise, a freddo, da persone orribili e senza cuore.
Domenico Gabriele il 20 Settembre 2009 divenne un’altra vittima di mafia, la cui unica colpa era di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
FRANCESCO MANISCALCO
Come ogni giorno mi sveglio sempre un po’ intorpidito.
Mentre mi faccio il caffè mio figlio si prepara e, dopo aver ripreso le energie, mi preparo anch’io.
Oggi sarà il primo giorno in cui mio figlio incontrerà il mio datore di lavoro; ah, come crescono in fretta i ragazzi! Ci siamo vestiti a puntino con giacca e cravatta, visiteremo l’azienda.
Eccolo che arriva.
Durante il viaggio un ricordo, in realtà più un incubo che un ricordo, mi ha accompagnato… l’immagine è vaga, non riesco a focalizzarla bene, solo una cosa è chiara: un cadavere e degli uomini in nero, nel bel mezzo del mio pensiero.
Arriviamo a destinazione.
Nemmeno il tempo di fare due passi che da una croma nera con i vetri oscurati, cupi, scendono tre persone vestite di nero con i loro mitra puntati verso di noi.
Sembrano dei corvi pronti a beccare i cadaveri putrescenti delle vittime che giacciono immobili. Istintivamente mi sono gettato in avanti, a far da scudo umano a mio figlio: spero che sia salvo, almeno lui…
Quella dannata sera!
Se non avessi visto, se non mi fossi fatto scoprire, non sarebbe andata così… ma oramai il dado è tratto e delle vite sono state prese.
Ora posso riposarmi senza incubi e senza fastidi.
AGATA ZUCCHERO
Caro diario,
ero l’amica di Agata Zucchero, una donna meravigliosa di cui vorrei parlare.
Eravamo amiche dalle medie, ci volevamo tanto bene e uscivamo sempre per andarci a prendere dolci e cibo al negozio in piazzetta: ci andavamo ogni giorno, era il nostro posto preferito.
Un giorno, a scuola, è entrato un nuovo ragazzo nella nostra classe che si chiamava Giovanni.
A me non piaceva per niente, Agata invece era super innamorata di lui: non capivo come facesse a piacerle ma lui non la considerava. Un giorno eravamo in pasticceria e ci stavamo prendendo dei tramezzini: dietro di noi c’era lui, il nuovo ragazzo, che ci ha salutate con un bel sorriso.
Agata era letteralmente impazzita. Siamo uscite e siamo andate al parco.
…
Dopo anni, era il nostro compleanno che festeggiavamo insieme a casa mia con lei e sua madre, Liliana Caruso. I nostri genitori avevano organizzato tutto a puntino: il tavolo era apparecchiato con una tovaglia gialla su cui erano sparsi piatti e bicchieri bianchi. C’era una gigantesca ciotola piena di patatine, vassoi delle nostre caramelle preferite, piatti del servizio buono con cibo dolce e cibo salato, pizzette e bevande molto buone. La torta era a due piani con la glassa rosa e molte candeline da soffiare intorno: c’era una cialda con le nostre facce su questa buonissima e bellissima torta e, al centro, la candelina con il numero 21, quello dei nostri anni. La casa era coperta di palloncini, a terra era pieno di regali grandi, medi e piccoli. Eravamo prontissime a festeggiare!
Siamo andate noi a ritirare la torta al negozio, dietro di noi c’era Giovanni. Ad Agata non sembrava vero! Stava parlando con lui e, proprio quando stava per dirgli che lo amava…il negozio è esploso!
Tutti noi ci siamo salvati, qualche ferita ma niente di che.
Agata, invece, è morta.
Morta senza sapere perché.
…
Giovanni mi ha confermato che Agata gli piaceva tanto ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
Lasciò sulla tomba un mazzo di fiori e un biglietto, poi è scomparso.
…
Sono andata a casa sua. La madre è venuta ad aprirmi piangendo: lì ho capito che si era suicidato per stare con lei per sempre.
BRUNO VINCI
Ciao, sono Bruno, proprio Bruno Vinci.
Oggi sono qui per raccontarvi la mia storia, una storia che io non dimenticherò mai.
Era il 14 aprile del 1980 una giornata come le altre per le persone di Serra San Bruno. Mi svegliai sorridente e mi preparai per cambiare degli orecchini alla mia figlia Barbara. Prima di uscire diedi un bacio a mia moglie e ai miei due figli e mi incamminai. C’era un bellissimo sole, riuscivo perfino a sentire il vento trapassarmi i capelli, il vento di serra San Bruno,che non sentivo da anni che speravo sempre di risentire quando ero in Canada.
Tenevo i pugni in tasca stringendo gli orecchini guardavo il cielo e camminavo. Arrivato nella gioielleria salutai mio fratello con un abbraccio stretto dato che non lo vedevo da un po’.
Mentre lo abbracciavo sentii il suo cuore battere più forte sempre di più mentre tremava nelle mie braccia così mi voltai verso la porta ed è lì che vidi la morte che mi prendeva per mano.
Cercai di proteggere mio fratello perché essa era la mia priorità ma venni punito con Due spari.
Sbattei atterra e morì.
Dopo la mia morte riuscivo a vedere mio fratello che stringeva il mio corpo e i due che scapparono, piangevo disperato perché non potevo fare nulla.
gridavo chiedendomi il perché, avevo solo 36 anni dei maledetti 36 anni avevo una vita davanti continuavo a gridare disperato perché mio fratello non mi vedeva finché non mi ritrovai in una stanza nera stavo cadendo giù mi passai la mia vita davanti gli occhi la mia famiglia, i miei amici i miei figli. Ad un certo punto vidi una luce che mi porto via in eterno da quel mondo lugubre e oscuro.
VINCENZO VACCARO NOTTE
Sono Vincenzo Vaccaro Notte, sono emigrato nel 1979 qui in Germania per poco lavoro nel mio paese natale, Sant’Angelo Muxaro. Adesso faccio il pizzaiolo insieme a mio fratello ma oggi, dopo circa 20 anni torniamo a casa. Tornando a casa riuscimmo a risentire il sacro odore di mare della Sicilia e ad apprezzare la sua bellezza imparagonabile. Appena tornati decidemmo di aprire un’ impresa di pompe funebri. Il lavoro andava benissimo ed eravamo in concorrenza con i migliori in circolazione cioe’ la “ditta” dei due fratelli Angelo e Alfonso Milioto che, al contrario di noi, lavoravano abusivamente così gli abitanti preferivano sempre piu’ noi. Un giorno come gli altri mi svegliai e andai a lavoro, ma un gruppo di mafiosi ( cosa nostra) mi venne a minacciare dicendomi che se continuavo a lavorare ed essere migliore dei fratelli Milioto finiva male. Ma io continuai il mio lavoro senza avere fastidio da nessuno, ero in fase di pace. Ma quando il 3 novembre del 1999 arrivai a lavoro le cose sembravano normali ma in realtà non era così. Vidi, con la coda dell’ occhio, degli uomini incappucciati arrivare verso di me. Avevano delle pistole in mano, neanche il tempo di girarmi e mi colpirono con due colpi di pistola alla spalla, in quel momento mi venne tutta la vita davanti. Pensai alla mia famiglia a cosa succedera’ a mio fratello, poi piu’ niente. Vedevo solo una stella lucente. Mi avvicinai ad essa e trovai la felicità nella mia storia.
SIMONETTA LAMBERTI
Mi chiamo Simonetta, sono nata il 21 novembre del 1970 e oggi ho 11 anni e vivo nel 1982 con gioia e voglia di scoprire, abito a Napoli ed ho due meravigliosi genitori.
Mia madre fa l’insegnante, è molto brava e cerca sempre di far andare a scuola tutti i ragazzi, anche quelli che gironzolano per strada e della scuola non ne vogliono proprio sapere . Mio padre Alfonso è un magistrato, è un uomo coraggioso, combatte contro la camorra.
La camorra è un’associazione malavitosa pericolosa perché gestisce vari gruppi o clan e crede supremazia della violenza. Mio padre combatte quella violenza. Ma la camorra non perdona.
Oggi fa caldo ed è una bella giornata, ormai siamo al 29 maggio. Penso all’estate e chiedo a mio padre di fare un giro in spiaggia. lui acconsente e ci mettiamo in macchina. Il mare è di un azzurro intenso e la spiaggia è già affollata. Mio padre mi rincorre, mi fa gli scherzi, poi si siede e sorseggia la sua bibita mentre io mi bagno i piedi , che bella sensazione. Quel mare mi invita a buttarmi, arrivo fino alle ginocchia papà.
In lontananza vedo la mia amica Anna, ci abbracciamo e chiacchieriamo un po’, parliamo dei progetti estivi e di cosa fare l’anno prossimo con quel prof che ci fa sempre disperare. Meno male che c’è Andrea con quegli occhi così belli come questo mare.
-Sì papà arrivoo-
Mio padre mi scompiglia i capelli e mi fa un sorriso. Saliamo in macchina.
-no aspetta compriamo un gelato.-
-Bravo papà, ottima idea.- Poi saliamo in macchina .
Eccoci, canticchiamo felici e tu mi sembri il più meraviglioso dei padri. Ci assomigliano:
Testardi, loquaci e tanto affettuosi con chi vuole bene. Mi ha insegnato tanto . Tutto quel che è giusto nel mondo e come si combatte quel che è ingiusto: Con la legge.
Una macchina ci affianca.
Stava per cambiare i destini e le direzioni di tutti. Tanti colpi, una raffica di colpi, una raffica di colpi, mio padre è ferito sembra grave ed io… io muoio, a 11 anni.
Mio padre non è più lo stesso pensa a anche al suicidio, anche alla morte. E a tante cose brutte…bruttissime.
Sento da lontano tutta la sua tristezza. Ma anche la speranza. Speranza che si chiama come me : Simonetta. È mia sorella ed io l’avrei voluta abbracciare e stringere.
Buongiorno mio caro pubblico,
sono qui di fronte a voi per raccontarvi una storia triste e incomprensibile, vi parlerò di Simonetta Lamberti, vittima della mafia a soli 11 anni.
Simonetta, era una bambina identica a quelle della sua età, piena di voglia di vivere, con tanti sogni da realizzare e frequentava solo la quinta elementare.
Capelli biondi, raccolti da due treccine che le evidenziavano gli occhi castani.
Esile, ma un vero vulcano di simpatia.
Il suo sorriso furbetto, sottolineava le fossette, espressione della sua perenne felicità. Amava i fiori e gli animali, Simonetta. Adorava giocare all’aria aperta, in mezzo alla natura.
Si contornava di amichetti e litigava spesso con Francesco, suo fratello più grande, ma rimase felice ed entusiasta quando di lì a poco arrivò Stefano, il terzogenito di cui poteva prendersi cura.
Il 29 maggio 1982, andò al mare con il suo papà, Alfonso, che di mestiere faceva il magistrato.
Un giorno come tanti altri, spensierato e pieno di gioia, risate e felicità.
Seduta in macchina, stanca per le sue lunghe nuotate, poggiò i suoi ricci capelli biondi contro il finestrino, addormentata.
Chissà cosa stava sognando Simonetta, quando la maledetta Fiat 127 bianca li affiancò al finestrino e li trivellò con colpi di mitra.
Alfonso, il papà rimase solo ferito ma la piccola, candida bambina fu colpita.
Papà Alfonso, il giudice Lamberti, morirà poco tempo dopo, raggiungendo la sua adorata bambina per camminare finalmente liberi e felici nell’eterno giardino fiorito…
Come spesso capita nei delitti di Mafia, i bersagli non sono i figli, ma rimangono comunque vittime di una Camorra che non si ferma di fronte ad una giovane vita.
Cos’altro raccontarvi, miei cari spettatori?
Che l’omicidio di Simonetta è rimasto senza giustizia fino al 2011, quando un dissociato venne intercettato mentre confidava al compagno di cella, di aver preso parte del commando che sparò alla macchina del magistrato.
Iniziò così un lungo processo, dove dovette intervenire la Corte D’Assise per condannare, a trent’anni di carcere, Antonio Pignattaro, dando finalmente una risposta.
Simonetta Lamberti, come tutte le vittime di Mafia, NON DEVE ESSERE DIMENTICATA MAI!
FRANCESCO EMANUELE MARCONE (FRANCO)
Sono Francesco Emanuele Marcone, per gli amici Franco.
Sono nato a Foggia il 14 dicembre del 1937 ma pochi anni dopo, insieme alla mia famiglia, siamo fuggiti a Troia, un piccolo paesino di appena settemila abitanti.
Ricordo che chiedevo continuamente: “Perché hanno distrutto la nostra casa?”. Un bambino non capisce molto della guerra.
Il mio papà era direttore della biblioteca municipale; ricordo che, per mettere i libri al riparo dai bombardamenti, faceva da Foggia a Troia su e giù con un carrellino, pur essendo malato. Purtroppo, quando avevo solo otto anni, il mio babbo morì. Gli anni dell’adolescenza sono stati molto duri per me, i miei unici pensieri erano la mia famiglia e la scuola: ho frequentato studi classici per poi iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza. Subito dopo essermi laureato ho vinto un concorso come vice procuratore al Ministero delle finanze e sono stato trasferito a Vieste con il ruolo di direttore dell’Ufficio del Registro. Nel frattempo ho conosciuto Pia e me ne sono innamorato follemente tanto da decidere di mettere su famiglia con lei: dopo due anni dal nostro matrimonio sono nati Daniela e Paolo, due fantastici ragazzi.
Mi offrirono grandi opportunità di lavoro ma erano tutte troppo lontane, così ho sempre rifiutato perché volevo godermi la mia famiglia. Alla fine sono stato trasferito a Foggia con lo stesso incarico di riorganizzare vari uffici; sono bastati pochi mesi per rendermi conto che qualcosa non andava e che molti colleghi erano corrotti. Ho cominciato subito a fare delle segnalazioni e, il 2 marzo del 1995, ho inviato anche una denuncia alla Procura della Repubblica per denunciare delle truffe che avevo scoperto. In quei giorni ero molto nervoso e passavo le giornate chiuso dentro l’ufficio con fascicoli e scartoffie da analizzare. Ho dovuto tenere tutto nascosto alla mia famiglia, mi rendevo conto che era troppo rischioso svelare informazioni più grandi di noi.
Il 31 marzo del 1995 mi ero fermato fino a tardi in ufficio e, intorno alle 19:00, mi avviai verso casa. Giunsi sotto il portone, infilai la chiave, feci appena qualche passo e…boom boom…
Caddi a terra e morii.
In quell’istante eterno mi passò la vita davanti: pensai alla mia famiglia e a tutti i momenti fantastici trascorsi con loro; un po’ me l’aspettavo, anche se speravo che la Giustizia sarebbe riuscita ad intervenire in tempo, però sono fiero di ciò che ho fatto e non rimpiango niente. So di essere stato ucciso ingiustamente, solo perché ho cercato di combattere contro qualcosa molto più grande di me. Potevo assicurarmi una vita migliore restando zitto ma ho deciso di lottare per ciò in cui credevo.
Ora sono in un posto migliore dove non c’è cattiveria, a godermi la vita sperando che il mio sacrificio sia servito a cambiare qualcosa nel mondo laggiù.
SERAFINO TRIFARO
Ciao sono Serafino Trifaro e oggi vi racconterò la mia storia o meglio come essa sia finita. Era una giornata come tante a San Ferdinando , la mia città natia , era il 4 novembre del 1983, ed era sera e papà stava andando in un bar con dei suoi amici. Io e mio fratello Domenico gli chiedemmo di andare con lui, stavamo semplicemente cercando di trovare il modo di arrivare al bar per comprare un gelato oppure una coca cola. Papà accettò, ci portò con lui al bar. Io comprai un bel ghiacciolo al limone e mio fratello una sprite. Eravamo felici e mentre papà era dentro a pagare noi ci sedemmo fuori a un tavolino pronti per tornare a casa. Dovevo tornare il più presto possibile perché avevo urgenza di studiare per il compito in classe di domani. Papà era uscito dal bar, si era divertito con gli amici e proprio mentre stavamo per tornare a casa arrivò un camion con vari ragazzi sopra, avevano in mano pistole e mitra iniziarono a spararci contro. L’obiettivo era papà, ci spararono ben 39 colpi addosso caddi a terra esangue, avevo già capito che non ce l’avrei fatta, in quel momento mi chiedevo solamente : perche cosi tanta cattiveria, perché volevano uccidere papà e soprattutto perché io e mio fratello ne siamo rimasti coinvolti. Tutto questo ormai non ha più importanza dopo tutto ormai sto per passare a miglior vita. Iniziai a chiudere gli occhi e quando li riaprii mi trovai in ospedale i medici cercavano di salvarci ma i tentativi, nonostante tutto, furono vani, richiusi gli occhi per poi riaprili qualche secondo dopo, improvvisamente non provavo più alcun dolore, ero libero e felice, ero altrove…
MARIA LUIGIA MORINI
Dove sto andando?
E’ il 23 dicembre 1984, oggi è una bellissima giornata, ha nevicato un po’, ma con il dispiacere dei miei figli non si è attaccata… Oggi sono andata dalla parrucchiera che mi ha fatto un bellissimo taglio di capelli, poi da mia madre, le raccontavo del viaggio che devo fare a Milano per il Natale, a proposito di Milano… Devo fare le valigie!!! Torno di fretta a casa mia e preparo i vestiti più belli che ho per festeggiare il Natale con gli amici. Alle 18.30 salgo sul treno, conosco un signore che mi fa compagnia durante il percorso, parlando del più e del meno il tempo è passato velocissimo, talmente veloce che alle mie spalle sento una forte esplosione, cado a terra, le ultime cose che vedo sono il treno che viene scaraventato fuori dai binari, tutti sofferenti… Intravedo una tragedia. Intravedo il fuoco, i miei occhi lentamente si chiudono, non riesco a tenerli aperti, non sento più il dolore, non sento più i rumori, dove sto andando? E’ un sogno? Un brutto sogno… Vedo una luce, una luce bianca, e una voce, mi dice di andare nella luce… Forse è la neve che ricopre la bellissima Milano, oppure, è un mondo migliore…
GIOVANNI CALABRESE
Il 21 agosto 1949 , sono Giovanni calabrese, sono le 22:30 , è ora di tornare al mio lavoro di carabiniere, Io e il mio collega Giuseppe Fiorenza dobbiamo controllare una zona, saliamo in macchina e ci avviamo per perlustrare le zone della cittadina, è tardi, sembra andare tutto bene, le strade buie illuminate dai lampioni della strada, si vedono case illuminate dalle luci all’interno , pochi rumori, poche auto che girano, la perlustrazione finisce finisce circa alle 21:00 , facciamo in versione per tornare alla caserma facendo un’altra via molto simile a quella già percorsa, eccoci , siamo arrivati, parcheggiamo e scendiamo, apriamo le porte ,si sente un rumore inaspettato, ti salta il cuore, tutto quel silenzio e poi un botto, e subito dopo un altro, delle schegge fredde mi colpirono alla schiena, dei pezzi di ferro che stanno abbattendo su di noi, distruggendo ogni cosa incontrava ancora prima di toccare terra, mi sento altri pezzi di ferro, questa volta mi colpirono alla testa e al torace, erano dei colpi una mitragliatrice, un brivido, un brivido di piombo, mi perforavano. guardavo con la mia anima il mio corpo dentro un’ambulanza, mentre quelle persone ignote che mi avevano fatto scappare via con un’auto, mi portarono in un ospedale è solo la mattina seguente scoprirono che avevo lasciato quel mio corpo.
VITTORIO REGA
Sono Vittorio Rega, un geometra di Napoli, ho 29 anni e posso considerarmi una persona felice.
Ho realizzato già tante cose nella mia vita: ho il lavoro dei miei sogni, una villa pazzesca e una famiglia perfetta.
Mia moglie, Marta, ha occhi verdi, capelli rossi… è una donna fantastica, piena di allegria; ci siamo conosciuti durante una vacanza al mare, siamo entrati subito in sintonia e, dopo due anni, ci siamo sposati. Così è nata Elena, ha solo due mesi e ancora non sono riuscito a conoscerla bene ma basta un suo sorriso per rendermi felice. Ha i capelli neri e dei magnifici occhi verdi: tutta suo padre! Infine ci sono i miei genitori che mi hanno sempre aiutato, hanno creduto in me: sono due insegnanti, diciamo severi ma sempre disponibili e alla mano.
La mia vita può apparire monotona: tutti i giorni vado al bar di fiducia, dove scambio quattro chiacchiere con i miei amici mentre sorseggio un buon caffè. Dopo di corsa in ufficio, un luogo pieno di carte e progetti, tutti in disordine; solitamente sono in compagnia di altri colleghi ma due- tre volte a settimana mi ritrovo solo per andare a controllare i cantieri.
Un giorno, mentre guidavo per fare un sopralluogo per le campagne, ho adocchiato delle auto con dentro delle persone dallo sguardo non molto convincente. Sembrava mi seguissero. Senza dare ulteriore peso al fatto continuai a guidare ma poco dopo sentii una fitta al torace… Penetrante…
Fu in quell’istante che ripensai a tutta la mia vita, a tutti i momenti felici e a quelli difficili alla mia famiglia, al mio futuro. Mentre urlavo per il dolore vidi un contadino che corse a chiamare aiuti: Avevo già capito che la mia vita era finita, quindi raccontai al contadino tutta la vicenda, con le ultime forze che mi erano rimaste.
Uno stupido scambio di persona, di questo si era trattato: peccato che non ero io quello che dovevano uccidere… la mia macchina era uguale a quella del delinquente del clan rivale, per questo sono stato ucciso.
Mia piccola Elena, questa pagina l’ho scritta per te, per farmi conoscere e farti capire chi è – o meglio era – il tuo papà. Avrei voluto starti accanto per tutta la tua vita, ma lo farò comunque.
Sarò sempre al tuo fianco e, come un angioletto, ti proteggerò da tutti e da tutto.
Con amore
Papà
AUGUSTO MOSCHETTI
Caro Augusto,
sono tuo fratello Marco. Oggi sento il bisogno di scriverti questa lettera: anche se non la stringerai mai con le tue mani so che la leggerai, perché vivi nei nostri cuori e sei vicino a noi in un altro mondo.
Volevo dirti che per me è stato, e continua ad essere, un problema accettare la tua morte: mi sono trasferito in camera tua per respirare i tuoi ricordi e per sentirmi più vicino a te.
Mi sono sentito malissimo quando ho visto il tuo corpo a terra che perdeva sangue per colpa di quel gruppo di malviventi che ti hanno ucciso solo perché non volevi consegnargli la pistola d’ordinanza e mi chiedo ancora che fine avresti fatto se gliel’avessi data…Saresti ancora qui? Oppure ti avrebbero colpito lo stesso? Vorrei tanto saperlo!
Fatto sta che, per fargliela pagare, ho voluto far luce sul caso per scoprire chi erano i responsabili della tua morte ed è venuto fuori che sono camorristi appartenenti al clan di Forcella, il clan che insanguina da anni la nostra meravigliosa terra. Il giudice ha deciso di condannarli all’ergastolo ma vorrei di peggio, se fosse possibile: devono pagarla per quello che ti hanno fatto, li ucciderei con le mie mani se potessi!
Ci manchi tanto, soprattutto a nostra madre che, senza farsi vedere, la sera, si disperde nelle sue lacrime, unica via per sfogare il troppo dolore che ha dentro. Perdere un fratello è difficile ma per una madre ogni emozione non sarà più la stessa perché la mancanza di un figlio è un pensiero fisso…ma ormai quel che è successo é successo.
Vorrei solo rivederti un’ultima volta ma non si può. Ora devo andare, ma aspettati altre lettere che non arriveranno mai tra le tue mani ma che so leggerai a modo tuo.
Saluti,
tuo fratello Marco
GRAZIELLA CAMPAGNA
E’ il 12 Dicembre, una giornata come tutte le altre .
Fuori fa freddo, il vento fa cadere le foglie degli alberi quasi spogli e la pioggia inizia a farsi sentire .
Io sono contenta, mi alzo dal letto, faccio colazione e mi vesto con dei pantaloni e un carino maglioncino di lana rosa, che mi aveva regalato mia zia per il compleanno . Tutta la mattina, mentre aiuto mia madre, ho pensato al regalo che devo fare alla mia nipotina per il Natale, che lentamente si avvicina .
Dopo pranzo, non essendo sazia, come ogni giorno, vado all’orto e mangio dei pomodori che mi piacciono tantissimo .
Sono felice, anche se sto sentendo freddo .
Passate le tre, ho decido di incamminarmi per andare a lavoro, così avrei potuto parlare con le mie colleghe ed amiche .
In seguito, dopo una breve chiacchierata, l’ingegnere Tony Cannata, che vedo ogni giorno alla lavanderia, mi ha portato una camicia .
Prima di lavarla, come al solito, controllo le tasche sporche e trovo un’agenda . In quel momento mi sentivo strana, ingenua ma allo stesso tempo un pò sicura; dopo alcuni secondi mi convinco di aprire quest’ultima…
Sapendo di stare facendo uno sbaglio, perché mia madre diceva di non toccare le cose che trovavo . Ma senza riflettere la apro .
Pian piano l’ho letta e alla fine di essa, trovo due carte d’identità; dicono che Tony Cannata è Gerlando Alberti junior e che il cugino Giacci Lombardo è Giovanni Sutera . Sorpresa e spaventata, rifletto e ricordo che mio fratello mi aveva detto che questi erano due mafiosi .
Io tremo dalla paura e faccio vedere tutto ad una mia amica che però mi strappa l’agenda di mano .
Triste finisco il mio turno e incontro una macchina uguale a quella di mio padre, ed ingenuamente salgo su di essa e vedo i due uomini dell’agenda .
Ho paura, sento le mie gambe tremare, inizio a sudare mi manca quasi il respiro, successivamente capisco il mio grande sbaglio e penso alle parole di mia madre . Mi portano vicino ad un muro e si allontanano, ma a circa due metri da me uno di loro si volta, penso alle cose più brutte e mentre penso alla morte, cinque colpi di pistola mi trafiggono la pelle ed ecco il silenzio profondo che mi avvolge…..
Una vita rubata
Graziella Campagna fu assassinata per opera di due mafiosi : Gerlando Alberto jr e Giovanni Sutera , con cinque colpi di lupara calibro 12, il 12 dicembre 1985, intorno alle 20:00.
Aveva solo 17 anni .
La sua unica colpa era quella di essere stata testimone involontaria della scoperta di una falsa identità di un latitante.
Mi chiamo Graziella Campagna, sono nata il 3 luglio 1968 a Saponara in provincia di Messina, e sono cresciuta in una famiglia numerosa di sette fratelli e sorelle, tra cui Pietro, carabiniere a Gioia Tauro.
Ho lasciato gli studi per aiutare la mia famiglia.
Lavoro come stiratrice in una lavanderia “La Regina” di Villafranca Tirrena, in nero, per soli 150 mila lire al mese.
Mentre lavoro, l’ingegnere Cannata entra in lavanderia e lascia una camicia, nella cui tasca trovo involontariamente, un’agenda.
Apro e vedo un elenco di nomi e contatti telefonici e scopro che l’ingegnere Cannata è un boss latitante, e che il suo vero nome è Gennaro Sutero, ricercato perché accusato di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti.
Una mia compagna di lavoro, mi strappa dalle mani l’agenda mentre gliela mostro e la porta via. Non resto lì a pensare, ma continuo a lavorare.
Oggi, 12 dicembre, appena finito di lavorare vado come sempre ad aspettare l’autobus per tornare a casa.
Piove forte, una macchina si avvicina, scendono due uomini e mi caricano a forza sulla loro macchina.
Provo paura ed angoscia, non capisco perchè mi abbiano presa.
Mi portano a Forte Campone, in un prato su una collina, tra Messina e Villafranca Tirrena.
Cerco di difendermi ma mi scaricano addosso, ad una distanza di due metri, cinque colpi di lupara.
Il dolore è grande alle braccia, alla pancia ed infine alla testa.
L’ultima cosa che vedo sono le stelle in un cielo cupo e nero.
ALBERTO VALLEFUOCO
Alberto Vallefuoco era un ragazzo di Napoli.
Da piccolino sognava di fare il calciatore e giocare come difensore nella sua squadra del cuore, il Napoli. Non ha mai amato stare con le mani in mano: era un tipo ingegnoso, ed era molto bravo ad aggiustare gli elettrodomestici. Aveva un solo problema come commerciante: un enorme cuore che lo portava, spesso, a decidere il prezzo a seconda delle possibilità economiche del cliente.
Nel 1998 Alberto iniziò un tirocinio presso il pastificio Russo perché voleva imparare ad essere un pastaio per aprire il proprio pastificio una volta imparato il mestiere. Dopo pochi anni realizzò il suo desiderio di aprire un’attività sua a Napoli e diventò subito un grande imprenditore, così da aprire tanti altri punti vendita in più parti del mondo.
Un pomeriggio Alberto, tornando dal lavoro, a pochi metri dal suo negozio venne avvicinato da una lancia con a bordo dei delinquenti che, senza pensarci due volte, lo uccisero a colpi di arma da fuoco.
Lo avevano scambiato per il membro di una banda rivale.
La polizia fece delle ricerche per vedere se Alberto avesse qualche condanna in sospeso o rapporti illeciti con persone legate alla camorra ma non trovarono assolutamente nulla a suo carico: l’unica sua colpa, se così si può dire, era stata quella di essersi trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Dopo poco tempo sono stati catturati i colpevoli, processati e condannati all’ergastolo, tranne il collaboratore di giustizia, a cui vennero dati ventidue anni di reclusione.
Per tenere viva la memoria della morte innocente di Alberto, i cittadini gli hanno dedicato lo stadio di Mugnano.
Alberto ha avuto giustizia ma nessuno gli potrà restituire la sua vita e i suoi sogni, quelli che correvano dietro ad un pallone da calcio così come quelli di creare una bella famiglia, sposando la sua meravigliosa fidanzata.
GIUSEPPE MARIA BICCHIERI
Mi alzo dal letto dopo ben otto ore di sonno.
Mi alzo lentamente, ho un po’ di dolore alla schiena…sarà l’età.
Sento la mia nipotina Mariangela che sta uscendo di casa per andare a scuola col bus…è proprio una brava bambina.
Scendo di sotto, mia figlia ha lasciato il caffè sul tavolo ed è andata a lavorare insieme a suo marito. Mi siedo sulla sedia, prendo la tazza in mano, il caffè è freddo…accompagno il tutto con dei biscotti integrali, sono un pochino duri…ma ancora buoni.
Mi ricordo che alle 10:00 devo andare a lavorare…sono stanco, vorrei già essere in pensione.
Mi vesto lentamente, con calma: è ancora presto.
Metto una maglia di lana e un pantalone jeans, fa un po’ freddo fuori.
Trascorro il tempo che mi rimane guardando la TV.
Scorrendo i canali vedo solo cartoni animati; per un uomo della mia età non sarebbe normale vedere queste cose, ma un certo cartone chiamato “Mucca e Pollo” mi attrae e continuo a guardarlo…è veramente demenziale.
E’ arrivata la mia ora, prendo la mia fantastica Croma e vado al Comune per svolgere il mio lavoro. Ero stressato, mi sentivo un grande peso addosso …ma ho passato di peggio.
Arriva la pausa pranzo…finalmente un po’ di relax…tiro fuori dal mio zainetto il contenitore zeppo di riso con pesce: anche se freddo, devo ammetterlo, non è proprio cattivo.
Il mio assistente mi offre una forchettata della sua pasta al sugo…molto meglio!
Arriva l’ora di tornare a casa; chiudo a chiave il mio ufficio ed esco dall’edificio…sedendomi sulla fodera del sedile della mia macchina tiro un sospiro di sollievo.
Tornato a casa, trovo la mia piccola nipotina che guarda la televisione.
Mi sono seduto accanto a lei e mi ha subito raccontato della sua giornata di scuola e dei suoi compagni di classe che la chiamavano “la piccola dottoressa”…e a me non poteva che far piacere.
…
Mi accingo ad andare a mangiare da solo, come sempre. Per fortuna ci sono i cannelloni siciliani, una cena con i fiocchi direi.
Dopo aver soddisfatto la mia fame, mi ricordo che l’8 Maggio devo portare Mariangela, insieme alla mia bellissima figlia, a fare un bel giro a Oppido Mamertina per svagarci un po’…guardo il calendario e mi accorgo che oggi è il 7…domani è l’8! Non vedo l’ora!.
Sono le 21:00, desidero sedermi a guardare la TV, sapendo già che sprofonderò nel sonno poco dopo…e così è stato.
Circa due ore dopo, mi risveglio e sento un dolce calore dietro le mie spalle: è Mariangela, si è addormentata sul divano accanto a me: l’ho presa e l’ho portata a letto…e così ho fatto anch’io, pronto per affrontare un’altra giornata, finalmente diversa dal solito.
…
Sorge il sole, gli uccellini cantano e sento mia nipote urlare: ”Giuseppe Maria Bicchieri…sei pronto a divertirti?” .
Ed io, ovviamente, le ho detto che ci saremo divertiti…a morte!
Un’innocente coincidenza
Un angelo mi sta chiedendo perché mi trovo qui e se gli posso rivelare la storia della mia morte. Così inizio a raccontare: – A me piaceva molto passeggiare, soprattutto mi piaceva provare a risalire la montagna vicino a casa mia. Una sera, di ritorno dalla mia solita scampagnata, avevo cominciato a sentir dei rumori, non me ne ero preoccupato, ero troppo impegnato a contemplare la mia impresa: ero riuscito a raggiungere un nuovo punto della montagna. Tuttavia, quei rumori si facevano sempre più inquietanti, sempre di più, di più di più! Oramai eran diventate delle grida strazianti, ne ero più che conscio, chiunque se ne sarebbe accorto… ma; purtroppo o per fortuna esitai: mi stavo nascondendo dietro un cespuglio, incapace di muovere un singolo muscolo. La scena davanti a me era orripilante: due ragazzi, armati di pietre, stavano colpendo qualcosa, tuttavia, all’inizio non capii di cosa si trattasse… Dopo, realizzai. Non era un qualcosa, era un qualcuno! Una persona stava venendo massacrata davanti ai miei occhi! Me ne volevo andare; non so se per salvare il poveretto o se per mettermi in fuga, ma me ne volevo andare. Fui troppo debole per entrambe le scelte, così restai ad osservare, in silenzio, senza versare una lacrima, il macabro spettacolo. Quei ragazzi stavano sorridendo, non so come ma sorridevano, in un religioso silenzio. Ogni volta che colpivano, deturpandolo, il viso del pover’uomo , spalancavano sempre di più le palpebre, come fieri di quegli occhi arrossati e dallo sguardo frenetico, ormai consumati dalla loro stessa follia. Appena finito di assistere alla creazione di quella grottesca fontana rossa, iniziai a correre, facevo rumore, mi potevo far scoprire, ma non mi importava, volevo solo tuffarmi nelle braccia del mio babbo. Arrivato a casa, spiegai subito il motivo del mio ritardo e di conseguenza, il come quei ragazzi avevano fracassato la testa di quel signore. Ero bollente, non mi reggevo neanche in piedi, e appena feci per appoggiarmi al divano crollai e caddi nel mondo dei sogni, o più probabilmente, degli incubi. Stavo vedendo la testa del signore, il suo viso aveva uno sguardo truce, selvaggio e pieno di rancore; quello sguardo mi faceva paura: era come se uno sprezzante tribunale stesse giudicando dei miei peccati di cui neanch’io ero a conoscenza. Poco dopo il suo viso cominciò a parlare, più precisamente a sussurrare, non si capiva nulla… fino a che non sentii chiaramente: -mi hanno ucciso, tu, tu eri lì vero? Mi avresti potuto salvare, vero? È é colpa tua, se mi hanno ucciso, è colpa della tua codardia. Sì, è solo e soltanto colpa tua; colpa tua, colpa tua! Colpa tua! Colpa tua! Sei tu che mi hai ucciso! Ahahahah, ahahahah… ma adesso cosa importa, sei tu e soltanto tu che dovrai sopportare il peso delle tue azioni. Ben ti sta! Ricorderai perennemente di avermi ucciso e ogni passo che muoverai sarà appesantito dai tuoi peccati. Non hai neanche versato una lacrima, sei rimasto con gli occhi sgranati come un serpente che aspetta pazientemente la sua preda.
– Adesso, a-adesso sarai soddisfatto, almeno lasciami andare, solo per questa volta, ti imploro! – Mi svegliai di soprassalto: stavo sudando freddo, non ero a casa mia, ero in una stanza bianca, piena di siringhe e medicinali. Improvvisamente, mi ritrovai ad osservare un uomo vestito di un camice bianco, era spento, indifferente, o meglio, sprezzante; gli stavo appunto per chiedere il perché del suo atteggiamento e il dove mi trovassi. Ma mi anticipò, congelandomi con la frase: qualsiasi cosa tu mi voglia chiedere, ormai non ha più importanza. – Buio. Non vedevo più nulla. Poi apparve una luce e mi sentii chiamare dalla voce della mamma. E così stavo già allegramente salendo le bianche scale del cielo!
Giuseppe Letizia
SIMONETTA LAMBERTI
La vita che avrei voluto
Mi chiamo Simonetta Lamberti, sono nata a Napoli il 21 novembre del 1970 e vivo a Cava Dei Tirreni con mamma Angela, papà Alfonso e mio fratello Francesco. Mio padre, di mestiere, fa il giudice mentre mia madre fa l’insegnante. Il 29 maggio sono andata in spiaggia a Vietri Sul Mare con il mio papà per trascorrere una giornata di riposo; di ritorno dal mare mi sono addormentata in macchina e all’improvviso una macchina si è affiancata alla nostra e ci hanno sparato. Sono morta in quel caldo giorno di fine maggio a soli 11 anni. Se cancello quel giorno posso immaginare il mio futuro. Sono sicura che avrei avuto una vita felice; vivevo in una famiglia felice. Ho sempre amato i fiori, soprattutto quelli di campo e gli animali, mi piaceva giocare in mezzo alla natura. Sono sicura che sarei diventata una veterinaria e avrei avuto una bellissima casa in campagna con tanti animali. Avrei avuto sicuramente una famiglia numerosa con tanti bambini e i miei genitori mi sarebbero stati vicini e sarebbero stati dei nonni meravigliosi. Lo vedo il mio papà seduto sulla panchina, sotto l’albero di ciliegio con il suo immancabile quotidiano e la sua pipa circondato dai suoi nipotini. Il mio sogno sarebbe stato anche quello di viaggiare, visitare l’India e il Giappone e imparare ad essere cittadina del mondo. Sicuramente non avrei fatto il lavoro del mio papà, troppo pericoloso per tutti noi. Sono sicura che la mia vita sarebbe stata serena e felice circondata dall’ amore della mia famiglia.
DAVIDE LADINI
Cara mamma,
prima di partire per Jesolo non pensavo di non rivederti più.
Avevo solo bisogno di un periodo di pausa, dato che avevo appena concluso i miei studi.
Così sono partito con i miei amici alle cinque del mattino, senza preavviso. Sono stato uno scemo a non salutarti; dopo sei ore di viaggio siamo arrivati e tu mi hai chiamato perché eri molto preoccupata. Io ti dissi che ero in viaggio e, per fortuna, non ti incavolasti ma mi lasciasti divertire con loro, raccomandandomi solo di tenere gli occhi aperti.
Dopo cinque giorni sono tornato a casa, nel nostro bel paesino di Cinquefrondi che, dopo questa breve vacanza, mi appariva più bello del solito. Prima di ritornare da te mi fermai un pò alla sala per salutare i miei due amici, Saverio e Orazio Ierace. Ad un certo punto si avvicinò un ragazzo che mi chiese di dargli spiegazioni sul perché avessi bruciato dei cartoni che aveva raccolto con molta fatica e che doveva rivendere; io, dato che avevo bevuto un po’, non ricordavo di averlo fatto. Preso dalla rabbia gli tirai un posacenere in testa e un tubo di quelli per alzare le saracinesche.
Dopo un quarto d’ora circa decidemmo di andare a casa perché non vedevo l’ora di riabbracciarti, quindi uscimmo dal locale e arrivammo al piazzale grande, per salutarci così che ognuno prendesse la propria strada.
Mentre ci stavamo salutando sentii numerosi colpi di pistola e, subito dopo, provai una sensazione di vuoto totale.
Non ero più cosciente di quello che stava succedendo e di dove fossero i miei amici. Dopo qualche giorno le notizie della morte mia e dei miei amici si diffusero e la città rimase sconvolta di fronte a tanta violenza.
Era il 3 gennaio del 1998.
Avevo 17 anni.
Saverio 13 e Orazio appena 12.
Dopo molti anni un’associazione speciale, Libera, coinvolse studenti, professori e cittadini sensibili, ad organizzare una giornata della memoria realizzando attività di diverso tipo, tra cui un video nel quale venivano letti tutti i nomi di chi, come me era caduto per mano della mafia, pur non avendo colpe. Ma, ogni volta, mi addolora vedere le facce dei miei coetanei tristi e con uno sguardo cupo.
E’ fondamentale ricordare per non dimenticare, anche se sarebbe anche bello capire…Perché?
…
Ho scritto questa lettera per dirti che sarò sempre con te e che un giorno, sono sicuro, mi raggiungerai e potremo tornare a guardare le stelle insieme.
Mi manchi tanto mamma.
Il tuo Davide
Cara sorellona,
sono io, la tua sorellina, anche se è un pò strano da dire dato che ho 28 anni.
Sai è stata dura la mia vita sapendo di avere una sorella e non averla mai potuta conoscere,quanto avrei voluto giocare con te, avremmo fatto fortini con le coperte, avremmo fatto impazzire i nostri genitori insieme, avremmo litigato per poi fare pace, avremmo cucinato i dolci insieme e avremmo corso fino allo sfinimento e un’altra serie di cose dato che abbiamo solo un anno di differenza.
Sai ho sempre pensato “Ho una sorella con cui non ho mai giocato, non ne conosco la voce,non ho nessun ricordo di me e lei insieme. Solo la sua ombra che cerco di afferrare inutilmente ogni giorno”.
Però io ogni notte ti immagino così:con i capelli biondo scuro, occhi scuri faccia dolce e il carattere anch’esso dolce.
Immagino anche il mio futuro se tu fossi ancora in vita, sarebbe stato così: noi avremmo aperto una pasticceria in centro sarebbe stata la più buona pasticceria del mondo perché nei nostri dolci ci avremmo l’amore, saremmo andate a vivere in case vicine così i nostri figli avrebbero giocato insieme tutti i giorni e i nostri mariti avrebbero visto la partita insieme e noi sempre a cucinare e a parlare (a cucinare perché ci piace non perchè
ce lo hanno obbligato ).
Sai a volte ricordare le sere d’agosto, le rare sere in cui papà non lavorava ed era con me e la mamma in vacanza, in cui ero nel piccolo giardino all’ingresso della casa, io e papà eravamo stesi sull’erba e guardavamo le stelle e lui mi faceva i grattini sulla schiena perchè mi piaceva tanto, e appena smetteva gli chiedevo di ricominciare e lui non poteva far altro che accontentarmi, è uno dei pochi ricordi dolci della mia infanzia difficile.
All’epoca non ancora potevo immaginare né sapevo di aver perso una sorella a causa della camorra.
Con affetto tua sorella Serena
Era una tranquilla giornata, quel 29 maggio del 1982, anzi ero particolarmente entusiasta all’idea di trascorrerla da sola con il mio papà lungo le spiagge di Vietri. Come sempre mi svegliai, mi preparai e finalmente uscimmo. Arrivammo in spiaggia, sistemati gli asciugamani e messa la crema ci fiondammo in acqua, dopo svariati bagni e ore di sole era arrivata l’ora di tornare a casa; sistemato tutto tornammo in macchina e io mi addormentai ripensando ai momenti felici trascorsi assieme, inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a pochi secondi. Sulla strada di ritorno, a Cava dei Tirreni, una macchina si affiancò alla nostra e improvvisamente cominciò a piovere una raffica di proiettili.
Per me non ci fu scampo, morii tra le braccia del mio amato papà, dopo una magnifica giornata di sole e dopo il mio primo bagno della stagione. L’unica cosa che rimpiango è di non aver potuto dirgli ti amo per l’ultima volta.
Ora che li guardo da quassù gioisco a vederli di nuovo tutti insieme, felici e spensierati, nonostante tutto. Sarei solo voluta stare a fianco a mamma e darle la forza di andare avanti durante quegli anni, in cui si è sentita persa e sola, e stare vicino a papà durante quei mesi di ospedale, causati dalla sparatoria.
Ora vorrei semplicemente salutare i miei due fratelli, dirgli che mi mancano e salutare la mia sorellina che purtroppo non ho mai potuto conoscere e dirle di tenersi stretti mamma e papà e vorrei dire a tutta la mia famiglia di non preoccuparsi per me perché io qui sono felice.
CLAUDIO DOMINO
Una giornata diversa
Mi chiamo Claudio Domino, sono nato l’8 gennaio del 1975 a Palermo, ho 11 anni e sono figlio unico.
Mio padre è un dipendente della società italiana dei telefoni, inoltre lavora anche al tribunale di Palermo, gestisce una ditta di pulizie che tiene in ordine l’aula bunker.
Mia mamma invece gestisce una cartolibreria.
Io molto spesso sono solo e non ho amici.
Le mie giornate sono monotone. Mi alzo ogni giorno alle 7, mi lavo, mi vesto e faccio colazione con i miei amati biscotti e un pò di latte.
Poi vado a scuola a piedi ed entro alle 8 per fare lezione.
Le prime ore sono sempre noiose e mi consolo con la ricreazione, mangiando un panino.
Verso le 13 il mio unico pensiero è aspettare che suoni la campanella per tornare a casa e mangiare.
Al mio ritorno trovo solo mia madre che fa una pausa di un’ora prima di tornare a lavoro.
Di solito nel pomeriggio dopo i compiti esco a giocare e la sera vedo un film alla TV e dopo vado a dormire.
Oggi è una giornata come le altre e dopo pranzo sono uscito a giocare come sempre.
Decido di giocare a palla vicino ad un vicolo. Da lontano vedo tre/quattro persone che stavano trafficando eroina.
Pian piano mi allontano sempre di più per cercare di scappare.
Ma non faccio in tempo e mi si avvicina un signore vestito tutto di nero sopra una motocicletta, con una visiera nera e non riconosco chi è.
Lui urla “bambino” e io cerco di fuggire, ma lui mi raggiunge e mi ferma.
Ho ansia e paura allo stesso momento. Mi punta una pistola contro e mi dice “hai visto troppo”.
Io mi chiesi cosa avessi fatto di male. L’ultima cosa che ricordo è lui che preme il grilletto e poi…
STEFANO POMPEO
Sono Stefano, di cognome Pompeo e ho quasi 12 anni.
La mia famiglia è strana: mio padre se ne va sempre vestito elegante, mia madre invece è una gentile casalinga. Le mie passioni sono il calcio e la cucina…o meglio mangiare: ma quanto è buono il cannolo cioccolata e pistacchio???
Sono passati parecchi mesi da quando ho scritto per l’ultima volta…è successo qualcosa che ha fermato la mia vita….
Letteralmente!
Un giorno mi sono alzato dal letto un po ‘ allarmato: avevo sentito una raffica di colpi provenire dal centro del mio paese. Ero spaventato e impaurito al pensiero delle conseguenze di quegli spari: uno non spara a caso! Trascorsero alcuni minuti. Un silenzio totale e irreale era sceso avvolgendo ogni cosa come fosse un buco nero che divora ogni cosa.
Poi il tempo ha ricominciato a scorrere.
Avevo una partita di calcio importante e mio padre aveva appena comprato una nuova auto: ero gasatissimo e pronto a tuffarmi nella giornata che mi attendeva, quasi non ricordando più gli spari che avevano squarciato l’aria e i miei pensieri poco prima.
Ovviamente, prima della partita, un cannolo con la ricotta era d’obbligo, quasi una scaramanzia!
Siamo saliti in macchina: l’odore di nuovo rendeva ancor più eccitante il nostro viaggio.
Stavamo percorrendo una strada che costeggiava bellissimi campi di grano: che bello che era!
All’improvviso uno sparo.
Un dolore sordo, mai provato prima. L’aria cominciava a mancarmi. Mi avevano centrato la testa.
Non so descrivere i miei pensieri. So solo che avevo paura di cosa sarebbe successo a mia madre, a mio padre, ai miei amici e ai miei parenti.
…
Avevo tante cose da fare ancora, tanti sogni da realizzare…
Ora so che potrò continuare a correre e respirare vivendo per sempre nel cuore di chi mi ama e nei miei sogni di bambino strappati via all’improvviso.
LUIGI PULLI
Luigi Pulli è nato a Veglie nel 1947.
Nel corso della sua vita Si era sposato e aveva avuto dei figli.
Era un uomo che amava il suo lavoro e la sua famiglia e mai avrebbe pensato che proprio durante le ore di servizio avrebbe perso la vita.
Luigi era una guardia giurata e svolgeva il suo lavoro con passione.
Quel sei dicembre del 1999 era una mattina come tutte le altre.
Luigi, dopo aver fatto colazione e aver salutato i suoi figli e sua moglie, si dirige sul posto di lavoro dove incontra i suoi colleghi Rodolfo e Raffaele. Quel giorno dovevano rifornire gli uffici postali della zona di contanti, dato che era giorno di paga delle pensioni: già immaginavano il viso contento degli anziani in fila e si chiedevano quando, anche loro, avrebbero potuto finalmente godersi la calma della pensione. Caricato il denaro sui furgoni portavalori, si mettono in marcia.
Sono passati più di venti anni da quel giorno.
L’orologio aveva da poco segnato le sette e i tre colleghi si sono ritrovati improvvisamente nell’inferno.
Il furgone guidato da Luigi fu speronato e mandato fuori strada: l’impatto è stato violentissimo e Luigi muore sul colpo.
Ogni sei dicembre i colleghi ricordano i compagni che non ci sono più e in onore di queste vittime innocenti della Sacra Corona Unita, è stato collocato un monumento sulla strada che conduce al luogo dell’incidente e sono state deposte corone di fiori in loro memoria.
ANNA PACE
06/07/1950
Ciao caro diario :D, mi chiamo Anna, Anna Pace, e sono una ragazzina molto simpatica e autonoma☺. Ho scelto io! PERSONALMENTE te, perché sei diverso dagli altri diari: se mi guardo intorno, noto che hanno tutti gli stessi e identici diari coi brillantini! È noioso vederli tutti uguali, quindi ho scelto te che porti in copertina delle belle rose bianche, sei fatto di carta riciclata e sei anche meno costoso ☺. Spero di esserti simpatica, perché ti prometto che scriverò ogni singolo giorno 😛 notte notte :D.
Anna non smentì la promessa e scrisse ogni giorno ciò che faceva…Fino a quando…
11/09/1964
Ciao, caro diario…ti scrivo per dirti che…non ci sentiremo più…perché è un periodo difficile e non ho il tempo di farlo: mio padre non c’è più e devo aiutare la mamma, quindi addio…
Da quel giorno Anna ruppe la promessa e non si fece più viva fino a quando…!
20 /10/1990
Ciao diario, sono Anna, ti ricordi di me, vero?
Sono passati molti anni dall’ultima volta in cui ti ho scritto…sono tornata perché ho bisogno di sfogarmi un po’, è un periodo un davvero difficile.
In questi anni sono cambiate molte cose; ora ho una famiglia, cinque figli, un marito fantastico, dei nipoti meravigliosi: l’unica cosa che manca è mia mamma che è morta tre anni fa, ora sento che con lei è andata via anche una parte importante di me.
Sono una persona molto socievole, vado d’accordo con tutti ma sento che ci sono molti sorrisi falsi intorno a me; vorrei solo che le persone fossero davvero sincere ma, a quanto pare, sembra che io chieda una cosa impossibile. Ora devo andare a cucinare, ci vediamo domani.
Da quel giorno, Anna continuò a scrivere e, a mano a mano, si sentiva sempre meglio.
…
Un brutto giorno però…fu la sua ultima conversazione col diario…
5/10/1999
Hey diario, oggi sono molto impegnata ed emozionata, devo andare a prendere mio figlio alla stazione perchè ha finito finalmente gli studi e si deve laureare!!!
A dopo.
Purtroppo Anna non fece più ritorno…
Lo stesso giorno il telegiornale trasmise la notizia del terribile incidente, in cui la povera Anna rimase coinvolta: “Un tir guidato da contrabbandieri di sigarette, capofila di mezzi blindati, in piena curva perse il controllo al volante e invase la corsia a fianco prendendo in precisamente la macchina di Anna, che era diretta verso la stazione…”.
L’incidente fu mortale per la nostra Anna che morì il 12 ottobre all’ospedale di Fasano.
Anna, esempio di vittima innocente della mafia coinvolta in un incidente accidentale, un “semplice” evento che ha stravolto per sempre la vita di una famiglia…
La colpa? Ha un nome ben preciso: mafia!
Quando decideremo di smettere di ignorarla?
ANTONIO LIPPIELLO
Ciao,
sono Antonio Lippiello, sono nato l’8/01/1962 ed ho 37 anni.
Sono sposato ed ho due figli, Leonardo e Alessia. Amo tantissimo la mia vita e la mia famiglia.
Sono nel corpo della Polizia di Stato e mi sono trasferito a Venezia circa vent’anni fa dalla provincia di Napoli, la mia terra di origine. Sono entrato a far parte della squadra mobile veneziana in cui sono sempre stato considerato uno degli elementi più affidabili per capacità e competenza.
In questi giorni sono molto stanco quindi, con la mia bellissima famiglia, abbiamo deciso di fare una vacanza al mare: ho prenotato per una settimana e partiremo domani mattina presto.
…
E’ passata una settimana dalla nostra vacanza: mi sono riposato e divertito molto con la mia famiglia con la quale mi piace trascorrere tutto il mio tempo libero. Adesso siamo a casa e domani tornerò al mio amato lavoro.
…
Sono stato chiamato per svolgere un’operazione antidroga; la Questura ha chiesto di istituire un posto di blocco lungo la strada provinciale, nel quale sono stati fermati due tunisini, trovati con circa mezzo chilo di eroina nella loro auto. Poco dopo, al casello dell’autostrada A4, sopraggiungeva una Volvo 850 con a bordo due veneziani che, secondo gli investigatori, erano gli acquirenti dell’eroina. I due italiani evitarono il posto di blocco e si diedero alla fuga lungo la tangenziale di Mestre. Da lì iniziò un inseguimento ad alta velocità da parte di alcune auto della nostra squadra mobile, tra le quali l’auto civetta su cui mi trovavo io. I malviventi più volte hanno cercato di buttarci fuori strada fino a quando, all’altezza dello svincolo per la Castellana, ci hanno raggiunto e affiancati perfettamente.
Riuscirono a buttarci fuori strada: tutti quelli che erano a bordo morirono, io compreso.
Ero consapevole, mentre ci inseguivano, che sarei potuto morire; i miei pensieri, mescolati all’agitazione del momento, andavano a mille. Due erano quelli che più mi tormentavano: “E ora la mia famiglia?…Sei certo di aver fatto qualcosa di buono per garantire a loro e a tutti un futuro migliore?…”
Ad oggi non so darmi una risposta ma posso dire che continuo a proteggere la mia famiglia da qui, da questo “mondo” parallelo.
VINCENZA LA FATA
Una vita infranta
Ciao, sono Vincenza La Fata e sono qui per raccontarti una triste storia quella di una bambina di otto anni con una vita qualunque travolta dal mostro della mafia.
È il primo maggio 1947 e tra poco festeggeremo la festa dei lavoratori e manifesteremo contro il latifondismo. Sono sdraiata sul letto di camera mia mentre osservo dalla finestra il paesaggio primaverile, il tempo è sereno e il sole illumina i miei occhi di gioia. Il polline vola nell’aria, gli uccelli cinguettano e i fiori sbocciano. Sono felice perché tra poco incontrerò la mia amica Anna, ma anche perché mamma mi ha cucito un nuovo vestito di merletto per l’occasione, abbinato a delle scarpette a pois. Lei, con mia sorella, sta raccogliendo qualche pomodoro, papà sta sfornando il pane per la festa, mentre zia prende la carriola per trasportare il cibo. Ora ci stiamo incamminando per raggiungere la piazza. Con noi c’è anche Anna che non vede l’ora di giocare insieme a me. Appena arrivata, poggio il cibo sul tavolino e in fondo alla piazza vedo una panchina apro lo zaino con le bambole, faccio sedere anche la mia amica e tra gioco, cibo e divertimento, Schirò raggiunge il palco per fare il suo discorso. All’improvviso un boato, piovono colpi di fucile, la polvere si alza e mi annebbia la vista, inizio a tossire, non trovo Anna, allora inizio ad urlare il suo nome finché non la trovo… sdraiata, a terra, inanimata…
Ma neanche il tempo di versare una lacrima che sento un colpo raggiungere la mia testa e tutto in un secondo si spegne…
Ciao, mi chiamo Vincenzina, di cognome La Fata, secondo me è un bellissimo cognome, sporcato da una storia terribile, quella della mia morte.
Sono nata nel lontano 1939 come una bambina qualunque a cui piaceva giocare con le bambole , parlare con le amiche e fare altre attività che faceva una ragazza normale della mia età . Sono nata vicino ad una grande città: Palermo, in cui c’era e c’è una delle tante culle della mafia italiana , che come un polpo stritola le bellissime città del sud Italia.
Era il 1° maggio 1947 ero molto felice perché io, mamma e papà insieme a molte altre persone eravamo andate per la festa dei lavoratori, mi ricordo che quel giorno mamma aveva portato la brace per cuocere la carne.
Mi ricordo che la carne era buonissima, solo a vederla mi veniva un languorino alla bocca , a quell’epoca mangiare carne era una cosa rara, appena ho provato ad assaggiare quel bocconcino divino mamma mi ferma e mi ricorda che prima di mangiare dovevamo ascoltare il discorso del comizio, dopo un po’ mi ero arresa a cercare di mangiarlo e aspettavo con cuore il discorso del comizio.
Discorso che però non fece in tempo ad arrivare , perché dal monte vicino si erano iniziati a sentire degli spari. Io ingenuo com’ero pensavo che fossero o petardi o fuochi d’ artificio, riflettendo la seconda ipotesi era errata poiché nel cielo non c’era nessuno spettacolo.
Appena mi sono girata a chiederlo, mia madre era grondante di sangue come una fontana, il tempo di capire cosa era successo caddi , come una foglia d’autunno, per qualche momento non vedevo più e sentivo a poco a poco il mio corpo svanire, dopo qualche secondo mi ritrovo nel cielo a guardare il mondo dall’alto da qui vedevo e vedo tutti i giorni la vita di tanti ragazzi/e della mia età ma solo a quel punto mi sono resa conto : ero diventato un angelo.
E’ così che la mia vita e quella di altre 10 è stata calpestata, c’erano 27 feriti e molti altri sono morti in ospedale.
Al giorno d’oggi dopo 73 anni dall’attentato alla Portella della Ginestra
non riesco ancora a perdonare gli assassini e tutt’ora non capisco come questa gente ha potuto tante persone con tanta facilità (emotiva), in questo modo non hanno solo infranto la legge ma hanno calpestato un diritto che dovrebbe essere inviolabile quello di vita , ma a quale fine? a quale scopo? Solo per del vile denaro: quanto sarebbe bello se le persone come loro pensassero al prossimo invece dei beni materiali?
La mia storia fa capire fino a dove si può spingere la crudeltà umana.
ATTILIO MANCA
Caro diario,
oggi ti racconto un po’ della mia vita.
Mi chiamavo Attilio Manca, avevo 35 anni e vivevo a Viterbo con mia madre.
Facevo il medico, ed ero anche molto conosciuto per questo nella mia città.
Un giorno come tutti gli altri mi mandarono a Marsiglia per un delicato intervento alla prostata: avrei dovuto operare, insieme ad una equipe del posto, un certo Gaspare Troia, fornaio siciliano.
Ero un medico, e se qualcuno aveva bisogno di un intervento avevo il dovere di compiere il mio dovere.
Ma non sapevo chi fosse in verità questo misterioso paziente.
Il problema fu che, una volta sul posto, lo riconobbi: era il pluriricercato Bernardo Provenzano.
Così firmai la mia condanna a morte.
Mi ritrovarono nel mio appartamento di Viterbo.
Sui giornali scrissero che ero morto a causa di un mix letale di eroina e farmaci. Mia madre, intervistata dopo l’accaduto, spiegò che non avevo mai fatto uso di droghe, che non bevevo alcool e, anche se fosse, la puntura che lasciava il segno di iniezione sarebbe dovuta essere sul braccio destro, poiché io ero mancino.
Non sapendo più cosa inventarsi, o non volendo scavare a fondo nella verità, archiviarono la mia morte come un semplice suicidio. Il procuratore capo di Viterbo, Alberto Pazienti, poi indagato, rivolgendosi alla mia famiglia che chiedeva giustizia disse addirittura:”I famigliari si rassegnino, non è un fatto di mafia ma una disgrazia di droga”.
Non mi sarei mai aspettato che, in un giorno come tutti, mentre svolgevo il mio lavoro, uno dei boss dell’organizzazione mafiosa di Cosa Nostra ordinasse di uccidermi solo per aver incrociato la sua strada, senza un motivo.
Dopo anni e anni di ricerche, finalmente fu trovato il colpevole di tutto ciò: Bernardo Provenzano.
L’hanno cercato per 42 anni prima di arrestarlo.
…
Caro Diario,
questa è la mia triste storia; non auguro davvero a nessuno di vivere e provare ciò che è accaduto a me, solamente perché stavo svolgendo il mio lavoro da semplice cittadino.
Il mondo purtroppo è ingiusto, specialmente con chi non se lo merita, ma io adesso sono quassù a raccontarti la mia storia a testa alta e col sorriso, perché io quella parte bella della vita l’ho vissuta; anche se sono morto, sono morto con il cuore in pace.
Prima di lasciarti, ti chiedo un solo favore: salutami la mamma!
Intervista al fratello di Vincenza La Fata
Siamo qui in Sicilia dove stiamo per intervistare il fratello di Vincenza la fata che sopravvisse alla strage di Portella della Ginestra. Cosa si ricorda di quel tragico che l’avrà sconvolta sicuramente? Allora avevo pochissimi anni ed era la festa dei lavoratori e durante questi eventi di paese ero sempre molto emozionato ricordo che mia sorella aveva un bellissimo vestito cucito da mia mamma, arrivati c’era molto cibo che io di nascosto rubavo perché mia madre mi diceva che fino a quando l’oratore non avesse iniziato a fare il suo lungo e noioso discorso io non avrei assaggiato quello che stava sul tavolo però non avrei mai immaginato che appena inizio a parlare si
sentirono dei botti come quelli di capodanno e poi vidi mia sorella per terra con mia madre vicina scoppiata in lacrime e in ginocchio e io rimasi traumatizzato con viso pietrificato e ad oggi quella immagine è impressa nella mia mente. E quel bel vestito è ancora nel mio armadio.
DANIELE POLIMENI
Sono Daniele Polimeni, ho 19 anni.
Per un ragazzo della mia età è difficile vivere in un quartiere popolare di Reggio Calabria; quasi ogni giorno si sentono degli spari, “allegri schiamazzi” provocati dalle pistole delle bande mafiose della zona sempre in conflitto tra loro.
Le rapine ai negozi sono all’ordine del giorno. Qui, spesso, si ruba non per arricchirsi ma per portare cibo ai propri cari! Ci sono molti spacciatori, quasi tutti gli abitanti hanno precedenti penali e io non sono da meno. Crescendo in un contesto del genere sono finito anch’io nel giro della malavita; “lavoro” per un’associazione delinquere e mi occupo soprattutto di spaccio di droga, di tutti i generi. Oggi, ad esempio, devo vendere almeno cinque grammi di cocaina per arrivare a cinquantacinque euro: quando avrò raggiunto la somma di venticinquemila euro potrò finalmente realizzare uno dei miei grandi sogni, cioè comprare un macchina, una BMW nera opaca.
Desidero molto questa macchina per viaggiare con mia mamma Anna; vorrei portarla a visitare il Trentino Alto Adige, con i suoi laghi che fanno da specchio alle baite e alle immense montagne che a lei piacciono tanto. E siccome mamma ha fatto tanto, anzi troppo, per me, vorrei fare anch’io qualcosa per lei.
Sono passati tre anni e finalmente posso acquistare la mia BMW; andrò dopo domani dal concessionario, perché oggi gioca la mia squadra del cuore, la Reggina: se vince, questa sera io e i miei amici andremo a festeggiare al bar e ad ubriacarci.
…
Ieri sera la Reggina ha stravinto: siamo andati in giro per il quartiere con le macchine, suonando il clacson e sventolando bandiera fuori dai finestrini e sono tornato a casa ubriaco fradicio.
Oggi è il grande giorno: andrò a comprare la mia amata BMW!
Appena la comprerò io e mamma andremo a fare il nostro fantastico viaggio in Trentino.
…
Auto comprata, è bellissima, proprio come me la immaginavo!
Mamma e io partiremo tra due giorni ovvero lunedì…
Devo confessare una cosa: ho ingannato il boss perchè gli ho detto che avevo venduto tutta la droga invece non è così, per avere prima l’auto e anticipare il pagamento. So già che è quando il capo lo scoprirà sarà la mia fine ma ora non voglio pensarci e andrò a godermi il primo e forse unico viaggio della mia vita.
…
Oggi partiremo e non vedo l’ora, il trenta marzo, è arrivato: prima di partire, però, devo presentarmi ad un appuntamento. Non so bene con chi mi devo incontrare ma ci andrò sulla mia BMW. Ho molta ansia, tanta paura e pressione addosso, comunque spero di sbrigarmi perché mamma mi sta aspettando.
L’appuntamento è a Favazzina, una zona di mare vicino al mio quartiere: sto andando, mi avvicino sempre più e…
EMANUELA SANSONE
Ciao a tutti, sono Emanuela Sansone e ho 17 anni. Oggi sono qui per raccontarvi la mia storia.
Era una bellissima giornata di dicembre il 27, avevo passato Natale insieme alla mia famiglia, anche quel giorno ero con loro; Stranamente in quei giorni non ha nevicato, anzi, era una bellissima giornata, il sole era alto nel cielo e c’era un leggero vento che ci stava accarezzando. Come tutti i giorni, dopo pranzo, sono uscita a giocare con i miei fratelli, ci stavamo divertendo molto.
Stavamo giocando a palla, nel prato, mi ricordo anche che buttandomi per terra, mi sono sporcata la mia tuta preferita, e quando sono andata a dirlo a mia mamma, lei si è arrabbiata tantissimo.
Così mi sono andata a cambiare e poi sono ritornata fuori, i miei fratelli mi stavano aspettando e quando sono tornata, stufa di giocare a calcio, abbiamo deciso di fare una passeggiata, è stato proprio in quel momento che abbiamo sentito dei colpi di fucile, io ho pensato subito ai miei fratellini e ho cercato di salvarli, ma purtroppo sono stata colpita.
Quando sono caduta, sono riuscita a vedere i miei fratelli correre, poi niente…ho iniziato a vedere tutto buio, i miei diciassette anni sono riuscita a vederli in pochissimi secondi…
PEPE TUNEVIC
Da anni vivevo nel campo nomadi di Gioia Tauro, un posto stressante, pieno di gente con storie e situazioni difficili. Con me c’erano mia moglie ed i miei 5 figli. Eravamo una famiglia povera e, per guadagnare qualche soldo, realizzavo delle miniature in legno, passione tramandatami da mio nonno. Creavo oggetti e personaggi che scaturivano dalla mia fantasia, mi piaceva molto. All’inizio non era un vero e proprio lavoro ma, andando avanti con questa passione, ho iniziato a vendere le mie sculture. Ogni settimana, insieme ad uno dei miei figli, il mio dolce angelo sordomuto, andavamo al mercato della zona dove cercavo compratori per le mie statuette, mentre mia moglie e gli altri bambini facevano un giro tra le bancarelle.
La nostra vita scorreva tranquilla: nonostante le difficoltà sembrava che le cose si mettessero sempre meglio per noi. Stavamo pensando che, di lì a breve, avremmo potuto anche permetterci una vera e propria casa: avevo 36 anni e volevo cambiare questa nostra vita!
Un sabato eravamo a Bovalino. Due uomini si sono avvicinati alla postazione dove vendevo le mie miniature: pensavo che volessero comprare qualcosa ma, con aria minacciosa, dissero che dovevano parlarmi.
Siamo andati in un angoletto, avevo lasciato mio figlio da solo.
Mentre andavamo sapevo che non volevano solo parlarmi ma ormai non avevo altra scelta: ma cosa volevano quei due da me?
Dalle parole sgarbate passarono presto ai fatti.
Uno dei due tirò fuori una pistola: io mi ero messo a correre cercando di scappare ma esplosero diversi colpi e riuscirono a colpirmi. Ero accasciato a terra, i due uomini erano ormai risaliti a bordo di un motorino; nel mercato erano tutti impauriti dal caos degli spari ma nessuno mi ha aiutato.
Mia moglie e i miei figli non sapevano che fare.
La polizia ha interrogato i testimoni ma nessuno aveva visto e nessuno aveva sentito.
L’unico a parlare, senza aver il dono della parola, fu mio figlio, il quale riuscì in qualche modo a far capire come si erano svolti i fatti.
…
Il mio omicidio resta irrisolto, archiviato senza troppe spiegazioni.
Ma, in fondo, posso comprendere: a cosa servirebbe indagare sulla morte di uno slavo privo anche dei documenti di soggiorno?
MICHELE LANDA
Oh, sono già le dieci di sera!
Devo sbrigarmi sennò arriverò in ritardo alla Cooperativa “Cooperativa e Giustizia” a Pescopagano!
…
Mentre percorrevo la strada con la macchina di servizio, sentivo crescere dentro di me un’ansia strana, a me sconosciuta…tuttavia continuai il mio percorso ma Pescopagano, non so perché, mi intimoriva! Ogni santa volta, incontravo sulla mia strada prostitute, spacciatori, camorristi, criminali nigeriani: qui c’era di tutto, tranne che lo Stato e ciò mi spaventava…da morire! Inoltre, circolavano voci riguardanti furti di apparecchiature di ogni tipo da parte della camorra, per chiedere successivamente ai proprietari ingenti somme per riaverle indietro.
Ebbene sì…il mio mestiere era proprio il metronotte!
Ero disperato…direi, però continuavo ad andare avanti senza abbattermi, per non far preoccupare i miei cari figli, mi dispiacerebbe un sacco. Sono i miei tesori! Non possono soffrire…sono la ragione della mia vita!
Oh! Finalmente sono arrivato!
È il mio turno, devo vigilare un ripetitore telefonico, devo svolgere il mio lavoro. Speriamo bene! Sono preoccupato ancora per quelle vicende.
Ho dato il cambio a un mio collega, Gian Gennaro Rossi, un simpaticone grassottello e paffuto, era proprio un grande!
L’aria era sempre assai strana, la percepivo non più dentro di me, bensì vicina a me, in poche parole…me la stavo facendo sotto!
Il cielo, a poco a poco, era diventato oscuro, tenebroso ed il timore che nutrivo era inimmaginabile. Il tempo scorreva lento: erano le tre di notte, ero super preoccupato e continuavo ad avere quella brutta sensazione. Allora mi dicevo: “Che cosa mai potrebbe accadere di male ad un povero e umile padre di famiglia, contadino per passione e metronotte di mestiere? Una persona piena di bontà nei confronti dei suoi figli e rispettosa verso il proprio lavoro? Uno che ama coltivare il suo minuscolo pezzetto di terra, che adora essere un contadino? Un uomo che lavora fino a stremarsi, si impegna il più possibile per portare cibo in casa, così da prendersi cura della sua adorata famiglia ed assicurarsi che stiano sempre bene?”
Così continuai con il mio lavoro, ovviamente…nonostante l’ansia pazzesca, avevo quasi concluso il mio turno. Mi preparai per tornare a casa, erano le 3:45, ero colmo di brividi, di paura…Entrai in macchina, mi sedetti…ero pronto a partire, conoscevo il male molto bene, troppo…e pensavo alle atrocità commesse dalla camorra e all’indifferenza del popolo poiché, sebbene i camorristi uccidano materialmente, il silenzio dei cittadini copre l’orrore e aiuta la violenza.
In auto percepivo la mia fine…perciò volevo dedicare quel poco tempo a me rimasto ai miei gioielli, ovverosia i miei preziosi figli…insieme siamo come la ciliegina sulla torta…la perfezione.
Passato un po’ di tempo arrivai a Mondragone.
Silenzio tombale…nessun mezzo di trasporto, nessuna persona…niente.
L’aria strana di prima era sempre più vicina, era accanto a me, anzi…dentro di me.
Decisi di fare rifornimento, era un luogo isolato, immerso nella campagna, avevo timore. Ad un tratto, udii un rumore in lontananza, assomigliava a quello di una moto…non ne ero sicuro, ma una cosa era certa…ero sospettoso.
Mentre riempivo il serbatoio il rumore si avvicinava…avevo molta ansia.
Quando terminai di fare benzina, il rumore era di fronte a me, purtroppo sì!
Eravamo lì a guardarci.
Erano presenti una moto, due persone irriconoscibili, una pistola, io e…un proiettile.
Ora, però, non esistevano più né proiettili e né persone…io, o per lo meno ciò che di me percepivo, ero quasi morto, soffrivo…infine ho solamente visto il fuoco…vicino a me.
Ah dimenticavo! Prima di dormire per l’eternità, vorrei augurare il meglio ai miei figli, di impegnandosi sempre in tutto ciò che svolgono, sempre! Con costanza e voglia di fare.
Rrrr! Mi avete fatto arrabbiare ora miei figlioli, sapete che soffro di claustrofobia, scherzo! Vi amo!
Buonanotte, ho sonno, tanto…
Prima di addormentarmi, vorrei dire giusto “due parole”.
Sono sempre stato un uomo onesto, un uomo di poche parole…un uomo vero, non meritavo tutto ciò.
Io ho vissuto per ben due volte.
La prima, nascendo, l’altra, invece, vedendo la mia morte in faccia…una morte atroce, che a nessuno auguro. Bruciare qualcuno è la cosa più orribile al mondo…ma io brucerò sempre per illuminare le persone che mi sono state accanto nei momenti difficili. Brucerò per scaldare i cuori di tutte le persone, anche di coloro che mi hanno ucciso, affinché possano trovare una vita migliore e la pace con sé stessi. Odiare non serve, vendicarsi è inutile, bisogna perdonare…porgendo l’altra guancia, come ci ha insegnato Gesù.
LUIGI SICA
Mi chiamo Luigi Sica, ho 17 anni e credo di essere un ragazzo simpatico e socievole; mi piace il calcio e guardo sempre tutto le partite.
Abito a Napoli dove la camorra è presente da tanti anni; un giorno, mentre stavo in strada, ho avuto una lite con un ragazzo di nome Ciro. Siamo venuti alle mani e, alla fine, gli ho tirato uno schiaffo: quello è stato il mio più grande errore. Infatti, proprio mentre mi allontanavo, Ciro mi ha detto: “Io ti uccido…”.
Quelle parole purtroppo si rivelarono vere.
Un giorno Ciro mi colse alla sprovvista in un vicolo e mi accoltellò per tre volte; alla prima coltellata sentii un dolore immane al petto, alla seconda sentii che la mia anima mi stava abbandonando, alla terza caddi morto a terra.
Io non mi sarei mai aspettato che Ciro mi uccidesse veramente e di morire così giovane , avevo tanti sogni da realizzare, la scuola da finire e volevo seguire la mia passione più grande, cioè diventare un calciatore.
Oggi mi sento di dire che la camorra è una cosa che non dovrebbe esistere e tutti noi dovremmo essere uniti per combattere contro questa ingiustizia.
Di sicuro questa è una storia triste ma purtroppo non l’unica: molti ragazzi giovani sono morti perché la camorra li fa vivere nella paura e questo non è giusto perché i giovani devono essere liberi di vivere e di realizzare i propri sogni.
DOMENICO DE NITTIS
Sono nel letto vicino a mia moglie che dorme già da un po’ insieme a mia figlia.
Io no, non ci riesco.
Sto pensando a domani, finalmente torno a lavoro dopo una settimana di ferie con la mia famiglia. In questa notte stranamente inquieta mi stanno passando strane idee per la testa ad esempio:”chi sarà ad accompagnare mia figlia all’altare? Ci sarò io a crescere i miei nipoti mentre mia figlia e il suo futuro marito sono al lavoro?”.
Ma che pensieri sono? Forse perché mia figlia mi ha parlato così tanto del suo fidanzato…
Ho una vita davanti, non ho fatto male a nessuno: posso dire di essere a posto con me stesso.
Sono le 6, è un nuovo giorno.
Guardo l’alba: ”che bella”, penso.
Mi preparo e faccio colazione. Sono le 7 e sono già a lavorare a Peschici nella provincia di Foggia.
Alle 7:30 arrivano le prime persone che vogliono comprare la mia frutta e verdura:ogni giorno vedo molta gente e mi sento fortunato. Passano le ore; verso le 16:30 si comincia a sentire un forte caldo. E’ vero, le giornate sono particolarmente torride in questi giorni ma qual caldo era davvero troppo…bruciante! Mi giro e vedo la pineta del paese in fiamme. Cerco di salvare le mie cose,ma forse sono stato troppo lento, le fiamme hanno la meglio su di me.
Ora non sento e non vedo più nessuno.
Sono finito in uno strano elenco: vittima innocente della mafia.
…
Cavoli, era una persona normale. Poteva essere il padre di chiunque, eppure stiamo quasi tutti in silenzio, come se a noi andasse bene che persone “normali”, vengono uccise come se niente fosse solo perché si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma a me, Ucci Alessandra, ragazza di 13 anni, non va bene: se un giorno avrò l’opportunità di parlare e dare voce a chi voce non ha più, vorrei avere il coraggio di farlo senza avere paura e senza mettere in pericolo la mia famiglia.
DOMENICO NOVIELLO
Domenico Noviello è stato un imprenditore italiano, ucciso a colpi di pistola dal Clan dei Casalesi perché si era rifiutato di pagare il pizzo.
Nella sua vita Domenico riuscì a realizzare il desiderio di aprire un’autoscuola, l’unica in verità, presente nella zona di Castel Volturno. Era un uomo dolce, legatissimo alla famiglia e ai valori veri, quelli tramandati da padre in figlio, che fanno di un essere vivente un vero uomo.
E proprio per difendere i valori dell’onestà e del rispetto finì nel mirino dei suoi assassini: aveva avuto il coraggio di denunciare ciò che gli stava accadendo, spedendo in carcere alcuni illustri esponenti della camorra locale.
Perla rara in una terra avvelenata dal sentimento della paura.
Lui no: nonostante fosse consapevole di aver lanciato il guanto di sfida contro nemici molto più potenti di lui, continuava a vivere la sua vita, a testa alta e con lo sguardo che guardava al futuro.
Una mattina di maggio, purtroppo, la sua vita incrociò il suo destino: un destino che lui stesso, insieme alla sua famiglia, sapeva si sarebbe compiuto.
Pochi colpi di pistola bastarono a spegnere una voce coraggiosa.
Ora il suo nome campeggia sulla targa della piazza che ha accolto il suo corpo coperto di sangue.
Ma il suo coraggio di buon cittadino parla alla coscienza di ognuno di noi, come ricordano anche le parole di suo figlio Massimiliano:“Mio padre non voleva essere un eroe né tanto meno pensava di fare un gesto eroico. Lui voleva solo fare un gesto di «normalità» , ovvero denunciare l’illegalità!”
LUCIANO VOLPE
È una sera del 1978 nella bellissima città di Napoli, faccio il magazziniere e stavo tornando da lavoro, sono le 6 e mi sono fermato a prendere il solito caffè in un bar a pochi chilometri da casa, il proprietario è un mio amico d’infanzia e mi ha fatto il solito sconto sul caffè, mi metto su un tavolino e leggo il giornale visto che non ho fatto in tempo a leggerlo questa mattina perchè ero in ritardo.
Ad un certo punto entrano due signori in giacca di pelle nera, all’inizio non ci ho fatto caso perché ero preso dal giornale e dal caffè, fino a quando non ho sentito queste parole pronunciate da uno dei due uomini: non hai pagato il mese scorso stiamo ancora aspettando. Mi volto e noto che al proprietario gli era appena caduta la lingua, stava solo annuendo a ogni parola che diceva uno dei due uomini sudando freddo, noto anche che uno di loro ha una pistola nella giacca, provo a fare finta di niente ma uno di loro mi nota e mi manda un’occhiataccia poi dopo due minuti vanno via e io faccio lo stesso in fretta e furia tornando a casa.
Il giorno seguente mi sveglio con accanto mia moglie, non le ho detto niente per non farla preoccupare, vado a vedere cosa c’è nella credenza per la colazione e vedo che manca il pane e allora mi faccio coraggio ed esco a comprarlo, non mi sento più al sicuro come un tempo a camminare nelle strade di Napoli, ho conosciuto faccia a faccia il lato oscuro di questa stupenda città, sudo freddo mentre cammino per i marciapiedi, sapevo che stavo facendo una stupidaggine a non denunciare tutto alla polizia, ma avevo paura e in tutto questo ero arrivato al forno. Entro nel negozio e non faccio neanche in tempo a chiedere alla commessa i tipi di pane disponibili che sento un dolore pungente alla schiena, all’inizio non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo ma poi dopo qualche secondo le mie gambe smettono di funzionare e i miei occhi si chiudono per l’ultima volta in balia delle urla delle persone e degli spari gli ultimi istanti prima di andare in un luogo sconosciuto.
MICHELE MOLFETTA
E’ una fredda giornata d’inverno, fuori la neve si poggia sul terreno come una piuma scende dolcemente sul prato, le strade ghiacciate e piene di neve diventano come un parco giochi per i bimbi del quartiere, che già la
mattina si riuniscono in gruppo per giocare a palle di neve, scivolare sul ghiaccio e fare discese mozzafiato con lo slittino.
Per me non è così, la mattina presto suona la sveglia alle 6:30, per andare a lavoro, scendo dal letto un po’ assonnato con gli occhi socchiusi, mi metto le pantofole teddy che mi ha regalato mia figlia Arianna, il natale 1992. Anche se possono sembrare un oggetto banale, per me sono una cosa speciale, perché quando le indosso sento l’affetto di Arianna. Poi vado in bagno, mi sciacquo la faccia e scendo le scale, dove trovo proprio lei, che si stava già preparando per uscire. Per qualche secondo regna il silenzio, mi aveva preso un po’ alla sprovvista a quell’ora del mattino, poi la sua vocina squittì: “papà quando compriamo il costume di carnevale?”
Io:”Ehmmm, beh, il più presto possibile tesoro, ora devo sbrigarmi sennò faccio tardi a lavoro, dammi un bacio.”
Arianna mi dà un bacio e io corro via. Si è fissata con questo costume, la verità è che non so quando comprarlo perché sono sempre impegnato per lavoro, ma a un tratto mi illumino , due giorni dopo, il 20 febbraio, sarebbe stato il suo compleanno, il 21 carnevale invece. Potevo farglielo come regalo di compleanno, ne sarebbe stata felicissima, così ho fatto, e così è stato! Oh almeno, fino a che…
Arriva il giorno del suo compleanno e glielo dico, per un attimo rimane in piedi, immobile, poi lancia un meraviglioso sorriso e inizia a saltellare in aria come un canguro impazzito, corre per tutta casa felicissima di andare a prendere il suo costume, si è cambiata e si è messa i primi vestiti sotto i suoi occhi, non vedeva l’ora di partire. Aveva espresso anche un desiderio, di avere il costume da fata, dice che con esso si sente a suo agio, come se fosse il suo angelo custode.
Saliamo sulla mia punto blu, per andare in un negozio di giocattoli, non molto distante da casa nostra, circa 2-3 chilometri e partiamo.
Arrivati, Arianna non ha aspettato neanche che la macchina si fermasse del tutto, corse subito dentro al negozio, e visto che era la prima volta che ci entrava, aveva un fortissimo entusiasmo, magari di prendere tutto quello che c’era. Ammirava ogni singolo oggetto, come un adulto osserva un pezzo di oro massiccio.
Arrivato in negozio anch’io, saluto la commessa ch’era un po’ imbarazzata, e allora le dico: ”Oh signora è normale, è la prima volta che entra in un negozio di giocattoli, abbia pazienza, fra poco si calmerà”.
Lei annuisce e allora torno da Arianna, che ha avvistato la sua preda, il suo costume da fata, ma per lei era troppo in alto, e non riusciva a prenderlo, allora l’ho preso io, lo porto alla cassa per pagare, la commessa impacchetta il pacco, ci ringrazia e dice ad Arianna: “Buon Complea…”. Non riesce a finire la frase che due uomini mascherati e armati di mitra, spalancano la porta con un calcio fino a far frantumare tutti i vetri di essa, iniziano a sparare colpi di mitra a raffica, io prendo Arianna e la riparo sotto di me, nel mentre le dico: “Arianna scappa…Ah…c’è una porta sul…Ahhh…retro. Riparati…Ahhh…là dietro…Ahhh…MUOVITI! Mentre le parlo mi colpiscono 7 colpi di mitra, Arianna non fugge del tutto, sta a guardare la scena con le lacrime agli occhi, incapace di emettere suoni. Mi colpiscono poi con altri 8 colpi, e scappano. Arianna si avvicina subito a me ch’ero in fin di vita, con 15 colpi di mitra ancora impiantati nel petto. Mi guarda con le lacrime agli occhi, sembra una fontana. Era ancora incosciente di quello che stava accadendo, gli era sfuggito qualche dettaglio, si chiedeva fra sé e sé per quale motivo suo padre avesse dovuto fare quella fine orribile. Io sibilo: “A-Arianna, sa-sappi solo c-che t-tuo padre n-non ha fatto niente, è-è innocente! C-come lo sei tu. E-Eh ricorda se-sempre che…tuo…padre…t-ti…vuole bene.
Infine scende un’immensa distesa di vuoto.
Progetto “A ricordar e a riveder le stelle” – MI METTO NEI PANNI DI……
classe IIE
ALUNNO |
VITTIME INNOCENTI SCELTE |
||
AMOROSO Cristian |
DOMENICO DODO’GABRIELE |
||
AVITABILE Angelica |
BRUNO VINCI |
||
BELLISARIO Jonathan |
VINCENZO VACCARO NOTTE |
||
BOMBAFrancesco |
SIMONETTA LAMBERTI |
||
BOMBAMattia |
SIMONETTA LAMBERTI |
||
CESPITESAlberto |
SERAFINO TRIFARO |
||
CIAMPINI Leonardo |
GIOVANBATTISTA ALTOBELLI |
||
DELL’AREA Andrea |
MARIA LUIGIA MORINI |
||
DI CAMPLI Emmanuel |
GIOVANNI CALABRESE |
||
DI NELLAMary |
GIUSEPPE DI MAGGIO |
||
DI NUNZIO Antonia |
GRAZIELLA CAMPAGNA |
||
DI NUNZIO Francesco |
GIUSEPPE LETIZIA |
||
DI PIETRANTONIO Emma |
SIMONETTA LAMBERTI |
||
FRATINILetizia |
CLAUDIO DOMINO |
||
GIANNICOMaia |
VINCENZA LA FATA |
||
IANNOTTIGreta |
GIUSEPPE DI MATTEO |
||
IMBASTARO Matteo |
EMANUELA SANSONE |
||
MARFISIEdoardo |
GIUSEPPE LETIZIA |
||
PASQUINI Giulio |
VINCENZA LA FATA |
||
RAPINO Benedetta |
SIMONETTA LAMBERTI |
||
SCIOLI Ginevra |
SIMONETTA LAMBERTI |
||
SILVERI Simone |
LUCIANO VOLPE |
||
SMIGLIANI Matteo |
FRATELLO DI VINCENZA LA FATA |
||
TESTAGiacomo |
MICHELE MOLFETTA |
||
TUPONEAndrea |
GRAZIELLA CAMPAGNA |
Progetto “A ricordar e a riveder le stelle” – MI METTO NEI PANNI DI……
classe 3A
ALUNNO |
VITTIME INNOCENTI SCELTE |
ALTOBELLI Arianna |
LUIGI BODENZA |
ANREOZZI Paolo |
FRANCESCO MANISCALCO |
CICCOCIOPPO Giuliana |
AGATA ZUCCHERO |
COCAN Claudio |
FRANCESCO ALOI |
COMEGNA Gaia |
FRANCESCO MARCONE |
COMEGNA Giada |
VITTORIO REGA |
DI CIANO Laura |
MARCO MOSCHETTI |
DI CREDICO Benedetta |
ALBERTO VALLEFUOCO |
DI GIUSEPPE Francesco |
GIUSEPPE MARIA BICCHIERI |
DI SCIPIO Adriana |
…vittima innocente della vita… |
HALLULLI Mirela |
DAVIDE LADINI |
KAMBERAJ Kristian |
STEFANO POMPEO |
KEKAJ Klejdi |
LUIGI PULLI |
LUSI Noemi |
ANNA PACE |
MADONNA Sara |
ANTONIO LIPPIELLO |
MASCIANGELO Gloria |
ATTILIO MANCA |
NOVELLO Sofia |
DANIELE POLIMENI |
REKETS Aliaksandr |
PEPE LAYKOVAC TUNEVIC |
SCUTTI Giuseppe |
MICHELE LANDA |
SHULI Loris |
LUIGI SICA |
UCCI Alessandra |
DOMENICO DE NITTIS |
VINCIGUERRA Noemi |
DOMENICO NOVIELLO |
Questo piccolo contributo è stato realizzato
nell’a.s. 2020-2021 dalle classi 2E e 3A
della Scuola Secondaria di I Grado “G. Mazzini”
dell’ I.C. “Mario Bosco” di Lanciano (CH)
Direttore generale e Revisione Articoli: Prof.sse Maria Nativio e Mariastella Di Fonso
Art Direction: Prof.ssa Maria Raffaella Russo
Direttore Creativo: Prof.ssa Antonella Francione
Illustrazioni: alunni della classe IIE
Dirigente Scolastico: Dott.ssa Mirella Spinelli
Published: Feb 13, 2022
Latest Revision: Mar 23, 2022
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