Le Biotecnologie
Il termine ‘biotecnologia’ è stato coniato dallo scienziato ungherese Karl Erky, nel 1919 in cui raccomandava l’impiego dei processi biologici nei metodi industriali a scopo migliorativo. Secondo Erky si potevano usare organismi viventi anche per la produrre combustibili, alimenti e materiali di fondamentale importanza, mediante processi biochimici che potessero emancipare la società industriale dai limiti e dai conflitti legati alla scarsità di alcuni prodotti. Dopo la Seconda guerra mondiale, la biotecnologia industriale fu ampiamente utilizzata nella produzione di una serie di farmaci, come, per esempio, la penicillina, mentre, negli anni Sessanta e Settanta, furono intrapresi progetti volti a indurre gli organismi unicellulari a trasformare gli idrocarburi in proteine commestibili e i rifiuti degli animali da cortile in miscele benzina-alcol. Questi processi promettevano non soltanto di condurre alla produzione di medicine più efficaci, ma anche di produrre quantità maggiori di prodotti alimentari
per sostenere la competitività con nazioni in fase di ascesa.
Negli anni Settanta, le biotecnologie cominciarono ad essere applicate al DNA, a seguito della scoperta che i geni sono costituiti dal DNA e dei nuovi metodi di manipolazione di questa fondamentale molecola che è alla base della vita. Era stato scoperto che esistevano nei batteri alcune proteine, chiamate enzimi di restrizione, capaci di tagliare il DNA in corrispondenza di siti specifici. Altre proteine erano in grado di legare tra loro le estremità di molecole di DNA. Così frammenti di DNA tagliati con gli enzimi di restrizione potevano facilmente essere uniti tra loro in provetta, con una certa facilità, creando molteplici combinazioni di filamenti di DNA secondo un design stabilito dall’operatore. Da allora tante scoperte sono state fatte e le tecniche si sono sofisticate.
Ad oggi si è riuscito a modificare il DNA per la cura di patologie letali e in breve tempo è stato possibile produrre un vaccino efficace contro il Covid 19.
LE MICROPIPETTE La micropipetta è uno strumento utilizzato nei laboratori, soprattutto biologici o chimici, adatto al trasferimento di piccole o piccolissime quantità di liquidi, nell’ordine dei microlitri (μL), in cui è possibile selezionare le aliquote da prelevare operando su di un pistone a pressione. Normalmente vengono utilizzate micropipette che consentono il prelievo de i seguenti intervalli di volume: 1.000 -100 μL, 200 -20 μL 20 – 2 μL 10-1 μL. Nella maggior parte dei casi, le micropipette sono costituite da un corpo centrale in acciaio, ricoperto da una impugnatura in plastica, la cui forma più diffusa è quella cilindrica. L’ estremità inferiore coincide con un becco, mentre nella parte superiore è presente un pistone mobile grazie al quale è possibile prelevare e rilasciare liquido con la pressione del pollice. La loro conformazione generale è estremamente semplice. Quindi una micropipetta è caratterizzata da un blocco principale formato a da un’impugnatura, sulla quale è presente un selettore di volume a rotella e un indicatore di volume, capaci di calibrare la quantità precisa di liquido da prelevare. il primo pistone serve per aspirare e rilasciare il liquido, mentre il secondo è un espulsore ed è destinato ad espellere i puntale dopo il loro uso. Il prelievo del liquido viene effettuato mediante il “metodo del doppio stop”. La seconda parte di una micropipetta è costituita da un becco per l’appunto con una serie di puntali in plastica. Stiamo parlando di accessori distinti e separati dal corpo vero e proprio, sempre ad utilizzo unico e in grado di garantire la massima pulizia. In alcuni casi, ci si può servire di puntali sterili per portare a termine alcune applicazioni abbastanza delicate e complicate. Come funzionano Le micro pipette sono strumenti molto sofisticati, che vanno graduati a dovere prima del loro utilizzo effettivo. Il funzionamento di questi oggetti da laboratorio è estremamente complicato per chi non è esperto in chimica o biologia. La valutazione parte con la scelta della quantità orientativa di liquido da prelevare. In generale, tale valore può corrispondere a 1000-100 μL, 100-10 μL o addirittura 10-1 μL. I μL stanno per i microlitri, che corrispondono alla milionesima parte di un litro e alla millesima parte di un millilitro, e sono quindi di dimensioni quantomeno microscopiche. Di conseguenza, quando si ha a che fare con misure così infinitesimali, il grado di precisione da adottare per il funzionamento aumenta in maniera evidente e bisogna prestare la massima attenzione, evitando anche la più impercettibile manomissione.
Una micropipetta si contraddistingue per una modalità di funzionamento accurata e al tempo stesso basata su principi abbastanza banali. Infatti, è sufficiente calibrare il volume del dispositivo per fare in maniera che riesca a funzionare al meglio. Va quindi aggiunto il puntale sull’estremità opposta rispetto a quella del manico. Bisogna applicare una pressione per inserite il puntale, poi col pollice una pressione sul pistone per consentire al puntale di prelevare quella quantità di liquido necessaria per una corretta analisi. Il liquido deve essere poi immerso in un campione. Dopo aver premuto il pulsante precedente, bisogna lentamente rilasciarlo in base al liquido che deve essere immesso. A questo punto, non resta altro da fare che estrarre e schiacciare per spostare il contenuto all’interno di provetta, ossia il contenitore nel quale viene conservato il campione da analizzare. In alternativa, va bene anche qualsiasi altra tipologia di porta-campione che consenta allo stesso di non alterare le proprie caratteristiche. Pochi minuti e l’operazione viene portata a termine, anche se servono comunque varie competenze specifiche per effettuarla al meglio.
ELETTROFORESI SU GEL D’AGAROSIO
L’elettroforesi su gel d’agarosio è una tecnica molto usata, che consente di visualizzare
e separare le biomolecole presenti in una soluzione in base a due proprietà: le
dimensioni e la carica.
La metodologia usa una matrice polimerica, chiamata agarosio nella quale le
biomolecole possono essere setacciate un base all’ingombro sterico di ognuna.
L’agarosio è un’ottima matrice per il lavoro con proteine ad alto peso molecolare e per
gli acidi nucleici grazie alle sue proprietà fisiche e chimiche, oltre che alla sua stabilità
termica; presenta inoltre una porosità che permette di separare i frammenti. Ha un basso
grado di complessità molecolare e di conseguenza è improbabile che interagisca con le
altre biomolecole. La spinta al ovimento delle molecole è fornita
dall’applicazione di un campo di corrente elettrica.
I campioni vengono prima pipettati in cavità nel gel d’agarosio, chiamate pozzetti. Le
biomolecole con carica negativa, come il DNA, vengono pipettate in pozzetti vicino
all’elettrodo negativo. La corrente viene condotta attraverso il tampone per
elettroforesi verso il gel e quindi i campioni si spostano verso l’elettrodo positivo.
Le molecole,i nfatti, si spostano sempre verso il polo dalla carica opposta e, poiché le
molecole nel pozzetto hanno dimensioni e forme diverse, esse si spostano nella matrice
a velocità diverse e raggiungeranno diverse distanze dal pozzetto.
Tutte le molecole di dimensioni e forma simili percorreranno la stessa velocità e
distanza.
La maggior parte delle biomolecole non ha un colore visibile, quindi deve essere
utilizzato un metodo di visualizzazione per osservarne le posizioni finali.
Spesso si usa un colorante di caricamento per seguire la progressione dell’elettroforesi,
ma questo colorante viaggia indipendentemente dalle biomolecole e non ne indica la
posizione.
Spesso si usano coloranti fluorescenti che si legano direttamente alle biomolecole e la
fluorescenza mi permette di visualizzare gli spostamenti dei frammenti nel gel. Essi
possono essere incorporati nel gel prima dell’elettroforesi, oppure possono essere
aggiunti dopo il completamento dell’elettroforesi.
Il procedimento che si segue è il seguente:
1.Pesare l’agarosio e aggiungerlo alla soluzione tampone.
2.Scaldare usando una piastra elettrica fino a quando la soluzione diventa limpida.
3.Versare la soluzione nel “lettino” elettroforetico.
4.Inserire il pettine.
5.Lasciare raffreddare in frigorifero per 10 minuti fino a solidificazione del gel.
6.Togliere il pettine facendo attenzione a non danneggiare i pozzetti che si formati in
corrispondenza dei denti.
7. Inserire il gel nella cameretta elettroforetica e aggiungere la soluzione tampone nella
camera ettroforetica fino a ricoprire il gel.
8.Aggiungere la soluzione di caricamento a ciascun campione.
9.Aggiungere la soluzione di caricamento anche al marker di peso molecolare e
trasferirlo nel primo pozzetto del gel, usando una micropipetta.
Il marcatore di peso molecolare è formato da una miscela di frammenti di DNA di cui
si conosce la lunghezza in paia di basi e il peso molecolare.
10.Trasferire con una micropipetta ciascun campione in un pozzetto diverso
fermandosi al primo stop della micropipetta.
11.Assemblare la cella elettroforetica.
12.Mantenere il collegamento con il generatore di corrente per almeno mezz’ora
collegando i cavi elettrici.
13.Interrompere il collegamento della cella con il generatore di corrente.
14.Trasferire il gel in una vaschetta vuota e procedere con la colorazione.
Fonte: https://www.labxchange.org/
ELETTROFORESI DEI COLORANTI SU GEL DI AGAROSIO:
I plasmidi sono molecole circolari di DNA extra cromosomico a doppio filamento, sono presenti naturalmente in alcune cellule batteriche e hanno una replicazione autonoma; Sono i vettori più utilizzati a causa delle loro piccolissime dimensioni e possono portare fino a un massimo di 10000 nucleotidi al loro interno. Il materiale genetico che li contraddistingue permette all’organismo ospite di svolgere varie funzioni non essenziali, ma conferiscono alla cellula proprietà speciali (a volte proprietà metaboliche uniche). I plasmidi sono capaci di spostarsi tra le cellule (anche non uguali, ma filogeneticamente affini) influendo sulla variabilità genetica. Per le loro caratteristiche, i plasmidi trovano largo impiego in biologia molecolare e nell’ingegneria genetica, poiché possono essere manipolati per produrre vettori ricombinanti: si parla in questo caso di plasmidi ricombinanti. Quando si prepara un vettore plasmidico per la produzione di una proteina di interesse nelle cellule batteriche, è importante assicurarsi che siano presenti tutte le caratteristiche necessarie per la produzione di proteine. Come minimo, queste includono il gene di interesse e la regione del promotore; tuttavia potrebbero essere inclusi anche sequenze di DNA o geni regolatori che modulano l’espressione del gene di interesse.
Uno dei metodi per isolare i geni di interesse sfrutta gli enzimi di restrizione. Essi sono delle forbici molecolari usate nell’ingegneria genetica. Furono scoperti dagli scienziati Arber, Nathans e Smith che li scoprirono a partire dai batteri che per difendersi dall’attacco dei batteriofagi usavano gli enzimi di restrizione. Questi enzimi sono in grado di frammentare il DNA in posti ben precisi e i batteri andavano a proteggere quelle sequenze nucleotidiche che potevano essere riconosciute metilandole, ovvero aggiungendo un gruppo metile e quindi bloccando l’azione dell’endonucleasi. Di conseguenza quando il DNA virale di un batteriofago penetrava all’interno del batterio veniva tagliato, mentre quello del batterio non riceveva lo stesso trattamento. Gli enzimi di restrizione riconoscono gli stessi siti di riconoscimento, che sono delle sequenze palindrome, ovvero che lette in un verso o in un altro non cambiano. Uno degli enzimi di restrizione più usati in laboratorio è EcoR1 che riconosce la sequenza GAATTC letta in direzione 5’ -> 3’ , Eco sta per Escherichia Coli, R per il ceppo di appartenenza e 1 sta per la successione temporale della scoperta dell’enzima (praticamente questo tipo di enzima è stato il primo enzima di restrizione prodotto da Escherichia Coli). Il taglio operato dagli enzimi di restrizione può essere un taglio simmetrico o asimmetrico; quando è simmetrico il taglio viene fatto al centro della sequenza creando due estremità piatte, quando è asimmetrico il taglio è obliquo o sfalsato e, in quel caso, si avranno delle estremità chiamate appiccicose oppure sticky ends. La presenza di queste estremità sfalsate favorisce la ricombinazione, che per avvenire ha bisogno della ligasi.
DIGESTIONE DI ENZIMI DI RESTRIZIONE:
Le proteine fluorescenti rosse (RFP) possono essere imaged sull’esistenza confocale o sui microscopi del widefield ed egualmente hanno potenza più penetrante. I massimi dell’emissione e di eccitazione del RFP sono 558nm e 583 nanometro, rispettivamente.L’uso del RFP, tuttavia, è stato ostacolato con parecchie emissioni. Il RFP è un tetramero dell’obbligazione – così, forma i grandi cumuli dentro le celle. Ciò fa l’uso al RFP riferire la posizione di una proteina limitata severamente.Sebbene GFP possa fondere con successo con parecchie centinaia di proteine, le proteine RFP-coniugate sono spesso tossiche. Alcune varianti del RFP hanno sormontato queste limitazioni. Per esempio, la proteina fluorescente DsRed2 non forma i cumuli ed ha diminuito la tossicità, mentre un’altra variante del RFP (conosciuto come RedStar) ha aumentato la tariffa di maturazione e di luminosità. Le proteine a fluorescenza sono utilizzate per colorare e quindi tracciare i componenti in una cellula, cosicché possano essere studiati utilizzando la tecnica della spettroscopia a fluorescenza.
I plasmidi sono piccoli filamenti circolari di DNA superavvolto a doppia elica,
presenti nel citoplasma e distinguibili dal cromosoma batterico per le loro dimensioni ridotte.
Gli enzimi di restrizione sono una classe di enzimi, appartenente alla classe delle
idrolasi, che catalizzano il taglio endonucleolitico del DNA per dare frammenti
specifici a doppia elica con fosfati terminali al 5′.
Questi complessi proteici sono in grado di rompere i legami fosfodiesterici del DNA a doppio filamento. Il ruolo biologico di questi enzimi è di protezione e salvaguardia
della cellula: nei procarioti questi enzimi sono essenziali per il taglio e la degradazione di filamenti estranei al genoma.
La DNA ligasi è uno speciale enzima contenuto in tutte le cellule che, durante il
processo di duplicazione del DNA, unisce i frammenti di Okazaki. Una volta isolati, questi enzimi possono essere utili per saldare insieme due sequenze qualsiasi di
DNA.
Fonti:
Wikipedia
LIGAZIONE DI FRAMMENTI DI DNA:
TRATTAMENTO DEL DIABETE E L’ INSULINA COME PRIMA PROTEINA SINTETICA
PRODOTTA CON LE BIOTECNOLOGIE.
Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel
sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. Il livello di glucosio
nel sangue (glicemia) è regolato da due ormoni antagonisti prodotti dalle isole di Langerhans
costituite da ammassi di cellule diverse variamente disseminati nel pancreas (pancreas endocrino).
Le cellule di tipo Beta producono l’ormone insulina capace di abbassare la glicemia; le cellule di
tipo Alfa producono l’ormone Glucagone atto ad innalzare il livello ematico di glucosio; infine le
cellule di tipo Delta producono la Somatostatina che all’occorrenza inibisce la secrezione dei due
precedenti ormoni. L’insulina favorisce l’assorbimento del glucosio nelle cellule aumentando la
permeabilità della membrana cellulare. Il glucosio viene trasformato in glicogeno e immagazzinato
nelle cellule epatiche e muscolari. In caso di ipoglicemia il glicogeno viene nuovamente scisso in
glucosio grazie al glucagone. Nel caso in cui l’insulina manchi o non sia efficace il glucosio non può
più entrare nelle cellule e rimane nel sangue determinando un rialzo della glicemia. In mancanza
del glucosio le cellule per ricavare energia, utilizzano il colesterolo e i trigliceridi che vengono
mobilizzati dagli organi di riserva e vengono liberati nel sangue. Dalla demolizione di questi grassi
si formano i corpi chetonici (acetone).
Troviamo quattro tipi di diabete:
• diabete insulino – dipendente di tipo 1
• diabete non insulino – dipendente di tipo 2
• diabete tipo 3 o diabete associato ad altre affezioni
• diabete gestazionale
L’insulina è un ormone proteico secreto dalle isole di Langerhans del pancreas ma è presente,
anche nel fegato, nel timo, nella milza, nelle ghiandole salivari, nel cervello e nel sangue. Questo
ormone agisce a livello del fegato stimolando la formazione di glicogeno e inibendo la conversione
di sostanze diverse dai carboidrati in glucosio. L’insulina ha un effetto ipoglicemizzante perché,
promuovendo la diffusione del glucosio attraverso le membrane cellulari, si ha una riduzione del
livello di glucosio nel sangue. L’insulina stimola anche la sintesi e l’immagazzinamento dei grassi
nelle cellule adipose. La sua secrezione è regolata dalla concentrazione di glucosio nel sangue,
quindi, quando la concentrazione è alta, ad esempio dopo un pasto, il pancreas rilascia l’insulina,
mentre quando la glicemia diminuisce la secrezione di insulina si riduce. La molecola dell’insulina è
formata da due catene polipeptidiche: una catena A, con 21 amminoacidi e un ponte disolfuro che
le fa assumere una forma cilindrica, e una catena B, con 30 amminoacidi. Queste due catene sono
unite da due ponti disolfuro e derivano da un unico polipeptide da cui viene scisso il Peptide C, un
corto frammento proteico apparentemente privo di funzioni fisiologiche che, in quanto secreto
insieme all’insulina, è un utile indicatore della funzionalità insulare. Grazie all’avvento dell’era
biotecnologica è possibile produrre l’insulina tramite tecnologia del DNA ricombinante in sistemi
batterici. L’insulina si ottiene con la tecnologia del DNA ricombinante , quando negli Stati Uniti fu
messo a punto un sistema batterico in E.coli. La strategia di clonaggio prevede la produzione della
catena A e B separatamente. L’informazione per la catena A è stata sintetizzata fondendo la
sequenza nucleotidica con il gene lacZ nel plasmide pBR322, vettore di clonazione in E.coli, e nel
punto di fusione tra lacZ e l’informazione relativa alla catena A è stato inserito il codone
codificante l’amminoacido metionina. La catena B è stata, invece, sintetizzata in due tempi: prima
è stata sintetizzata la porzione N-terminale con procedimento analogo a quello seguito per la
catena A, poi è stata sintetizzata la porzione C-terminale con lo stesso procedimento. In seguito
all’espressione di tali geni in E.coli si sono isolati i frammenti codificanti la catena, sono stati fusi
col gene lacZ inserendo nel punto di fusione l’amminoacido metionina. L’utilizzo del sistema lacZ
beta-galattosidasi ha numerosi vantaggi, ad esempio, il fatto che il sistema sia inducibile perché le
catene vengono sintetizzate in fusione con la beta-galattosidasi, che svolge un’azione protettiva
nei confronti della demolizione proteolitica.I due peptidi vengono trattati quindi con bromuro di
cianogeno, un agente chimico capace di scindere i peptici con taglio proteolitico in corrispondenza
dell’amminoacido metionina. Non resta, quindi, che purificare i prodotti di sintesi e mescolare le
due catene, permettendo la formazione spontanea dei ponti disolfuro. La forma cristallina viene
assorbita più lentamente ed è nota come “insulina ultralenta” e la sua azione appare dopo circa 36
ore; la forma amorfa è nota come “insulina semilenta”, viene assorbita più rapidamente e la sua
azione ha una durata di sole 12-16 ore. Dalla scoperta della struttura chimica del DNA, punto di
partenza fondamentale, si è giunti fino alla possibilità di produrre proteine utili all’uomo dal punto
di vista medico grazie alla tecnologia del DNA ricombinante. Infatti, un numero sempre maggiore
di farmaci viene oggi prodotto utilizzando questi nuovi procedimenti e ne sono esempi i fattori di
agglutinazione, l’ormone umano della crescita e l’insulina umana. La produzione biotecnologica di
insulina ha portato numerosi vantaggi: in precedenza questo ormone era disponibile solo in
piccole quantità, era di tipo animale quindi non efficace come quello di tipo umano e, in alcuni
individui, scatenava reazioni allergiche; l’insulina prodotta attualmente è invece disponibile in
grandi quantità, producibile a bassissimo costo, più efficace, pura e sicura e non crea situazioni di
rigetto. La sintesi biotecnologia dell’insulina umana fu realizzata nel 1966 da due catene A e B
sintetizzate e da allora viene utilizzata in medicina come cura del diabete e contro l’iperglicemia e
la glicosuria.
FONTI
https://www.liceococito.edu.it/sito2009/ricerche/dna/dna-3.html
Elettroforesi su gel e DNA marcatore:
L’elettroforesi su gel è una tecnica ampiamente utilizzata che consente agli scienziati di ordinare e visualizzare le piccole molecole biologiche in base a due proprietà: le dimensioni e la carica. Utilizza una matrice polimerica, chiamata gel, e una corrente elettrica. Per vedere i risultati del processo di ordinamento, vengono utilizzati diversi metodi di colorazione o di visualizzazione per rivelare le biomolecole separate, che appaiono come strisce sul gel.
I campioni vengono prima pipettati in cavità nel gel, chiamate pozzetti. Le biomolecole con carica negativa, come il DNA, vengono pipettate in pozzetti vicino all’elettrodo negativo (nero). Poiché la corrente viene condotta attraverso il tampone per elettroforesi verso il gel, i campioni si spostano verso l’elettrodo positivo (rosso). Le molecole si spostano sempre verso il polo dalla carica opposta. Se le cariche delle molecole da ordinare sono sconosciute, i pozzetti possono essere posizionati al centro del gel affinché le molecole possano migrare facilmente attraverso il gel verso uno dei due poli.
Il gel attraverso il quale si spostano le molecole è composto da un polimero. Il tipo di polimero utilizzato dipende dall’applicazione. Per separare le molecole di DNA o di RNA, viene generalmente utilizzato un polisaccaride (zucchero complesso) che si trova nelle alghe marine chiamato agarosio. Esso forma una matrice porosa (come una spugna) con molti fori. La concentrazione di agarosio utilizzata determina quanto è fitta la trama della matrice e, di conseguenza, le dimensioni dei pori attraverso i quali si spostano le molecole
Poiché le molecole nel pozzetto hanno dimensioni e forme diverse, esse si spostano nella matrice a velocità diverse e finiscono a diverse distanze dal pozzetto. Tutte le molecole di dimensioni e forma simili percorreranno la stessa velocità e distanza.
La maggior parte delle biomolecole non ha un colore visibile, quindi una volta completato il processo di elettroforesi, deve essere utilizzato un metodo di visualizzazione per osservarne le posizioni finali. Spesso si usa un colorante di caricamento per seguire la progressione dell’elettroforesi, ma questo colorante viaggia indipendentemente dalle biomolecole e non ne indica la posizione. I coloranti fluorescenti che si legano direttamente alle biomolecole e alla fluorescenza in presenza di determinate lunghezze d’onda della luce sono invece spesso utilizzati per visualizzare la loro posizione. I coloranti fluorescenti possono essere incorporati nel gel prima dell’elettroforesi, oppure possono essere aggiunti dopo il completamento dell’elettroforesi.
Per visualizzare le strisce di DNA è possibile utilizzare un colorante come il bromuro di etidio (nella foto sopra) che si lega direttamente al DNA e diventa fluorescente in presenza di determinate lunghezze d’onda della luce.
Struttura dell’agarosio
L’agarosio è un polisaccaride lineare e neutro formato da unità di D-galattosio e di 3,6-anidro-L-galattosio legate alternativamente con legami glicosidici. L’agarosio è uno zucchero solubile in acqua alla temperatura di ebollizione, mentre diventa solido man mano che si raffredda formando una matrice attraverso dei legami a idrogeno tra le catene lineari. L’agarosio non è l’unico composto utilizzato per i gel, infatti, esistono diversi tipi di supporti utilizzabili: come ad esempio l’amido o miscele di agarosio e poliacrilammide (che consentono una più fine separazione delle molecole).
Fonti: LabXchange-Wikipedia
SIMULAZIONE ELETTROFORESI SU GEL
Elettroforesi su gel di agarosio per la verifica del plasmide ricombinante
Quando una molecola di DNA è trattata con un enzima di restrizione si produce una miscela di frammenti di lunghezza diversa dal momento che le sequenze di roconscimento si possono presentare in qualsiasi posizione lungo la doppia catena. Per separare questi frammenti si utilizza la tecnica di seprazione mediante elettroforesi su gel, che sfrutta le differenze dimensionali e fisico/chimiche dei frammenti di DNA così ottenuti. Questa tecnica sfrutta la capacità di una molecola carica elettricamente di migrare all’interno di un campo elettrico. Il DNA (a pH neutro e bascio) possiede cariche negative conferite dal gruppo fosfato presente in ogni nucleotide e quindi, se sottoposto all’azione di un campo elettrico, si muove verso il polo positivo. L’elettroforesi prevede l’utilizzo di una matrice di separazione, solitamente un gel di agarosio, un polisaccaride estratto da alcune alghe che funge da rete o setaccio molecolare in quanto i frammenti di DNA durante la migrazione si separano in base alla loro lunghezza o al peso molecolare, In generale, la mobilità di un frammento di DNA è inversamente proporzionale al proprio peso molecolare, quindi le molecole più piccole migrano più lontano rispetto a quelle più grandi. Se si utilizzano dei frammenti di DNA marcatori il cui peso molecolare è noto, è possibile anche determinare per interpolazione le dimensioni di quelli incogniti, confrontandene il comportamento e la distanza percorsa durante la corsa elettroforetica. I gel di agarosio sono utilizzati per risolvere frammenti variabili da un centinaio di paia di basi (bp) a oltre 20 kbp (1 kbp= 1000bp). La porosità dell’agarosio dipende dalla sua concentrazione: più è elevata, migliore risulterà la separazione dei frammenti di DNA di minori dimensioni. I gel più comunemente utilizzati hanno una concentrazione di 0,8-2% m/V, che permette una buona separazione di frammenti che vanno da 200-500 bp a 20 kbp. Per separare molecole di DNA più piccole. è necessario ricorrere a gel di poliacrilammide. Affinchè l’elettroforesi possa solvergi correttamente la matrice deve essere disciolta in un tampone di corsa, con il quale è saturato il supporto per consentire il passaggio della corrente continua. Il tampone di corsa elettroforetica è infatti una soluzione salina, che serve per mantenere costante la ionizzazione delle molecole da separare e il pH durante la corsa. La corrente è mantenuta lungo il circuito dell’elettrolisi che avviene agli elettrodi che sono immersi nel tampone. L’agarosio sciolto a caldo nel tampone di corsa è depositato e fatto solidificare in un supporto orizzontale in cui sono creati, con un apposito strumento detto “pettine”, diversi pozzetti allineati, in cui successivamente sono deposti o “caricati” i campioni da analizzare. Il gel posto nella camera elettroforetica è completamente sommerso dal tampone di corsa; si applica quindi il campo elettrico, con un alimentatore che fornisce corrente continua per 20-30 minuti. Gli scopi dell’elettroforesi su gel del DNA consistono essenzialmente nel disporre frammenti separati di più agevole maniolazione per:
1) Valutare è studiare le caratteristiche dei singoli frammenti, cioè il peso molecolare
2) Estrarre singoli frammenti con estremita appiccicose per ottenere DNA ricombiante
3) Individuare in quale frammento si trova il gene di interesse
L’individuazione del gene di interesse si realizza impiegando sonde a DNA marcate con sostanze radioattive o fluorescenti.
LABORATORIO: La trasformazione batterica.
Scopo.
Lo scopo della trasformazione dei batteri in laboratorio è quello di facilitare l’assorbimento del DNA plasmidico contenente un gene di interesse.
In questo laboratorio saranno trasformate cellule batteriche di E. coli utilizzando la tecnica dello shock termico.
Procedura: descrizione degli step.
step 0: prima di iniziare la trasformazione occorre fornirsi di vaschetta per il ghiaccio e bagnotermostatico.
step 1: Mantenere le soluzioni a una bassa temperatura, in modo da impedire le fluttuazioni di temperatura e la degradazione enzimatica.
step 2: Denominare le provette.
step 3: Aggiungere 50microlitri di cellule competenti alle provette P- e P+
step 4: Aggiungere il plasmide ricombinante alla provetta P+.
step 5: Fare avvenire lo shock termico alle due provette. (15 minuti in ghiaccio.
step 6: Aggiungere 150 microlitri di soluzione di brodo di Luria (LB) nelle due provette.
Consigli ed errori da non commettere: utilizzare tecniche asettiche e lavorare in un ambiente sterile per impedire la contaminazione. Tutte le provette e i puntali delle pipette usati devono essere smaltiti in un contenitore per rifiuti a rischio biologico. Tutte le provette per microcentrifuga e i puntali delle pipette usati devono essere smaltiti rigorosamente in un contenitore per rifiuti a rischio biologico.
Perchè ho bisogno di altre attrezzature? Il contenitore per rifiuti a rischio biologico serve per lo smaltimento di tutti i rifiuti a rischio biologico risultanti dall’esperimento, compresi i puntali delle micropipette. Il timer è utilizzato per monitorare i tempo, durante l’esperimento.
DNA FINGERPRINTING E ANALOGIA CON LE IMPRONTE DIGITALI:
questa tecnica permette l’identificazione di DNA provenienti da individui differenti.
La tecnica si basa sull’analisi di particolari frammenti di lunghezza nota
(frammenti di restrizione) o di sequenze ripetute molte volte, chiamate elementi
microsatelliti, che sono presenti in numero diverso da individuo a individuo.
Gli equivalenti genetici delle impronte digitali sono i polimorfismi, tratti di DNA che
presentano sequenze variabili localizzate in punti diversi nel DNA di ogni
individuo. Gli organismi della stessa specie condividono gran parte del DNA, ma
esistono regioni variabili in tutto il corredo cromosomico.
Il genoma umano è formato per circa il 10% da regioni di DNA altamente ripetute
(chiamate ripetizioni in tandem) di lunghezza variabile in ogni individuo. Questi
tratti di DNA, detti DNA satellite, rappresentano una fonte di variabilità genetica
dell’individuo, e vengono chiamati anche polimorfismi.
L’insieme dei polimorfismi determina il profilo genetico (DNA fingerprinting) che
caratterizza in modo inequivocabile un individuo. E’ infatti poco probabile che due
persone abbiano in comune gli stessi polimorfismi.
Queste analisi sono, in genere, condotte analizzando i microsatelliti o brevi
sequenze ripetute in tandem (STR), cioè tratti di DNA che si ripetono uno di
seguito all’altro, quali ad esempio (CA)n e (GCC)n. La ripetizione di queste
sequenze varia nei diversi alleli di un individuo e queste variazioni sono la
conseguenza di un errore nella duplicazione del DNA .
Per amplificare un frammento di DNA che possiede sequenze ripetute, di solito si
utilizza la PCR, che prevede il ricorso a primer, che consentono di amplificare
singoli microsatelliti. Il DNA di un individuo con molte ripetizioni produrrà un
segmento amplificato più lungo di quello che produrrà quello di una persona con
meno ripetizioni.
La tecnica del fingerprinting è molto delicata, e la degradazione del DNA dei
campioni, le contaminazioni batteriche e i metodi per l’amplificazione del DNA dei
campioni (PCR), possono produrre bande aggiuntive che portano a errori
nell’identificazione.
Il DNA fingerprinting trova applicazioni in campo forense, per l’identificazione di
individui responsabili di crimini, l’analisi di paternità e l’analisi di resti biologici, ma
anche nei trapianti d’organo per stabilire la compatibilità tra i soggetti coinvolti.
ORGANISMI ESTREMOFILI
Un organismo estremofilo è un microrganismo che può sopravvivere e proliferare in condizioni ambientali proibitive per molti altri esseri viventi, come ad esempio ambienti con valori di temperatura, pressioni, pH o salinità molto estremi. Questi organismi inoltre possono essere utilizzati per applicazioni industriali. Interessano i catalizzatori biologici, o enzimi, che aiutano questi organismi a replicarsi anche in condizioni difficili.
Gli studi sugli estremofili hanno aiutato gli esperti a ricostruire i passi evolutivi degli organismi. Al modello tradizionale che prevede l’introduzione dei procarioti (cellule prive di nucleo) e successivamente la diffusione degli eucarioti (cellule più complesse). Alcuni ricercatori hanno aggiunto un terzo raggruppamento chiamato archea che dovrebbe avere un antenato in comune con le altre due linee evolutive.
Le applicazioni che potrebbero trarre grandi benefici spaziano dal settore alimentare all’abbigliamento, dalla medicina alla farmacologia, visto che gli enzimi degli estremofili consentono un notevole risparmio di costi e un aumento della efficienza dei processi.
Per identificare gli enzimi si possono seguire varie tecniche:
- conservare alcune piccole colture di un estremofilo ritenuto importante, con l’obiettivo di risalire ai geni che li specificano;
- oppure isolare il DNA da tutti gli organismi presenti in un campione prelevato da un ambiente estremo e con una serie di operazioni verificare se esistono attività enzimiche.
Inoltre troviamo diversi tipi di estremofili:
- termofili: resistono a temperature elevate; (fino ai 121 °C);
- psicrofilo: resistono a temperature bassissime;
- ipertermofili: vivono anche a temperature tra 80 e 120 °C;
- acidofili: prediligono condizioni di elevata acidità;
- basofili (o alcalofili): prediligono condizioni di elevata alcalinità;
- alofili: abitano in ambienti altamente salini;
- osmofilo: resistono in condizioni di elevata osmolarità.
- piezofili o barofili: vivono anche se sottoposti ad alta pressione.
PCR
La PCR (reazione a catena della polimerasi), è una tecnica che permette di amplificare un frammento di DNA, del quale si conoscano le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali, partendo da una soluzione di DNA attraverso l’utilizzo dell’enzima DNA POLIMERASI, che riproduce in vitro tutto ciò che avviene nella cellula durante la duplicazione. Kary Mullis è considerato il padre della PCR. Egli era un biochimico statunitense, nato a Lenoir nel 1944 e deceduto a Newport Beach nel 2019, vinse il Premio Nobel per la Chimica nel 1993 per aver messo a punto la metodica nota come reazione a catena della polimerasi (PCR), che ha rivoluzionato il mondo della genetica molecolare. In seguito alla scoperta del metodo della PCR è stato possibile ottenere in laboratorio grandi quantità di DNA identico, partendo da piccolissime quantità. L’intuizione di Millis nacque studiando gli organismi estremofili, ovvero organismi in grado di vivere in condizioni estreme, per quanto riguarda temperatura, pH, salinità. Questi organismi sono dotati di un enzima che è in grado di sopravvivere a temperature notevoli. Millis pensò di utilizzare la polimerasi estratta dal batterio Thermus aquaticus, che possiede ,appunto, un apparato enzimatico termoresistente (Taq polimerasi). Infatti Affinchè la Taq Polimerasi possa amplificare il DNA è necessario fornirle:
– un DNA stampo;
-primers in eccesso molare rispetto al DNA stampo per consentire l’appaiamento dei filamenti
– una quantità opportuna di nucleotidi liberi (desossiribonucleotidi trifosfati, dNTP) per costituire i nuovi filamenti;
-fonte di ioni Mg+2 , quindi cloruro di magnesio, necessari per l’attività della polimerasi;
-un tampone di reazione (soluzione salina) che crei le condizioni di reazione ottimali e mantenga il pH stabile.
Ogni ciclo di amplificazione è suddiviso in diverse fasi :
-denaturazione del DNA stampo, in cui la temperatura viene portata a 94-95°C per permettere la separazione dei due filamenti della doppia elica con la rottura dei legami a idrogeno fra le basi complementari;
-appaiamento degli oligonucleotidi, in cui la temperatura viene diminuita a 50-60°C per permettere ai primers di legarsi alle estremità complementari del DNA stampo;
-estensione, in cui la temperatura viene portata a 72°C, in cui c’è la massima attività della Taq Polimerasi, che aggiunge agli inneschi i nucleotidi su entrambi i filamenti in direzione 5’ 🡪 3’.
Una reazione di PCR avviene all’interno di microprovette da 200 µl che vengono inserite all’interno del termociclatore.
Il ciclo viene ripetuto circa 30-40 volte, al termine abbiamo un’ulteriore fase di estensione a 72°C per permettere il completo allungamento dei filamenti.
Possibili applicazioni della PCR:
-in caso di malattie genetiche o tumorali, grazie alla tecnica della PCR è possibile amplificare il gene responsabile della patologia;
-medicina forense;
– è possibile amplificare porzioni di DNA “antico” (isolato da reperti fossili, mummie ecc.) in modo da effettuare confronti con campioni contemporanei di DNA per studi evoluzionistici;
-monitoraggio ambientale;
-ricerca di OGM.
Inoltre, grazie alla tecnica della PCR attualmente vengono processati i tamponi molecolari per il COVID-19.
Si ringrazia la Tutor Aziendale,
Prof.ssa ILARIA CALDARELLI,
per la disponibilità e professionalità
mostrata durante l’intero percorso PCTO
Published: May 17, 2021
Latest Revision: May 17, 2021
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