Arte romana
-Planimetria scavi di Ercolano.
-Arco romano.
-Marco Nonio Balbo.
-I quattro stili della pittura romana.
L’ arte di costruire degli antichi vesuviani.
Edifici imponenti, strutture che resistono al tempo, le costruzioni di epoca romana destano sempre meraviglia per la loro grandezza e resistenza. Anche nel mondo romano prima di mettere su una costruzione, vi era tutto u processo di lavorazione della materia prima che gli archeologi hanno saputo ricostruire grazie ai tanti resti ce oggi troviamo in tante città italiane. La materia prima era importante perchè identificava anche lo status sociale dell’edificio. La fase costruttiva consisteva nel realizzare la fossa su cui poi veniva posizionata la fondazione. La fossa poteva essere sia più larga della fondazione , che combaciare con essa. Poi il tutto veniva riempito con materiale cementizio. Il passaggio successivo era posizionare i blocchi che venivano fissati con la malta. A seconda di come venivano posizionati i blocchi c’erano diverse tecniche costruttive, che possiamo ritrovare anche negli Scavi Archeologici di Ercolano. Si possono distinguere tre tipi di strutture: la struttura a grandi blocchi, le strutture miste e le strutture con pietre di piccole dimensioni.
Pannello con Nettuno, Giunone e Anfitrite |
Sacello degli Augustali Il primo edificio che s’incontra, già nell’area del Foro, è il cosiddetto Sacello degli Augustali, probabilmente centro del culto imperiale e al tempo stesso sede del Collegio degli Augustali, o forse Curia cittadina. |
Si tratta di una grande sala simile ad un atrio tetrastilo d’abitazione privata: il tetto, infatti, è sostenuto da quattro colonne e la luce piove dall’alto, tramite un lucernario. Al centro della parete di fondo è un piccolo ambiente, il sacello vero e proprio, dove si dovevano svolgere i riti in onore dell’Imperatore; le sue pareti sono decorate da fini pitture, tra cui due pannelli figurate, uno con Ercole, Giunone, e Minerva e l’altro con Nettuno ed Anfitrite.
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LA CASA DI ARISTIDE.
La casa di Aristide è una casa di epoca romana, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell’antica Ercolano.
La casa di Aristide, così chiamata poiché al suo interno venne ritrovata una statua in un primo momento ritenuta, erroneamente, essere la raffigurazione di Aristide, un politico ateniese, mentre poi si è scoperto appartenere all’oratore Eschine, subì la stessa sorte delle altre strutture di Ercolano, ossia sepolta sotto una coltre di fango durante l’eruzione del Vesuvio del 79, poi solidificatosi; venne scoperta durante il periodo delle esplorazioni borboniche, quando fu usata per raggiungere la vicina Villa dei Papiri: purtroppo, i vari cunicoli scavati hanno distrutto la maggior parte degli ambienti, rendendone difficile l’interpretazione. In seguito è stata riportata alla luce, grazie a scavi a cielo aperto, all’inizio del XX secolo da Amedeo Maiuri, anche se una buona parte resta comunque ancora da esplorare.
LA CASA DELLO SCHELETRO.
La casa dello Scheletro è una casa di epoca romana, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell’antica Ercolano: deve il suo nome al ritrovamento di uno scheletro umano al suo interno.
La casa venne sepolta durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 sotto una coltre di fango a seguito delle colate piroclastiche; fu quindi esplorata tra il 1830 ed il 1831 da Carlo Bonucci, riportando alla luce il primo scheletro della città: lo scavo venne poi completato nel 1927 da Amedeo Maiuri.
LA CASA D’ARGO.
La Casa d’Argo, Ercolano. Casa di epoca romana, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 e riportata alla luce a seguito degli scavi archeologici dell’antica Ercolano. Deve il suo nome ad un affresco del peristilio, andato perduto, che raffigurava Argo nell’atto di guardare la ninfa. L’abitazione è caratterizzata da un peristilio, porticato su tre lati con colonne stuccate, lungo il quale si aprono diverse stanze; una piccola porta conduce ad un secondo peristilio, più piccolo.
L’ARCO ROMANO.
La centina era una struttura provvisoria realizzata interamente in legno, che sosteneva temporaneamente i mattoni che venivano posti intorno all’arco prima di arrivare al centro; aiuta l’opera dei muratori. Era su questa che venivano disposti i mattoni detti conci, uniti tra loro da impasti di malta.
I piedritti sono elementi architettonici verticali portanti, che sostengono il peso di alti elementi. Può dirsi piedritto ogni elemento verticale tra il capitello o il pulvino di una colonna e l’imposta dell’arco.
La chiave di volta è una pietra lavorata per adempiere a funzioni strutturali, posta l vertice di un arco o di una volta; chiude, con la sua forma a cuneo, la serie degli elementi costruttivi disposti uno al fianco dell’altro sui pilastri laterali. Più archi successivi danno una volta a botte, due volte a botte incrociate ortogonalmente danno luogo alla crociera, da cui derivano le volte a vela e poi la cupola. Gli Etruschi furono gli inventori della chiave di volta. Da loro i Romani appresero la tecnica, che sfruttarono abilmente in opere come il Colosseo e gli acquedotti. Nell’architettura Romana la chiave di volta presenta spesso in facciata, in particolare sugli archi trionfali, una decorazione, più sporgente rispetto a quella del resto dei blocchi che compongono l’arco. Si tratta di una grande mensola con profilo ad S e disposta verticalmente, sulla cui faccia sono presenti rappresentazioni figurate, spesso di divinità.
La Domus Romana.
La tipica domus romana, cosi’ come e’ stata conosciuta soprattutto dagli scavi di Pompei, risulta una combinazione dell’antica Domus Italica, formata da un solo cortile aperto (atrium) su cui si aprivano le stanze e da un giardinetto (Hortus), con la casagreca (peristylium). E’ caratteristico notare come i nomi dei vari elementi del corpo anteriore siano rimasti quelli latini dell’antica domus italica (atrium, tablinium, cubiculum, ecc.), mentre invece quelli del corpo posteriore siano derivati dalla moderna casa greca (peristylium, exedra, triclinium, ecc.). La domus romana era di pianta rettangolare, solidamente costruita su un solo piano con mattoni o calcestruzzo (impasto di sabbia, ghiaia, acqua e cemento), e si differiva dalle odierne case moderne per l’orientamento che aveva verso l’interno anziche’ verso l’esterno. Cio’ significava che gli ambienti prendevano aria e luce dalle aperture del soffitto in corrispondenza dei due principali e spaziali ambienti interni dell’atrium e del peristylium, che costituivano i centri delle due parti in cui la casa era divisa, rappresentando cosi’ la classica abitazione delle popolazioni meridionali e mediterranee, che invitava alla vita all’aperto. Esternamente la domus romana aveva un aspetto rigoroso, lineare, e, se c’erano, poche e strette finestre sulla strada (questo per evitare che dall’esterno potessero entrare rumori o, peggio ancora, ladri), aperte regolarmente nella muratura esterna, che era spessa e rozza.Il soffitto era a cassettoni (lacunari) intarsiati o decorati con stucchi. Il pavimento era ricoperto da mosaici. Le domus romane erano grandi e spaziose, areate ed igieniche, fornite di bagni e latrine, dotate di acqua corrente, calda e fredda, riscaldate d’inverno da un riscaldamento centrale (gli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d’aria calda sotto i pavimenti), vetri colorati e decorazioni con mosaici, affreschi variopinti e statue, erano abitazioni volte a soddisfare i bisogni dei loro inquilini, abbinandovi bellezza ed estetica, tanto da poter essere considerate forse, e non a torto, le piu’ comode che siano state costruite fino al XX secolo.
Logicamente il numero e l’ampiezza degli ambienti e dei giardini, l’arredamento e la decorazione delle stanze variavano a seconda dell’eta’ (repubblicana, imperiale, ecc.) e della ricchezza del proprietario. Comunque i vari ambienti erano tutti disposti intorno a due aree centrali aperte da cui ricevevano aria e luce. Si e’ detto in precedenza che la casa era formata da due grandi aree al cui centro vi erano l’Atriume il Peristylium:A)nella parte anteriore della casa, al cui centro vi era l’atrio(Atrium), erano esposte le immagini degli antenati, le statue dei Lari, dei Mani e dei Penatiprotettori della casa, della famiglia e di altre divinita’, le opere d’arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobilta’ o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati politici;B)nella parte posteriore della casa, al cui centro vi era il peristilio (peristylium), si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus), che poteva anche essere circondato da un portico a colonne (porticus) e ornato da statue, marmi e fontane, dove affacciavano le camere da letto (i cubicola) padronali. Ma vediamo, come in un viaggio immaginario di duemila anni indietro nel tempo, cosa avrebbe visto un visitatore dell’epoca che entrava in una domus romana: l’entrata si trovava generalmente su uno dei due lati più corti della casa. La porta, che affacciava sulla strada, era preceduta dall’ostium, che era la soglia d’ingresso che immetteva direttamente in un corridoio, detto vestibolo(vestibulum), che, a sua volta, conduceva alla vera e propria entrata (fauces); da qui si passava al cortile interno, detto atrio (atrium), normalmente quadrato con un’ampia apertura sul soffitto spiovente verso l’interno detta compluvio (compluvium): di qui scendeva l’acqua piovana, che veniva raccolta in una vasca rettangolare chiamata impluvio(impluvium) sistemata nello spazio sottostante; quest’acqua era poi convogliata in una cisterna sotterranea. Accanto all’atrio era sempre presente il lararium dove si tenevano le statue dei Lari e dei Penati, protettori della casa e della famiglia, e dei Mani, per la venerazione delle anime dei trapassati. Inizialmente, accanto ad essi, veniva alimentato un fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, pena l’ira degli dei. Nella parete dell’atrium, posta direttamente di fronte all’ingresso, si apriva una grande stanza detta tablino (tablinum), la stanza-studio del padrone di casa dove erano conservati gli archivi di famiglia: aveva gli angoli delle pareti foggiate a pilastri, era separata dall’atrium soltanto da tendaggi, e aveva un’ampia finestra che dava sul peristyliumda cui riceveva luce ed aria. Ai lati sinistro e destro dell’atrium si aprivano le stanze da letto chiamate cubicola (cubicola), e due ambienti di disimpegno aperti (le alae). Di fianco a una delle due ala e poteva essere ubicato il triclinio(oecus tricliniareo Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo, che prendeva luce da una apertura che dava da una parte sul peristylium (che come si vedra’ successivamente, era il grande giardino all’aperto), e dall’altra sull’atrio. Il Triclinium poteva essere posizionato anche in altri punti della casa, come mostrato nell’immagine della planimetria. Attraverso un corridoio, dall’atrio si raggiungeva il peristylium, la parte piu’ interna e spettacolare della casa.
Era qui, nella parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus). Il peristilio (peristylium) consisteva in un giardino (Hortus) in cui crescevano con ordine ed armonia erbe e fiori; era circondato su ogni lato da un portico (Porticus) generalmente a due piani, sostenuto da colonne: il tutto arricchito da numerose opere d’arte, ornamenti marmorei, da affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche). Era la zona piu’ luminosa, e spesso una delle piu’ sontuose. Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina. Nel Peristylium affacciavano anche le camere da letto padronali, generalmente a due piani, sostenuti da colonne: lo arricchivano numerose opere d’arte e ornamenti marmorei. Nel peristilio si aprivano due stanze grandi e lussuose: A)il triclinio(oecus tricliniareo Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo, la piu’ ampia della casa, dove si tenevano i banchetti con gli ospiti di riguardo. I triclinierano lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti. In epoca imperiale il triclinio fu sostituito come sala per feste e ricevimenti dall’exedra.La stanza del tricliniumera fornita di tre letti, detti triclinari(da qui il nome della sala), su ognuno dei quali trovavano posto tre persone, sdraiate sul lato sinistro colgomito appoggiato ad un cuscino: infatti per i Romani il tre era considerato il numero perfetto. I tre letti, all’interno del triclinio, erano disposti a semicerchio in modo da permettere facilmente il via vai della schiavitu’. Il letto centrale, il medius lectus, era destinato agli ospiti piu’ importanti, tra i quali vi era il personaggio più prestigioso in assoluto, che sedeva sulla parte piu’ alta, il locus consularius. I triclini laterali erano chiamati rispettivamente imus lectus, destinato alle persone meno importanti (tra le quali, in segno di umilta’ si poneva il padrone), e il sumus lectus, su cui erano gli ospiti di media popolarita’. Tra i letti triclinari vi era un tavolo che, a seconda della sua forma, assumeva nomi diversi: quello di forma quadrata era detto cillibae poggiava su tre piedi, quello circolare veniva chiamato mensa, e quello utilizzato per le bevande urnarium.B) l’esedra (exedra), era un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi colorati. Sulle due ali del peristylium vi erano le camere da letto padronali (i cubicola), che erano piu’ ampi e luminosi di quelli che si trovavano nelle ali dell’atrio ed erano decorati in un modo preciso: il mosaico sul pavimento era bianco con semplici ornamenti, le pitture alle pareti erano diverse per stile e colore da quelle del resto della casa e il soffitto sopra il letto era sempre a volta. Si affacciavano sul peristylium anche la cucina (culina) che, vista la sontuosita’ dei banchetti si potrebbe pensare fosse una stanza grande come sullo stile di quelle medievali, invece era il locale piu’ piccolo e tetro della casa; uno sgabuzzino occupato quasi tutto da un focolare in muratura, invaso dal fumo che usciva da un buco sul soffitto vista l’assenza di fumaioli, con la presenza di un camino, un piccolo forno per il pane e l’acquaio. La cucina non ha comunque una ubicazione fissa; a volte la si trovava anche che affacciava nell’atrium, ma e’ caratteristica costante che fosse stata sempre un ambiente piccolo e buio. Annesso alla cucina c’era il bagno (balneus), riservato alla famiglia padronale, e le stanze della servitu’ (cellae servorum); anche queste non avevano comunque una disposizione fissa (a volte, infatti, si trovavano nella parte dell’atrium). In epoca imperiale la domus si forni’ anche di una seconda uscita di servizio detta posticum posta normalmente sul lato della parete piu’ ampia della casa, per permettere il passaggio della servitu’ e dei rifornimenti senza ingombrare l’ingresso principale. Infine, non va dimenticato che nelle domus romane, nonostante fossero per ricchi, non erano presenti mobili, ma solamente piccoli armadi a muro (armarium) e bauli usati per riporvi i vestiti, i triclinium, e i letti (cubicula); pertanto, le decorazioni alle pareti presenti in abbondanza miravano ad arricchire lo spoglio ambiente.
Lo splendore della casa quindi si notava principalmente dalla qualita’ di marmi, statue, e affreschi parietali. Da ricordare comunque tra l’arredo, le sedie, delle quali si conoscono molti tipi, come la sella o seggiola senza schienale, la sedia con schienale e braccioli (cathedra) e la sedia con un sedile lungo (longa).
MARCO NONIO BALBO.
Patrono e benefattore, sacerdote e preconsole della provincia di Creta e Cirene.
Pur essendo originario di Nocera, a lui si devono la costruzione di importanti edifici pubblici come la Basilica, le mura e le porte della città di Ercolano.
Ercolano gli manifestò la sua gratitudine con grandi onori e con la dedica di numerose statue.
Fu un importante uomo politico che ebbe una grande influenza soprattutto tra gli ultimi decenni della repubblica e gli inizi dell’epoca Augustea, tanto che gli oneri a lui attribuiti potevano essere paragonati solo a quelli dei membri della famiglia imperiale.
Ultimamente il nome di un certo Balbo, è apparso anche a Pompei su una parete della casa di Giove.
Le nuove scoperte Pompeiane sorprendono per la bellezza e la loro unicità e aggiungono tasselli di storia anche per la conoscenza di Ercolano.
Marco Nonio Balbo non è solo un illustre benefattore, ma diversi elementi indurrebbero a credere che fu anche quel tribuno popolare che nel 32 a.c. Intervenne a favore di Ottaviano.
La sua storia si legò a doppio filo alla città Ercolanese che contribuì a rendere sontuosa con la costruzione di edifici pubblici e all’avanguardia per certi aspetti.
Ad Ercolano possedeva una ricca casa, oggi divisa in due unità abitative indipendenti: la casa del rilievo di Teleo e la casa della Gemma, su tre piani affacciava verso il porto e aveva giardini pensili.
Alla casa in un primo momento appartenevano anche le terme suburbane che furono poi ampliate e rese pubbliche inserite in un grandioso complesso monumentale formato dal santuario di venere e dalla terrazza dove fu poi eretto il monumento funerario di Marco Nonio Balbo.
L’ipotesi che lì fossero state raccolte le sue ceneri è stata fatta in base al ritrovamento di un dolio di terracotta nella terra di riempimento dell’altare, che conteneva resti carbonizzati e una falange tagliata a scopo rituale.
Sulla base di studi archivistici si può affermare che nel foro di Ercolano erano state erette quattro statue equestri di Nonio Balbo.
All’incrocio tra il cardo e il decumanus, dunque sul suolo pubblico, si trovava un gruppo statuario del quale si conservano le figure del preconsole, di suo padre e di sua madre.
Gli Ercolanesi onoravano anche sua moglie; si sono conservate le iscrizioni di tre sue statue.
Di sicuro Ercolano si trovava un numero ben elevato di statue erette in suo onore.
Sono noti anche dei ritratti del preconsole, quello giovanile da collocare intorno agli anni 30 a.c., si conserva su una delle statue equestri in marmo che nel 1799 andò in pezzi e fu poi ricomposta una sua replica molto valida.
Il secondo tipo di ritratto si riconosce nella statue togata e mostra le fattezze di un uomo maturo.
La testa della statua con la corazza raffigura invece un uomo anziano ed è forse opera di uno scultore greco.
Anche i ritratti di suo padre e di sua madre che ci sono pervenuti, possono essere attribuiti, su basi stilistiche, agli inizi dell’età Augustea
I QUATTRO STILI DELLA PITTURA ROMANA.
Le lussuose dimore pompeiane ci hanno lasciato in eredità, fra le tante cose, anche un dono preziosissimo: le pitture parietali.
A Roma, la continuità della vita ha cancellato quasi del tutto le testimonianze pittoriche, a differenza della città vesuviana dove l’eruzione del 79 d.C. le ha preservate.
Le pitture parietali ritrovate a Pompei sono da anni oggetto di interesse degli esperti. Il loro studio ha permesso di individuare i cosiddetti quattro stili pompeiani. C’è da dire, sin da subito e a scanso di equivoci, che Pompei non deve essere considerato il centro irradiante di questi quattro stili, ma bensì una delle tante città in cui arrivò forte l’eco della pittura della capitale dell’impero.
Fatte queste premesse, vediamo più da vicino queste pitture e distinguiamo i quattro stili.
Il primo stile si sviluppa e ha un’ampia diffusione dalla metà del II sec.a.C. fino all’80 a.C. ca. Le pareti sono decorate con stucco colorato e imitano strutture murarie con blocchi squadrati.
Il secondo stile, detto anche “stile dell’architettura in prospettiva”, si sviluppa dalla fine del I sec.a.C.fino al I sec.d.C. Questo stile si differenzia dal primo perché sulle pareti vengono rappresentate architetture, come colonnati, frontoni, edicole, porte e finestre, che inizialmente servivano a suddividere lo spazio, ma l’effetto trompe l’oeil (inganna l’occhio) creava l’illusione dello sfondamento prospettico e gradevoli effetti ottici. Il secondo stile permetteva di ampliare il limite murario delle stanze e di andare oltre lo spazio reale.
Inoltre vi è anche un arricchimento del repertorio figurativo in cui gli elementi architettonici verranno sostituiti da figure.
Il terzo stile si sovrappose al secondo stile e arrivò sino all’età dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.). Tale stile è definito “stile ornamentale” e non ha più quelle caratteristiche prospettiche e illusionistiche proprie del secondo stile. Le architetture perdono del tutto la loro tridimensionalità (alcune volte solo le colonne la mantengono). Lo spazio è suddiviso e riempito con pittura monocroma e colori vivaci: blu, viola e rosa. Sulla parete si possono vedere candelabri, calami, bruciaprofumi che in molti casi sorreggono tetti e strutture.
Il quarto stile, detto anche “stile dell’illusionismo prospettico” si diffuse in epoca neroniana come reazione alla stilizzazione dello stile precedente. Ritornano alcuni elementi del secondo e del terzo stile come gli elementi architettonici che creano la prospettiva senza però l’illusione della realtà al di fuori oppure candelabri, tralci vegetali e figure alate. La parete era decorata soprattutto con il colore rosso su fondo bianco o nero.
A Pompei moltissime case erano decorate con questo stile in quanto la maggior parte di esse erano state ricostruite dopo il terremoto del 62 d.C.
Questo libro è stato realizzato dagli alunni Christian Frontuto e Raffaele Esposito della classe 1E, con notizie ricavate da libri di testo, immagini tratte dal web.
Published: May 19, 2020
Latest Revision: May 19, 2020
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