I MULINI DI ASCIANO
I mulini di Asciano sono:
- Molino dei frati
- Molino dei preti
- Molino della commenda
- Molino di Remo
- Molino dei Cavalieri di Malta
CHE COSA SONO?
I mulini sono delle costruzioni vicino ai fiumi o ai corsi d’acqua. Il fiume, chiamato Bestina, era quello che forniva acqua alla maggior parte dei mulini di Asciano. Al loro interno i mulini avevano un complesso meccanismo che consentiva di macinare il grano per ottenere la farina.
Il meccanismo è composto da:
-due macine
-le pale
-il ritrecine
-la canna
-la prigione
-il carcerario
-la tramoggia
UNA GIORNATA AD ASCIANO.
AVVENTURA TRA I MULINI DEL PAESE.
Era un mercoledì di fine agosto, Aldo e Luigi erano emozionati ed impazienti. Da tempo aspettavano quel giorno. La notte non avevano chiuso occhio e alle quattro del mattino erano già pronti vestiti e sistemati per accompagnare il babbo e lo zio in paese, al mulino.
Si erano guadagnati questo premio durante la mietitura; avevano legato le manne di grano pronte per la trebbiatrice e avevano portato da bere agli uomini e alle donne che, dai poderi vicini, erano arrivati per aiutare la loro famiglia per la trebbiatura.
Aldo e Luigi abitavano in campagna e raramente andavano in paese, quindi quel giorno per loro era veramente speciale; quante cose avrebbero raccontato ai loro fratelli e alle loro sorelle. Non avrebbero potuto comprare niente, lo zio e il babbo erano stati molto chiari su questo, ma a loro non importava, in quella giornata avrebbero visto il mulino e anche evitato i lavoretti che la mamma e l’anziana nonna Felicia quotidianamente gli affidavano.
Il babbo e lo zio avevano già attaccato i buoi al carro e caricato i sacchi con il grano da macinare, per portarli al mulino di Remo, quando, dopo aver fatto colazione con pane e latte, i due bambini corsero velocemente nell’aia; di lì a poco ci sarebbe stata la partenza, anche se erano ancora le cinque del mattino. Bisognava arrivare presto perché in quel periodo molti contadini delle campagne che circondano Asciano, portavano il frutto del duro lavoro dei campi al mugnaio di fiducia, così per il corso del paese si formava una lunga fila in attesa del turno di macinazione; spesso i carri rimanevano fuori dalla porta del Bianchi, fino al ponticino di Camparboli.
I due bimbi si sedettero sui sacchi. Finalmente i buoi si mossero sbuffando e lentamente intrapresero il viaggio. Il carico era pesante e infatti il babbo e lo zio per un bel pezzo di strada camminarono a fianco ai due possenti animali. L’aria frizzante del mattino li accompagnava insieme all’odore del fieno bagnato dall’umidità della notte, il colore roseo all’orizzonte prendeva sempre più forza; il sole stava nascendo. Intorno a loro il suono delle voci degli uccellini accompagnava il rumore degli zoccoli dei buoi sullo sterro e il cigolare delle ruote del carro. Anche il cane Vespina per un po’ trotterellò dietro di loro, fino all’imbocco sulla strada buona che portava in paese, poi si fermò e li seguì con lo sguardo e con le sue piccole orecchie ben dritte fino a quando la compagnia non sparì dietro alla curva.
Il viaggio non fu proprio comodo, ma ad Aldo e a Luigi non interessava, immaginavano di essere famosi cavalieri, come quelli che affrontavano coraggiosi le peripezie nei racconti del maestro Gino; gli alberi che costeggiavano la strada erano tanti generali che li salutavano impettiti e i girasoli nei campi erano schierati come soldati pronti a seguirli in battaglia. Intanto il sole saliva nel cielo, l’azzurro era interrotto da qualche sbuffo bianco dalle forme strane e uccellini festanti svolazzavano veloci cambiando direzione improvvisamente.
Il babbo e lo zio si sedettero vicino ai bimbi, il ponte del Garbo si stava avvicinando e in lontananza si vedevano carri carichi procedere con lentezza sulla strada verso Camparboli.
Aldo e Luigi avevano un po’ di paura ad attraversare il ponte e vedere il fiume Ombrone sotto che scorreva; tante brutte storie avevano ascoltato durante la vegliatura vicino agli alari del focolare, ma in fondo loro erano i prodi cavalieri dei racconti e dovevano farsi coraggio. Così mentre i buoi iniziarono a calpestare il massicciato chiusero gli occhi e si presero per mano.
La loro paura svanì subito, le case di Camparboli si stavano avvicinando e ora più che mai i loro occhi guizzavano da una parte all’altra desiderosi di carpire tante immagini. Con fatica i buoi salirono verso la porta del Bianchi, lo zio fermò il carro dietro ad un altro mettendosi in fila e, dopo essere sceso dal mezzo si avviò lungo il corso costeggiato dalle case per andare a vedere quante e persone erano già arrivate.
“ E voi cosa fate, rimanete qui con me o volete andare con lo zio” disse il babbo ai due bimbi, che trepidanti non aspettavano altro che quell’ invito. Scesero con un balzo veloce e corsero fino ad affiancare lo zio, che intanto salutava gli amici e i conoscenti. Imboccarono la via traversa che dalla chiesa di Sant’Agostino portava al mulino di Remo; bisognava andare a farsi vedere dal mugnaio. Giunsero davanti ad un edificio, non era tanto grande, la parata vicino alla loro casa lo era di più. Intorno c’erano tante persone indaffarate, alcuni ragazzi caricavano sacchi di farina sui carri, altri invece portavano il grano all’interno del mulino, tutto questo tra il vocio e le chiacchiere dei presenti. “ Remo!” Chiamò lo zio. Un omone con una vestaglia verde ed un cappello di carta in testa, si voltò. “ Checco! Siete arrivati. Come è andata quest’anno??” chiese il mugnaio riferendosi al raccolto. “ Bene, Remo, bene. Abbiamo preso tanto grano, la stagione è stata buona. La neve dell’inverno ha fatto bene ai campi” rispose lo zio. “ Questo discorso l’ho sentito fare a diversi. Ma che ti sei portato gli aiutanti stamattina, o sono per me questi due ragazzotti?” Continuò Remo guardando Aldo e Luigi, che lo osservavano con aria sospettosa tentando di nascondersi dietro lo zio, che magro come era non rappresentava proprio un buon nascondiglio.
“ Davvero Remo sarebbero proprio due bravi aiutanti..in discesa però!” I due si misero a ridere e avvicinatisi si strinsero la mano con vigore. “ Avete fatto colazione citti” chiese l’omone ai due bimbi, che non pronunciarono parola. “ Dai venite con me! Al forno hanno fatto le briosce con lo zucchero sopra, ci dovrebbe essere sempre qualche pezzetto, tanto che ci siamo vi faccio vedere anche il mulino. Chissà forse verrete a fare i garzoni più volentieri”.
Entrarono nell’edificio da un portone di legno, davanti si trovarono due macine che ruotando stavano trasformando il grano in farina. I due bambini spalancarono i loro occhi curiosi, era veramente fantastico. Remo gli si avvicinò dandogli un pezzetto di brioscia ciascuno. La mangiarono con calma, era buonissima!! A casa, per le feste la nonna, la mamma e le zie accendevano il forno e impastavano mantovane, panduali, crostate e biscotti, delle vere bontà che facevano felici grandi e piccini, ma le briosce non le avevano mai assaggiate. Al ritorno avrebbero raccontato di quel dolce alla nonna, chissà forse lo conosceva anche lei e magari avrebbe provveduto a prepararlo.
Un signore anziano si avvicinò ai due bimbi. Era il babbo di Remo, Carlo, che prima di lui aveva lavorato al mulino e ogni giorno andava dal figlio per fare due parole con i vecchi amici.
“ Citti, sapete come funzionano le macine? Il babbo ve l’ ha spiegato?” chiese rivolgendosi ai due ragazzi, che masticando la brioscia scossero il capo facendo segno di no. “ Allora ve lo dico io” continuò l’uomo indicando i due grossi marchingegni. “ Vedete quelle due grosse ruote di pietra? Quella sopra sta girando su quella in basso che rimane ferma. Con questo movimento, girando, frantumano i chicchi e da quelle canalette esce la farina.”
“ Ma come arriva il grano tra le ruote? “ chiese Luigi. “ Dalla tramoggia, quel grosso imbuto di legno di forma rettangolare sopra le macine” rispose Carlo, “ Lì vengono svuotati i sacchi di grano e i chicchi scendono tra le due ruote di pietra. Guardate Gildo, sta facendo quello che vi ho detto, salirà su quella scala di legno e porterà il suo sacco all’imbuto” E infatti un uomo, che doveva essere Gildo, si caricò il sacco sulle spalle e salendo su una scalinata, che terminava con un palco sempre di legno, si diresse verso il grosso contenitore. Sciolse i nodi che aveva fatto con uno spago per chiudere la balla e ne rovesciò il contenuto. Una nuvoletta di polvere si alzò ma scomparve immediatamente. Pian piano i chicchi scivolarono tra le pesanti ruote orizzontali, che instancabilmente continuavano a girare e a macinare. Gildo scese dal palco e posizionò sotto alla canaletta della farina un nuovo sacco, che dopo qualche minuto iniziò a riempirsi; l’uomo intanto si accinse a portare un altro carico sul palco.
“ Ma come fanno le ruote a girare?” Chiese Aldo. “ Venite con me, vi farò vedere il carcerario” invitò l’anziano.
I tre uscirono dalla porta sotto lo sguardo dello zio Checco che da lontano aveva assistito alla scena.
Carlo portò i bambini, che in realtà erano un po’ in pensiero di andare verso il carcerario, al lato opposto dell’edificio, lì c’era un’apertura da dove si poteva scorgere un marchingegno posto in una stanza sottostante. Si sentiva il rumore dell’acqua e uno strano sciacquettio. “ Quello è il ritrecine a pale e sta girando perché l’acqua con la sua forza lo fa muovere. E’ proprio questo che mette in movimento le macine” spiegò Carlo. “ Bello! Ma da dove viene l’acqua, dal pozzo?” chiese Luigi. “ E’ l’acqua del fiume” riprese l’anziano uomo, “ la Bestina scorre vicina al mulino. Dei canali, detti gorelli, portano parte delle sue acque al ritrecine che è collegato alle macine con quel palo di legno. L’acqua continua a scorrere ed esce da quell’apertura, ma non ha finito il suo lavoro. Vedete quel casottino laggiù? Anche quello è un mulino, lì si macina il granturco, l’orzo e altre granaglie per fare il mangime degli animali. Solo dopo l’acqua si dirige verso il fiume”.
I bambini ascoltavano attentamente Carlo, sembrava che raccontasse una novella. Per essere forte l’acqua lo era, sapevano molto bene cosa faceva quando l’Ombrone era in piena, riusciva a portare via tutto ciò che incontrava e faceva tanta paura, ma non si sarebbero mai immaginati che potesse anche aiutare a macinare il grano.
“ Ma il mulino e i canali li avete costruiti Voi”, chiese Luigi, che con quel voi si stava rivolgendo a Carlo; lui era una persona di una certa età e agli anziani bisognava dare del Voi, anche babbo e mamma lo facevano con la nonna Felicia.
“ Citti questi mulini sono molto molto antichi, hanno tantissimi anni, come i gorelli che portano l’acqua e le gore che la raccolgono. Volete vedere una gora?” “ Siiiiii!!!” risposero i bimbi. Carlo si diresse verso il primo mulino facendo segno di seguirlo.
“ Aldo, Luigi dai che andiamo dal babbo, torneremo tra poco con il carro” chiamò lo zio Checco che li vide arrivare. “ Lasciali con me” rispose Carlo, “li porto a vedere la gora”. “ Dai zio, per favore lasciaci qui, ti promettiamo che faremo i bravi” supplicò Luigi. “ Citti occhio, se Carlo mi dice che l’avete fatto tribolare si fanno i conti quando si arriva con il babbo” rispose Checco. “ Zio faremo i boncitti” aggiunse Aldo. “ Vai tranquillo Checco, li tengo vicino a me e se non fanno il verso ci penso io” riprese Carlo facendo l’occhiolino.
I tre si avviarono verso la chiesa di Sant’Agostino da dove erano arrivati con lo zio, ma non ripresero la strada verso il corso, bensì il viottolo che costeggiava il retro del vecchio convento. Si trovarono di fronte ad una grande vasca piena d’acqua racchiusa da un muro in mattoni rossi. “ Ecco la gora, anche lei molto antica” indicò Carlo “ Tutta questa acqua viene dalla Bestina e serve a far funzionare il mulino. Asciano, con le sue campagne è da sempre un importante produttore di grano e di altri cereali, Vedete quel palazzo lì ” continuò l’’anziano indicando l’edificio che si affacciava lateralmente alla strada che portava al corso principale “ quel palazzo è appartenuto ad importanti famiglie, tra queste i Bandinelli. Dentro ci sono stanze pitturate, ma non come intendiamo noi con il bianco, sono pitturate con tanti disegni. Tra queste c’è la sala delle quattro stagioni, che in realtà un tempo era un granaio, infatti nel soffitto si vede ancora l’apertura dalla quale scendeva il grano, ma non si vede solo la botola, ma anche i disegni che vi dicevo. Mi avevano anche detto come si chiamano ma non lo ricordo”. Aldo e Luigi erano affascinati dai racconti di Carlo, ascoltavano con attenzione e con gli occhi cercavano di catturare più immagini possibili. Quante cose avrebbero potuto raccontare una volta a casa, forse non li avrebbero nemmeno creduti. Il maestro Gino, che sapeva tante cose, sicuramente era a conoscenza di tutte quelle storie, lui sì che avrebbe apprezzato il loro racconto probabilmente si sarebbero meritati un bel voto.
Carlo invitò i bimbi a seguirlo; avrebbero risalito il fiume fino alla cascata. Aldo e Luigi non stavano nella pelle, non avevano mai visto una cascata e non sapevano che ad Asciano ce ne fosse una, in realtà, dai racconti dell’anziano mugnaio, si erano resi conto di non sapere molte cose del Paese. Continuarono a camminare lungo il viottolo che costeggiava il letto della Bestina, sotto si sentiva l’acqua scorrere e ogni tanto anche qualche piccolo tuffo; forse le rane impaurite dal rumore dei loro passi andavano a nascondersi nell’acqua. Presi come erano dalle parole del loro accompagnatore non si curarono né delle rane, né delle lucertole che scappavano frettolose tra l’erba; se fossero stati a casa avrebbero fatto a gara per riuscire a prenderle. Giunsero finalmente al punto in cui si poteva vedere il salto, come lo definì Carlo e infatti l’acqua saltava eccome. Era come se ci fosse un gradino molto alto. Davanti a loro sulla destra c’era un altro edificio. Il loro accompagnatore riferì che quello, che sembrava una casa a due piani, era il Mulino dei Preti, mentre l’altra costruzione, che appariva molto rovinata, a destra in alto, era il Mulino della Commenda. Proseguirono salendo ancora lungo il viottolo fino ad arrivare ad un caseggiato che Carlo chiamò il Palazzo, anche quello era appartenuto a famiglie importanti e ricche, talmente importanti che avevano un mulino, il Mulino del Palazzo.
“ Citti dobbiamo tornare indietro, il babbo e lo zio a quest’ora avranno già macinato. Quando tornerete andremo a vedere gli altri mulini” disse Carlo aggiustandosi il cappello sulla testa. “ Ci sono altri mulini?” chiese Aldo. “ Certo e anche quelli molto molto vecchi. Tutti hanno i ritrecini immersi nell’acqua della Bestina, gore e gorelli portano loro le acque del fiume. Il primo dopo questo è il Mulino La Torre poi quello della Cornacchia, fino ad arrivare al Mulinuzzo” spiegò Carlo. I bambini erano veramente dispiaciuti, chissà quando sarebbero potuti tornare ad Asciano, non avrebbero mai visto tutte le cose che il loro accompagnatore stava raccontando.
Sulla via del ritorno l’anziano continuò a narrare vecchie storie, ogni tanto si interrompeva e fermava i due bimbi per fargli osservare fiori, piante che coprivano le sponde del fiume. Era tutto troppo bello perché potesse finire così. La felicità di Aldo e Luigi iniziava a trasformarsi in tristezza.
Quando arrivarono al mulino di Remo, che un tempo si chiamava dei Lanzi o Lanci, come aveva spiegato Carlo, il babbo e lo zio li stavano aspettando. Avevano già caricato la farina sul carro e parlavano con alcuni conoscenti.
“ Carlo come so’ stati questi citti. Ti hanno fatto arrabbiare?” chiese il babbo vedendoli scendere dal viottolo. “ Questi ragazzotti so’ bravi Dindo! Mi raccomando la prossima volta che tornate riportali perché devo fargli vedere altre cose. E voi” continuò l’anziano mugnaio “ Voi comportatevi bene mi raccomando. Vi aspetto”.
Aldo e Luigi erano felicissimi grazie a Carlo avevano vinto un altro viaggio in paese, ma sapevano anche che avrebbero dovuto filare dritti dritti, senza fare dispetti alle sorelle o disubbidire alla nonna Felicia, anche se proprio nonna spesso li aveva difesi quando, dopo qualche marachella, avevano rischiato la punizione. Salirono sul carro sedendosi sui sacchi come avevano fatto al mattino; era l’ora di pranzo. Babbo prese il pane che la mamma e la zia avevano preparato e, sorpresa, da un pacchetto di carta gialla comparvero anche le acciughe sotto pesto, che zio aveva comprato in una bottega che si trovava proprio dentro porta del Bianchi. Mentre tutti sul carro assaporavano il gustoso companatico i buoi si diressero verso Camparboli; i bimbi avrebbero voluto che quella giornata non finisse mai, ma nel loro cuore c’era la speranza di poter tornare per ascoltare i fantastici racconti di Carlo.
Daniela Sinatti
Published: Nov 29, 2021
Latest Revision: Nov 29, 2021
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