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Napoleone Bonaparte morì in esilio a Sant’Elena, una piccola isola dell’Atlantico, il 5 maggio 1821. Quando la notizia giunse a Milano, Manzoni compose, in pochi giorni, un’ode in cui la figura e la vicenda di Napoleone diventano l’occasione per una meditazione sulla storia e sulla Provvidenza divina e per la celebrazione dei valori della fede. In questo componimento il poeta non celebra il personaggio, perché – afferma – gli eventi sono ancora troppo recenti per consentire un giudizio obiettivo su una figura tanto discussa in vita, ma si concentra sul Napoleone uomo, sforzandosi di calarsi nel suo animo. Di lui al lettore descrive le imprese, ma soprattutto presenta i pensieri, i sentimenti, le speranze, i dubbi, da quando era un oscuro soldato a quando divenne imperatore, fino agli inquieti giorni dell’esilio e della morte liberatrice.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
5 così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
10 orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
15 quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
20 e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
25 Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
30 dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
35 del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
40 serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
45 la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
50 l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
55 E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
60 e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
65 scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
70 narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
75 chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
80 tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
85 Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
90 pietosa il trasportò;
e l’avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
95 dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
100 ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
105 il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.