Storia di un personaggio Innominato by Giada Scuderi - Illustrated by Scuderi Giada, Caggegi Matilde, Girleanu Carmen, Ferra Gabriele. - Ourboox.com
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Storia di un personaggio Innominato

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Artwork: Scuderi Giada, Caggegi Matilde, Girleanu Carmen, Ferra Gabriele.

  • Joined May 2021
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 Storia di un personaggio Innominato

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An E-Book by Giada Scuderi, Matilde Caggegi, Gabriele Ferra, Girleaunu Carmen

Capitolo XXIV - I Promessi Sposi

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Indice   

Introduzione ……………………………………….6

Capitolo 1:Nido di aquile………………………….8

Capitolo 2:Due occhi lampeggianti……………..10

Capitolo 3:Il tiranno selvatico……………………12

Capitolo 4:La coscienza dell’Innominato……….14

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Introduzione

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L’Innominato è un personaggio misterioso, tanto misterioso che Alessandro Manzoni non gli dà né nome, né cognome. Non si sa nulla di lui, da dove arrivi e chi sia.
E’ una figura inizialmente antagonista, che poi invece diventa il nodo cruciale di svolta perché ogni cosa volga al lieto fine.

Lo troviamo a metà romanzo, quando nel cap. XIX lo scrittore ce lo descrive dicendo che è “un terribile uomo. Di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo” al quale don Rodrigo aveva chiesto soccorso per avere Lucia.

Questo misterioso Innominato ha però un’identità precisa, sebbene Manzoni non faccia il nome, ma del personaggio troviamo memoria in più d’un libro di quel tempo e possiamo far risalire la tanto emblematica figura a Francesco Bernardino Visconti, personaggio storico del quale il Manzoni discende da parte di madre, Giulia Beccaria, discendente dalla famiglia Visconti. Amava razziare nelle campagne cremasche della Repubblica di Venezia e poi si rifugiava nelle terre del Milanese. Visconti era il feudatario di Brignano Gera d’Adda, come Manzoni stesso afferma in una lettera a Cesare Cantù. Che il personaggio sia quel medesimo, l’identità dei fatti non lascia luogo a dubitarne;

In questo libro approfondiremo la conoscenza di questo personaggio considerato una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo.

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Capitolo 1

Nido di aquile.

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Il luogo fizionale in cui abita l’innominato è ispirato ad un luogo realmente esistito.
È una vera e propria fortezza, situata, approssimativamente,  tra il Milanese e il Bergamasco e lontano circa sette miglia dal palazzo di don Rodrigo: il luogo è descritto all’inizio del cap. XX, quando Don Rodrigo vi si reca per chiedere l’aiuto del potente bandito nel rapimento di Lucia e fin dall’inizio si presenta come un castello truce e sinistro, specchio fedele della personalità del signore che vi risiede. Infatti sorge in cima a un’erta collina al centro di una valle “angusta e uggiosa” che è a cavallo del confine dei due stati, accessibile solo attraverso un sentiero tortuoso che si inerpica verso l’alto e che è dominato dagli occupanti del castello, che sono dunque al riparo dall’assalto di qualunque nemico; il castello è come un nido di aquile in cui l’innominato non ha nessuno al di sopra di sé e da dove può dominare anche fisicamente su tutto il territorio circostante, di cui egli è considerato l’assoluto padrone.
All’inizio del sentiero che conduce in alto c’è un’osteria che funge da corpo di guardia, la quale, a dispetto dell’insegna che mostra un sole splendente, è nota come la Malanotte e in cui stazionano bravi.
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Capitolo 2

Due occhi lampeggianti.

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Il personaggio ci viene descritto dal Manzoni come un uomo affascinante e non solo per il suo carattere pragmatico.
È un uomo alto e calvo, con solo pochi capelli bianchi. La faccia è rugosa, i suoi occhi lampeggiano in modo sinistro ma vivace, segno dell’ancora presente forza interiore. Ha sessant’anni, ma il suo aspetto ne mostra molti di più, a causa di una vita travagliata contraddistinta da lotte e scontri.

Fu un giovane vivace e ribelle, e così rimase per il resto della sua vita, o almeno fino ad un punto specifico nella narrazione, dal carattere molto forte. Amava andare contro la legge e comandare, scontrandosi volentieri con chi non si voleva sottomettere. C’era chi si ritirava, chi diventava suoi amici, ma si trattava molto spesso di legami di interesse.

L’uomo è prepotente e crudele. Ama la violenza e spesso la usa come mezzo di risoluzione in quanto più veloce e facile. Nella sua vita ha commesso, infatti, diversi e numerosi delitti. L’amore per il potere l’ha portato ad avere molti bravi sotto il suo controllo e altrettanti territori e contadini, tanto da poterlo definire un tiranno straordinario. Nessuna vera e propria famiglia, solo persone a suo servizio. Tutti lo rispettano e soprattutto lo temono. Il suo nome incute paura e timore. La sua potenza l’ha reso famoso in tutto il milanese, tanto che è considerabile più potente e importante degli altri signorotti locali, che a loro volta lo temono. È spietato e sanguinario. Non ha paura della legge, in quanto riesce a manipolare anche la giustizia, motivo per cui agisce illegalmente ogni volta che lo ritiene necessario. Il suo essere sanguinario e spietato è spiegato da Manzoni con una similitudine: viene paragonato ad un’aquila che, trovandosi più in alto di tutti, domina l’intero territorio sottostante. Infatti, non c’è niente che si trovi in una posizione maggiore rispetto alla sua. Non c’è nessuno al di sopra di lui. La sua figura incute terrore, paura e orrore, sentimenti che si provano anche nell’osservazione della sua dimora nel capitolo precedente.
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Capitolo 3

                 Il tiranno selvatico.

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L’innominato ci viene presentato all’interno del libro perchè Don Rodrigo, per portare a termine la decisione di vincere la scommessa con Attilio, di rivolgersi all’Innominato. Decide di rivolgersi a costui perché era il personaggio più potente del luogo e con cui aveva voluto mantenere rapporti formalmente rispettosi, pur senza sbilanciarsi dato che l’Innominato era pur sempre un uomo che andava contro la legge: l’Innominato, infatti, ha scelto consapevolmente di dettar legge e di vivere al di fuori e al di sopra di quelle, Don Rodrigo invece “Voleva ben sì fare il tiranno, ma non il tiranno selvatico…”. Solo con il Griso, Don Rodrigo inizia la salita, si unisce a loro un altro bravo dell’Innominato e quindi Don Rodrigo e il Griso non avranno poi altri intoppi per arrivare al castello perché sono in compagnia di questa persona.

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Don Rodrigo vede alle pareti moschetti e sciabole, mentre di guardia ad ogni stanza c’è un bravo, finché è fatto entrare in una sala dove lo attende l’innominato, che non tarda ad andargli incontro e a salutarlo.Il signorotto dice di aver bisogno dell’aiuto del potente bandito, poiché si trova in un impegno che il suo onore non gli permette di abbandonare e tuttavia non ha i mezzi per poterla spuntare da solo. L’innominato ascolta con interesse, anche perché nella vicenda è coinvolto padre Cristoforo che egli conosce come nemico dei tiranni e perciò odia a morte: don Rodrigo accentua le difficoltà dell’impresa di rapire Lucia, poiché la ragazza è protetta nel convento di Monza da Gertrude, e a un certo punto l’innominato interrompe bruscamente il colloquio e si dichiara disposto ad assumersi l’onere dell’impresa. Il bandito appunta su un taccuino il nome di Lucia e congeda frettolosamente don Rodrigo, dicendogli che di lì a poco lo avviserà di quel che dovrà fare.
L’innominato ha come complice delle sue scelleratezze Egidio, il quale, come narrato in precedenza, abita accanto al monastero di Gertrude ed è questo il motivo per cui il bandito ha dato tanto prontamente la sua parola: tuttavia, appena rimasto solo, egli si sente indispettito, se non proprio pentito di essersi addossato quell’infame
incarico.

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Capitolo 4

La coscienza dell’Innominato.

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Un episodio cruciale da analizzare per comprendere perfettamente fino in fondo il personaggio dell’Innominato è di sicuro l’incontro fra la protagonista femminile del romanzo, Lucia, e l’Innominato stesso.

Dopo una notte di rimorsi per il potente signore i due si incontrano; la ragazza, che sta rannicchiata da una parte nella stanza chiusa con la vecchia serva, appena appena vede l’innominato si getta ai suoi piedi e cerca di convincerlo a rimandarla dalla madre. Lo fa con parole di grazia, di misericordia, gli spiega che per lui ancora c’è una speranza, a patto che effettivamente il suo comportamento cambi. La ragazza in questo modo si rende conto che l’innominato ha un’anima.

Lucia crede di vedere un’ombra di compassione sul volto del suo rapitore e lo invita a dire solo una parola per liberarla, poiché “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”.
L’innominato si rammarica del fatto che Lucia non sia figlia di uno dei suoi nemici e la giovane, rincuorata dalla sua esitazione, torna a pregarlo di liberarla, venendo poi consolata dal bandito con un tono talmente raddolcito che la vecchia non crede alle proprie orecchie. L’uomo non promette nulla e si limita a dire “domattina”, quindi conforta Lucia dicendo che una donna presto le porterà da mangiare e poi si rivolge alla vecchia, ordinandole con tono imperioso di tenere “allegra” la giovane e di farla mangiare, quindi di metterla a dormire nel suo letto e di passare la notte sul pavimento, se Lucia non la vorrà con sé. L’uomo ammonisce la vecchia a far sì che la giovane non si lamenti del suo operato, quindi esce dalla stanza prima che Lucia possa avere il tempo di trattenerlo.

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Ad aspettare l’Innominato ci sarà una nuova notte di angustie. Tornato nella sua stanza, pur avendo promesso a Lucia di incontrarla la mattina successiva, è talmente sconvolto da pensare all’idea del suicidio.

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Da qui possiamo osservare la nascita di un uomo nuovo all’interno della spiritualità del personaggio, il vero e proprio moto dell’anima che caratterizza la figura tanto emblematica dell’Innominato che arriva al punto di pentirsi del suo passato e a maturare il ravvedimento che lo porterà alla sua conversione sperando nel perdono divino, ricordando le parole di Lucia “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”.

Possiamo dunque asserire con certezza che l’Innominato è non solo un personaggio chiave per l’intero romanzo, ma è anche, secondo il nostro parere, quello più interessante per le sue mutazioni interiori.

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