Tra musica e cinema
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I mitici anni 80

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Artwork: Di Giorgio Daniela

  • Joined Jun 2022
  • Published Books 1

Scanzonati, colorati, incoscienti… gli Ottanta ebbero in un certo senso il compito di far dimenticare le difficoltà del decennio precedente. Non furono soltanto rose e fiori, ma di certo segnarono un’epoca di fiducia nel futuro e grande spensieratezza

Cosa resterà di quegli Anni 80

Anni Ottanta: nasce Internet (non come la conosciamo oggi) e al cinema arrivano gli effetti speciali, cade il muro di Berlino, esplode Chernobyl – portando con sé spaventose conseguenze e un referendum sul quale, in Italia, ancora oggi dibattiamo –, il mondo assiste in diretta al disastro dello Shuttle Columbia, l’Italia vince il Mondiale di calcio, nasce il cinepanettone sulle ceneri degli Anni di piombo, le notti iniziano con l’happy hour, irrompe sulla scena la trasgressiva Madonna e gli yuppie griffati dalla camicia al calzino danno la scalata alle stanze dei bottoni. I difficili Settanta dei cineforum “segue dibattito”, dell’impegno e dell’autocritica, del “piombo” delle Brigate Rosse e delle grandi manifestazioni di piazza sono di colpo lontanissimi.   Il nostro presente nasce così, nel decennio di passaggio all’era digitale e di revanscismo più inconsapevole che premeditato. Questo, di per sé, merita già una riflessione. Sì, perché quel periodo che ha visto mutare vorticosamente scenari ed equilibri geopolitici internazionali nonostante ciò è citato più per eccessi e superficialità che per elevate virtù. Insomma, nel ricordo collettivo sono anni leggeri sotto tutti i punti di vista. Si affermano come un rigurgito di periodi cupi fortemente politicizzati con stili di vita improntati al consumismo, all’esteriorità e allo svago. È il decennio della tecnologia, dell’esagerazione e del narcisismo.

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I mitici anni 80 by Daniela Di Giorgio - Illustrated by Di Giorgio Daniela - Ourboox.com

Yuppie, professionisti della scalata al successo

Young Urban Professional, ovvero, yuppie. Così si definirono – culla del neologismo fu Manhattan, il cuore finanziario della Grande Mela – i giovani businessmen rampanti degli Anni 80, in massima parte desiderosi di lavorare in borsa e tutti di fare rapidamente soldi a palate. A New York, maniacalmente fissati con il look, gli abiti firmati – in particolare quelli di stilisti italiani come Armani, Versace e Valentino – e le macchine sportive, frequentavano locali come lo Studio 54 e le feste più esclusive. Sulla falsariga del modello americano, lo yuppie di casa nostra – portato al cinema da Carlo Vanzina – emula prendendo a esempio Gianni Agnelli e il suo orologio portato sul polsino, esibendo uno stile di vita consumistico e cinico. In Italia come all’estero, anche la cocaina gioca spesso un ruolo chiave in questa forzata visione di divertimento costoso e senza limiti.

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Paninari, troppo (poco) giusti!

Dal bar “Al Panino”, di via Agnello, al Burghy di piazza San Babila, sempre a Milano, la strada è breve. E lastricata di accessori cult come il piumino Moncler (dal cui logo, probabilmente, deriva anche la definizione di “gallo” come sinonimo di paninaro stesso), le Timberland o gli stivali Durango, le borse Naj-Oleari, le cinture El Charro, le moto Zündapp 125 “taroccate” con l’adesivo 175 (così potevano andare in autostrada), i jeans Americanino, gli occhiali Ray Ban, le felpe Best Company, le calze Burlington. Il tutto con alcune varianti, quando il fenomeno uscì dalla cinta muraria del capoluogo meneghino per tentare – senza però riuscirvi – di diffondersi in tutta Italia. Adolescenti consumisti (naturalmente con i soldi di papà), etichettati, uniti da uno slang demenziale, superficiali ed edonisti diedero spunto al comico Enzo Braschi per una divertente parodia nel programma televisivo Drive In. Nati senza una stretta connotazione politica, alcuni si identificarono successivamente con un’ideologia di destra. La specie si è estinta senza lasciare eredi.

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Da Arpanet a Internet

Dopo un decennio di sviluppo di Arpanet, nata nel 1969 e finanziata dalla Defence Advanced Research Projects Agency, la Darpa, agenzia dipendente dal Department of Defense degli Stati Uniti – e quindi con un’impronta sostanzialmente militare – tutto era pronto per il grande balzo verso Internet. Talmente pronto che la sperimentazione precorse addirittura i tempi, facendosi ricordare come un virus ante litteram. Il 27 ottobre 1980, infatti, un errore nell’header di un messaggio durante un test di propagazione delle email bloccò completamente Arpanet ma dalle sue ceneri spiccò il volo l’Internet che conosciamo. Dopo Norvegia e Inghilterra, l’Italia fu il terzo Paese europeo a connettersi alla rete: era il 30 aprile 1986. La connessione ebbe luogo nell’Università di Pisa, che ospitava uno dei gruppi di ricerca più avanzati del Vecchio Continente e alcuni suoi membri avevano lavorato con Robert Kahn e Vinton Cerf, considerati i padri di Internet. Alla fine degli anni Ottanta i computer in rete erano più o meno centomila.

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Il cellulare dilaga

La persona che – nel bene e nel male – ci ha cambiato la vita si chiama Martin Cooper, direttore della sezione Ricerca e sviluppo della Motorola (l’uomo che, come abbiamo già visto, fece la prima chiamata da un telefono cellulare il 3 aprile 1973). Ma dovettero trascorrere dieci anni prima che l’azienda statunitense mettesse in commercio il primo modello, dall’esorbitante costo di quattromila dollari. Da quel momento in poi, fu la pandemia. In Italia il boom avvenne negli anni Novanta e, secondo le statistiche mondiali, nel 2007 il cinquanta per cento della popolazione mondiale disponeva di un cellulare ma nell’arco di soli due anni la cifra era già cresciuta al 61. Sempre nel 2009, l’Autorità per le telecomunicazioni Agcom stabilì che i minuti di conversazione al cellulare avevano superato quelli da telefono fisso. Nel corso degli anni i “mobile” si sono evoluti nella forma e, soprattutto, nella tecnologia, passando dai primordiali sistemi analogici a sempre più raffinati standard digitali che, dalla sola comunicazione vocale oggi consentono di condividere foto, filmati, messaggi, navigare in rete, spedire email, fare videotelefonate e guardare la tivù. Ma il signor Cooper avrebbe mai immaginato che razza di “guaio” sarebbe finita l’umanità?

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Il cubo di Rubik

Nove quadratini dello stesso colore per ciascuna delle sei facce, ovvero 54 parti. Scopo del gioco è uniformare ciascun lato: è il Cubo di Rubik, tormentone per amanti dei rompicapo degli anni Ottanta. Il cubo, nella versione 3x3x3 (ne sono stati commercializzati sia di più grandi, per esempio il 4x4x4 detto Rubik’s Revenge, ma nel frattempo siamo a versioni a doppia cifra, sia di più piccoli come il Pocket 2x2x2), può assumere ben 43.252.003.274.489.856.000 (parliamo quindi di trilioni) di combinazioni possibili, e di queste solo una è quella corretta. L’invenzione di questo twisty puzzle si deve a Erno Rubik, un professore di architettura ungherese, che lo realizzò nel 1974 ma fu solo nel 1980 che la Ideal Toys lo diffuse il “Magic Cube” su larga scala vincendo nello stesso anno il premio Spiel des Jahres in Germania. Popolarissimo e imitatissimo, si ritiene sia il giocattolo più venduto della storia con i suoi oltre trecento milioni di pezzi.

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Swatch, precisione economica

Mentre l’industria degli orologi svizzera è nel pieno della peggiore crisi mai sperimentata sino a quel momento, Swatch – un sottile segnatempo in plastica dotato di soli 51 componenti (al posto degli abituali 91 o più) in grado di unire qualità superiore e resistenza all’acqua a un prezzo accessibile – scandisce la ripresa del settore. Lo Swatch, contrazione di “second” e “watch”, inteso come “secondo orologio” per distinguersi da quelli classici grazie alla sua veste casual, colorata, spigliata ed economica, introduce ben presto un nuovo stile di vita affermandosi tra gli orologi da polso più apprezzati al mondo. L’esordio, con una collezione di 12 modelli, avviene il primo marzo 1983. Il prezzo varia tra i 39,90 e 49,90 franchi svizzeri (intorno a 50mila lire in Italia).   Gli Swatch Store in tutto il mondo vendono milioni di pezzi e negli anni Ottanta se ne portano due o più, si usano per fermare i capelli a coda di cavallo e si attaccano ai vestiti (i grandi Pop). Nel tempo disegnano per il brand artisti famosi come Keith Haring, Jean-Michel Folon, Sam Francis e molti altri e nascono modelli tecnologici, con corpo in metallo (Irony), subacquei (Scuba), sottilissimi (Skin) e addirittura connessi a internet.

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Hollywood, che effetti!

Gli effetti speciali entrano prepotentemente sul grande schermo e tracciano la via che li porterà poi a dominare dagli anni Novanta in poi. I film d’azione con Arnold Schwarzenegger (Conan il Barbaro, 1982) e Sylvester Stallone (Rambo, 1982) fanno storia e diventano subito cult generazionale e no al pari di Batman, per la regia di Tim Burton (oltre cento milioni di dollari al botteghino nei primi dieci giorni e tre sequel negli anni Novanta), e di capolavori di guerra come Nato il Quattro luglio e Platoon, firmati Oliver Stone, e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Le nuove tecnologie computerizzate portano linfa ai film di fantascienza e avventura e si assiste alla realizzazione di alcuni blockbuster. Solo per citarne alcuni, E.T. l’extraterrestre, record di incassi del decennio, Guerre stellari (L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi), Terminator, La cosa, La mosca, Predators, Aliens Scontro finale, Ritorno al futuro, Ghostbusters, I predatori dell’arca perduta (e i suoi sequel), Ladyhawke, La storia infinita, Highlander, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Poltergeist…   Nella Hall of Fame degli anni Ottanta anche Shining, con un impareggiabile e indimenticabile Jack Nicholson, e tre commedie esilaranti come The Blues Brothers, forte anche di una colonna sonora a dir poco strepitosa e un cast stellare, L’aereo più pazzo del mondo e Una poltrona per due.

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A me gli occhi: Wayfarer, Aviator o Shooter?

Gli anni Ottanta li abbiamo visti attraverso i Ray Ban, al tempo dotati di lenti Bausch & Lomb (oggi sono Luxottica) e – allora come oggi – i modelli di culto erano i Wayfarer di Dan Aykroyd e John Belushi nei Blues Brothers (1980) e di Don Johnson in Miami Vice (1984), gli Aviator di Tom Cruise “Maverick” e i Caravan in Top Gun (1986), gli Shooter, evoluzione del modello a goccia con il cerchiolino. Senza dimenticare gli Outdoorsman di Sylvester Stallone in Cobra. Il successo di questi film portò a un aumento vertiginoso delle vendite e nonostante tutti questi occhiali da sole fossero già stati immessi sul mercato nei decenni precedenti, furono proprio gli Anni Ottanta a decretarne il successo su vasta scala. Sempre in quel decennio arrivano le prime mascherine della serie Wings. Per dovere di cronaca, il prototipo realizzato nel 1937 e chiamato “Ray Ban Anti-glare” (ovvero che bandisce i raggi e anti-abbaglio) era stato ideato per salvaguardare la vista dei piloti.

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Eccessi di moda

Spalle imbottite, top succinti, cotonature e gel sui capelli, tinte fluo. Sono gli anni delle giacche esagerate e dei jeans a vita alta con il maglione o la felpa infilati dentro, dei fuseaux (che oggi definiamo leggings e sono tornati di moda ma, eccezion fatta se si è una top model, rimane l’embargo) e dei colori accesi, che dall’abbigliamento e dagli accessori, spesso in plastica, non esitavano a passare al make-up e alla chioma. Maglie e T-shirt sono anch’esse vistose: sovradimensionate, spesso con le maniche a pipistrello, talora molto corte oppure aderenti se nel look sportivo. Impossibile dimenticare (e corre obbligatoriamente il sopraccitato richiamo al buon gusto) le inguardabili maglie a rete. Capospalla cult è il bomber – d’ordinanza quello verde con l’interno arancione –, trainato anche da indimenticabili blockbuster, mentre ai piedi sneaker e stivali da cowboy vanno per la maggiore. La bigiotteria è in linea, esageratamente grande e colorata. La moda degli Eighties occhieggia oggi da molte vetrine dedicate ai teenager.

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Tra disco e cantautori

Come l’abbigliamento, anche la musica è scatenata, carica di spensieratezza e voglia di divertirsi. Ne sono esempi leggeri e ironici (spesso più intriganti della mera apparenza se ascoltati con spirito critico) Un’estate al mare di Giuni Russo (1982, scritta da Franco Battiato), Vamos a la playa (1983) e L’estate sta finendo (1985) dei Righeira. Nel 1988 sale alla ribalta Jovanotti con È qui la festa?. I ritmi sono orecchiabili, i giovani vogliono divertirsi. E ballare. Così, giocando sul ritmo sempre elevato, ce n’è per tutti. Qualche esempio. Arriva Vasco Rossi con Bollicine (1983) e alcuni i cantanti scelgono la lingua inglese come Raf (Self Control, 1983), Spagna (Easy Lady del 1986 e Call me del 1987) o l’esplosiva Sabrina Salerno (Boys, 1987). Impossibile non citare poi Rettore con lo ska Donatella (1981) e Kamikaze rock’roll suicide (1982), Io ho te (1983).   Ma c’è anche un aspetto diverso della musica italiana di quel decennio. Vanno per la maggiore gli impegnati Roberto Vecchioni, Fabrizio De André, Franco Battiato, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli e i più romantici Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Cosa resterà degli Anni 80 se lo chiese Raf nel 1989.

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Madonna! E sono sciolti gli Abba…

Sulla scia di un’esterofilia nata sul finire del decennio precedente gli Anni Ottanta battezzano rapidamente alcuni artisti; tra i primi a trasformarsi in tormentoni furono, per esempio, Saturday Night Fever dei Bee Gees (sulla scorta del film), Hot Stuff di Donna Summer, I will survive di Gloria Gaynor e altri miti della disco dance.   Ma non sono tutte rose. L’8 dicembre 1980 viene ucciso da Mark David Chapman l’ex Beatle John Lennon, divenuto bandiera del pacifismo, e l’11 maggio 1981 il re del reggae Bob Marley muore nell’ospedale di Miami. Ma show must goon e nel 1982 esce il film dei Pink Floyd The Wall, i Rockets pubblicano Atomic, gli Iron Maiden The Number of the Beast, con il vocalist Bruce Dickinson, e Michael Jackson pubblica Thriller, l’album più venduto nella storia della musica. nel frattempo si erano sciolti gli Abba, gruppo svedese icona degli Anni Settanta, che, si stima, abbia venduto oltre 375 milioni di dischi in tutto il mondo. Nel 1984 il Boss Bruce Springsteen fa uscire Born in the Usa, successo galattico. I Guns N’ Roses si esibiscono per la prima volta nel 1985 e nel luglio dello stesso anno si svolgono in contemporanea i due concerti Live Aid, a Filadelfia e a Londra. Sempre nell’85 arrivano Brothers in Arms dei Dire Straits (vende oltre trentamila copie, anche su cd) e Slippery when wet firmato Bon Jovi. Bellissimi, nel 1984 Time after Time di Cindy Lauper e, nel 1988, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler. E si apprezzano i Duran Duran, gli Spandau Ballet, i Depeche Mode, i Pet Shop Boys, Police, A-ha, Rem, Metallica, Ultravox. Nascono il synthpop, il new wave, il rap e l’hip-hop.   Nel frattempo, in attesa di trovare una risposta alla domanda di Raf, sul panorama internazionale arriva il ciclone Madonna e la musica diventa show a tutti gli effetti. Anzi, con tutti gli effetti. Nel 1985 siamo tutti Like a Virgin…

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Bye bye nastro, il futuro è compact

La musicassetta, a sua insaputa e l’agonia non sarà breve perché proprio in questo decennio sembra più il salute che mai, muore il 17 agosto 1982, giorno in cui la Philips stampa in una fabbrica di Hannover il primo compact disk commerciale con la Sinfonia Alpina di Richard Strauss interpretata dalla Berliner Philharmoniker diretta da Herbert Von Karajan. Per quanto riguarda la musica leggera, il primo album pop sul nuovo supporto fu The Visitors degli Abba ma, nell’ingresso sul mercato fu battuto sul filo di lana 52nd Street di Billy Joel, commercializzato dal 1º ottobre 1982 in Giappone insieme al lettore.   Per la cronaca, la configurazione definitiva del cd risale al 1979 e a una joint venture Philips-Sony: il disco di policarbonato trasparente accoppiato a un sottile foglietto metallico capace di memorizzare le informazioni è molto piú capiente e resistente delle cassette e si comprende facilmente il suo rapidissimo successo in tutti i campi.

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Domenica tutti al Drive in

Prorompenti ragazze Fast food in abiti succinti, personaggi irresistibili, gag veloci, balletti, sketch esilaranti proposti con una regia dal ritmo serrato. È un successo del piccolo schermo il programma comico ideato e scritto da Antonio Ricci in collaborazione, nelle varie edizioni, con Alessandro Piccardo, Ezio Greggio, Franco Mercuri, Aldo Rami, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Michele Mozzati, Gino Vignali, Gennaro Ventimiglia, Matteo Molinari. La prima edizione di Drive in trovò spazio il martedì sera ma già dal secondo anno passò alla prima serata della domenica di Italia 1: dal 1983 al 1988 fu questo l’appuntamento imperdibile di milioni di italiani. La regia, di Giancarlo Nicotra nel 1983 e di Beppe Recchia poi, offriva la possibilità di inserimenti pubblicitari lasciando integro il ritmo del programma, soluzione perfetta per la neonata televisione commerciale.   A tenere alto il ritmo della trasmissione, tra gli altri, Carmen Russo, Cristina Moffa, Tinì Cansino, Lory del Santo, Eva Grimaldi, Francesco Salvi, Zuzzurro e Gaspare, Ezio Greggio, Giorgio Faletti, Teo Teocoli, Sergio Vastano, Gianfranco D’Angelo, Carlo Pistarino, Enzo Braschi, i Trettré, Enrico Beruschi, Margherita Fumero, Ambra Orfei, Syusy Blady, Elle Kappa, Gialappa’s Band, Massimo Boldi.

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