tante parole, una storia sola by Sofia malavasi - Illustrated by sofia malavasi, giulia gualandri, marwa ait rami, elettra bernardelli - Ourboox.com
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tante parole, una storia sola

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Artwork: sofia malavasi, giulia gualandri, marwa ait rami, elettra bernardelli

  • Joined Apr 2021
  • Published Books 1

L’ESSENZA DELL’AMORE

 

Alia aveva solo 18 anni quando si ritrovò a vivere una nuova realtà, dopo essere giunta con grande affanno sulle coste di un paese a lei estraneo.

 

La nostra storia comincia da una data indelebile nella mente di Alia: 7 Ottobre 2019; giornata che sarebbe dovuta essere come una vera e propria liberazione per la ragazza e per la sua famiglia, ma che si rivelò come il peggiore degli incubi. 

 

Da questo incubo, però, Alia cominciò a conoscere l’amore… e non un amore qualsiasi, ma l’amore per una figlia, la cosa più bella che potesse capitarle in mezzo a tutta quella sofferenza.

2

Ci troviamo ora nel 2021, Alia ha ormai compiuto 20 anni e vive con la figlia Aisha, di appena due anni, in un appartamento piccolo ma confortevole a Milano, la città migliore in cui potesse andare a vivere, in quanto la più cosmopolita d’Italia. 

Tuttavia la sua vita ora non è esente da lati negativi, in quanto più volte si è trovata a discutere con persone che sminuivano il suo passato e lei in quanto donna straniera.

Una delusione che l’ha segnata profondamente, l’ha purtroppo ricevuta da un ragazzo che ingenuamente considerava amico, il quale si dimostrò, però, essere ancora molto immaturo, colmo di stereotipi razziali e generalizzazioni sul conto della ragazza.

 

Nonostante la vita di Alia in Italia sia stata difficile per alcuni versi, per altri è stata una fortuna.

La salvezza della ragazza, in un momento così difficile di pandemia, è stata la curiosità per i social.

 

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Forse spinta dalla noia e forse per via della fama di quella applicazione, un pomeriggio ha deciso di installare Facebook sul proprio telefono e, desiderosa di entrare in contatto con persone che la capissero davvero, ha deciso di unirsi ad un gruppo di ascolto composto da ragazze che, proprio come lei, erano reduci da vite molto difficili.

Se inizialmente lei era timorosa di aprirsi con delle nuove persone per via delle delusioni ricevute, e forse anche per paura di essere giudicata o non ascoltata, con il passare delle giornate si era resa conto che questo gruppo non avrebbe mai potuto farle ciò.

Nonostante le ostilità portate dal virus, le ragazze riuscivano comunque incontrarsi di persona, per rendere il dialogo più semplice e sincero.

La sensazione di libertà e sicurezza regnava su questi incontri, e faceva sentire protetta anche Alia, la quale non aveva mai sperimentato questa sensazione e, per la prima volta in vita sua, si sentiva libera di potersi esprimere avendo la certezza di essere accolta e non giudicata.

In queste occasioni, Alia si era resa conto di non essere sola. aveva avuto l’occasione di entrare in confidenza o stringere addirittura rapporti di amicizia con delle altre ragazze, le quali non avevano esitato a darle affetto e ascolto, e ad essere per lei come una roccia alla quale aggrapparsi.

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COSA TI HA SPRONATA A TROVARE LA FORZA DI ANDARE AVANTI 

SENZA ARRENDERTI?

 

 

Questa è la domanda che Alia non si era mai smessa di porsi e a cui, però, non era riuscita ancora a rispondere.

Forse perché non aveva mai scavato tanto dentro sé stessa, forse perché ricordare era troppo doloroso. 

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” Ed eccomi qui a ricordare, davanti a voi, quello che per me è sempre stato un grande dolore;

La mia storia comincia in Egitto; ero appena maggiorenne quando, con la mia famiglia, giunsi sulle celebri coste che pensavo avrebbero dato una svolta alla mia vita.

Scappati dalla guerra, questa era la nostra colpa.

Ricordo come una foto la felicità sul viso di mia madre, le carezze e le sue parole di rassicurazione, che però non bastarono a tranquillizzarmi e a cancellare la paura che mi assaliva.

Di lì a poco, mi resi conto che miei timori non si dimostrarono infondati: infatti, non appena fummo giunti in Libia, venimmo presi prigionieri in un campo di detenzione gestito da trafficanti di uomini, e quello fu l’inizio della fine.

Passarono i giorni , tra violenze, sadiche torture  e abusi di ogni genere. 

Eravamo tantissimi, stipati in diverse piccole stanze, in cui le condizioni igieniche erano a dir poco pessime. 

Coloro che erano a comando e che ci avevano rinchiusi in quel posto angusto, avevano un unico obiettivo: guadagnare.

In diverse occasioni, ho infatti notato che le torture avvenivano anche in diretta telefonica: non so bene quale fosse lo scopo , ma forse quello di ottenere un riscatto dalla famiglia della persona seviziata. 

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Più passavano i giorni, più cercavo di mantenere unita la mia famiglia in modo da non perderci in mezzo a tutta quella folla.

La sera mia madre mi teneva stretta a sè mentre sussurrava che sarebbe andato tutto bene, che, almeno io, avrei dovuto farcela… mentre mio padre, che è sempre stato molto severo e imperturbabile, rimaneva chiuso in sé stesso, ma ci stava vicino.

L’amore e quella flebile speranza di farcela erano le uniche cose a tenerci ancora uniti.

Cercavamo di non farci notare, di mantenere un comportamento obbediente, anche se sapevamo per certo che, facendo così, non facevamo altro che sottostare al loro gioco.

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L’apice dell’orrore lo raggiunsi una notte, di cui non ricordo la data precisa, ma che segnò la mia vita per sempre.

Stavo dormendo con la mia famiglia accanto, tenendo un occhio aperto poiché non riuscivo a prendere del tutto sonno, date le circostanze, e ad un certo punto vedo in penombra una guardia avvicinarsi.

In cuor mio speravo che non sarebbe venuto da me, ma quando le sue mani presero con forza il mio braccio, ormai debole, e i suoi occhi depravati penetrarono nei miei,la mia speranza svanì.

Avevo immaginato, nel terrore di quei pochi momenti ancora innocenti, che mi sarebbe capitato qualcosa di brutto, ma mai avrei pensato a una violenza così tremenda sia per il corpo che per l’anima.

Per la mia mente è doloroso rivivere quegli istanti, ricordo la mia forte paura… avevo paura di ribellarmi, di fare un singolo movimento che potesse infastidire il mio aguzzino, che, intanto, sfogava le sue perversioni sul mio corpo, che mai era stato violato prima di allora. 

Non avrei mai pensato che la mia prima volta sarebbe stata tanto atroce: di solito, quando pensavo a certe cose, mi vedevo con una persona che provava amore verso di me.

Speravo che quella persona mi avrebbe portata a questa esperienza nel modo più dolce e delicato.

Evidentemente il destino per me non era quello.

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Evidentemente il destino per me non era quello.

Penso che la vita, in quel momento, abbia deciso di privarmi dell’amore passionale per donarmi qualcosa di molto più grande: l’amore di una vita intera, quell’amore intimo che rende due anime unite per sempre, quell’amore che, anche quando non trovi alcun motivo per affrontare la vita, ti dona forza e speranza.

Da quella notte, il rapporto con la mia famiglia si incrinò: notai un forte distacco, il più delle volte addirittura si allontanavano, quando io cercavo affetto da parte loro.

Una mattina, non appena ci fummo svegliati, presi coraggio e, in un fiume di lacrime confessai il mio “peccato”, ma al posto di ricevere comprensione ciò che ricevetti furono urla e minacce di non farmi più vedere.

Inizialmente non ne capivo il motivo, ma con il tempo compresi che, per i miei genitori, non ero più la ragazza pura e innocente a cui loro erano affezionati: ora ero sporca, probabilmente la loro mentalità, purtroppo molto chiusa, aveva fatto loro pensare che ciò che mi era accaduto fosse colpa mia, e non del mio carnefice.

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Purtroppo, non vidi più i miei genitori dal giorno in cui ci separammo.

Un po’ mi mancano, vorrei che mi conoscessero ora.

Ero divorata dai sensi di colpa, non riuscivo a darmi pace al solo pensiero che, se fossi in qualche modo riuscita ad evitare la violenza di quella notte, avrei avuto ancora la mia famiglia con me.

So che questi pensieri sono sbagliati, erano frutto della mia solitudine e disperazione, ma ero mortificata all’idea di aver perso la mia famiglia in quel modo.

Ero anche molto arrabbiata, pensavo al motivo per cui le persone che amavo mi avevano abbandonata a me stessa.

L’amore di un genitore è messo alla prova nei momenti di difficoltà, ma questo sentimento è così forte da superare anche l’ostacolo più insormontabile.

Per questo ancora oggi mi ritrovo a pensare che forse, l’amore di mamma e papà nei miei confronti non era così profondo se li ha spinti ad abbandonarmi di fronte ad una situazione di cui, tra l’altro, io non ero neanche responsabile.

Non si riesce a capire come sia l’amore di un genitore per un figlio, fino a quando non lo si diventa.

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Adesso ero completamente sola, l’unica cosa che mi legava all’amore mi aveva ripudiata, e mi ritrovavo in balia della disperazione che quel luogo mi procurava… sola di fronte ad una gravidanza che, giorno dopo giorno, si palesava sempre più.

 

Con il passare delle settimane, mi sentivo sempre più debole, riuscivo a percepire la pesantezza di una nuova vita che portavo in grembo, e che cercavo di nascondere per non incorrere negli sguardi delle persone e della mia famiglia che, ormai, non mi riconosceva più.

 

Dopo qualche mese, quando la pancia cominciò a gonfiarsi e io iniziai a sentirne il peso, rendendomi conto della gravità di tale situazione, cominciai a prendere consapevolezza del fatto che era giunto per me il momento di tentare la fuga.

 

Iniziai a prestare maggiore attenzione alle voci che circolavano tra gli altri detenuti del campo, e, dopo aver capito che un gruppo numeroso di persone tentava di scappare, per poi imbarcarsi e partire dalla costa, decisi di unirmi a loro.

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Sapevo che, probabilmente, sarei andata incontro alla morte, ma una forza benevola simile alla voce di un angelo, mi incoraggiava a tentare… in fondo, non avevo nulla da perdere, ero sola con me stessa e con un bambino che ancora non sentivo mio.

Nel peggiore dei casi sarei morta in mare, ma probabilmente sarei morta anche rimanendo nel campo, poiché il mio corpo cominciava a cedere, e nel migliore dei casi, avrei potuto cominciare una nuova vita, concentrandomi sul da farsi riguardo a quella creatura su cui poggiavo tutte le mie insicurezze. 

Era divertente come la vita continuasse a punirmi per qualcosa di cui ero inconsapevole: perché la gravidanza, che dovrebbe essere per una donna come una realizzazione, come il frutto di un amore sincero e puro, a me era capitata nel modo e momento più sbagliato che potesse esserci? 

 

Come potevo io essere felice se ogni volta che pensavo a questa nuova vita, riaffioravano alla mia mente la violenza che me l’aveva procurata, e il disprezzo della mia famiglia?

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L’unico mio pensiero in quei giorni era quello di scappare da quel luogo, non facevo altro che chiedermi come e quando sarebbe successo.

Nella mia mente vorticavano migliaia di pensieri… mi chiedevo se sarei sopravvissuta o se fossi morta ancor prima di tentare la fuga.

Il mio corpo cominciava a cedere, il nutrimento non era sufficiente per noi e ogni momento che passava mi sembrava sempre più di impazzire. 

D’improvviso, però, mi ritrovai catapultata in una vera e propria rivolta.

Era quasi il sorgere del sole quando udii un forte trambusto tutto intorno a me, e mi resi conto che il momento che tanto aspettavo era giunto. 

Successe tutto così in fretta, ero talmente scossa da ciò che stavo vedendo, che ancora oggi, se ci penso, riaffiorano alla mia mente solo dei flashback.

Ricordo sangue, spari, tanto rumore e la paura che mi spinse a seguire una folla di gente che correva verso quella che mi sembrava l’uscita, e tutto d’un tratto mi ritrovai scaraventata su una grossa imbarcazione di legno, insieme a una moltitudine di persone che, insieme a me, continuava a salire.

 

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Avevo un gran mal di testa, non capivo bene come tutto ciò fosse successo… contemporaneamente, forti fitte assalivano la mia pancia, come se quella vita dentro di me stesse cercando di dirmi qualcosa, come se anche lei avesse percepito il mio stato d’animo e mi stesse dando un segnale.

Intorno a me vedevo miseria, madri che abbandonavano i loro figli sulla barca, nella speranza di dare loro la possibilità di avere un futuro, mentre loro si stavano rassegnando alla morte, poiché probabilmente i trafficanti sarebbero arrivati di lì a poco, facendo strage. 

Da queste madri percepivo davvero tanta tristezza, disperazione, ma anche un profondo amore verso delle povere vite innocenti che, forse, meritano una vita degna più di tutti noi, in questo mondo pieno di drammi e di guerre.

Provai empatia ma allo stesso tempo, per la prima volta mi sentii fortunata ad avere un figlio e ad essere riuscita a salvarlo, a portarlo via insieme a me da quell’orrore, anche se non sapevo ancora cosa aveva in serbo per noi il destino.

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Mi sentii sollevata, per la prima volta felice dopo mesi di stress e di malessere, e queste sensazioni crebbero quando la barca salpò verso l’ignoto: non sapevo cosa mi sarebbe spettato, ma tutto ciò di cui mi importava era di andarmene da quel posto, di non vederlo più nemmeno da lontano sulla linea dell’orizzonte. 

Dopo qualche minuto, sentii con orrore degli spari e delle urla da lontano, allora chiusi gli occhi e mi rannicchiai in un angolo vicina ad un ragazzo: avrà avuto 10 anni. 

In un secondo ci ritrovammo entrambi a piangere, io per la gioia e lui per la disperazione. 

Gridava singhiozzando i nomi dei suoi genitori, ed istintivamente mi abbracciò chiedendomi come avevano potuto fargli una cosa del genere, abbandonarlo di fronte a un incognita così grande.

Alchè io cercai di rassicurarlo, spiegandogli che, se avevano fatto ciò, era unicamente per l’affetto che provavano verso di lui: anche se lo avevano lasciato da solo, non aveva motivo di pensare che le loro anime si erano separate.

Al contrario, il suo compito era quello di conservare il bene per loro dentro sé, anche quando sarebbe giunto alla salvezza in un altro paese. 

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Lui mi disse che l’amore non era quello, che l’amore era essere fisicamente insieme. 

Non seppi cosa dirgli in quel momento, a volte il silenzio vale più di mille parole, ma dopo qualche minuto, dopo che il suo viso cominciò a rilassarsi e le lacrime a seccarsi, gli chiesi di non pensare che l’amore fosse morto: era ancora lì, era intorno a noi,  e anche quando meno te lo aspetti, ti da’ un segnale. 

L’amore non può essere sempre bello e piacevole, come si legge nei romanzi o come si vede in TV.

 

L’amore molte volte è povero, trasandato, sempre scalzo e senza casa, si sdraia sulla terra nuda e dorme insieme ad ognuno di noi, ci accompagna in ogni momento della nostra vita, anche nei momenti peggiori, quando ci sembra di non trovarlo più.

È quel sentimento puro ed essenziale che unisce le persone, le famiglie, i popoli… è vero, spesso gli uomini si approfittano della sua bontà per fare del male alle altre persone, spesso è l’amore stesso a toglierci la fame, a renderci fragili e delicati, ma è anche quel sentimento che ci rende forti, indistruttibili, temerari e ricchi di risorse…

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Credimi, anche se non mi conosci, e io non conosco te, so come ti senti, perché anche io fino a questo momento ho sempre pensato che l’amore mi avesse abbandonata, ma è stato proprio quando ho toccato il fondo che ne ho capito la vera essenza, e ho compreso che era sempre stato con me.

Effettivamente, sono stati proprio questi momenti di miseria che mi hanno iniziata all’amore, tutti gli alti e i bassi che ho trascorso mi hanno portata a comprendere quanto sia bella la vita e l’affetto intimo, profondo che lega noi uomini gli uni agli altri. 

Proprio ora capivo l’importanza della vita che portavo in grembo, e di quanto essa mi abbia spinta, giorno dopo giorno, a prendere in mano la mia esistenza e ad avere fiducia nel mio futuro, nel nostro futuro.

 

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Proprio per questo motivo, quando giunsi sulle coste Italiane e dopo mesi riuscii a partorire sapendo che aspettavo una bambina, decisi che l’avrei chiamata Aisha, il quale significato è “piena di vita”.

Il suo nome racchiude la storia di una donna, che grazie all’amore è riuscita a riacquistare tutta la sua vitalità.”

 

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