la professione del lavoratore di sala

by leonardolivrieri

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la professione del lavoratore di sala

  • Joined Feb 2021
  • Published Books 1

(la storia del caffé)

L’inizio della  storia del caffè  risale molto probabilmente al medioevo, attorno al X o più presumibilmente verso il XV secolo, ma con possibili precedenti in tutta una serie di relazioni e leggende che circondano il suo primo utilizzo.

L’albero di Coffea  (la specie nativa non domesticata) è originario dell’antica provincia di Kaffa / Kefa (da cui trae il nome) situata nel Sudovest dell’Etiopia, attorno a Giamma; la leggenda più diffusa narra che un pastore dell’Abissinia non ha l’effetto tonificante di quest’arbusto sul proprio gregge di capre che stavano pascolando nei suoi pressi. La coltivazione si diffonde presto nella vicina penisola arabica, dove la sua popolarità beneficiò del divieto islamico nei confronti delle bevande alcoliche; prese il nome di “K’hawah”, che significa “rinvigorente”.

La prima prova dimostrata valida dell’esistenza di una caffetteria e della relativa conoscenza della pianta risale al XV secolo, nei monasteri del sufismo nell’attuale Yemen, Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, il Nordafrica, la Persia, il Corno d’Africa e l’India meridionale (il distretto di kodagu). Attraverso l’impero Ottomano si diffonde poi ai Balcani e al resto del continente Europeo, al Sudest asiatico e infine alle Americhe.

La sua rarità lo rese molto costosa in Europa almeno fino al primo terzo del XVIII secolo. In seguito se ne sviluppò la coltura sia nei possedimenti francesi che in quelli olandesi d’oltremare, a cui seguirono i grandi produttori nella capitaneria generale di Cuba, nel regno del Brasile, in Venezuela, nelle Indie orientali Olandesi ea Ceylon brittanico nel corso del XIX secolo.

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(Io sandwich)

il nome viene da un conte inglese vissuto nel XVIII sec. nella città di Sandwich, situata nella regione del Kent nel sud dell’Inghilterra.

John Montagu IV conte di Sandwich era solito pranzare al tavolo di lavoro. Per non perdere tempo, impegnato fra carte geografiche e rotte di mare, il nobile cominciò a chiedere al proprio maggiordomo un pasto veloce, da potersi consumare senza spostarsi nella sala da pranzo.

Fu lo stesso conte a suggerire che gli venisse servita della carne in mezzo a due pezzi di pane, così da gustare un piatto sostanzioso senza perdere troppo tempo.

L’idea, pare nata negli anni ’60 del Settecento, venne subito apprezzata dagli amici del conte di Sandwich, tanto che molti cominciarono a ordinare “lo stesso piatto che sta mangiando Sandwich” così da associare il nome del nobile a quello del panino.

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(insalata la Caesar)

La caesar salad è un’insalata messicana. Composta da lattuga romana, crostini di pane soffritti, formaggio parmigiano, condita con una salsa fatta di succo di limone, olio di oliva, uova, aglio e salsa Worcestershire.

La sua origine, anche se tuttora soggetta a disputa, dovrebbe essere stata nel 1924 quando lo chef Cesare Cardini, non avendo a disposizione altri ingredienti, inventò la ricetta di questo piatto per la festa del 4 luglio e il successo fu immediato

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(le patatine fritte)

L’ invenzione delle patatine fritte  rotonde si deve ad un americano di origine indiana,  George Crum  e, come spesso accade in cucina, ad uno “sbaglio”: il  24 agosto del 1853 George Crum,  cuoco del  ristorante  Cary Moon’s Lakehouse  a  Saratoga Springs  ( NY), era in cucina durante uno dei soliti servizi, quando un cliente rimandò più volte indietro la sua porzione di  patatine fritte  perché, secondo lui, troppo spesse e imbevute di olio.

George Crum , seccato dal comportamento del cliente, preparò un’altra porzione di  patatine  ma questa volta tagliandole così sottili che una volta fritte non avrebbe potuto infilzarle con la forchetta.

Convinto di aver fatto un dispetto al cliente brontolone, rimase sull’uscio a guardare la sua reazione che lo stupì: il cliente non solo rimase sorpreso, ma apprezzò talmente tanto queste  patatine fritte sottilissime  che ne parlò ad altri amici tanto da far riempire il ristorante di gente che chiedeva queste speciali  patatine , d’ora in avanti chiamate  Saratoga Chips .

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(l’origine delle chips)

La Coca cola (anche nota come coke, soprattutto negli Stati Uniti) è una bevanda industriale analcolica di tipo  bibita .

Con lo stesso nome viene spesso indicata anche la casa produttrice della bevanda, The Coca-Cola Company.

La Coca-Cola fu inventata dal farmacista statunitense John Stith Pemberton l’8 maggio 1886 ad Atlanta, Georgia, inizialmente come rimedio per il mal di testa e per la stanchezza. Il primo nome che venne dato alla bevanda fu “Pemberton’s French Wine Coca”. Quella di Pemberton era una variazione del cosiddetto “vino di coca” (o Vin Mariani), una miscela di vino e foglie di coca che aveva avuto largo successo in Europa quando era stata creata dal farmacista còrso Angelo Mariani.

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(la guinness)

La Guinness è una birra di tipo stout (scure e corpose), prodotta in Irlanda dal 1759 da Arthur Guinness Son & Co., nella sua fabbrica di Dublino. La guinness è probabilmente una delle birre stout più famose e amate in tutto il mondo, dall’aspetto e sapore inconfondibili. La sua storia leggendaria legata all’Irlanda ea Dublino, insieme al suo modo unico di comunicare, fanno della Guinness un mito assoluto veicolato in ogni angolo del pianeta.

Tutti riconoscono la birra Guinness grazie al suo colore scuro, quasi nero, sormontato dall’inconfondibile schiuma bianca, compatta e cremosa, che la rende unica al mondo. Anche il gusto della Guinness è facilmente riconoscibile: amarognolo, dal retrogusto tostato, con note di caffè e cacao che anche i non intenditori possono avvertire sul palato. La Guinness appartiene alla categoria di birre stout, ovvero birre scure ad alta fermentazione prodotta con l’aggiunta di malto d’orzo e orzo tostati.

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(le crepe suzette)

L’origine delle  crêpe Suzette  e del loro nome è controversa. Secondo testimonianze ALCUNE, esse vennero ideare per Errore da un cameriere quattordicenne di nome Henri Charpentier nel 1895. Secondo quanto Riporta l’autobiografia  La vita à la Henri  dello Stesso Charpentier, Egli Stava lavorando al Café de Paris di Montecarlo dove Venne Incaricato di cucinare delle  crêpe  per il principe del Galles (il futuro re Edoardo VII). In preda alle emozioni, aggiunse troppo liquore nelle  crêpe  prendere fuoco al tegame. Nonostante ciò, le  crêpe  furono servite e il sovrano apprezzò la ricetta. Egli chiese al giovane come si chiamassero e questi gli rispose dicendo che erano le  crêpe princesse. Il futuro sovrano, indicando un’avvenente ospite al tavolo, dichiarò “No, le chiameremo  crêpe Suzette

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(Est! Est! Est!)

Un vino laziale che viene prodotto nei pressi del lago di Bolsena, per l’appunto a Montefiascone. Un bianco che prende il nome da un’antica leggenda a cui sono particolarmente affezionato.

la sua leggenda

Intorno all’anno MCXI (1111), Enrico V di Germania si mise in viaggio verso Roma per ricevere da papa Pasquale II la corona dell’imperatore del Sacro Romano Impero. Con lui, intraprese il viaggio il Vescovo Johannes Defuk, grande intenditore di vini. Martino che doveva precederli lungo il cammino per selezionare i vini migliori. Concordarono un segnale in codice, ogni volta che Martino trovava un buon vino, doveva segnalarlo scrivendo “Est” vicino alla porta della locanda e nel caso il vino fosse stato molto buono, avrebbe dovuto scrivere due volte “Est”. Il coppiere, una volta giunto a Montefiascone e assaggiato il vino locale, lo reputò eccezionale, decise quindi di rafforzare il codice segnalandolo con Est! Est !! Est !!! tre volte “c’è” rafforzato da sei punti esclamativi. Quando i viaggiatori giunsero a Montefiascone, concordarono con il giudizio di Martino ed il vescovo decise di prolungare il soggiorno per tre giorni, prima di suo verso Roma. Una volta giunta al termine la missione, Defuk fece ritorno a Montefiascone e lì rimase fino alla sua morte che si narra avvenne nel 1113 proprio a causa di una malattia dovuta dall’eccesso di bevute di questo vino. In riconoscimento all’ospitalità ricevuta, il vescovo donò 24000 scudi alla cittadinanza, a condizione che ad ogni ricorrenza della sua morte venisse versata una botticella di vino sul suo sepolcro. Defuk fece ritorno a Montefiascone e lì rimase fino alla sua morte che si narra avvenne nel 1113 proprio a causa di una malattia dovuta dall’eccesso di bevute di questo vino. In riconoscimento all’ospitalità ricevuta, il vescovo donò 24000 scudi alla cittadinanza, a condizione che ad ogni ricorrenza della sua morte venisse versata una botticella di vino sul suo sepolcro. Defuk fece ritorno a Montefiascone e lì rimase fino alla sua morte che si narra avvenne nel 1113 proprio a causa di una malattia dovuta dall’eccesso di bevute di questo vino. In riconoscimento all’ospitalità ricevuta, il vescovo donò 24000 scudi alla cittadinanza, a condizione che ad ogni ricorrenza della sua morte venisse versata una botticella di vino sul suo sepolcro.

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(Filu e ferru)

È tutta una questione di identità. Il  filu ‘e ferru , acquavite di Sardegna, è una passione da degustare con orgoglio. Trasparente come l’acqua, ma con una gradazione alcolica superiore a 40 gradi è letteralmente in grado di infiammare gli animi ei palati. Per questo veniva chiamata anche  abba ardens , da cui deriva il termine sardo  abbardente o acuardenti.

Perfetta per  cumbidare , cioè invitare a bere, come vuole il bon ton dell’ospitalità sarda, o da sorseggiare al termine di banchetti a base di paste fresche, porcetti e carni alla brace: facilita la digestione e rallegra lo spirito.

la sua storia 

“Filu e Ferru” in quanto la produzione artigianale continuò clandestinamente. Per sfuggire ai controlli, il distillato veniva conservato in bottiglie di vetro legato con un fil di ferro, e interrato in profondità nell’orto famigliare o in giardino, fuori un piccolo spezzone del fil di ferro, per poterle poi rintracciare.

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(Donnafugata)

storia di un’azienda che punta sul vino siciliano di qualità L’azienda nasce in Sicilia nel 1983 dall’iniziativa di una famiglia che ha sempre creduto nelle potenzialità enologiche della propria terra, che conta oltre 150 anni di esperienza nella produzione di vini eclettici di qualità.

Donnafugata è un nome che non si dimentica. Poetico, suggestivo e a tratti doloroso, fa riferimento al celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa, il Gattopardo. Nelle pagine del libro, infatti, con Donnafugata viene identificato il palazzo di Santa Margherita e i possedimenti in campagna del Principe di Salina, ovvero i luoghi in cui oggi si trovano i vigneti aziendali.

E a un nome così evocativo non poteva che corrispondere che un logo espressivo: l’immagine della testa di una donna con i capelli al vento che, splendida, troneggia su ogni bottiglia della cantina.

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(il gallo nero del chianti)

Si narra che nel periodo medievale, dopo anni di guerra sanguinosa tra la  Repubblica di Firenze  e quella di  Siena  per il controllo del territorio del Chianti, si decise di porre fine alla guerra e di determinare i confini delle due repubbliche attraverso una singolare competizione.Ad un giorno stabilito, al primo canto del gallo,  un cavaliere sarebbe partito al galoppo dalle rispettive città  e nel punto in cui si sarebbe incontrato sarebbe stato disegnato il confine.

I senesi scelsero un gallo bianco per lontano partire il loro cavaliere e nei giorni precedenti lo trattarono con tutti i comfort e lo nutrirono a volontà. I fiorentini invece scelsero un gallo nero che misero in una gabbia scomoda e lo lasciarono a digiuno per alcuni giorni.

Al giorno convenuto per la sfida,  il gallo nero dei fiorentini , ormai esasperato dalla fame e dalla gabbia scomoda cantò molto prima dell’alba e il cavaliere potè partire con un decisivo vantaggio rispetto a quello senese, il cui gallo, ben sazio e rilassato, si svegliò e cantò molto dopo le prime luci dell’alba.

Fu così che i cavalieri si incontrarono appena dopo pochi chilometri da Siena, nei pressi di Fonterutoli dove fu posto il confine tra le due Repubbliche.

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(il vino degli abissi)

Capitan Nemo offrì ai suoi ospiti sul Nautilus pesci rari e un «liquore fermentato estratto dall’alga nota col nome di “rodomenia palmata”». Lo credevano matto, racconta Jules Verne in  “Ventimila leghe sotto i mari”, quando invitò tutti a una battuta di caccia nella sua foresta di Crespo, nel Pacifico, rivelando che si trattava di boschi sottomarini.

Ma la foresta esisteva davvero e tutti la videro usando speciali scafandri. Quei viaggi tra perle giganti, mostri e tunnel segreti che portano al Mediterraneo, vengono in mente ascoltando il racconto di un’impresa meno epica ma carica dello stesso fascino che porta alla scoperta di nuovi mondi nascosti. L’avventura sottomarina è quella di Pierluigi Lugano, 65 anni, ex professore di storia dell’arte e ora vignaiolo. Ha aperto la prima cantina d’Italia in fondo al mare. Ha stivato ogni anno 15 mila bottiglie a 60 metri di profondità. E ora ha portato a galla un nuovo vino: un migliaio di bottiglie con un primato di immersione, 30 mesi tra pesci e alghe.
Il nuovo vino si chiamerà Abissi Riserva, uno spumante, o per meglio dire un Metodo classico, ovvero un vino prodotto con la stessa procedura di uno champagne. Solo che le bottiglie, invece di riposare in cantine buie, spesso storiche, con il giusto grado di temperatura e servizio, vengono adagiate sul fondale davanti alla Cala degli Inglesi, nel Parco marino di Portofino.

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(il vino ad alta quota)

Anticamente – ma neppure tanto – il trasporto delle merci era poco sicuro e costoso, quindi nelle vicinanze di ogni fattoria erano abitualmente piantati i pochi ceppi necessari alla produzione familiare, senza badare alle difficoltà legate alla morfologia del terreno. Alle nostre latitudini, dopo l’avvento delle malattie crittogamiche e della fillossera – a cavallo tra XIX e XX secolo – le zone più impervie sono state poco a poco lasciate incolte. L’attaccamento della gente alle proprie radici e, a volte, anche l’irripetibile qualità dei vini hanno però fatto sì che numerosi cru siano però sopravvissuti alla logica della pura resa economica.i risultati ottenuti in certe aree viticole considerate marginali ci fanno capire quanto l’orgoglio e la testardaggine di questi viticoltori estremi ci abbiano consegnato un patrimonio davvero unico. Da aree montane come la Valle d’Aosta, il Pinerolese, la Val Susa, la Valtellina, la Val di Cembra, la Val Venosta, la Valle Isarco, l’Irpinia, l’Etna o la Barbagia arrivano alcune tra le etichette più note d’Italia. Altre zone con vigne terrazzate o particolarmente ripide – come il comprensorio di Dolceaqua, le Cinque Terre, i Colli di Luni o ancora la Penisola Sorrentina e la Costiera Amalfitana – sono anche loro in grado di competere con il meglio della produzione nazionale e internazionale.Tutte le zone viticole appena citate, insieme ad altre dimenticate, hanno caratteristiche microclimatiche e pedologiche tali da conferire ai loro frutti aromi e sapori assolutamente unici, di sicuro non ripetibili in vigneti estensivi di pianura. Nessuno potrebbe negare che vini come il Fumin, il Carema, il Rossese di Dolceacqua, lo Sforzato, il Trento Brut, il Sylvaner della Valle Isarco, il Taurasi, il Costa d’Amalfi Bianco, l’Etna Bianco o Rosso, il Cannonau di Mamoiada siano degli splendidi prodotti della nostra enologia.

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