Con energia nucleare (detta anche energia atomica), si intende l’energia prodotta a seguito di tutti quei fenomeni fisici in cui si hanno trasformazioni nei nuclei atomici, detti reazioni nucleari.
È una forma di energia che deriva da modifiche della struttura stessa della materia e, insieme alle fonti rinnovabili e alle fonti fossili, rappresenta una fonte di energia primaria, ovvero presente in natura e non derivata dalla trasformazione di un’altra forma di energia, per quanto sia stata considerata dalla Commissione europeanon rinnovabile.[2] Benché rappresenti in gran parte una forma di energia pulita dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, alternativa ai tradizionali combustibili fossili, presenta diversi altri problemi ambientali e di pubblica sicurezza per quanto riguarda i fenomeni connessi alle scorie radioattive, che possono mantenersi tali per circa diecimila anni.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA, International Atomic Energy Agency) si occupa di promuovere l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare e di impedirne l’utilizzo per scopi militari, svolgendo funzioni di sorveglianza e controllo sulla sicurezza degli impianti nucleari esistenti e in realizzazione o progettazione.
3
La storia dell’energia nucleare ha inizio con le scoperte sulla radioattività sul finire del XIX secolo. La prima persona che intuì la possibilità di ricavare energia dal nucleo dell’atomo fu lo scienziato Albert Einstein nel 1905, con la sua teoria della relatività nella quale riuscì ad arrivare alla famosa formula nella quale equiparava la massa all’energia. In seguito gli sviluppi scientifici della fisica nucleare nella prima metà del XX secolo hanno portato alla realizzazione del primo reattore sperimentale-dimostrativo funzionante da parte di Enrico Fermi negli USA il 2 dicembre del 1942 e alle successive tristemente note vicende belliche della seconda guerra mondiale con lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nel 1961 i russi sperimentarono la bomba Zar, che raggiungeva i 50 megatoni, cioè 3 125 volte quella di Hiroshima. Solo nella seconda metà del secolo scorso si prese l’iniziativa di sfruttare l’energia nucleare anche a fini civili per la produzione di energia elettrica, ma per tutto il corso della Guerra fredda rimarrà duplice l’interesse per l’energia atomica sia sul fronte militare sia civile con gli Stati interessati a portare avanti politiche energetiche nucleari, in gran parte a proprie spese, per il raggiungimento di paralleli e precisi obiettivi militari di superpotenza
4
La fissione consiste nel rompere il nucleo dell’atomo per farne scaturire notevoli quantità di energia: quando un neutrone colpisce un nucleo fissile(ad esempio di uranio-235) questo si spacca in due frammenti e lascia liberi altri due o tre neutroni (mediamente 2,5).
La somma delle masse dei due frammenti e dei neutroni emessi è leggermente minore di quella del nucleo originario e di quelle del neutrone che lo ha fissionato: la massa mancante si è trasformata in energia. La percentuale di massa trasformata in energia si aggira attorno allo 0,1%, cioè per ogni chilogrammo di materiale fissile, 1 grammo viene trasformato in energia.
Se accanto al nucleo fissionato se ne trovano altri in quantità sufficiente e in configurazione geometrica adatta (massa critica), si svilupperà una reazione a catena in grado di auto sostenersi per effetto delle successive fissioni dei nuclei causate dai neutroni secondari emessi dalla prima fissione.
La fissione nucleare dell’uranio e del plutonio è ampiamente sperimentata e ingegnerizzata da circa 50 anni. Nell’agosto 2007, 439 reattori nucleari di potenza commerciali producono circa il 6% dell’energia primaria e il 13-14% dell’energia elettrica mondiale.Nei 35 paesi dell’OCSE l’energia elettronucleare costituisce il 30% del totale dell’energia elettrica prodotta. A parte il rischio di incidenti, il maggiore problema ancora insoluto è costituito dalle scorie radioattive, che rimangono pericolose per migliaia se non milioni di anni.
6
Un procedimento per ottenere energia dall’atomo è la fusione nucleare. Essa è esattamente l’opposto della fissione: invece di spezzare nuclei pesanti in piccoli frammenti, unisce i nuclei leggeri (a partire dall’idrogeno, composto da un solo protone) in nuclei più pesanti: la massa di questi ultimi è minore della somma di quelli originari, e la differenza viene emessa come energia sotto forma di raggi gamma ad alta frequenza e di energia cinetica dei neutroni emessi. La percentuale di massa trasformata in energia si aggira attorno all’1%, un quantitativo comunque enorme per la legge di conservazione della massa/energia.
Perché la fusione avvenga, i nuclei degli atomi devono essere fatti avvicinare nonostante la forza di repulsione elettrica che tende a respingerli gli uni dagli altri, e sono quindi necessarie temperature elevatissime, milioni di gradi Celsius. La fusione nucleare avviene normalmente nel nucleo delle stelle, compreso il Sole, dove tali condizioni sono normali. A causa di queste difficoltà, al giorno d’oggi l’uomo non è ancora riuscito a far avvenire la fusione in modo controllato e affidabile se non per qualche decina di secondi (quello incontrollato esiste: la bomba termonucleare). Un modo per contenere il plasma a milioni di gradi, derivante della fusione dei nuclei d’idrogeno, sarebbe quella di inserire il plasma in un enorme campo magnetico facendo “fluttuare” il plasma senza che esso tocchi alcun materiale, purtroppo questo campo magnetico richiederebbe un’enorme quantità di energia elettrica, per alimentarsi, quasi superiore all’energia ricavata dalla fusione stessa. Per questo la fusione nucleare non è stata ancora sviluppata sulla Terra. Gli esperimenti odierni si concentrano sulla fusione di alcuni isotopidell’idrogeno, il deuterio e il trizio, che fondono con maggiore facilità rispetto all’idrogeno comune prozio.
Negli ultimi sessant’anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale per mettere a punto la fusione nucleare: al momento il progetto più avanzato volto alla realizzazione di energia elettrica da fusione è ITER, un reattore a fusione termonucleare attualmente in fase di costruzione. Gli addetti ai lavori prevedono che la realizzazione di un reattore a fusione operativo destinato alla produzione di massa di energia richiederà ancora pochi decenni:DEMO è il prototipo di questo tipo di centrale, in fase di studio dagli stessi partecipanti al progetto ITER.
8
La radioattività, o decadimento radioattivo, è un insieme di processi fisico-nucleari attraverso i quali alcuni nuclei atomici instabili o radioattivi (radionuclidi) decadono (trasmutano), in un certo lasso di tempo detto tempo di decadimento, in nuclei di energia inferiore raggiungendo uno stato di maggiore stabilità con emissione di radiazioni ionizzanti in accordo ai principi di conservazione della massa/energia e della quantità di moto: il processo continua più o meno velocemente nel tempo finché gli elementi via via prodotti, eventualmente a loro volta radioattivi, non raggiungono una condizione di stabilità attraverso la cosiddetta catena di decadimento.
10
Il procedimento di fissione nucleare produce materiali residui a elevata radioattività. Si tratta di pastiglie di combustibile esaurito (uranio, plutonio e altri radioelementi) che vengono estratte dal reattore per essere sostituite, nonché dei prodotti di fissione. I prodotti di fissione, emettendo delle radiazioni penetranti, sono molto radiotossici e richiedono dunque precauzioni nel trattamento di smaltimento. Occorre ricordare che i prodotti di fissione rappresentano solo una piccola percentuale del combustibile esaurito, che per circa il 95% è ancora di composti dell’uranio (U-238). La radioattività degli elementi estratti da un reattore si riduce nel tempo secondo il fenomeno naturale del decadimento radioattivoma i tempi necessari a farla rientrare entro standard di accettabilità biologica per il corpo umano sono lunghi. I tempi di decadimento radioattivo variano inoltre a seconda dell’elemento oscillando da pochi giorni a centinaia di migliaia o milioni di anni. Gli elementi a maggiore radiotossicità decadono molto rapidamente, mentre quelli che decadono in milioni di anni sono a basso impatto biologico.
A causa della elevata composizione di uranio, che anche se non è l’isotopo fissile, è però U-238 fissionabile, il problema della gestione delle scorie radioattive inteso come “combustibile esausto”, va suddiviso in due fasi. Una prima fase è quella di immagazzinamento per il suo contenuto in U-238, in attesa che si renda economicamente conveniente l’utilizzo di cicli nucleari che si basano su isotopi fissionabili, come l’U-238 e il Th-232, al posto dell’attuale ciclo che poggia le sue basi di funzionamento sulla presenza di sufficienti isotopi fissili, ad esempio, l’U-235. La fase successiva sarà perciò quello del recupero del combustibile esaurito dai depositi di scorie radioattive, la eventuale separazione di prodotti di fissione “velenosi” per la reazione nucleare utilizzata, e il confinamento a lungo termine di questi “scarti” che possono definirsi le “vere scorie nucleari”.
Esistono attualmente due modi principali per smaltire le scorie, rigorosamente legati a preliminari studi di natura geologica riguardanti il sito di destinazione: per le scorie a basso livello di radioattività si tende a ricorrere al cosiddetto deposito superficiale, ovvero il confinamento in aree terrene protette e contenute all’interno di barriere ingegneristiche; per le scorie a più alto livello di radioattività si ricorre invece al deposito geologico, ovvero allo stoccaggio in bunker sotterranei schermati. Inoltre vengono sfruttati anche degli impianti di riprocessamento in grado di estrarre l’uranio, il plutonio e gli altri attinoidi (detti minori, prevalentemente nettunio, americio e curio) dalle scorie e renderlo riutilizzabile nel processo di fissione nucleare.
Le scorie inoltre potranno essere riprocessate in altre tipologie di reattori (Nuclear Transmuters o trasmutatoricon fattore di conversione c < 0,7) con auspicata produzione collaterale di energia elettrica. Nel caso esse vengano riprocessate col solo obiettivo di diminuirne la radioattività, sarà necessario un tempo di almeno 40 anni per assistere a un calo della radioattività del 99,9%.
Un ulteriore metodo in fase di studio per la trasmutazione delle scorie nucleari (ADS) si basa sull’impiego di un acceleratore di protoni di alta energia (600 MeV – 2 GeV), accoppiato con un reattore nucleare subcritico, avente come barre di combustibile il materiale da trasmutare sotto forma di MOX o altro. Anche in questo caso si ipotizza la possibilità che il sistema sia energeticamente autosufficiente, con la produzione collaterale di energia.
Nel caso della fusione nucleare, la produzione di energia avviene senza emissioni di gas nocivi o gas serra, e con la produzione di modeste quantità di trizio: un isotopo dell’idrogeno con un tempo di dimezzamento di 12,33 anni la cui radioattività non supera la barriera della pelle umana, e che non è quindi pericoloso per l’uomo se non viene ingerito. In ogni caso, i tempi di dimezzamento della radioattività residua sarebbero confrontabili con la vita media della centrale (decine d’anni). Inoltre un reattore a fusione nucleare, a seconda della tecnologia usata, genera quantità variabili di materiale irradiato, di cui è richiesto lo smaltimento come scorie nucleari.
12
Considerazioni generali
Nel mercato liberalizzato dell’energia elettrica, la valutazione dei costi di produzione e di ritorno dell’investimento assume un’importanza primaria. A differenza degli impianti termoelettrici tradizionali, per i quali il costo di produzione è per lo più legato al costo del combustibile, gli impianti nucleari presentano un costo di produzione fortemente dipendente dai costi di investimento ed è evidente che ciò è dovuto alla scelta diffusa di una grande taglia degli impianti, agli alti costi delle tecnologie coinvolte, e alla maggior durata del periodo di costruzione rispetto agli impianti tradizionali.
Questi costi, di per sé molto più elevati di quelli associabili ai più semplici impianti alimentati a olio, carbone o a gas, sono facilmente controbilanciati da una minore incidenza del prezzo del combustibile, e la cui provenienza è associabile ad aree geopolitiche più stabili di quelle degli idrocarburi. Inoltre bisogna considerare che le centrali nucleari a differenza delle fonti fossili sono in grado di costituire scorte non di settimane ma di diversi anni.
Nel mondo occidentale, va poi aggiunto un elemento penalizzante per il settore elettronucleare che è rappresentato dalla maggior attenzione per la sicurezza. Questo aspetto, da un punto di vista puramente economico, contribuisce a un ulteriore aumento dei costi di investimento per via dell’allungamento degli iter autorizzativi e dei tempi di costruzione e del rischio di rallentamenti nella gestione dell’impianto rispetto a quanto preventivato.
Il LUEC (Levelized Unit Electricity Cost) può essere considerato come il costo di fornitura, vale a dire la misura del costo di generazione dell’energia includendo il capitale iniziale, il ritorno dell’investimento, i costi di gestione, del combustibile e di mantenimento.
Come viene messo in rilievo nei punti successivi le stime riportate degli studi esaminati differiscono significativamente in alcuni casi. Ciò si spiega tenendo conto che:
-
si tratta di stime che ancora non hanno il riscontro di ritorni empirici, in quanto riferiti a impianti di nuova generazione non ancora entrati in esercizio.
-
alcuni dei costi sono stati stimati sotto ipotesi molto differenti tra loro: ad esempio i tassi di interesse per l’investimento stimati negli studi differiscono significativamente se si assume un finanziamento a tassi di mercato, oppure a tasso agevolato.
L’analisi dei costi di un impianto nucleare fa riferimento alle seguenti voci di costo:
- costo del capitale;
- costo del combustibile;
- costo di esercizio e manutenzione;
13
-
costo di smantellamento;
-
altri tipi di costo.
I costi di capitale sono particolarmente importanti nella determinazione della competitività di un impianto nucleare, poiché gran parte del costo del megawattora da esso prodotto (cioè il LUEC) è riconducibile a questa categoria di costi. Il costo di capitale dipende da molteplici fattori, i più importanti dei quali sono i seguenti:
-
costo di costruzione dell’impianto (tecnologia) (anche definito come costo overnight di costruzione);
-
periodo di costruzione;
-
profilo di spesa durante il periodo di costruzione;
-
parametri finanziari del progetto, che includono;
- rapporto debito/capitale proprio;
-
tassi di interesse del debito e del capitale;
- vita economica dell’impianto;
-
periodo di rimborso del debito;
-
tempo di ammortamento;
14
Costo del capitale
I costi di capitale sono sostenuti durante il periodo di costruzione dell’impianto, quando hanno luogo gli esborsi per l’acquisto del macchinario, e le attività di ingegneria e costruzione. Il costo “overnight” di costruzione dell’impianto è da intendersi come il costo che sarebbe sostenuto per la costruzione dell’impianto se questa fosse “istantanea” (letteralmente “avvenisse nel corso di una notte”) e non dilazionata su un lasso di più anni. Il costo overnight di costruzione fotografa quindi una situazione ideale, poiché nella realtà la realizzazione e la messa in servizio di un impianto per la produzione dell’energia è un’attività di durata pluriennale. In particolare per gli impianti nucleari il tempo di costruzione è stimabile in 5 – 7 anni. Il costo overnight include i costi EPC (ingegneria, acquisto, costruzione), altri costi per attività sostenute direttamente dal proprietario e i costi per far fronte a imprevisti di costruzione, mentre invece non considera i costi finanziari sostenuti durante il periodo di costruzione.
A causa della durata della fase di costruzione, i costi di costruzione dell’impianto non si concentrano esclusivamente alla fine del periodo di costruzione ma si distribuiscono lungo l’intero periodo di costruzione, cioè ben prima che l’impianto entri in servizio. In altri termini i costi di produzione incidono sui flussi di cassa prima ancora dell’avvio della produzione (che avviene solo quando l’intero impianto è stato costruito). Infine il costo overnight trascura il valore dell’inflazione durante il periodo di costruzione. All’avvio della fase di produzione, il costo reale dell’impianto è quindi pari al costo “overnight“, più gli oneri finanziari relativi agli esborsi sostenuti durante il periodo di costruzione. Conseguentemente i ricavi della produzione (e quindi il prezzo dell’energia venduta) durante l’intero periodo di produzione dell’impianto dovranno coprire sia il costo di costruzione dell’impianto (sostenuti nella fase precedente alla produzione) sia i costi di produzione (fissi e variabili) che annualmente sono sostenuti per il funzionamento dell’impianto.
Da notare per il caso Italia che secondo l’edizione 2011 del rapporto della Banca Mondiale “Doing Business”, l’Italia è il novantaduesimo paese al mondo per la semplicità nell’ottenere licenze di costruzione. In particolare, il tempo medio di attesa è pari a 257 giorni, contro una media OCSE di 166. È del tutto evidente che questo problema – che è un problema di onerosità delle procedure e di efficacia ed efficienza del settore pubblico – si applica tanto al nucleare quanto alle tecnologie alternative.
15
Costo del combustibile
I costi del combustibile si distinguono in:
- costi di acquisto del minerale, di conversione in UF6, di arricchimento nell’isotopo fissile, di rinconversione in ossido metallico e infine di realizzazione dell’elemento di combustibile;
- costi per la chiusura del ciclo del combustibile utilizzato per la produzione. Si tratta dei costi relativi al trattamento del combustibile esaurito e alla sua collocazione in adeguati depositi nucleari (o, in alternativa, il suo riprocessamento, separando le scorie dal combustibile ancora utilizzabile).
La determinazione del costo del combustibile fresco, e quindi dell’incidenza sul costo dell’energia prodotta, viene fatta tenendo presente che il processo che porta alla realizzazione dell’elemento di combustibile comporta una sequenza piuttosto complessa di operazioni tecniche che vengono effettuate in tempi diversi, precedenti all’inizio dell’utilizzo del combustibile nel reattore. A titolo indicativo i costi (attualizzati) di realizzazione dell’elemento di combustibile che trova impiego in un reattore tipo PWR (Pressurized Water Reactor) da 1000 MWe, si stimano essere intorno ai 1500 €/kgUO2, con un’incidenza prevalente dei costi per le fasi di approvvigionamento del minerale e arricchimento.Secondo gli studi dell’università di Chicago, di MIT e di WNA la prima tipologia di costo incide, nel Nord America, per circa 4 ÷ 5 $/MWh (assumendo un rendimento termodinamico dell’impianto pari al 35%). Più bassa è invece la stima fornita dallo studio del CERI, che riporta un valore pari a circa 2,8 €/MWh (pari a 4 Can$/MWh). Più difficile valutare i costi per la chiusura del ciclo del combustibile, in quanto, negli studi esaminati, tale voce di costo non è sempre presa in esame o quotata separatamente dalle altre. Secondo lo studio del WNA (2006), essi dovrebbero incidere circa il 10% del costo complessivo del MWh, cioè 2 $/MWh considerando che il costo complessivo preso a riferimento nel suddetto rapporto è circa 20 $/MWh. Negli USA è attivo un programma federale per la gestione del combustibile esaurito che prevede un costo complessivo di 18 G$ ed è finanziato da una corrispettivo di 1 $/MWh a carico della produzione di energia elettrica da fonte nucleare.
Le variazioni di prezzo al dettaglio del minerale di estrazione raffinato (yellowcake) continuano ancora ad avere scarsa influenza sul prezzo finale dell’energia generata rendendola di fatto più prevedibile e meno volatile.Nel 2008, per esempio, Areva dichiarò che il costo del combustibile dei suoi reattori EPR incideva solo per il 17% sui costi di generazione.
Per circa cinque decenni, dal 1950 al 2000, il prezzo dell’ossido di uranio naturale (uraninite UO2e pechblenda U3O8, detta anche yellowcake) è stato generalmente basso e comunque quasi sempre in discesa considerando i prezzi al netto dell’inflazione,fatta eccezione per la seconda metà degli anni settanta, quando salì al pari di quello di tutte le altre materie prime in seguito alle crisi petrolifere del 1973 e 1979. Tuttavia, nel primo decennio del nuovo secolo tale andamento si è invertito, facendo crescere il prezzo del materiale fino a livelli mai raggiunti in precedenza (anche considerando l’effetto inflativo sul dollaro):in pochi anni si è passati dai meno di 10 dollari/libbradel 2002 agli oltre 130 dollari/libbra di metà 2007,con un successivo calo attorno agli 85 dollari/libbra nel corso del 2008.
Molti speculatori scommettono su un rialzo a breve termine del prezzo dell’uranio e quindi investono il proprio denaro in diritti di sfruttamento; le società di estrazione stanno valutando l’idea di riaprire molte miniere o filoni abbandonati in passato poiché antieconomici (ad esempio l’estrazione dai fosfati) e che ora possono al contrario risultare molto profittevoli. Si ritiene che questo repentino aumento del prezzo sia dovuto alla riduzione dell’uranio proveniente dallo smantellamento delle armi nucleari russe e dall’aumento della richiesta dell’uranio che ha ridotto le scorte dei produttori. L’aumento delle attività estrattive dovrebbe altresì ridurre il costo della materia prima che al 2001 (prima della rivalutazione degli ultimi anni) incideva solo per il 5-7% del totale dei costi della produzione di energia nucleare.
Costi di esercizio e manutenzione (O&M)
Questa categoria include i restanti costi di produzione. Per comodità anche i costi di personale spesso vengono classificati come costi di O&M.
I costi di O&M di un impianto nucleare vengono di seguito distinti in:
- costi fissi di O&M. Sono espressi in M$/MW/anno (oppure in M€/MW/anno). Fanno parte di questa categoria i costi del personale e altri costi (ad es. le tariffe di connessione alla rete) legati al fatto che l’impianto è in esercizio, piuttosto che alla quantità di energia prodotta;
- costi variabili di O&M. Sono espressi in $/MWh (oppure in €/MWh). Sono costi dipendenti dall’effettiva produzione dell’impianto nell’anno.
Per questa tipologia di costi la letteratura riporta stime piuttosto diverse, sia come valore sia come loro articolazione. Lo studio dell’università di Chicago riporta i seguenti costi di O&M:
- costi fissi di O&M: 0,060 M$/MW/anno;
- costi variabili di O&M: 2,1 $/MWh.
È possibile riportare i costi fissi di O&M al costo dell’energia prodotta definendo un fattore si utilizzo dell’impianto, ad esempio il 90%. In questo caso il costo complessivo di O&M è pari a 10,16 $/MWh. Lo studio di MIT riporta invece i seguenti costi di O&M:
- costi fissi di O&M: 0,063 M$/MW/anno;
- costi variabili di O&M: 0,47 $/MWh.
Riportando anche in questo caso i costi fissi di O&M sul costo dell’energia prodotta, si ha un costo complessivo di O&M è pari a 8,9 $/MWh. Stime in linea con quelle dello studio MIT sono riportate anche nel rapporto DOE/EIA del 2006 (che stima, per i costi fissi e variabili, rispettivamente 0,062 M$/MW/anno e 0,45 $/MWh). Ulteriori stime relative ai costi di O&M in paesi europei (Francia e Germania) sono riportate nello studio WNA (2005). Secondo tale fonte la stima dei costo complessiva di O&M si aggira sui 10 – 11 €/MWh. Lo studio Dominion (Dominion, 2004) stima per i reattori ACR-700, ABWR e AP1000 un costo complessivo di O&M nel range 6 -11 $/MWh (con un valore pari a 9,80 Can$/MWh per il reattore ACR-700).
Da quanto riportato dallo studio del MIT, la Tennessee Valley Authority, nell’ambito del progetto per il riavvio di un impianto nucleare negli USA, stima un costo complessivo di O&M (esclusi i costi di combustibile) di circa 8 $/MWh. Lo studio di R. Tarjanne & S. Rissanen (2000), riporta costi di 7,2 €/MWh, riportati anche da AREVA (AREVA,2005). Sempre in ambito europeo, il progetto NEEDS (2005) stima per l’EPR costi di O&M tra 5 – 7 €/MWh.
Infine lo studio CERI riporta per il reattore Candu 6 un costo complessivo di O&M pari a 9,2 €/MWh (pari a 12,9 Can$/MWh) mentre per il reattore ACR-700 esso scende a 7,75 €/MWh (pari a 10,85 Can$/MWh), leggermente più basso della stima dello studio Dominion per lo stesso reattore.
Costi di smaltimento delle scorie radioattive
Tra i costi operativi di una centrale una voce importante meritano i costi per lo smaltimento delle scorie nucleariche dipendono strettamente dal metodo di smaltimento utilizzato ovvero dai livelli di sicurezza adottati. I maggiori livelli di sicurezza imponibili sembrano raggiungibili con l’uso di depositi di stoccaggio delle scorie di tipo geologico i quali però hanno costi ingenti oltre che tempi di realizzazione elevati. Viene spesso citato al riguardo dai critici del nucleare il deposito geologico di ‘Yucca Mountain‘ negli USA che ha visto lievitare i costi fino a oltre 8 miliardi di dollari con tempi di realizzazione non ancora conclusi nonché dubbi sulla reale efficacia in termini di sicurezza e limitatezza nella capacità massima di scorie stoccabili in relazione alle reali necessità.
Costi per lo smantellamento
Tutti gli impianti nucleari devono sostenere costi di decommissioning (dismissione) al termine della propria vita operativa. I costi per il decommissioning sono stimati nell’intervallo del 10 – 30 % del costo di capitale iniziale dell’impianto, attualizzati al primo anno di vita dell’impianto. I costi di dismissione per gli impianti di ultima generazione si collocano nell’intervallo 320 – 440 €/kWe; per impianti di vecchia concezione e limitata diffusione nel mercato (gas grafite AGR di concezione inglese, o reattori di realizzazione sovietica quali i VVER) i costi, data la specificità dell’impianto, possono essere sensibilmente diversi
17
Le preoccupazioni principali dovute all’uso di energia nucleare per la produzione di elettricità riguardano l’impatto sull’ambiente e la sicurezza delle persone. Alcuni incidenti nucleari hanno provocato una contaminazione radioattiva. Il più grave incidente, il disastro di Černobyl’, ha ucciso delle persone, provocato feriti e danneggiato e reso inutilizzabili per decenni grandi porzioni di territorio. Recentemente, in Giappone è avvenuto il disastro di Fukushima Dai-ichi.
Inoltre, esistono rischi di contaminazione radioattiva nelle fasi di estrazione e arricchimento del combustibile nucleare e lo smaltimento e deposito a lungo termine del combustibile esaurito sotto forma di scorie nucleari. Ad esempio, nel caso della centrale di Tricastin, circa 18 000 litri di acqua contaminata da uranio sono stati dispersi accidentalmente nell’ambiente.
Un altro problema è l’elevata quantità di acqua necessaria per il raffreddamento della centrale e l’immissione delle acque calde nei sistemi idrici: ciò in alcuni ecosistemi può causare pericoli per la salute delle forme di vita acquatica, come per talune specie di pesci già a rischio di estinzione.Tali difficoltà possono essere notevolmente ridotte usando torri di raffreddamento, che di solito sono collocate in quei luoghi dove si ritiene inaccettabile un riscaldamento eccessivo delle acque o vi è scarsità di acqua per refrigerare il condensatore della centrale, oppure costruendo le centrali vicino al mare dove la disponibilità di acqua è quasi sempre assicurata.
Tale problema accomuna solo parzialmente gli impianti nucleari a quelli termoelettrici. [Da un lato il rendimento termodinamico di una centrale nucleare è nettamente più basso di quello di un moderno impianto termoelettrico (30-38% contro il 60% per gli impianti termici migliori) , e pertanto a parità di elettricità prodotta gli scarichi termici sono molto superiori. Dall’altra una centrale termoelettrica può, per tipologia e collocazione geografica, essere allacciata più facilmente a reti di teleriscaldamento (cogenerazione), recuperando così un’ulteriore quota di calore anziché disperderlo in ambiente, soluzione poco usata tramite fonte nucleare
18
La sicurezza delle centrali nucleari è stata spesso messa in questione, dal momento che le strutture più visibili, come le torri di raffreddamento, appaiono fragili e potrebbero quindi essere facili obiettivi di attacchi terroristici, ad esempio da parte di kamikaze che impiegassero aerei di linea per colpirle (questo dibattito è stato molto acceso in Germania) . Secondo i sostenitori del nucleare, questi attacchi potrebbero rendere le centrali inattive ma non potrebbero produrre contaminazioni radioattive dato che il nucleo delle centrali è protetto da mura di cemento armato spesse diversi metri: eventuali aerei kamikaze non sarebbero in grado di rompere i muri esterni a meno di utilizzare cariche esplosive estremamente potenti. D’altronde non è detto che gli attacchi debbano essere attuati attraverso esplosioni esterne all’edificio. Le centrali nucleari, secondo i loro sostenitori, vengono sorvegliate con estrema attenzione, anche se molti lo mettono in dubbio. Uno studio condotto dalla commissione statunitense che controlla il settore nucleare (Nuclear Regulatory Commission) ha evidenziato che più di metà delle centrali nucleari statunitensi non sono state in grado di prevenire una simulazione di attacco.
La sicurezza della tecnologia nucleare viene garantita, anche se in maniera meno vistosa, non solo nel bruciamento in centrale, ma su tutto il ciclo di produzione, che comprende anche trattamento e deposito. Tuttavia maggior attenzione dovrà comunque essere rivolta agli aspetti riguardanti il trasporto e lo stoccaggio delle scorie.
I sostenitori del nucleare sottolineano altresì l’alto livello di sicurezza vigente per gli addetti impiegati nel settore, che del resto sono inevitabilmente meno, essendo il nucleare un attribuito ad altre fonti: 342 all’energia prodotta dal carbone, 85 al metano e 883 all’energia idroelettrica
20
21
Published: Dec 14, 2020
Latest Revision: Dec 14, 2020
Ourboox Unique Identifier: OB-964953
Copyright © 2020