La prima guerra mondiale

by Maria Teresa

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La prima guerra mondiale

  • Joined May 2018
  • Published Books 3

La prima guerra mondiale fu un conflitto armato che coinvolse le principali potenze mondiali e molte di quelle minori tra il luglio del 1914 e il novembre del 1918. Chiamata inizialmente dai contemporanei “guerra europea”, con il coinvolgimento successivo delle colonie dell’Impero britannico e di altri paesi extraeuropei tra cui gli Stati Uniti d’America e l’Impero giapponese prese il nome di guerra mondiale o anche Grande Guerra[1]: fu infatti il più grande conflitto armato mai combattuto fino alla seconda guerra mondiale[2].

Il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all’assassinio dell’arciducaFrancesco Ferdinando d’Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo. A causa del gioco di alleanze formatesi negli ultimi decenni del XIX secolo, la guerra vide schierarsi le maggiori potenze mondiali, e rispettive colonie, in due blocchi contrapposti: da una parte gli Imperi centrali (GermaniaImpero austro-ungarico e Impero ottomano), dall’altra gli Alleati rappresentati principalmente da FranciaRegno UnitoImpero russo e, dal 1915, Italia. Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa) di cui oltre 9 milioni caddero sui campi di battaglia; si dovettero registrare anche circa 7 milioni di vittime civili, non solo per i diretti effetti delle operazioni di guerra ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie[3].

Le prime operazioni militari del conflitto videro la fulminea avanzata dell’esercito tedesco in Belgio e nel nord della Francia, azione fermata però dagli anglo-francesi nel corso della prima battaglia della Marna nel settembre 1914; il contemporaneo attacco dei russi da est infranse le speranze tedesche in una guerra breve e vittoriosa, e il conflitto degenerò in una logorante guerra di trincea che si replicò su tutti i fronti e perdurò fino al termine delle ostilità. A mano a mano che procedeva, la guerra raggiunse una scala mondiale con la partecipazione di molte altre nazioni, come BulgariaRomaniaPortogallo e Grecia; determinante per l’esito finale fu, nel 1917, l’ingresso in guerra degli Stati Uniti d’America a fianco degli Alleati.

La guerra si concluse definitivamente l’11 novembre 1918 quando la Germania, ultimo degli Imperi centrali a deporre le armi, firmò l’armistizio imposto dagli Alleati. Alcuni dei maggiori imperi esistenti al mondo – tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo – si estinsero, generando diversi stati nazionali che ridisegnarono completamente la geografia politica dell’Europa.

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Lo scoppio della guerra nel 1914 segnò la fine di un lungo periodo di pace e sviluppo economico della storia europea, noto come Belle Époque, e pose termine anche a un più lungo periodo di stabilità politica europea: iniziato nel 1815 con la sconfitta definitiva della Francia napoleonica e continuato per tutto il XIX secolo, vide svolgersi solo conflitti a carattere limitato che tuttavia finirono col minare e inasprire progressivamente i rapporti diplomatici tra le potenze europee e i relativi giochi di alleanze[4].

Per individuare le cause fondamentali del conflitto bisogna risalire innanzitutto al ruolo preponderante della Prussia nella creazione dell’Impero tedesco, alle concezioni politiche di Otto von Bismarck, alle tendenze filosofiche prevalenti in Germania e alla sua situazione economica; un insieme di fattori eterogenei che concorsero a trasformare il desiderio della Germania di assicurarsi sbocchi commerciali nel mondo. A essi andarono collegandosi i problemi etnici interni all’Impero austro-ungarico e alle ambizioni indipendentiste di alcuni popoli che ne facevano parte, il timore che la Russia generava oltre frontiera soprattutto nei tedeschi, la paura che tormentava la Francia fin dal 1870 di una nuova aggressione che aveva lasciato una forte animosità verso la Germania[5] e infine l’evoluzione diplomatica del Regno Unito da un atteggiamento di isolamento a una politica di attiva presenza in Europa[6].

Sotto la guida politica del suo primo cancelliere Bismarck, la Germania si assicurò una forte presenza in Europa tramite l’alleanza con l’Impero austro-ungarico e l’Italia e un’intesa diplomatica con la Russia. L’ascesa al trono nel 1888 del kaiser Guglielmo II di Germania portò sul trono tedesco un giovane governante determinato a dirigere da sé la politica, nonostante i suoi dirompenti giudizi diplomatici. Dopo le elezioni del 1890, nelle quali i partiti del centro e della sinistra ottennero un notevole successo, a causa della disaffezione nei confronti del cancelliere, Guglielmo II fece in modo di ottenere le dimissioni di Bismarck[7]; gran parte del lavoro dell’ex cancelliere venne disfatto negli anni seguenti, quando Guglielmo II mancò di rinnovare il trattato di controassicurazione con i russi offrendo così alla Francia l’opportunità di concludere nel 1894 un’alleanza franco-russa[8].

Altro passaggio fondamentale nel percorso verso la guerra mondiale fu la corsa al riarmo navale: il kaiser riteneva che solo un massiccio incremento della Kaiserliche Marine avrebbe reso la Germania una potenza mondiale e nel 1897 fu nominato alla guida della marina l’ammiraglio Alfred von Tirpitz; la Germania iniziò una politica di riarmo che risultò una vera e propria sfida aperta al secolare predominio navale britannico[9], favorendo un accordo anglo-francese nel 1904 e uno tra Russia e Regno Unito nel 1907, che chiudeva un secolo di rivalità fra le due potenze nello scacchiere asiatico. Il Regno Unito tentò inoltre di rafforzare la propria posizione in altre direzioni, alleandosi con l’Impero giapponese nel 1902; nonostante la proposta di Joseph Chamberlain di un trattato con Germania e Giappone per avvantaggiarsi congiuntamente nel Pacifico, la Germania continuò nella sua politica bellicosa aumentando l’attrito con le potenze europee[10]. Da quel momento in poi le grandi potenze europee furono di fatto, anche se non ufficialmente, divise in due gruppi rivali; negli anni seguenti la Germania, la cui politica aggressiva e poco diplomatica aveva dato il via a una coalizione avversaria, intensificò i rapporti con l’Austria-Ungheria e l’Italia[11].

La nuova divisione in blocchi dell’Europa non era una riedizione del vecchio equilibrio di potenza, ma una semplice barriera tra potenze. I diversi paesi si affrettarono ad aumentare i loro armamenti, che nel timore di una deflagrazione improvvisa vennero messi a completa disposizione dei militari[11]. Il Regno Unito aveva dato il via libera alle pretese della Francia sul Marocco, in cambio del riconoscimento dei propri diritti sull’Egitto, tuttavia questo accordo fra le due principali potenze coloniali violava la convenzione di Madrid del 1880, firmata anche dalla Germania. Ne derivò la “crisi di Tangeri” del 1905 dove il kaiserribadì il ruolo fondamentale della Germania nella politica extra-europea[12].

Una prima crisi si aprì nella penisola balcanica nel 1908: a seguito della rivoluzione nell’Impero ottomano la Bulgaria si sganciò dall’influenza turca e l’Austria si annetté le provincie di Bosnia ed Erzegovina che già amministrava dal 1879. La Russia accettò l’annessione, ottenendo il libero transito nei Dardanelli, ma l’Italia considerò tale azione un affronto e la Serbia una minaccia. La perentoria richiesta rivolta dalla Germania alla Russia di riconoscere la legittimità dell’annessione sotto pena di un attacco austro-tedesco facilitò la mossa austriaca ma creò non pochi dissapori tra la Russia e le potenze germaniche[13]. Altro motivo di attrito fu la “crisi di Agadir“, quando nel giugno 1911, per indurre la Francia a fare concessioni in Africa, i tedeschi inviarono una cannoniera nel porto di Agadir. Il Cancelliere dello Scacchiere David Lloyd George ammonì la Germania ad astenersi da simili minacce alla pace e dichiarò il Regno Unito pronto a supportare la Francia: le velleità del kaiser furono spente ma si acuì il risentimento dell’opinione pubblica tedesca, che ben vide un ulteriore ampliamento della marina da guerra; il successivo accordo sul Marocco allentò i motivi di frizione, ma proprio in quel momento la situazione politica dei Balcani tornò a essere burrascosa[14].

La debolezza dell’Impero ottomano, palesata dall’occupazione italiana di Tripoli, incoraggiò Bulgaria, Serbia e Regno di Grecia a rivendicare l’egemonia sulla Macedonia come primo passo per estromettere gli ottomani dall’Europa. Con la prima guerra balcanica i turchi furono rapidamente sconfitti: alla Serbia fu assegnata l’Albania settentrionale ma l’Austria, che già ne temeva le ambizioni, mobilitò l’esercito e alla sua minaccia alla Serbia la Russia rispose con la stessa misura; stavolta la Germania si schierò con Regno Unito e Francia scongiurando pericolosi sviluppi. Quando la crisi cessò, la Serbia conservò buona parte dei guadagni territoriali, mentre la Bulgaria dovette cedere quasi tutte le conquiste effettuate; questo non piacque all’Austria che nell’estate del 1913 propose di attaccare immediatamente la Serbia. La Germania frenò i propositi austriaci ma allo stesso tempo estese il proprio controllo sull’esercito turco, impedendo così il rafforzamento dell’influenza russa nei Dardanelli[15]. Negli ultimi anni in tutti i paesi europei si moltiplicarono gli incitamenti alla guerra, discorsi e articoli bellicosi, dicerie, incidenti di frontiera; la Francia promulgò una legge (detta “dei tre anni”) che, per sopperire all’inferiorità numerica rispetto all’esercito tedesco, allungava di un anno la ferma militare, fino ad allora della durata di due anni; ciò aggravò i rapporti con la Germania[16].

 

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v

Il 28 giugno 1914, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este erede al trono d’Austria-Ungheria e la moglie Sophie Chotek von Chotkowa, recatisi a Sarajevo in visita ufficiale, furono uccisi da alcuni colpi di pistola sparati dal nazionalista diciannovenne serbo Gavrilo Princip: paradossalmente, l’arciduca era forse l’unico austriaco autorevole che fosse comprensivo verso i nazionalisti serbi, perché sognava un impero unito da un legame federativo[17]. Da questo avvenimento scaturì una drammatica crisi diplomatica che infiammò le tensioni latenti e segnò l’inizio della guerra in Europa[18].

Nei giorni che seguirono, la Germania, convinta di poter circoscrivere il conflitto, sollecitò l’Austria-Ungheria affinché aggredisse al più presto la Serbia; solo il Regno Unito avanzò una proposta di conferenza internazionale che non ebbe seguito, mentre le altre nazioni europee si preparavano lentamente al conflitto.

Quasi un mese dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando, l’Austria-Ungheria inviò un duro ultimatum alla Serbia, che accettò solo una parte delle richieste: il 28 luglio 1914 l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia, determinando l’irrimediabile acuirsi della crisi e la progressiva mobilitazione delle potenze europee, cagionata dal sistema di alleanze tra i vari stati.

L’Italia, insieme al Portogallo, la Grecia, la Bulgaria, il Regno di Romania e l’Impero ottomano si posero in uno stato di neutralità, attendendo ulteriori sviluppi della situazione. Alla mezzanotte del 4 agosto erano cinque le potenze che ormai erano entrate in guerra (Austria-Ungheria, Germania, Russia, Regno Unito e Francia), ciascuna convinta di poter battere gli avversari in pochi mesi: era opinione diffusa che la guerra sarebbe finita a Natale, o tuttalpiù a Pasqua del 1915[19

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Le prime fasi della guerra (1914)[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Piano Schlieffen e Piano XVII.

Soldati belgi marciano attraverso la porta di Menen diretti al fronte per contrastare l’avanzata tedesca durante le prime fasi della guerra, agosto 1914

Il 1º agosto, dopo l’inizio delle ostilità fra Austria-Ungheria e Serbia, il governo tedesco dichiarò guerra alla Russia che aveva mobilitato l’esercito e due giorni dopo anche alla Francia. La strategia tedesca era condizionata dal dover sostenere una guerra su due fronti, ulteriormente aggravata dalle concezioni belliche prettamente aggressive dei francesi che, entro pochi giorni dalla mobilitazione, prevedevano un attacco lungo il comune confine usando tutto il potenziale bellico a disposizione. La duplice dichiarazione di guerra era quindi il necessario primo passo in vista dell’attuazione del piano Schlieffen, che prevedeva la sconfitta della Francia con una “guerra lampo” di sole sei settimane prima di rivolgere l’attenzione a est contro i russi[21].

Il piano, ideato dal generale Alfred von Schlieffen e completato nel 1905, prevedeva di attaccare la Francia da nord attraverso Belgio e Paesi Bassi, così da evitare la lunga linea fortificata alla frontiera e consentire all’esercito tedesco di calare su Parigi con un’unica grande offensiva. Von Schlieffen continuò a lavorare al piano anche dopo essersi ritirato dall’esercito e lo sottopose a un’ultima revisione nel dicembre 1912, poco prima di morire. Il generale Helmuth Johann Ludwig von Moltke, suo successore come capo di stato maggiore dell’esercito, decise di accorciare il fronte ed escluse i Paesi Bassi dalla manovra; confidando nella lenta mobilitazione della Russia[22], Moltke previde di lasciare sul fronte est una forza di dieci divisioni, considerata più che sufficiente a trattenerla fino alla neutralizzazione della Francia, dopo la quale l’esercito tedesco avrebbe potuto rivolgere tutte le forze contro la Russia[23].

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L’invasione di Belgio e Francia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Invasione tedesca del Belgio (1914)Fronte occidentale (1914-1918)Battaglia delle Frontiere e Prima battaglia della Marna.

Truppe tedesche in marcia all’ovest nell’agosto 1914

Il 2 agosto la Germania invase lo stato neutrale del Lussemburgo mentre il 4 agosto, dopo che un formale ultimatum era stato respinto, i tedeschi invasero il Belgio avanzando a gran velocità; l’azione fu il pretesto per la dichiarazione di guerra britannica alla Germania, anche se il Regno Unito non aveva truppe sul continente europeo e il suo corpo di spedizione (British Expeditionary Force o BEF) al comando di Sir John French doveva ancora essere radunato, armato e inviato oltre la Manica[23].

Il 5 agosto le forze tedesche andarono all’assalto del primo vero ostacolo sul loro cammino: il campo fortificato di Liegi con la sua guarnigione di 35.000 soldati. L’attacco durò più del previsto e solo il 7 agosto la fortezza centrale capitolò[24]. Dopo la caduta di Liegi la maggioranza dell’esercito belga si ritirò verso ovest mentre il 25 più a nord i tedeschi bombardarono Anversa con uno Zeppelin, durante le fasi preliminari dell’assedio della città che durò fino al 28 settembre e comportò enormi devastazioni[25]. Sempre il 12 le avanguardie del corpo di spedizione britannico attraversarono la Manica scortate da navi da guerra: in dieci giorni furono sbarcati senza perdite 120.000 uomini, non avendo la Kaiserliche Marine mai ostacolato le operazioni[26].

Fanteria francese si appresta a combattere i tedeschi in avanzata sulla Marna

Il 20 agosto le truppe tedesche entrarono a Bruxelles. All’estremità meridionale del fronte i francesi, penetrati in Alsazia il 14 agosto e vicini alla città di Mulhouse, giunsero a sedici chilometri dal Reno, ma furono bloccati dai tedeschi e non riuscirono ad andare oltre. Più a nord le truppe francesi, penetrate in Lorena, furono sconfitte a Morhange e iniziarono a ritirarsi verso Nancy; le truppe tedesche le inseguirono, ma furono poi sanguinosamente arrestate dalle fortificazioni francesi nel corso della battaglia del Gran Couronné[27].

Cannone campale britannico da 84 mm Ordnance QF 18 lb in azione in Francia

Il 22 agosto l’esercito tedesco attaccò lungo tutto il fronte ed ebbe inizio la gigantesca battaglia delle Frontiere: la 5ª Armata francese fu sconfitta a Charleroi e cominciò l’aspra battaglia di Mons, battesimo del fuoco per il corpo di spedizione britannico che resistette con inaspettata tenacia[28]. I tedeschi riuscirono comunque a superare la resistenza di French e il 23 iniziarono ad avanzare; quello stesso giorno sia i francesi da Charleroi che i belgi da Namur cedettero alla pressione tedesca e iniziarono a ripiegare. Il 2 settembre il governo francese abbandonò Parigi e si rifugiò a Bordeaux[29] ma gli anglo-francesi appresero da ricognizioni aeree che i tedeschi non stavano più puntando sulla capitale, avendo piegato più a sud-est verso la linea del fiume Marna dietro cui si erano attestati gli Alleati[30]. Il giorno dopo, con i tedeschi a soli 40 chilometri da Parigi[31] e una situazione di grande panico nelle retrovie francesi – un milione di parigini aveva abbandonato la città[29] – il generale Joseph Simon Gallieni, governatore militare della capitale, organizzò, nel sistema di trincee e fortificazioni che l’attorniavano, una nuova armata appena costituita[31], mentre il comandante in capo, generale Joseph Joffre, preparava la controffensiva.

Il 5 settembre i francesi, con l’aiuto del BEF, passarono al contrattacco e bloccarono l’avanzata tedesca a est di Parigi durante la prima battaglia della Marna, passata alla storia nell’immaginario collettivo francese col nome di “miracolo della Marna”; i tedeschi dovettero abbandonare il piano Schlieffen ma riuscirono ad arrestare la spinta offensiva degli anglo-francesi nel corso della successiva prima battaglia dell’Aisne (13-28 settembre). Nei giorni successivi entrambi i contendenti diedero inizio a una serie di manovre nel tentativo di aggirarsi reciprocamente sul fianco settentrionale, rimasto scoperto, dando luogo alla cosiddetta “corsa al mare“: ogni tentativo fallito finiva con l’allungare sempre di più la linea del fronte, finché, per la fine di ottobre, entrambi i contendenti non raggiunsero le rive del mare nella regione delle Fiandre[32]; in novembre un ultimo tentativo tedesco di rompere il fronte alleato portò alla sanguinosa prima battaglia di Ypres, al termine della quale i due contendenti si attestarono sulle posizioni raggiunte. La battaglia segnò la fine della guerra di movimento a occidente in favore di una logorante guerra di trincea lungo un fronte continuo di solide postazioni fortificate[33].

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Il fronte orientale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte orientale (1914-1918).

Fanteria tedesca a Tannenberg

Gli scontri iniziali a est erano stati contrassegnati più da rapidi mutamenti di fortuna che da vantaggi decisivi per una delle due parti. Il comando austro-ungarico aveva impiegato parte delle sue forze nel vano tentativo di mettere fuori combattimento la Serbia e inoltre il suo piano per un’offensiva iniziale diretta a tagliare il saliente rappresentato dalla Polonia era stato paralizzato dal cattivo funzionamento della parte tedesca della tenaglia. Anzi era la Germania, che schierava la sola 8ª Armata con il compito di difendere la Prussia orientale, a rischiare di essere sopraffatta dalle truppe di Nicola II che mobilitò anzitempo la 1ª e la 2ª Armata contro la Prussia, nel tentativo di allentare la pressione sulla Francia già ad agosto[34].

Dopo una prima serie di sconfitte, il comandante tedesco Maximilian von Prittwitz venne sostituito dal generale in pensione Paul von Hindenburg che nominò suo capo di stato maggiore Erich Ludendorff; i due annientarono a Tannenberg la 2ª Armata russa del generale Aleksandr Vasil’evič Samsonov (26-30 agosto) e respinsero la 1ª Armata del generale Paul von Rennenkampf nella battaglia dei laghi Masuri (9-14 settembre). I russi non si fecero però sorprendere dalle armate austro-ungariche sul fronte sud-occidentale; il granduca Nicola, comandante in capo dell’esercito russo, passò all’offensiva; gli austro-ungarici subirono una pesante sconfitta nel corso della battaglia di Galizia e dovettero essere soccorse dai tedeschi[35].

Nuove forze provenienti da occidente permisero a Ludendorff, il 15 dicembre 1914, di respingere i russi fino alla linea dei fiumi Bzura e Ravka davanti a Varsavia, ma la diminuzione delle provviste e delle munizioni indusse lo zar a ritirare ulteriormente le truppe sulle linee trincerate lungo i fiumi Nida e Dunajec, lasciando ai tedeschi l’estremità della striscia polacca. Anche a est le ostilità si arenarono su lunghi e saldi sistemi trincerati, tuttavia l’inadeguatezza delle sue industrie non permetteva alla Russia di sostenere lo sforzo bellico allo stesso modo degli anglo-francesi[36].

Le invasioni della Serbia[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Serbia.

Un gruppo di soldati serbi sulla linea del fronte

Benché fosse tecnicamente il luogo dove la guerra aveva preso avvio, il fronte serbo fu relegato ben presto a teatro secondario di un conflitto divenuto ormai mondiale. Con il grosso delle sue forze concentrato in Galizia contro i russi, l’Austria-Ungheria diede avvio all’invasione del territorio serbo il 12 agosto 1914: guidate dal generale Radomir Putnik e supportate anche dalle forze del Regno del Montenegro, le truppe serbe opposero un’ostinata resistenza, infliggendo agli austro-ungarici una sconfitta nella battaglia del Cer (16-19 agosto) e obbligandoli a ritirarsi oltre frontiera[37]. Dopo una controffensiva serba al confine con la Bosnia, sfociata nell’inconcludente battaglia della Drina (6 settembre-4 ottobre), gli austro-ungarici del generale Oskar Potiorek lanciarono una nuova invasione il 5 novembre, riuscendo a occupare la capitale Belgrado: Putnik fece arretrare lentamente le sue forze fino al fiume Kolubara, dove inflisse una disastrosa sconfitta alle truppe di Potiorek obbligandole ancora una volta alla ritirata; il 15 dicembre 1914 i serbi ripresero Belgrado, riportando la linea del fronte ai confini prebellici[38].

Le offensive austro-ungariche erano costate all’Impero la perdita di 227.000 uomini tra morti, feriti e dispersi, oltre a un ampio bottino di armi e munizioni di vitale importanza per il mal equipaggiato esercito serbo; nonostante la vittoria la Serbia ebbe 170.000 caduti durante la campagna, perdite enormi per il suo piccolo esercito ulteriormente aggravate dallo scoppio di una violenta epidemia di febbre tifoide (che fece 150.000 vittime tra i civili) e dalla grave carenza di generi alimentari[38].

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Le colonie tedesche[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro africano della prima guerra mondiale e Teatro dell’Asia e del Pacifico della prima guerra mondiale.

Ascari indigeni e artiglieri tedeschi delle Schutztruppe in Africa orientale

Giunta piuttosto in ritardo alla corsa per la spartizione dell’Africa, nel 1914 la Germania deteneva limitati possedimenti nel continente: isolati dalla madrepatria dal blocco navale alleato e circondati dai territori dei più ampi imperi coloniali britannico e francese, il loro destino era praticamente segnato fin dall’inizio delle ostilità[39]. La piccola colonia del Togoland (odierno Togo) fu rapidamente occupata dalle forze anglo-francesi già verso la fine dell’agosto 1914, mentre più impegnativa fu la lotta nel Camerun tedesco: la capitale Buéa fu occupata da truppe coloniali francesi e belghe il 27 settembre 1914, ma, favorite dal terreno impervio e dalle piogge tropicali, le ultime guarnigioni tedesche non furono costrette a capitolare prima del febbraio 1916. La guarnigione dell’Africa Tedesca del Sud-Ovest (odierna Namibia) sostenne un’invasione da parte delle truppe sudafricane e benché appoggiata dall’insurrezione di alcuni ribelli boeri contro le autorità britanniche, fu infine costretta alla resa nel luglio 1915[39].

Molto più lunga fu la lotta nell’Africa Orientale tedesca (odierna Tanzania): al comando di un miscuglio di coloni tedeschi e truppe arruolate tra gli indigeni locali (Schutztruppe), il colonnello Paul Emil von Lettow-Vorbeck intraprese una serie di azioni di guerriglia e attacchi mordi-e-fuggi ai danni delle colonie confinanti (il Kenyabritannico, il Congo belga e il Mozambico portoghese), infliggendo agli Alleati diverse sconfitte[39]. Fu necessario mettere in campo una vasta forza (arrivata a contare, tra soldati e personale ausiliario, quasi 400.000 uomini) per avere ragione delle elusive truppe di Vorbeck e occupare la colonia: gli ultimi guerriglieri tedeschi, ancora capitanati dal loro comandante, si arresero solo il 26 novembre 1918, dopo essere stati informati dell’avvenuta capitolazione della Germania[39].

Obice da 240 mm Type 45giapponese durante l’assedio di Tsingtao

Da tempo alleato del Regno Unito, il 23 agosto 1914 il Giappone dichiarò guerra alla Germania, segnando il destino degli sparpagliati possedimenti tedeschi situati nel Pacifico: ai primi di ottobre una squadra navale giapponese salpò alla volta della Micronesia, dove i tedeschi disponevano di una serie di piccole basi, occupando prima della fine del mese le isole Caroline, le isole Marshall e le isole Marianne praticamente senza combattere; il 31 ottobre una forza di spedizione nipponica, rinforzata poi anche da un contingente britannico proveniente da Tientsinpose l’assedio al porto fortificato di Tsingtao, possedimento tedesco in Cina dal 1898, obbligando la guarnigione a capitolare il 7 novembre 1914[40]. Il resto delle colonie tedesche fu occupato dai dominion australi del Regno Unito: il 30 agosto 1914 una forza neozelandese conquistò senza spargimenti di sangue le Samoa, mentre la Nuova Guinea tedesca fu occupata dagli australiani in settembre dopo una breve campagna contro la piccola guarnigione del possedimento; l’ultimo avamposto tedesco, Nauru, cadde in mano australiana il 14 novembre 1914.

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Il dominio dei mari[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Operazioni navali nella prima guerra mondiale.

Una squadra navale della Grand Fleet britannica

All’inizio delle ostilità le due principali flotte da guerra, quella britannica e quella tedesca, si fronteggiarono nelle ristrette acque del Mare del Nord; la Germania, consapevole dell’inferiorità numerica nei confronti della Grand Fleet britannica, mantenne un atteggiamento prudente, decidendo di evitare uno scontro diretto finché posamine e sommergibili non l’avessero indebolita e non avessero diminuito i commerci con le colonie[41]. La geografia della costa nord della Germania favoriva questo tipo di strategia: le rive frastagliate, gli estuari e la protezione assicurata dalle isole come Helgoland costituivano un formidabile scudo per i porti di WilhelmshavenBremerhaven e Cuxhaven e allo stesso tempo offriva un’eccellente base per rapide incursioni nel mare del Nord[42]. Durante il primo anno di guerra il Regno Unito si preoccupò quindi di pattugliare il Mare del Nord e permettere il trasferimento della forza di spedizione attraverso La Manica; l’unica azione di rilievo fu un’incursione nella baia di Helgoland, ove la squadra dell’ammiraglio David Beatty affondò parecchi incrociatori leggeri tedeschi confermando alla Kaiserliche Marine la necessità di continuare una tattica difensiva e di accelerare l’attività di sommergibili e posamine[43].

Il I. ed il II. Geschwader (squadra da battaglia) della Hochseeflotte a Kiel, in primo piano la SMS Nassau

La guerra nel mar Mediterraneo si aprì con un errore destinato ad avere forti conseguenze politiche per gli Alleati: nel bacino si trovavano due delle più veloci navi da guerra tedesche, l’incrociatore da battaglia Goeben e l’incrociatore leggero Breslau; ricevuto l’ordine da Berlino di puntare verso Costantinopolifurono inseguite dalla Royal Navy, che però non riuscì a intercettarle. Il ministro della guerra turco Ismail Enver diede il suo assenso all’entrata nei Dardanelli alle due navi, ben sapendo che tale decisione rappresentava un atto ostile nei confronti del Regno Unito e che avrebbe sospinto la Turchia nell’orbita tedesca; per non pregiudicare la neutralità della Turchia, esse vennero comunque cedute con un finto atto di vendita. Non seguirono atti ostili e le unità furono ancorate al porto di Costantinopoli[44].

Negli oceani invece la caccia alle unità tedesche fu l’obiettivo principale per le flotte alleate. La Germania non ebbe il tempo per far uscire le proprie unità dalle basi del Mare del Nord, così allo scoppio della guerra furono solo i pochi incrociatori dislocati all’estero a costituire una minaccia per i commerci degli Alleati; non era facile conciliare l’esigenza di concentrare le forze nel Mare del Nord in vista di un attacco a sorpresa della Germania con la necessità di pattugliare e difendere le rotte marittime dell’India e dei Dominions[45]. Con la distruzione dell’Emden avvenuta il 9 novembre 1914, i britannici resero sicuro l’oceano Indiano, ma questo successo fu neutralizzato dalla grave sconfitta subita nella battaglia di Coronel nell’oceano Pacifico, dove la divisione dell’ammiraglio Cradock fu battuta dagli incrociatori corazzati dell’ammiraglio Maximilian von Spee[45]. Questo scacco fu prontamente riscattato dall’ammiraglio Doveton Sturdee, che alla guida degli incrociatori da battaglia Inflexible e Invincible appositamente distaccati dalla Grand Fleet, l’8 dicembre 1914 inseguì la squadra di von Spee nei pressi delle Isole Falkland e ne affondò l’intera divisione (tranne l’incrociatore leggero Dresden che si autoaffonderà tre mesi dopo), distruggendo l’ultimo strumento della potenza navale tedesca negli oceani[45].

Da quel momento in poi gli Alleati poterono contare su sicure vie di comunicazione oceaniche per i loro traffici di rifornimenti e truppe; poiché le rotte oceaniche devono per forza avere un capolinea sulla terra ferma, la logica risposta tedesca fu quella d’incrementare lo sviluppo dell’arma sottomarina, che rese gradualmente più pericolose le traversate[45].

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Il conflitto si allarga (1915)[modifica | modifica wikitesto]

I fronti dove si combatteva e quelli dove ci si aspettava di farlo erano ormai numerosi. Tutti i belligeranti iniziarono a impiegare ogni risorsa a disposizione e allo stesso tempo affiorarono le prime voci di opposizione alla guerra nel Regno Unito, in Germania (dove il 1º aprile ebbe luogo una manifestazione organizzata da Rosa Luxemburg), in Francia e in Russia. L’Italia, pur restando neutrale, era in cerca dei migliori vantaggi territoriali in cambio di un proprio intervento: l’8 aprile 1915 offrì di affiancare in guerra le potenze centrali se le fossero stati ceduti Trentino, isole della Dalmazia, Gorizia, Gradisca e riconosciuto il “primato” sull’Albania. Una settimana dopo l’Austria-Ungheria rifiutò le condizioni e l’Italia fece richieste ancora più gravose alle potenze dell’Intesa, che si dissero disposte a intavolare delle trattative.

Intanto sul fronte del Caucaso l’avanzata russa provocò il risentimento dei turchi contro la popolazione armena, sospettata di aver favorito le truppe dello zar. L’8 aprile iniziarono i rastrellamenti e le fucilazioni, dando avvio a una vera e propria pulizia etnica. Massacri e deportazioni divennero sistematici e gli appelli rivolti agli Alleati e a Berlino perché intervenissero in qualche modo rimasero inascoltati.

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L’impero ottomano[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Alleanza turco-tedesca.

Dichiarazione di guerra degli ottomani

Nel 1914 l’Impero ottomano era in solidi rapporti con la Germania, che da tempo investiva capitali nello sviluppo economico dell’Impero e curava l’addestramento delle sue forze armate[49]. L’influente ministro della guerra Ismail Enver era un filo-tedesco ma il governo ottomano era ancora diviso sulla scelta di unirsi agli Imperi centrali, nonostante la firma di un trattato segreto di natura militare ed economica con la Germania, avvenuta il 1º agosto 1914; il sequestro, all’inizio della guerra, da parte dei britannici di due navi da battaglia ottomane in costruzione nei cantieri inglesi provocò forte indignazione a Istanbul e i tedeschi ne approfittarono cedendo agli ottomani i due incrociatori Goeben e Breslau, sfuggiti alla caccia nel Mediterraneo. Il 29 ottobre 1914 le due navi, ora battenti bandiera turca, bombardarono i porti russi sul Mar Nero e posarono mine; gli Alleati replicarono con una dichiarazione di guerra: il 1º novembre navi britanniche attaccarono un posamine turco nel porto di Smirne, il giorno seguente un incrociatore leggero bombardò il porto di Aqaba sul Mar Rosso e il 3 novembre vennero presi di mira i forti sui Dardanelli.

L’entrata in guerra dell’Impero ottomano aprì nuovi scenari di conflitto in teatri molto distanti l’uno dall’altro: nel Caucaso la Russia si ritrovò a sostenere un difficile secondo fronte in un territorio impervio, mentre la presenza ottomana in Mesopotamia e Palestina minacciava due cardini dell’impero coloniale britannico, la raffineria petrolifera persiana di Abadan (vitale per i rifornimenti di carburante della Royal Navy) e il canale di Suez. Fin dall’inizio però le attenzioni britanniche si rivolsero al forzamento dello stretto dei Dardanelli, al fine di portare la guerra direttamente nella capitale ottomana.

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Il fronte del Caucaso

Le operazioni sul fronte del Caucaso iniziarono fin dai primi giorni di guerra, a dispetto del terreno impervio e del rigido clima invernale: dopo aver facilmente respinto un’offensiva russa in direzione di Köprüköy tra il 2 e il 16 novembre 1914, le forze della 3ª Armata ottomana, guidate dal ministro della guerra Enver, lanciarono un massiccio attacco oltre il confine russo in direzione di Kars; la sconfitta patita nella seguente battaglia di Sarıkamış (22 dicembre 1914-17 gennaio 1915) si trasformò in una disfatta per gli ottomani, quando la 3ª Armata cercò di ritirarsi attraverso le montagne innevate, perdendo 90.000 uomini su un totale di 130.000.

Truppe russe in trincea durante la battaglia di Sarıkamış

Alle prese con l’impegnativa situazione del fronte orientale, i russi non furono immediatamente in grado di sfruttare la vittoria e fino a marzo il fronte caucasico rimase stazionario, con solo poche schermaglie tra le due parti; alla ricerca di un capro espiatorio per la disfatta, gli ottomani accusarono la minoranza armena, che viveva nelle regioni di confine, di connivenza con i russi, sottoponendola a partire dal febbraio 1915 a deportazioni e massacri. Gli attacchi ottomani provocarono ben presto un’aperta rivolta e il 19 aprile 1915 i fedayyin armeni s’impossessarono dell’importante città di Van, resistendo poi all’assedio posto dagli ottomani; approfittando dell’occasione i russi lanciarono una massiccia offensiva nel settore orientale del fronte, liberando Van dall’assedio il 17 maggio, ma venendo infine bloccati dagli ottomani nel corso della battaglia di Malazgirt (10-26 luglio 1915). La controffensiva ottomana portò alla rioccupazione di Van (evacuata dal grosso della popolazione armena) e degli altri territori perduti entro agosto; la linea del fronte tornò alla situazione di partenza per la fine dell’anno, con entrambe le forze impegnate a riorganizzarsi.

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Il forzamento dei Dardanelli
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Gallipoli.

Soldati del 7th Battalionaustraliano in trincea a Gallipoli.

A causa delle difficoltà sul fronte caucasico, la Russia si appellò al Regno Unito perché impegnasse a sua volta la Turchia, costringendola a richiamare a ovest parte delle sue truppe: i britannici, su suggerimento del generale Horatio Kitchener e con il vigoroso appoggio del primo lord dell’Ammiragliato Winston Churchill, proposero di attaccare dal mare i forti turchi nei Dardanelli[54]. L’attacco iniziò nel febbraio 1915 e doveva dare il colpo di grazia all’Impero ottomano, la cui marina non poteva contrastare in alcun modo quella anglo-francese; l’opinione dominante era quella di una campagna breve e violenta che avrebbe portato all’occupazione di Costantinopoli: aprire lo stretto avrebbe riaperto i canali d’esportazione di grano per la Russia e forse avrebbe anche portato alla resa turca.

L’attacco navale fu invece un fallimento: i forti furono travolti dal volume di fuoco delle corazzate anglo-francesi, ma con l’assistenza tedesca gli ottomani avevano provveduto a sbarrare lo stretto con ampi campi di mine, che provocarono forti perdite agli attaccanti, obbligandoli a desistere. Gli Alleati decisero quindi di ricorrere a uno sbarco per conquistare la penisola di Gallipoli e aprire la strada ai dragamine, che avrebbero potuto così eliminare gli sbarramenti: il 25 aprile 1915, in quello che fu il maggiore assalto anfibio della guerra, truppe britanniche, francesi, australiane e neozelandesi presero terra sulla punta di Gallipoli, ma le forze ottomane del generale tedesco Otto Liman von Sanders furono rapide nell’assicurarsi le alture dominanti e bloccare così l’attacco. La prevista rapida campagna si trasformò in una guerra di posizione con elevatissime perdite umane, che fece emergere il generale dell’esercito ottomano Mustafà Kemal come importante leader. Consci del fallimento, gli Alleati si ritirarono poi da Gallipoli ai primi del gennaio 1916.

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La guerra in Medio Oriente
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro mediorientale della prima guerra mondiale.

Truppe britanniche in Mesopotamia nel 1916

Il 6 novembre 1914 truppe anglo-indiane sbarcarono nella penisola di al-Faw, dando avvio alla campagna della Mesopotamia; la spedizione era stata voluta per allontanare qualsiasi minaccia ottomana ai possedimenti britannici nella regione del Golfo Persico e ben presto ottenne diversi risultati: il 21 novembre le forze britanniche preserol’importante porto di Bassora, spingendosi ai primi di dicembre fino a al-Qurna dove sconfissero nuovamente una forza ottomana[57]. La costituzione di una solida testa di ponte a Bassora rendeva praticamente inutile continuare la campagna: la minaccia turca al Golfo Persico era sventata e la Mesopotamia era troppo lontana dalle regioni chiave dell’impero perché fosse vantaggiosa una sua completa occupazione; tuttavia la debole resistenza offerta dagli ottomani, ulteriormente confermata dal completo fallimento di una loro controffensiva in direzione di Bassora a metà aprile 1915, spinse l’alto comando britannico a continuare l’azione, convinto di poter ottenere altri facili successi[58].

Truppe cammellate ottomane a Be’er Sheva, nel sud della Palestina, nel 1915

Nel settembre 1915 un contingente anglo-indiano al comando del generale Charles Vere Ferrers Townshend risalì il Tigri fino a prendere l’importante città di al-Kut; benché le linee di rifornimento fossero molto estese, l’alto comando spinse Townshend a proseguire l’avanzata verso la vicina Baghdad, un obiettivo molto più ambito, ma tra il 22 e il 25 novembre le unità britanniche subirono un arresto nella battaglia di Ctesifonte per opera delle rafforzate truppe ottomane. Townshend si ritirò dentro Kut, dove ben presto rimase tagliato fuori e assediato; quattro distinti tentativi di soccorrere la guarnigione fallirono miseramente e dopo cinque mesi di assedio le forze anglo-indiane, ormai alla fame, capitolarono il 29 aprile 1916, lasciando 12.000 prigionieri in mano ai turchi.

Un nuovo fronte fu aperto nel sud della Palestina: l’Egitto era ufficialmente un vassallo ottomano, sebbene fosse politicamente controllato dal Regno Unito fin dal 1880, e allo scoppio delle ostilità era stato rapidamente occupato da una forza di spedizione britannica, australiana e neozelandese; il canale di Suez rappresentava un punto vitale per gli Alleati e i tedeschi fecero pressione sugli ottomani perché ne progettassero l’occupazione. L’offensiva di Sueziniziò il 28 gennaio 1915 ma dopo una settimana di scontri le forze ottomane furono respinte, anche per via della difficoltà nel mantenere i collegamenti logistici attraverso l’inospitale penisola del Sinai; le forze alleate si mantennero rigorosamente sulla difensiva fin verso la metà del 1916, quando le continue incursioni ottomane su piccola scala contro il canale convinsero il comandante britannico Archibald Murray a passare all’offensiva: avanzando metodicamente e costruendo, strada facendo, una ferrovia e un acquedotto, le forze britanniche si spinsero attraverso la costa settentrionale del Sinai e sconfissero gli ottomani nella battaglia di Romani (3-5 agosto 1916), ricacciandoli definitivamente oltre la frontiera con la Palestina.

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Lo stallo e la ricerca di una via d’uscita

Mitraglieri francesi in posa con una Saint-Étienne mod. 1907

Falliti tutti i tentativi di aggiramento, sul fronte occidentale i due schieramenti iniziarono a fortificare le proprie posizioni scavando trincee, camminamenti, rifugi, erigendo casematte. Dal mare del Nord alle Alpi, fra uno schieramento e l’altro, si estendeva la terra di nessuno, una fascia di terreno martoriata dalle granate e continuamente contesa da entrambi gli schieramenti, che rappresenterà fino agli ultimi attacchi alleati del 1918 la prerogativa del conflitto.

Nel corso del 1915, mentre i tedeschi conducevano una quasi esclusiva strategia difensiva, gli anglo-francesi progettarono una serie di offensive per tentare di rompere il fronte e tornare alla guerra di movimento. Già il 20 dicembre 1914 i francesi lanciarono una grande offensiva nella regione della Champagne-Ardenne, proseguita fino al 20 marzo 1915 con scarsissimi guadagni territoriali. Fu poi la volta dei britannici che in marzo attaccarono a Neuve-Chapelle, nell’Artois: fu aperta una piccola breccia nel fronte ma gli attaccanti furono lenti ad approfittarne e i tedeschi la chiusero rapidamente. Tra maggio e giugno gli anglo-francesi lanciarono un nuovo attacco nell’Artois, seguito da una terza offensiva tra settembre e novembre mentre contemporaneamente i francesi attaccavano nella Champagne, prima che l’inverno rallentasse i combattimenti: ancora una volta fu guadagnato poco terreno al prezzo di pesanti perdite.

Fuoco di sbarramento notturno tedesco durante la seconda battaglia di Ypres

L’unica azione offensiva tedesca su vasta scala a occidente nel 1915 si ebbe il 22 aprile, quando prese avvio la seconda battaglia di Ypres: impiegando per la prima volta e su vasta scala gas venefici (cloro), i tedeschi tentarono di rompere il fronte alleato nelle Fiandre, ma schierarono troppe poche truppe per sfruttare lo sfondamento iniziale e l’attacco fu poi fermato. Iniziò così la “guerra dei gas”, che nel corso del conflitto costò 78.198 uomini fra gli Alleati mettendone fuori combattimento per un periodo più o meno lungo almeno altri 908.645; le stesse forze alleate, nonostante avessero impiegato nel corso della guerra la stessa quantità di gas dei tedeschi, inflissero alla Germania circa 12.000 morti e 288.000 intossicati, a dimostrazione della maggiore efficacia delle tattiche d’impiego tedesche.

Lo stallo sul fronte terrestre spinse entrambi i contendenti a cercare strategie innovative per uscire dall’impasse. Tra gennaio e febbraio la Germania intensificò la guerra sottomarina dichiarando legittimo attaccare tutte le navi, incluse quelle neutrali, adibite al trasporto di viveri o rifornimenti alle potenze dell’Intesa, sostenendo che si trattava di una “rappresaglia” contro il blocco esercitato dalla Royal Navy. Nel frattempo tutti gli eserciti si adoperavano per aumentare le proprie capacità aeronautiche e il 12 febbraio il Kaiser ordinò di condurre una guerra aerea contro l’Inghilterra con l’uso dei dirigibili Zeppelin; nello stesso periodo iniziò una pratica che caratterizzò la guerra di trincea per tutto il conflitto, sia sul fronte occidentale sia, in seguito, su quello italiano: la guerra di mine. Il 17 febbraio i britannici arruolarono alcuni minatori che iniziarono a studiare le modalità per eliminare da sottoterra le postazioni tedesche.

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L’Italia entra in guerra

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Fronte italiano (1915-1918) e Guerra Bianca.

Carlo I d’Austria visita i soldati bosniaci dell’Infanterie-Regiment Nr. 2inviati sul fronte italiano

Dopo l’attentato di Sarajevo Austria-Ungheria e Germania avevano deciso di tenere all’oscuro delle loro decisioni l’Italia, in considerazione del fatto che il trattato di alleanza avrebbe previsto, in caso di attacco dell’Austria-Ungheria alla Serbia, compensi territoriali per l’Italia. Il 24 luglio Antonino di San Giuliano, ministro degli esteri italiano, aveva preso visione dei particolari dell’ultimatum e aveva protestato con l’ambasciatore tedesco a Roma, dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna; la decisione ufficiale e definitiva della neutralità fu infine presa nel Consiglio dei ministri del 2 agosto 1914 e diramata la mattina del 3.

Alpini italiani in movimento

La neutralità ottenne inizialmente consenso unanime, sebbene il brusco arresto dell’offensiva tedesca sulla Marna facesse nascere i primi dubbi sulla invincibilità tedesca. Gruppi interventisti minoritari andarono formandosi nell’autunno 1914 fino a raggiungere una consistenza non trascurabile dopo appena pochi mesi; gli interventisti paventavano la sminuita statura politica, incombente sull’Italia, se fosse rimasta spettatrice passiva: i vincitori non avrebbero dimenticato né perdonato, e se a prevalere fossero stati gli Imperi centrali si sarebbero vendicati della nazione vista come traditrice di un’alleanza trentennale. Alla fine del 1914 il ministro degli esteri Sidney Sonnino avviò contatti con entrambe le parti per ottenere i maggiori compensi possibili e il 26 aprile 1915 concluse le trattative segrete con l’Intesa mediante la firma del patto di Londra, con il quale l’Italia si impegnava a entrare in guerra entro un mese. Il 3 maggio successivo fu rotta la Triplice alleanza, fu avviata la mobilitazione e il 23 maggio fu dichiarata guerra all’Austria-Ungheria, ma non alla Germania, con cui Antonio Salandra sperava, futilmente, di non guastare del tutto i rapporti.

Il piano strategico dell’esercito italiano, sotto il comando del generale e capo di stato maggiore Luigi Cadorna, prevedeva un atteggiamento difensivo nel settore occidentale, dove l’impervio Trentino costituiva un saliente incuneato nell’Italia settentrionale, e un’offensiva a est, dove gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si proiettava verso il cuore dell’Austria-Ungheria. Dopo aver occupato il territorio di frontiera, il 23 giugno gli italiani lanciarono il loro primo assalto alle postazioni fortificate austro-ungariche, attestate lungo il corso del fiume Isonzo: l’azione andò avanti fino al 7 luglio, ma a dispetto della superiorità numerica gli italiani non conquistarono che poco terreno al prezzo di molti caduti. Lo schema si ripeté identico a metà luglio, e poi ancora in ottobre e novembre: ogni volta gli assalti frontali degli italiani cozzarono sanguinosamente contro le trincee austro-ungariche attestate sul bordo dell’altopiano del Carso, che sbarrava agli attaccanti la via per Gorizia e Trieste.

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L’invasione di Polonia e Serbia

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva di Gorlice-Tarnów e Campagna dei Balcani (1914-1918).

Truppe russe in marcia sul fronte orientale

Se a ovest si attenne quasi esclusivamente alla difensiva, a est la Germania passò decisamente all’attacco. Dopo aver bloccato una nuova offensiva russa diretta in Slesia nella battaglia di Łódź (11 novembre-6 dicembre 1914), i tedeschi contrattaccarono i russi in Prussia orientale e inflissero loro una dura sconfitta nella seconda battaglia dei laghi Masuri (7-22 febbraio 1915); il fallimento dei paralleli contrattacchi austro-ungarici sul fronte della Galizia obbligò però i tedeschi a correre in aiuto degli alleati. Il 2 maggio gli austro-tedeschi attaccarono il fronte russo nella zona compresa tra le cittadine di Gorlice e Tarnów, provocandone il crollo: la ritirata russa si trasformò in rotta e gli attaccanti penetrarono a fondo in Polonia, prendendo Varsavia il 5 agosto. Il granduca Nicola, che pure era riuscito ad evitare una disfatta completa, venne sostituito come comandante in capo direttamente dallo zar Nicola II. Solo a metà settembre i russi riuscirono a ricostruire un fronte stabile cedendo l’intera Polonia e ampie zone dell’attuale Lituania: a parte le pesanti perdite umane e di materiale, i russi dovettero abbandonare alcune delle loro più importanti zone industriali, mettendo in crisi la produzione bellica.

Soldati bulgari in fase di mobilitazione

Il fronte serbo rimase pressoché immobile per gran parte del 1915, finché gli eventi non si svilupparono improvvisamente a favore degli Imperi centrali. Il 6 settembre 1915 lo zar Ferdinando I di Bulgaria portò il suo paese nel campo degli Imperi centrali sottoscrivendo un trattato di alleanza con la Germania: i bulgari avevano da tempo mire espansionistiche sui territori della Macedonia occupati da serbi e greci ed erano desiderosi di vendicare le sconfitte subite durante la seconda guerra balcanica. Dopo gli insuccessi del 1914 le forze austro-ungariche sul fronte serbo erano passate sotto il comando del generale tedesco August von Mackensen e l’11ª Armata tedesca fu ritirata dal fronte orientale per appoggiare il nuovo tentativo di invasione; la situazione della Serbia era aggravata anche dal fatto che gli Alleati non riuscivano a fornirle adeguati aiuti: nel tentativo di stabilire un collegamento diretto, il 5 ottobre 1915 truppe anglo-francesi sbarcarono a Salonicco in Grecia, paese formalmente neutrale ma lacerato dai dissidi tra la fazione pro-Germania del re Costantino I e quella pro-Alleati del primo ministro Eleutherios Venizelos.

Il 6 ottobre 1915 von Mackensen diede avvio all’invasione e le forze austro-tedesche attraversarono la Sava penetrando nel nord della Serbia, mentre l’11 ottobre le truppe bulgare attaccarono da est: i serbi opposero una dura resistenza nelle regioni montuose dell’interno ma si ritrovarono in forte inferiorità numerica e vennero progressivamente respinti verso sud-ovest; il 22 ottobre i bulgari presero il nodo ferroviario di Kumanovo, tagliando la via di ritirata serba verso sud e bloccando le truppe francesi che risalivano da Salonicco verso nord, poi sconfitte e obbligate alla ritirata nella successiva battaglia di Krivolak (17 ottobre-21 novembre). Le truppe serbe cercarono di arrestare l’avanzata degli Imperi centrali nella regione del Kosovo ma furono nuovamente battute e il 25 novembre il generale Putnik diede ordine alle sue truppe di ripiegare oltre il confine con l’Albania, nella speranza di evacuare ciò che rimaneva dell’esercito serbo dai porti sul mare Adriatico: dopo aver perso migliaia di uomini a causa degli stenti e degli attacchi degli irregolari albanesi, i 150.000 superstiti dell’esercito serbo raggiunsero il mare e furono evacuati da navi alleate (con il contributo determinante della Regia Marina) a Corfù da dove, dopo essere stati riorganizzati e riequipaggiati, furono poi destinati al nuovo fronte davanti Salonicco.

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Si combatte su tutti i fronti (1916)

La HMS Queen Mary, colpita dagli incrociatori da battaglia tedeschi, esplode durante la battaglia dello Jutland

Da un punto di vista strategico, durante il 1915 le armate tedesche erano rimaste sulla difensiva in occidente: nonostante muovesse le proprie divisioni in attacchi con obiettivi limitati, in una più vasta concezione delle cose la Germania si accontentava di tenere il terreno conquistato in Francia e Belgio mentre concentrava le proprie attenzioni a oriente, dove inviò il grosso delle truppe. Questa strategia si sarebbe capovolta nel 1916 quando le potenze centrali avrebbero mantenuto la difensiva a est e cercato di far uscire la Francia dalla guerra.

Nel febbraio 1916 sia la Germania, sia la Francia avevano stilato ciascuna un piano per trionfare sul fronte occidentale. Il capo di stato maggiore tedesco Erich von Falkenhayn aveva previsto di attirare l’esercito francese in una grande battaglia di logoramento attorno alla piazzaforte di Verdun; i piani anglo-francesi miravano a disarticolare con un’offensiva estiva le linee tedesche sulla Somme, distruggendone le difese con una “guerra d’attrito”. I britannici decisero che l’attacco sarebbe stato preceduto da un incessante tiro di artiglieria, quindi le fanterie sarebbero avanzate compatte e avrebbero aperto ampi varchi che la cavalleria avrebbe sfruttato per avanzare in profondità.

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Da Verdun alla Somme

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Verdun e Battaglia della Somme.

Un soldato tedesco sul fronte occidentale con indosso lo Stahlhelm

L’esercito tedesco fu pronto per primo e scatenò l’assalto a Verdun il 21 febbraio 1916 con un bombardamento violento e preciso che martellò per nove ore le linee francesi, distruggendo trinceramenti e linee telefoniche, impedendo l’arrivo di qualsiasi rinforzo. Cessato l’intenso fuoco d’artiglieria, 140.000 soldati attaccarono le difese francesi, occupando il numero più alto possibile di posizioni in vista del massiccio attacco del giorno successivo. In alcuni casi le pattuglie riuscirono perfino a fare prigionieri mentre i ricognitori aerei riferirono di vaste distruzioni nelle linee francesi[82]. L’attacco tedesco non sortì gli effetti sperati; tuttavia il 25 febbraio cadde uno dei simboli di Verdun, Fort Douaumont, e il comandante supremo Joseph Joffre avallò l’immediato invio a Verdun della 2ª Armata del generale Philippe Pétain, con il compito di difendere a oltranza le due rive della Mosa. Il generale von Falkenhayn, soddisfatto, poté seguire il suo piano di “dissanguamento graduale” dell’esercito francese.

Malgrado l’iniziale impeto, l’attacco tedesco tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo fu smorzato dal riassetto del fronte francese operato da Pétain. Venne deciso di condurre una vasta azione anche sulla riva sinistra della Mosa per alleggerire la riva destra, ma nei successivi tre mesi le avanzate da entrambe le parti furono minime al costo di perdite gravissime. In maggio i tedeschi si prepararono a un nuovo balzo in avanti per occupare le future basi di partenza per l’assalto finale a Verdun, ossia la piazzaforte di Thiaumont, l’altura di Fleury-devant-Douaumont, il Forte di Souville e Fort Vaux, ossia l’estremità nord-est della linea francese[85]. Il 7 giugno cadde Fort Vaux, ma quest’ultimo tentativo tedesco di conquistare Verdun fallì con perdite elevate; di lì a pochi giorni von Falkenhayn dovette inoltre fronteggiare l’imponente offensiva anglo-francese sulla Somme.

Soldati senegalesi dell’esercito francese sul fronte di Verdun

Alle 07:30 del 1º luglio, dopo una settimana di bombardamento preliminare, le truppe anglo-francesi uscirono dalle trincee sulla Somme attaccando su un fronte di 40 chilometri. Il 12 luglio, per conseguenza dei combattimenti in Francia e dell’offensiva Brusilov a oriente, von Falkenhayn interruppe le operazioni offensive a Verdun e trasferì da quel settore alla Somme due divisioni e sessanta pezzi d’artiglieria pesante. I combattimenti attorno Verdun sarebbero continuati sino a dicembre sotto l’incalzare delle divisioni francesi, nel crescente disinteresse dello stato maggiore tedesco.

Nelle prime due settimane di luglio la battaglia della Somme fu condotta con una serie di azioni su scala ridotta, preparatorie per un’offensiva di maggiore rilievo, ma per l’inizio di agosto il comandante generale Douglas Haig accettò l’idea che la possibilità di uno sfondamento era del tutto tramontata: i tedeschi “avevano posto rimedio in grande misura alla disorganizzazione” di luglio. Il 29 agosto von Falkenhayn fu sostituito da Hindenburg e Ludendorff, che immediatamente introdussero una nuova dottrina difensiva: il 23 settembre iniziò la costruzione della linea Hindenburg. Impegnati in due teatri, i tedeschi oramai risentivano pesantemente della logorante caparbietà dei britannici sulla Somme e dei contrattacchi del generale Robert Georges Nivelle a Verdun.

Un carro armato britannico Mark Iavanza verso Flers, 15 settembre 1916

Fra il 15 luglio e il 14 settembre la 4ª Armata britannica sulla Somme condusse circa novanta attacchi della forza da un battaglione in su, di cui solo quattro per tutti i nove chilometri del proprio fronte: perse 82.000 uomini per un’avanzata di meno di un chilometro. Il 15 settembre, nel corso della battaglia di Flers-Courcelette, l’esercito britannico impiegò per la prima volta il carro armato, ma la nuova arma, concepita per risolvere lo stallo delle trincee, non raccolse grandi risultati poiché la sua dottrina d’impiego era ancora molto incerta. Haig continuava intanto a sollecitare una pressione “senza soste” e grazie a una serie di altri piccoli successi, nella prima settimana di ottobre i tedeschi ripiegarono su linee difensive più arretrate, non senza aver opposto forte resistenza; questi limitati successi non furono però tali da alimentare speranze di uno sfondamento. Il 18 novembre, con un ultimo attacco alle trincee verso Grandcourt, che si risolse con un modesto successo, l’offensiva della Somme poteva considerarsi definitivamente sospesa.

Le due battaglie avevano permesso agli anglo-francesi di riconquistare circa 110 chilometri quadrati e cinquantuno villaggi; i tedeschi erano arretrati di circa 7/8 chilometri e avevano sofferto oltre 800.000 vittime. Da un punto di vista puramente tattico si trattò quindi di una sconfitta tedesca, ma il guadagno alleato fu molto esiguo a fronte di oltre 1.200.000 perdite e all’enorme dispendio di risorse. Il mediocre risultato tattico e strategico causò la destituzione del generale Joffre, sostituito dal generale Robert Nivelle. Le stragi di Verdun e della Somme comunque non cambiarono le strategie inconcludenti dello stato maggiore francese, che avrebbe ripetuto i medesimi errori nel 1917 provocando ammutinamenti e ribellioni in parte dell’esercito.

Anche sul mare la contesa tra britannici e tedeschi era giunta a un punto di stallo. Il nuovo comandante della flotta tedesca ammiraglio Reinhard Scheer aveva deciso di adottare una tattica più offensiva, conducendo frequenti bombardamenti navali sulle coste orientali dell’Inghilterra nel tentativo di attirare in battaglia la Grand Fleet. Tra il 31 maggio e il 1º giugno 1916 le due flotte si affrontarono nella battaglia dello Jutland, il maggior scontro navale del conflitto: i tedeschi inflissero più perdite di quante ne subirono, ma in definitiva il blocco navale britannico della Germania non fu spezzato. Dopo lo scontro la flotta di superficie tedesca ritornò a un atteggiamento difensivo, spostando tutta l’attenzione sulla guerra sottomarina.

 

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Combattimenti sull’Isonzo

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia degli Altipiani.

Asiago distrutta dopo i combattimenti della Strafexpedition

Sul fronte carsico, dopo che in marzo un altro assalto italiano sull’Isonzo si era concluso con perdite elevate e scarse conquiste, furono gli austro-ungarici a passare all’offensiva nel Trentino: il 15 maggio 1916 ebbe inizio la Strafexpedition (“spedizione punitiva”), durante la quale l’esercito italiano venne attaccato tra la valle dell’Adigee la Valsugana. Nei venti giorni successivi gli austro-ungarici conquistarono una posizione dopo l’altra, minacciando di tagliare fuori le truppe italiane sull’Isonzo; tuttavia, utilizzando le divisioni di riserva, il generale Cadorna riuscì a fermare gli austro-ungarici e riprendere alcune posizioni, rischiando però che un’ulteriore offensiva sull’Isonzo potesse far perdere ai suoi uomini le poche conquiste fino allora ottenute.

Artiglieri italiani in azione con il 75/27 Mod. 1911

Non riuscendo a smuovere gli austriaci dal Trentino, Cadorna decise di concentrarsi nuovamente sull’Isonzo: il 4 agosto le truppe italiane mossero all’attacco dal Monte Sabotino al mare, raggiungendo e superando l’Isonzo, conquistando Gorizia e costringendo parte della 5ª Armata austro-ungarica a ripiegare di alcuni chilometri sul Carso; gli austro-ungarici, però, avevano ceduto terreno solo per posizionarsi su una nuova linea difensiva già pronta, contro la quale si infransero i nuovi assalti italiani. A settembre e ottobre ebbero inizio altre due battaglie, la settima (14-16 settembre) e l’ottava (10-12 ottobre) dell’Isonzo, che causarono un ingente numero di vittime e portarono a grame conquiste territoriali: errori, condizioni meteorologiche avverse e scarsità di materiali impedirono agli italiani di sfondare le linee e raggiungere Trieste.

Il comando italiano, già dopo l’ottava offensiva, voleva dare il via a un ennesimo assalto prima che tutto il fronte fosse bloccato dalla cattiva stagione in arrivo: l’azione ebbe inizio solo il 31 ottobre contro la linea passante per Colle Grande-Pecinca-bosco Malo, ma il 2 novembre Cadorna decise di sospendere l’attacco per mancanza di rifornimenti, anche se gli scontri ripresero comunque il 3: nel complesso si avanzò solo di qualche chilometro e le perdite sofferte ammontarono a 39.000 soldati per gli italiani e a 33.000 per gli austro-ungarici.

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L’offensiva Brusilov

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva Brusilov.

Soldati russi in trincea sul fronte est

L’Italia impegnata in Trentino si appellò allo zar per diminuire la pressione sul proprio fronte. I comandi russi sapevano che non era possibile sferrare nuovi attacchi per assistere gli alleati, data la precaria situazione di truppe e materiali, che andavano radunati e preparati per una prossima decisiva offensiva da compiersi durante la stagione estiva; solamente il generale Aleksej Alekseevič Brusilov reagì positivamente alla richiesta e poiché stava organizzando un attacco in luglio, anticipò l’azione a giugno per cercare di costringere gli austro-ungarici a trasferire truppe a est. Il 4 giugno 1916 l’offensiva iniziò con un potente tiro d’artiglieria, condotto da 1.938 pezzi su un fronte di circa 350 chilometri, dalle Paludi del Pryp”jat’ fino alla Bucovina. Dopo aver sfondato in vari punti le linee austro-ungariche, in otto giorni i russi catturarono un terzo delle truppe che si opponevano loro (2.992 ufficiali e 190.000 soldati), 216 cannoni pesanti, 645 mitragliatrici e 196 obici. Il 17 giugno i russi presero Czernowitz, la città più orientale dell’Austria-Ungheria.

Alla fine di luglio la città di Brody, alla frontiera galiziana, cadde in mano ai russi, che nelle due settimane precedenti avevano catturato altri 40.000 austro-ungarici; ma anche le perdite russe erano state pesanti e nell’ultima settimana di luglio von Hindenburg e Ludendorff assunsero la difesa dell’ampio settore austriaco. Ai primi di settembre Brusilov raggiunse le pendici dei Carpazi, ma lì si arrestò per le evidenti difficoltà geografiche e soprattutto perché l’arrivo di truppe tedesche da Verdun arrestò la ritirata austro-ungarica e inflisse gravi perdite ai russi. L’offensiva volse al termine e anche se non assestò un colpo mortale agli austro-ungarici, raggiunse l’obiettivo principale di distogliere importanti forze tedesche da Verdun e di costringere l’Austria a sguarnire il fronte italiano; per converso il potenziale bellico russo calò vistosamente per problemi interni e carenze di materiali.

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La campagna di Romania

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Romania.

Soldati romeni in addestramento

L’opportunità di scendere in campo con gli Alleati, l’amicizia che legava Nicolae Filipescu e Take Ionescu alle potenze occidentali e il desiderio di liberare i connazionali della Transilvania dal controllo austro-ungarico, convinsero l’opinione pubblica romena che l’entrata in guerra avrebbe portato notevoli vantaggi; l’avanzata di Brusilov incoraggiò la Romania il 27 agosto 1916 a compiere il passo decisivo. Il paese avrebbe avuto qualche probabilità di successo se fosse sceso in campo prima, quando la Serbia era ancora una forza attiva e la Russia non aveva ancora intaccato il proprio potenziale; i due anni in più di preparazione avevano raddoppiato il numero di soldati a scapito dell’addestramento, quando invece gli austro-tedeschi avevano ormai sviluppato tattiche e armi adatte alla guerra in corso. L’isolamento della Romania e l’incapacità dei suoi vertici militari avevano impedito la trasformazione di un esercito composto da fanteria in una forza moderna.

L’avventata iniziativa romena si risolse in un’enorme sconfitta: la lentezza delle divisioni che attraversarono i Carpazi consentì a von Falkenhayn (da poco sostituito al comando supremo da Hindenburg e Ludendorff e ora comandante della 9ª Armata sul fronte rumeno) di ingrossare le file austro-ungariche con l’invio di divisioni tedesche e bulgare. Mentre Ludendorff arginava i romeni sui Carpazi, il generale August von Mackensen li attaccò da sud-ovest e il 23 novembre li aggirò superando il Danubio; nonostante la reazione romena, la forza congiunta di von Falkenhayn e von Mackensen si dimostrò insostenibile per un esercito antiquato e mal comandato: il 6 dicembre gli austro-tedeschi entrarono a Bucarest continuando l’inseguimento dei romeni ormai in rotta. La maggior parte della Romania, con i suoi fertili campi di grano e i giacimenti petroliferi, fu conquistata dagli Imperi centrali, che ridussero l’esercito romeno all’impotenza e inflissero una seria sconfitta politico-strategica agli Alleati.

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I Balcani e il Caucaso

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Macedonia e Campagna di Albania.

Una trincea britannica sul fronte macedone

Eliminata la Serbia, le forze austro-ungariche invasero il Montenegro ai primi di gennaio 1916 e nonostante la sconfitta patita nella battaglia di Mojkovac (6-7 gennaio) l’obbligarono a capitolare prima della fine del mese. Lanciate all’inseguimento dell’armata serba in ritirata, le forze degli Imperi centrali penetrarono anche in Albania, in preda all’anarchia dopo che una rivolta popolare nel settembre 1914 aveva portato alla dissoluzione del governo centrale: le truppe austro-bulgare avevano occupato il nord e il centro del paese già prima della fine di aprile 1916, ma un corpo di spedizione italiano fu in grado di prendere il controllo delle regioni meridionali, nel tentativo di mantenere il possesso dello strategico porto di Valona. Davanti a Salonicco la situazione si era ormai stabilizzata in una lunga guerra di posizione: dopo il fallimento della prima battaglia di Doiran (9-18 agosto 1916), l’armata alleata (comprendente truppe francesi, britanniche, serbe, italiane e russe) subì un’offensiva bulgaro-tedesca lungo il fiume Strimone tra il 17 e il 27 agosto, riuscendo a contenerla; passate al contrattacco a metà settembre, le forze alleate presero Monastir nel sud della Serbia il 19 novembre seguente, senza però riuscire a spezzare il fronte bulgaro.

Artiglieri dell’esercito ottomano caricano un obice 10,5 cm FH 98/09 di produzione Krupp

All’inizio del gennaio 1916 i russi lanciarono nel Caucaso occidentale l’offensiva di Erzurum, cogliendo completamente di sorpresa la 3ª Armata ottomana che non si aspettava un attacco in pieno inverno: la vittoria russa nella battaglia di Köprüköy (10-19 gennaio 1916) obbligò gli ottomani ad abbandonare la strategica fortezza di Erzurum e a ritirarsi verso ovest dopo aver subito pesanti perdite[53]. Appoggiate anche da sbarchi lungo la costa del Mar Nero, le truppe russe dilagarono nell’Anatolia orientale, prendendo l’importante porto di Trebisonda il 15 aprile e spingendosi nell’interno fino alle città di Muş ed Erzincan, dove ottennero una nuova vittoria sugli ottomani tra il 2 e il 25 luglio 1916; lo sfondamento fu contenuto solo con l’arrivo al fronte della 2ª Armata ottomana del generale Mustafa Kemal, composta da truppe richiamate dal settore di Gallipoli, che il 25 agosto riuscì a infliggere ai russi una sconfitta nella battaglia di Bitlis.

Il grosso dei combattimenti cessò alla fine di settembre 1916, con entrambe le parti bloccate da un inverno particolarmente duro; la situazione non subì grandi mutamenti nel corso del 1917, essendo i russi immobilizzati dai disordini in corso in patria e gli ottomani concentrati sul fronte del Medio Oriente contro i britannici[107]. L’armistizio di Erzincan del 5 dicembre 1917 e il ritiro della Russia dal conflitto posero infine termine alle operazioni nel Caucaso.

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La Russia esce dal conflitto

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione russa e Trattato di Brest-Litovsk.

Guardie Rosse bolsceviche a Pietrogrado nel 1917

Le enormi perdite subite dalla Russia avevano minato alle fondamenta la resistenza morale e fisica del suo esercito, tanto che al fronte molti ufficiali non riuscivano più a mantenere la disciplina. Su tutto il fronte i bolscevichi incitavano gli uomini a rifiutarsi di combattere e a partecipare ai comitati dei soldati per sostenere e diffondere le idee rivoluzionarie; dal fronte le agitazioni si trasmisero alle città e alla capitale. Il 3 marzo 1917 a Pietrogrado scoppiò un violento sciopero nelle officine Kirov, la principale fabbrica di armamenti e munizioni: l’8 marzo gli operai in sciopero erano circa 90.000, il 10 marzo fu proclamata la legge marziale e il potere della Duma fu messo in discussione dal Soviet cittadino guidato dal menscevico Chkheidze. I soldati inviati in città si unirono alla folla che protestava contro lo zar, al quale non restò altro che abdicare il 15 marzo 1917.

Fu proclamata una “Repubblica russa” retta dal Governo provvisorio russo dominato dal socialista Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, il quale si affrettò a confermare la sua alleanza con gli anglo-francesi; in luglio, tuttavia, la nuova offensiva decisa dal governo repubblicano (offensiva Kerenskij) si risolse in una decisa sconfitta per lo stremato esercito russo. Sfruttando il malcontento popolare e delle truppe verso la guerra, tra il 7 e l’8 novembre 1917 le forze bolsceviche s’impossessarono dei centri di potere russi a Pietrogrado e Mosca: la repubblica fu abbattuta e al suo posto nacque una Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa retta da Lenin, rientrato in Russia dalla Svizzera con il permesso dei tedeschi, che ne avevano esattamente stimato l’impatto politico sull’avversario.

La prima mossa del nuovo governo bolscevico fu quella di intavolare trattative per far uscire la Russia dal conflitto. Il 1º dicembre una commissione bolscevica attraversò le linee tedesche a Dvinsk e giunse alla fortezza di Brest-Litovsk, dove una delegazione degli Imperi centrali li attendeva per intavolare trattative di pace: Lenin intendeva chiudere il fronte per rivolgersi ai movimenti controrivoluzionari, che già attaccavano i bolscevichi e gli Imperi centrali colsero l’occasione reclamando condizioni di resa durissime; dopo lunghi e complessi negoziati, il trattato di Brest-Litovsk, firmato il 3 marzo 1918, sancì la fine della partecipazione russa al conflitto e dei combattimenti sul fronte orientale.

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Staticità del fronte ovest

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva Nivelle e Battaglia di Passchendaele.

Soldati francesi in trincea

A dispetto delle pesanti perdite patite a Verdun e sulla Somme, alla fine del 1916 i comandi anglo-francesi erano convinti di aver acquisito una posizione di vantaggio sui tedeschi e di essere vicini alla vittoria. Il nuovo comandante in capo francese, il generale Robert Nivelle, propose una serie di nuove offensive congiunte da condursi in primavera: mettendo a frutto la sua esperienza a Verdun, Nivelle propose di lanciare in successione una serie di brevi ma intensi assalti preceduti da un pesante fuoco di sbarramento dell’artiglieria, arrivando a promettere uno sfondamento decisivo del fronte nemico entro 24 ore. Nel corso dei primi mesi dell’anno, tuttavia, sfruttando la pausa invernale, i tedeschi avevano iniziato un ripiegamento sulle nuove e più salde posizioni della linea Hindenburg, accorciando il fronte da difendere ed estendendo in profondità i loro sistemi di trincee.

Il 9 aprile i britannici, sostenuti da ampi contingenti provenienti dai dominion (canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani), diedero avvio all'”offensiva Nivelle” attaccando ad Arras: furono conquistate diverse importanti posizioni, come l’altura di Vimy, ma il fronte tedesco non fu spezzato e l’azione si arenò per il 16 maggio seguente. Rallentati dal tempo pessimo, i francesi diedero inizio alla loro parallela offensiva il 16 aprile, attaccando sullo Chemin des Dames: l’azione fu un disastro, con poco terreno guadagnato a fronte di perdite pesantissime, e dovette infine essere interrotta il 9 maggio. La sconfitta, giunta solo a pochi mesi dalla terribile prova di Verdun, distrusse il morale dell’esercito francese: in vari reparti si verificarono casi di insubordinazione e proteste contro la guerra, sfociate anche in alcuni episodi di ammutinamento e diserzione; Nivelle fu destituito e rimpiazzato dal generale Pétain, che s’impegnò a fondo per ristabilire l’ordine nei reparti francesi.

Portaferiti britannici alle prese con il fango di Passchendaele

Con l’esercito francese paralizzato dagli ammutinamenti, tutto il peso dell’offensiva ricadde quindi sulle spalle delle forze britanniche, cui toccò l’onere di sostenere il grosso dei combattimenti in Francia e nelle Fiandre. Le truppe britanniche vennero rinforzate dal corpo di spedizione portoghese (Corpo Expedicionário Português), che venne inviato nelle Fiandre ed integrato nella 1ª Armata britannica. Il 21 maggio i britannici diedero inizio alla battaglia di Messines: dopo aver fatto brillare una ventina di gallerie di mina, scavate sotto alle trincee tedesche nei mesi precedenti, le forze britanniche e dei dominion presero l’importante crinale di Messines, sul margine sud del saliente di Ypres. Il 31 luglio seguente Haig diede il via alla sua offensiva principale, attaccando da Ypres verso le posizioni tedesche nelle Fiandre: l’obiettivo strategico era quello d’impossessarsi delle basi dei sommergibili tedeschi installate lungo la costa belga, ma l’attacco naufragò per la forte resistenza e le forti piogge che trasformarono il campo di battaglia in un mare di fango; l’azione si concluse il 6 novembre con solo modesti guadagni territoriali.

Non pago di questo insuccesso, il 25 novembre Haig attaccò il fronte tedesco davanti a Cambrai: appoggiati da quasi 500 carri armati, i britannici penetrarono nelle trincee tedesche ma la carenza di riserve impedì di sfruttare il successo; pochi giorni dopo i tedeschi contrattaccarono sfruttando le nuove tattiche di infiltrazione, già sperimentate sul fronte orientale e italiano, e riconquistarono gran parte del terreno perduto. La battaglia si concluse il 6 dicembre, quando l’inverno impose nuovamente un arresto alle operazioni su vasta scala.

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Da Baghdad a Gerusalemme[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna del Sinai e della Palestina.

Le forze britanniche entrano a Baghdad l’11 marzo 1917

Il governo britannico desiderava un successo spettacolare per risollevare il morale alleato dopo la disastrosa “offensiva Nivelle” e il caos rivoluzionario in Russia. In Mesopotamia le operazioni si erano praticamente fermate dopo la resa di Kut: i britannici erano intenti a migliorare la propria situazione logistica e gli ottomani erano troppo deboli per scacciarli dalla regione. Il nuovo comandante britannico, generale Frederick Stanley Maude, iniziò un’offensiva il 13 dicembre 1916, risalendo il corso del Tigri con il supporto di una flottiglia di cannoniere fluviali[118]; il 23 febbraio 1917 i britannici sconfissero gli ottomani nella seconda battaglia di Kut, obbligandoli alla ritirata: incoraggiato dal successo l’alto comando britannico autorizzò Maude a continuare l’avanzata e l’11 marzo fu presa Baghdad, sgombrata dagli ottomani. L’azione britannica proseguì verso nord in direzione di Samarra (caduta il 23 aprile), concludendosi alla fine di settembre nei pressi di Ramadi, dove gli ottomani subirono una nuova sconfitta; il fronte entrò quindi in un lungo periodo di stasi, con entrambi i contendenti concentrati sulla campagna di Palestina[118].

Mitraglieri ottomani schierati nella zona di Gaza, impiegano delle MG 08fornite dalla Germania

La vittoria britannica nella battaglia di Rafa il 9 gennaio 1917 aveva definitivamente allontanato la minaccia ottomana dalla penisola del Sinai e i comandanti alleati iniziarono a progettare l’invasione della Palestina. Dopo una lunga preparazione logistica le forze del generale Archibald Murray iniziarono l’offensiva ai primi di marzo, subendo però una sconfitta nella prima battaglia di Gaza (26 marzo); un secondo tentativo di sfondare la linea difensiva ottomana davanti alla città, anche con il contributo di gas tossici e qualche carro armato, fallì nuovamente il 19 aprile seguente con gravi perdite per i britannici. Nel giugno 1917 Murray fu rimpiazzato dal generale Edmund Allenby, mentre sul fronte opposto Erich von Falkenhayn giunse nel teatro con un piccolo contingente di specialisti tedeschi per rinforzare lo schieramento ottomano. Dopo lunghi preparativi, l’offensiva britannica iniziò alla fine dell’ottobre 1917: la vittoria nella battaglia di Beersheba (31 ottobre) consentì ai britannici di aggirare la linea difensiva ottomana, poi crollata dopo la sconfitta nella terza battaglia di Gaza (31 ottobre-7 novembre). Nonostante il clima invernale e i contrattacchi ottomani, Allenby proseguì l’avanzata e il 9 dicembre i reparti britannici occuparono Gerusalemme, importante obiettivo simbolico, prima di arrestarsi per il peggiorare delle condizioni meteorologiche.

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L’intervento degli Stati Uniti d’America

Sebbene nel dicembre 1916 gli Imperi centrali fossero riusciti a impadronirsi di un importante canale di approvvigionamento con l’occupazione della Romania e l’acquisizione del controllo della regione danubiana, il nulla di fatto con cui si era conclusa la battaglia dello Jutland aveva lasciato ai britannici il dominio dei mari, permettendo loro di mantenere il blocco navale: esso era ormai diventato un problema ineludibile, ma d’altro canto i vertici militari nutrivano la speranza che, una volta annientato il blocco, avrebbero potuto risolvere la partita sul fronte occidentale nel giro di pochi mesi; i vertici tedeschi si risolsero quindi a estendere la guerra sottomarina, sebbene ciò aumentasse inevitabilmente il rischio di coinvolgere gli Stati Uniti d’America, già vicini politicamente all’Intesa. Il 1º febbraio 1917 la Germania formalizzò la cosiddetta guerra sottomarina indiscriminata: da quel momento in avanti ogni nave diretta ai porti dell’Intesa sarebbe stata considerata un bersaglio legittimo; pochi giorni dopo gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con la Germania.

Nonostante gli incidenti susseguitisi incessantemente per due anni, a partire dall’affondamento del RMS Lusitania, il presidente Thomas Woodrow Wilson si era attenuto alla sua politica di neutralità. L’annuncio della campagna sottomarina indiscriminata mostrò che le speranze di pace di Wilson erano utopistiche e, quando a ciò seguì il deliberato affondamento di navi statunitensi e il tentativo tedesco di istigare il Messico ad attaccare gli Stati Uniti (il caso del “telegramma Zimmermann“), il presidente Wilson ruppe gli indugi. Il 4 aprile 1917 presentò al Congresso la proposta di entrare in guerra: il 6 aprile gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Nessuno dubitava che l’impatto delle truppe statunitensi in Europa sarebbe stato potenzialmente enorme; gli Stati Uniti avrebbero addestrato circa un milione di soldati, che a poco a poco sarebbero saliti a tre milioni. Ma ci sarebbe voluto almeno un anno, o forse più, prima che le truppe fossero addestrate, trasportate via nave in Francia e rifornite adeguatamente.

 

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Caporetto

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Caporetto.

Truppe tedesche in marcia nella valle dell’Isonzo durante la battaglia di Caporetto

Sul fronte dell’Isonzo gli italiani sferrarono due nuove offensive a metà maggio e poi ancora ad agosto, guadagnando qualche posizione sul bordo dell’Altopiano della Bainsizza seppur al prezzo di molti caduti; il fronte austro-ungarico fu però talmente logorato che la Germania intervenne ancora una volta. Hindenburg e Ludendorff si accordarono con il comandante in capo austro-ungarico Arthur Arz von Straussenburg per l’organizzare un’offensiva combinata. Alle 02:00 in punto del 24 ottobre 1917 le artiglierie austro-tedesche iniziarono a colpire le posizioni italiane dal monte Rombon all’alta Bainsizza, alternando lanci di gas a granate convenzionali, colpendo in particolare tra Plezzo e l’Isonzo.

Subito dopo la fanteria sfondò le linee italiane sia sulle montagne sia nella valle dell’Isonzo, dove una divisione tedesca raggiunse il pomeriggio del 24 ottobre la città di Caporetto; quindi gli austro-tedeschi avanzarono per 150 chilometri in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni, mentre l’esercito italiano ripiegava disordinatamente con numerosi casi di disgregazione e collasso di reparti. Cadorna, venuto a sapere della caduta di Cornino il 2 novembre e di Codroipo il 4, ordinò all’intero esercito di ripiegare sul fiume Piave, ove nel frattempo era stata rafforzata una linea difensiva grazie agli episodi di resistenza sul fiume Tagliamento. La disfatta di Caporetto, oltre al crollo del fronte italiano e alla caotica ritirata delle armate schierate dall’Adriatico fino alla Valsugana, comportò la perdita in due settimane di 350.000 uomini fra morti, feriti, dispersi e prigionieri; altri 400.000 si sbandarono verso l’interno del paese. L’avanzata degli austro-tedeschi fu infine bloccata sulle rive del Piave a metà novembre, dopo una dura battaglia difensiva.

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La sconfitta degli imperi centrali e la fine (1918)

Un reparto di truppe d’assaltotedesche (Stoßtrupp); le rapide infiltrazioni effettuate da queste formazioni ebbero un ruolo importante nelle ultime offensive tedesche

Nonostante fosse sempre stata superiore in termini numerici alle potenze centrali, all’inizio del 1918 l’Intesa vide ribaltarsi la situazione, a causa delle perdite subite e del collasso della Russia: sarebbero dovuti passare parecchi mesi prima che le forze statunitensi facessero pendere nuovamente l’ago della bilancia in suo favore. Alla conferenza di Rapallo del novembre 1917 fu decisa la costituzione di un consiglio supremo di guerra dove i maggiori esponenti dei governi alleati sarebbero stati affiancati da rappresentanti militari; di fatto questi ultimi non avevano però il potere esecutivo in quanto i capi di stato maggiore erano subordinati ai rispettivi governi, che nella conduzione della guerra anteponevano interessi economici. Nel frattempo la Germania iniziò a trasferire decine di divisioni dal fronte orientale a ovest: per la fine di gennaio 1918 ne aveva a disposizione 177 con altre trenta in arrivo, mentre il potenziale alleato, indebolito dalle enormi perdite nel pantano di Passchendaele, scese a 172 divisioni, formate ognuna da nove battaglioni invece che dai soliti dodici.

Il generale Ludendorff, cogliendo il momento favorevole e cercando di anticipare l’arrivo in forze delle truppe statunitensi, ripose le speranze di vittoria in una nuova, fulminea e imponente offensiva a occidente. Per poter utilizzare tutte le truppe disponibili era riuscito a estorcere una pace definitiva sia al governo bolscevico, sia alla Romania; inoltre per assicurare nel possibile una base economica alla sua offensiva, fece occupare gli immensi campi di grano dell’Ucraina, incontrando solo una misera resistenza da parte di truppe cecoslovacche, ex-prigioniere dei russi.

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