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Alla scoperta del Nuovo Mondo

  • Joined Apr 2020
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A partire dal XI secolo furono compiute le prime esplorazioni di nuovi territori e di nuove rotte marittime. Esse allargarono i confini del mondo allora limitarono al continente eurasiatico e all’Africa mediterranea. Con queste esplorazioni, si conclude il Medioevo e inizia l’età moderna.

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Gli esploratori erano spinti da varie motivazioni, come la volontà di convertire al cristianesimo nei popoli extraeuropei, ma soprattutto il voler cercare nuove strade per il commercio. Ad esempio, la conquista turca di Costantinopoli del 1453 limitò fortemente la possibilità per gli europei di commercio con l’Estremo Oriente. Quindi per non dipendere dai mercanti turchi o arabi, bisognava esplorare nuove rotte marittime per lontano riprendere i commerci. Comunque, già prima dell’espansione dell’impero turco, il commercio europeo con l’Asia era diventato più difficile con la caduta dell’impero turco. Inoltre in Spagna e in Portogallo si affermano alcuni stati centralizzati che prevedono la possibilità di finanziare spedizioni esplorative, con l’obiettivo di conquistare terre con vantaggi politici ed economici.

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Il primo stato che iniziò ad organizzare esplorazioni fu il Portogallo, che cominciò a cercare una rotta che permettesse di arrivare in India circumnavigando l’Africa. L’impresa fu iniziata da Bartolomeo Diaz e fu portata al termine da Vasco da Gama, che raggiunse l’India il 20 maggio 1498. Così i portoghesi aprirono per i primi la rotta diretta per il commercio con l’Asia.

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I grandi sovrani di Spagna, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia avevano paura di non riuscire ad arrivare in India e quindi di perdere tutte le loro ricchezze. Così si fecero convincere da Cristoforo Colombo a tentare l’impresa di arrivare in Asia navigando verso occidente, con l’accordo di dare nuovi sudditi ai due sovrani e di diffondere il cristianesimo. Toscanelli, un astronomo fiorentino, affermava che la circonferenza della Terra era di 30 600 km e aveva dato al continente eurasiatico un’espansione molto maggiore rispetto a quella reale. Cristoforo Colombo stabilì, grazie a quei calcoli, che la distanza tra le isole Canarie dall’Asia era di 4500 km, ma la distanza reale è di 20 165 km. Quindi possiamo dire che l’America è stata scoperta per un fortunato errore.

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Il primo viaggio di Colombo cominciò il 3 maggio 1492 con due caravelle, la Nina e la Pinta, e una nave, la Santa Maria e con circa 120 marinai. Dopo 37 giorni, il 12 settembre 1492, la flotta sbarcò su un’isola appartenente all’arcipelago delle Bahamas, che Colombo chiamò San Salvador ma che gli abitanti del luogo conoscevano come Guanahanì. Successivamente, Colombo arrivò nei Caraibi e in alcune zone dell’America centrale, rimanendo convinto di essere in India. Il nome “indios”, da allora, indica gli abitanti dell’America centro-meridionale.

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Il navigatore toscano Amerigo Vespucci riuscì a dimostrare che Colombo aveva scoperto un nuovo continente che venne chiamato “America” in suo onore. Il navigatore portoghese Ferdinando Magellano compì invece la prima circumnavigazione della Terra. Il viaggio durò circa 3 anni e delle cinque navi e dei 238 uomini partiti nell’agosto del 1519 dalla Spagna, fece ritorno nel settembre del 1522 una sola barca con all’interno 18 marinai. Tra i 18 marinai non era presente Ferdinando Magellano, che morì un anno prima quando arrivò nelle Filippine.

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Quando gli europei sbarcarono in America trovarono degli indigeni che furono chiamati nativi americani o amerindi. La popolazione si estese in tutte le regioni del continente e all’inizio del XVI secolo arrivò a 75 milioni. Le tre civiltà più sviluppate si trovavano in America centrale e nell’area andina ed erano: gli Aztechi, i Maya e gli inca. Non esisteva un’unica civiltà amerinda, anche perché esistevano centinaia di piccole civiltà.

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Rispetto alle altre civiltà, quella dei Maya era la più antica. Nacque nello Yucatàn e conobbe il suo massimo splendore tra il IV e il X secolo. Una volta che la civiltà Maya entrò in contatto con altre civiltà, cadde in una crisi. I maya erano dotati di un’organizzazione politica su città-stato indipendenti. La classe sociale più importante era la casta sacerdotale; la coltivazione prevalente era quelle del mais. I maya crearono una scrittura formata da elementi ideografici e fonetici e svilupparono conoscenze astronomiche e concezioni matematiche innovative. Dal punto di vista tecnico, i maya unirono le loro capacità, ad esempio quella di saper costruire strade e canali, all’assenza di strumenti, infatti non sapevano usare la ruota, l’aratro e il ferro.

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Gli aztechi erano originari del Nord America e migrarono in America centrale dove crearono un grande impero. La capitale di quest’ultimo era la città di Tenochtitlàn, costruita sulle acque di un lago ed era collegata alla terraferma con dei ponti. Gli Aztechi possedevano capacità tecniche in campo idraulico ed architettonico. Infatti anch’essi, come i maya, costruivano templi dove svolgevano i loro riti religiosi. Al contrario dei maya però, gli aztechi possedevano soltanto una scrittura pittografica. La loro religione era molto particolare, infatti accanto agli dèi benigni c’erano divinità distruttive, la cui rabbia veniva calmata da sacrifici umani.

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L’impero inca si sviluppò nel corso del XV secolo ereditando i territori conquistati dalle civiltà che lo avevano preceduto. Questo impero si trovava in alta montagna e per collegare l’impero da una punta all’altra si creò una strada di 5500 km. Anche gli inca non conoscevano l’uso della ruota e non avevano né carri né animali che li aiutassero nel trasporto delle colture perché l’animale più grande allevato dagli inca era il lama. Non possedevano una vera scrittura ad avevano ottime capacità ingegneristiche e organizzative. Infine nell’impero degli Inca, il denaro era assente, infatti la circolazione dei beni avveniva attraverso degli scambi reciproci di prodotti e prestazioni lavorative.

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Quando spagnoli e portoghesi si resero conto dei vantaggi delle esplorazioni, si posero il problema di motivare gli atti con i quali conquistavano le terre scoperte. Per le regioni abitate dai musulmani, gli stati cristiani erano autorizzati e spinti dalla chiesa ad occuparle. Per le altre terre, i giuristi si inventarono il termine “terra di nessuno” per indicare le terre disabitate, abitate da selvaggi o non sottoposte a nessuna signoria. Spagna e Portogallo si rivolsero al papa affinché sancisse, con un atto ufficiale, il diritto di conquistare le terre non gestite da un re cristiano. Nel 1493, una bolla pontificia stabilì che il Portogallo aveva il diritto di conquistare i territori che avesse scoperto a oriente della raya, ovvero una linea comune corrispondente ad un meridiano preciso; gli spagnoli invece avrebbero occupato le terre scoperte a occidente della raya. Nel 1494, i portoghesi, siccome erano convinti che la loro condizione era sfavorevole, decisero di modificare la divisione contrattando direttamente con gli spagnoli. Così con il Trattato di Tordesillas la raya venne spostata più ad ovest e questa fu la prima spartizione del mondo.

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Ai portoghesi spettavano così le terre cristiane, quindi Asia e Africa. Per raggiungerle, i portoghesi scesero al sud dell’oceano Atlantico, per superare il capo di Buona speranza e puntare all’India. Nel 1500 il navigatore portoghese Pedro Cabral, mentre compiva quel viaggio scoprì una parte costiera dell’America meridionale che sporgeva a est della raya, quindi ne prese possesso e la sottimise al suo re. Quella terra prese il nome di Brasile, chiamata così a causa di una pianta che ricopriva le sue coste. Il Brasile fu l’unica colonia del Portogallo nel continente americano. Dal Brasile si importavano tabacco, canna da zucchero, cotone e pellami. Siccome non c’erano abbastanza lavoratori per lavorare i campi, i portoghesi decisero di iniziare un lucroso commercio di schiavi, che controllavano sulle coste dell’Africa.

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Il Portogallo non aveva tanta popolazione da creare un esercito e quindi conquistare territori estesi. Per questo creò un sistema di porti fortificati sulle coste per assicurarsi il monopolio del commercio delle spezie. Sulle sponde orientali dell’Africa, i portoghesi iniziarono a gestire territori delle coste indispensabili per dominare i commerci sull’oceano Indiano. Qui entrarono in concorrenza con i mercanti arabo-musulmani e dovettero accettarne la convivenza riducendo il loro dominio alle coste di Mozambico. Nel sud-est dell’Asia, i portoghesi occuparono Goa, l’isola di Ceylon, l’isola della Malacca e delle Molucche.

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Da Haiti, gli spagnoli si mossero per conquistare le isole Antille e i protagonisti di questa “missione” furono i conquistadores, ovvero personaggi senza scrupoli che cercavano fortuna e ricchezze nel nuovo mondo. Sin dall’inizio del XVI secolo circolavano voci di un luogo magnifico: l’El dorado. Gli spagnoli spinti dalla curiosità delle usanze di questi indigeni decisero di organizzare delle spedizioni per conquistare ricchezze importanti. Le spedizioni più significative furono quelle di Hernàn Cortés in Messico e di Francisco Pizarro nel Perù, che ebbero come conseguenza la distruzione dell’impero azteco e inca.

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Nell’’arco di due anni, tra il 1519 e il 1521, Cortés sconfisse e conquistò l’impero azteco. Nonostante l’inferiorità numerica, Cortés sfruttò le situazioni di vantaggio in cui si trovò e vinse soprattutto grazie alle armi da fuoco e ai cavalli, sconosciuti alle popolazioni locali. Inoltre si pensava che gli spagnoli fossero divinità ed ebbe molto peso la capacità di sfruttare le divisioni interne agli avversari; Cortés si alleò con le popolazioni non amanti degli Aztechi per attaccare la capitale dell’impero. Il vantaggio decisivo per gli spagnoli, fu la diffusione tra gli aztechi del vaiolo, che provocò la morte di quasi metà popolazione della città. Il Messico divenne quindi gestito da un viceré, incaricato dal sovrano spagnolo, col nome di Nuova Spagna.

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Dal 1531 al 1533 avvenne la spedizione di Pizarro in Perù. Nell’impero inca era in corso una guerra per la successione tra Atahualpa e il fratellastro Huascar. Pizarro sfruttò la situazione e si alleò con Huascar ma fu sconfitto in battaglia. Il fratellastro allora attirò Atahualpa a Cajamarca. Quest’ultimo arrivò all’incontro e Pizzarro dispose il Requerimiento: si eleggeva una dichiarazione che ordinava ad una persona o ad un gruppo di sottomettersi al re di Spagna e di convertirsi al cristianesimo; il rifiuto rendeva legittima sia la guerra sia la riduzione in schiavitù. Siccome Atahualpa si rifiutò, gli spagnoli lo catturarono e commisero una carneficina. Per liberare Hatahualpa, Pizarro chiese come riscatto 5 000 kg di oro e 11 000 kg di argento. Ottenuto il riscatto, il conquistatore fece uccidere Atahualpa dopo averlo costretto a farsi battezzare. Nel 1533 Pizarro conquistò Cuzco, la capitale dell’impero inca e trasformò tutto il territorio nel vicereame del Perù.

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Con la creazione di due vicereami (Nuova Spagna e Perù) furono organizzate le attività economiche, ossia lo sfruttamento delle miniere d’argento, la raccolta dell’oro ecc. Ai colonizzatori fu riconosciuta la proprietà esclusiva delle terre e per garantire loro la manodopera furono adattati tre sistemi: la schiavitù, l’encomienda e la mita. Fino al 1542 i coloni furono liberi di rendere schiavi i nativi. Dopo quella data, le leggi spagnole vietarono di fare schiavi gli indios e consentirono di acquistare gli schiavi neri dall’Africa. Nei confronti degli indios venne applicato il sistema delle encomiendas, un’organizzazione che dava ai padroni delle terre dei diritti simili a quelli dei signori feudali sui servi della gleba. Invece la mita era un sistema di prestazioni obbligatorie già usato dagli inca per costruire opere pubbliche. Gli spagnoli lo trasformarono in una sorta di lavoro forzato e lo usarono per sfruttare i ricchi giacimenti di argento del posto.

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Nell’arco di circa un secolo, in diverse zone dell’America, ci fu un’estinzione quasi completa della popolazione locale. Infatti le conquiste degli europei provocarono un vero e proprio genocidio. Quest’ultimo concetto è stato introdotto nel XX secolo per indicare lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Nel testo del trattato approvato dall’Onu, il genocidio è un insieme di atti commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale e religioso come tale. Gli strumenti del genocidio sono le uccisioni in massa, le deportazioni ecc. Le cause furono varie: le stragi avute durante la conquista, lo sfruttamento del lavoro nei campi e nelle miniere, la riduzione in schiavitù, la diffusione dell’alcoolismo e la perdita della motivazione alla vita di molti uomini e donne.

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A questi fattori se ne aggiunse un altro molto grave ovvero la diffusione dei microbi di molte malattie dai conquistatori dall’Europa, contro i quali le popolazioni amerinde non avevano difese immunitarie. Per questo il vaiolo, il tifo o la semplice influenza risultarono quasi sempre mortali per gli abitanti d’America. L’incontro tra europei e amerindi ebbe come conseguenza lo scambio di malattie ma si trattò di uno scambio ineguale perché gli europei reagirono alle malattie del Nuovo mondo molto meglio rispetto agli amerindi venuti a contatto con quelli di origine europea. La medicina spiegò questo fenomeno affermando che molte malattie venivano trasmesse dagli animali domestici agli uomini. In Europa l’allevamento era diffuso e moltissime erano state le malattie diffuse nel Vecchio mondo, ma queste avevano portato alla creazione di anticorpi che rendevano immuni gli europei. Al contrario, in America, venivano allevate poche specie di animali e quindi venivano trasmesse meno malattie con la conseguenza che le difese immunitarie degli indios erano più deboli rispetto a quelle degli europei.

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Nella diffusione dell’epidemia fu molto grave la responsabilità dei conquistatori spagnoli che utilizzarono tortura, stragi e massacri per il desiderio degli europei per l’oro e le pietre preziose. Il risultato fu che tantissime ricchezze vennero depredate ma questo non spiega la crudeltà e l’atrocità ai quali furono sottoposti uomini, donne, bambini e persino animali, indipendentemente dal fatto che avessero ricchezze o segreti.

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La battaglia di Sand Creek

Noto anche come battaglia di Sand Creek o massacro di Chivington, il massacro di Sand Creek va in scena il 29 novembre 1864 durante le guerre indiane negli Stati Uniti, quando le truppe guidate dal colonnello John Chivington della milizia del Colorado colpiscono un villaggio di Arapaho e Cheyenne, uccidendo bambini e donne.

In quel periodo, la febbre dell’oro sta attirando numerosi colonizzatori nelle montagne del Kansas facendo sorgere scontri tra le tribù indiane che abitano l’area e gli “invasori”. Gli scontri si traducono nella guerra del Colorado che va in scena nel 1864. Poiché questo conflitto sta mettendo in pericolo i percorsi delle locomotive lungo le pianure dell’est del Colorado, John Evans, governatore del territorio, spedisce il colonnello Chivington alla guida di un esercito di modeste dimensioni, contro gli indiani.

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Il governo impone che le tribù si radunino a Fort Lyon dove si presentano circa ottocento Arapaho insieme ad uno dei capi Cheyenne del sud, Pentola Nera, per chiedere di sospendere le battaglie; poco dopo, essi si spostano quaranta miglia a nord, sul Sand Creek. È a questo punto che gli uomini di Chivington, mercenari reclutati per cento giorni con l’unico obiettivo di uccidere il maggior numero possibile di indiani, insieme ad alcuni volontari del New Mexico, si dirigono verso i campi: il 29 novembre si verifica un vero e proprio massacro ma i Cheyenne si mostrano disponibili a trattare la pace.

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Un gruppo di indiani vengono mandati in esplorazione: il capo Cheyenne, però, viene ucciso immediatamente. In seguito, un rapido combattimento viene bloccato dal capo Pentola Nera, che impone ai suoi seicento guerrieri di non uccidere i volontari. La situazione, insomma, sembra essere favorevole agli indiani, ma la loro richiesta di pace non viene tenuta in considerazione. Successivamente, alcuni capi dei nativi si separano dalle altre tribù, inclusa quella di Pentola Nera, che invece muovono verso nord. L’esercito, tuttavia, non terrà minimamente conto della distinzione tra indiani con intenzioni aggressive e indiani pacifici. Il campo Cheyenne, situato in un’ansa del fiume a ferro di cavallo, è privo di sentinelle nel corso della notte, poiché gli indiani credono di non avere nulla da temere e si fidano dei colonizzatori. Nell’ansa ci sono circa seicento indiani, quasi tutti bambini e donne, visto che la maggior parte dei guerrieri si è spostata a est a caccia di bisonti per soddisfare le esigenze dell’accampamento.

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Con il sorgere del sole, l’accampamento viene fatto circondare dal colonnello, in contrasto con gli accordi presi in precedenza. Viene, quindi, comandato l’attacco contro una popolazione praticamente non in grado di opporsi. Gli indiani iniziano a uscire dalle tende, spaventati, dirigendosi verso i cavalli. Nella confusione, Pentola Nera urla alla propria gente di non temere nulla e di fidarsi dei soldati. Poco dopo, le truppe iniziano a sparare con pistole, proprio mentre donne e bambini cercano riparo. Molti uomini vengono mutilati in maniera orrenda e scalpati, le donne violentate; i bambini impiegati per orribili tiri al bersaglio. Episodi sconvolgenti e delitti atroci, accentuati dal fatto che molti soldati sono ubriachi. Tra i Cheyenne, si registrano almeno 150 morti, molti dei quali bambini, donne e anziani.

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Insomma, bevute di whisky e totale assenza di disciplina contribuiscono a rendere sconvolgenti quelle uccisioni: ma, al tempo stesso, favoriscono la fuga di diversi indiani. Molti Cheyenne, infatti, riescono a scavare sotto gli argini del fiume trincee, in maniera da resistere fino all’arrivo della notte. Con il calare del buio, i superstiti emergono dalle buche, tentando la fuga verso est.

 

 

I colpevoli del massacro del Sand Creek non verranno mai puniti, a dispetto dell’apertura di un’inchiesta nel 1865: la strage non sarà mai condannata ufficialmente, e addirittura ancora oggi una città posta non lontano dal Sand Creek porta il nome di Chivington.

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Il 12 ottobre 1492 e l’alimentazione europea

Il 12 ottobre 1492 è una data importante anche per la storia dell’alimentazione europea, poiché l’America era ricca di colture e alimenti sconosciuti agli europei ma che fu “costretta” ad offrire, svelando anche alcuni “segreti del mestiere”, come quelli relativi al cioccolato. Il pomodoro ad esempio, originario del Perù, giunto in Europa venne inizialmente utilizzato come pianta decorativa e successivamente, solo dopo che sparirono le credenze sulla sua origine velenosa, fu largamente adoperato come alimento.

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Anche la patata è un tubero originario del Perù che dapprima fu visto con “mal occhio”, non per le sue proprietà alimentari ma a causa della sua natura, poiché lo si credeva capace di assorbire qualsiasi veleno della terra e di contagiare l’uomo. Inoltre consumato crudo era fortemente indigesto. Le superstizioni su questo alimento perdurarono fino al 1800, periodo dal quale iniziò ad essere utilizzato principalmente sulla tavola dei poveri.

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Il mais invece, uno dei più importanti cereali, fu conosciuto dagli europei già un mese dopo la scoperta dell’America, nell’isola di Cuba. Appena arrivato in Europa esso venne coltivato solo nei giardini dell’Andalusia, di Francia e Italia. Inizialmente considerato solo cibo per il bestiame, a causa delle carestie divenne l’alimento base per le popolazioni povere di tutta Europa, anche se in Italia la sua coltura è già fiorente a metà del ‘500 tra i contadini padani.

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Cristoforo Colombo scriveva anche sul suo diario: “Vidi una enorme gallina con la lana sotto il becco”, e così descrisse il tacchino vedendolo per la prima volta. Alcuni, anzi, addirittura ritengono che sia stato proprio lui il primo europeo a venire a conoscenza dell’esistenza di questo animale. Successivamente esso venne considerato in Europa un “cibo principesco”, tanto da sostituire l’utilizzo del tradizionale pavone.

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Le popolazioni centroamericane, poi, usavano i semi di cacao come moneta. Chiamato xoco-atl (acqua amara) dagli Aztechi, che lo consideravano frutto sacro e quindi riservato ai più alti dignitari, con l’arrivo dei conquistadores spagnoli gli europei ne compresero l’importanza alimentare, sia del cacao che della bevanda che da esso si traeva.

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Vi sono insomma tantissime storie, leggende e racconti sui prodotti che arrivarono in Europa dalle Americhe a partire dal 12 ottobre 1942 e sui quali sono stati scritti interi volumi che compongono il grande romanzo della nuova cucina europea. Noi europei, quindi, non dobbiamo perciò dimenticare che è grazie a Cristoforo Colombo se abbiamo sulle nostre tavole gli alimenti base della nostra dieta alimentare.

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